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Diario di un mediatore culturale. Storie dall’interno di un ambulatorio

Ambulatorio-per-la-cura-e-il-ricovero-di-migranti

Ambulatorio per la cura e il ricovero di migranti

di Paolo Grande

La struttura di R., si trova in una zona periferica del paese e nonostante sia lontana dalla confusione del centro cittadino, non sorge isolata ma si colloca perfettamente nel mezzo di una serie di villette. Immersa nel verde della campagna, la costruzione riesce ad accogliere oltre cinquanta uomini adulti al suo interno e, per far fronte alle eventuali esigenze sanitarie degli ospiti, è fornita di un piccolo ambulatorio, occupato per due giorni la settimana dai medici dell’Asp di Siracusa. Lunedì primo giugno 2015, avrei lavorato proprio lì, in sostegno alla dottoressa Russo, che avevo avuto modo di conoscere in precedenti collaborazioni di lavoro.

La dottoressa Russo era stata in Libia e la mia curiosità nel farmi raccontare ogni dettaglio del suo viaggio è stata evidente fin da subito. Un giorno, infatti, mentre eravamo in macchina, diretti al centro di prima accoglienza C.D. di S., ho deciso di prendere in mano il registratore e di raccogliere, una volta per tutte, le informazioni che lei invece mi dispensava con il singhiozzo ogni volta che lavoravamo insieme.

Arrivata in Libia nel settembre del 2013, per partecipare in veste di medico alla missione europea “Eubam Libia”, aveva il compito di monitorare le condizioni di salute di uomini e donne impegnati nel suo stesso mandato; quando però veniva avvisata che anche i locali avevano bisogno di un supporto medico, non si tirava indietro e si dirigeva verso le abitazioni dei malati. Alloggiava insieme a tutti i suoi compagni presso l’hotel Corinthia e lì aveva avuto modo di conoscere il Primo Ministro libico Ali Zeidan. Mi ha raccontato che una mattina, uscita dalla sua stanza, si era diretta verso la sala da pranzo attirata dal profumo della colazione. Non si era accorta, però, di essere giunta in una zona della sala riservata al Primo Ministro. In un attimo le sue guardie personali le si erano parate davanti. Lo sguardo minaccioso e l’arma imbracciata da ognuno dei due soldati, l’avevano intimorita non poco, proprio per questo stava pensando di girarsi e andarsene. Non aveva fatto in tempo a trasformare in realtà quella sua idea, che da dietro le spalle dei due uomini armati, si è alzata una voce. Quella stessa voce ha chiamato per nome le due guardie e con suono calmo e tranquillo le ha rassicurati chiedendo di farsi da parte. Il Primo Ministro Ali Zeidan, con un cenno della mano, ha invitato la dott.ssa Russo a sedersi al suo tavolo:

Dott.ssa Russo: – Buongiorno.
Il Primo Ministro: – Buongiorno.
Dott.ssa Russo: – Sono la dott.ssa Russo e partecipo alla missione” Eubam Libia”.
Il Primo Ministro: – E tu lo sai chi sono io?
Dott.ssa Russo: – Si certo che lo so! Lei conosce la missione “Eubam Libia”?
Il Primo Ministro: – Ovviamente! Come potrei non sapere quello che succede a casa mia!Mi dica, qual è il suo ruolo all’interno della missione?
Dott.ssa Russo: – Sono il medico! Mi occupo di controllare lo stato di salute dei miei compagni di missione.
Il Primo Ministro: – Ah buono a sapersi che lei è il medico, adesso so a chi rivolgermi in caso ne avessi bisogno…
Dott.ssa Russo: – Non esiti a chiamarmi! Deve perdonare la mia maleducazione per essere piombata da lei, ma stamattina avevo voglia di fare un giro diverso per arrivare in sala e per sbaglio mi sono trovata qua.
Il Primo Ministro: – Ma non si preoccupi e non pensi a queste cose, sarei felice di averla ancora ospite al mio tavolo e di approfittare della sua compagnia per fare ancora colazione insieme.

Senza indugiare il Primo Ministro le ha stretto la mano e l’ha salutata abbozzando un sorriso. Non aveva avuto modo di capire quell’uomo, perché gli aveva parlato per troppo poco tempo. La dottoressa era presente la notte del suo rapimento. Mi ha raccontato che quella nottata era stata terribile, perché non riusciva a chiudere occhio a causa del rumore di passi e del vociare continuo che sentiva al di fuori delle mura della sua stanza. La mattina seguente, era scesa come di consueto nella sala da pranzo dell’hotel per fare colazione, ma accanto alla porta d’ingresso, quella volta, aveva trovato una guardia armata, che con fare deciso aveva estratto la pistola e le aveva chiesto in quale direzione si stesse dirigendo. Gli aveva confessato che, come ogni mattina, stava recandosi in quella sala dell’hotel per mangiare. Quello che le ha raccontato la guardia per risposta alle sue parole, l’aveva lasciata di sasso.

Il-Primo-Ministro-Ali-Zeidan-rapito-il-10-ottobre-2013-da-un-gruppo-non-identificato-di-uomini-armati-e-liberato-nella-tarda-mattinata-dello-stesso

Il Primo Ministro Ali Zeidan, rapito il 10 ottobre 2013 da un gruppo non identificato di uomini armati e liberato nella tarda mattinata dello stesso giorno

Quella notte quattrocento uomini armati erano entrati nell’hotel, ma non avevano sparato nemmeno un colpo, perché all’ingresso la reception non aveva opposto alcuna resistenza. I quattrocento uomini, però, erano a conoscenza della presenza di guardie armate straniere, assoldate per proteggere gli operatori dell’operazione Eubam. Allora i rapitori hanno occupato una delle due sale video dell’albergo, hanno monitorato i movimenti dei soldati e rassicurati dal vederli immobili e disinteressati dell’accaduto, si sono diretti verso la torre dell’edificio, dove si trovava il primo ministro. Poiché l’hotel Corinthia non era più un luogo sicuro, la dottoressa Russo e gli altri membri della delegazione europea, venivano fatti evacuare e trasferiti in un residence segreto, che ospitava tutti i partecipanti alle missioni internazionali presenti sul territorio libico.

Il nuovo centro operativo della missione Eubam, si trovava a circa venticinque chilometri dalla città, quindi a causa della notevole distanza dal centro, per ogni situazione d’emergenza sanitaria, bisognava organizzare il trasporto del paziente attraverso l’ambulanza, con largo anticipo. Non avendo la protezione della Nato, il trasporto di un malato verso l’ospedale più vicino, poteva essere parecchio difficoltoso, tant’è che l’unico modo per affrontare il viaggio, cercando di correre meno rischi, era quello di avvisare la polizia libica presente in aeroporto e riuscire a ottenere l’autorizzazione per il trasporto in elicottero. Non appena la crisi libica, causata dal vuoto di potere, è sfociata in continue guerriglie fra eserciti rivali così da rischiare di far fallire l’obiettivo della missione Eubam, la dottoressa e tutto lo staff hanno ricevuto l’ordine di lasciare la Libia e di ritornare in Europa attraverso la Tunisia. Un gruppo di circa venti macchine con a bordo i membri della missione Eubam è partito verso Hammamet e, una volta arrivato in aeroporto, è stato fatto salire sul primo aereo diretto in Italia.

Quel giorno ho incontrato la dott.ssa Russo alle nove del mattino in punto, presso l’ingresso del centro di prima accoglienza di R. Ci siamo salutati, ci siamo aggiornati sugli ultimi avvenimenti politici che hanno interessato la Libia e sulla situazione riguardante gli ultimi sbarchi di migranti clandestini. Ci stavamo dirigendo con assoluta calma verso l’ambulatorio, ho offerto una sigaretta a un ragazzo e con la dottoressa abbiamo chiesto agli ospiti della struttura, informazioni riguardanti i nuovi presenti, che sapevamo essere arrivati il giorno precedente. Non riuscivo a credere a quello che mi stavano raccontando. Sono corso verso uno degli operatori della struttura per saperne di più e anche lui mi ha riferito le stesse cose.

In una delle ultime “carrette del mare” partite per l’Italia, era successa una cosa terribile. Il motore della barca era andato in avaria, rilasciando tutto il carburante sul ponte, dove era seduto un discreto numero di persone. Nella confusione generale, deve essere scattata una scintilla che ha fatto scoppiare un incendio a bordo. Alcuni migranti, stretti e seduti al loro posto come sardine, si sono accorti delle fiamme solo quando hanno iniziato a sentire la pelle bruciare. Purtroppo non tutti sono riusciti a tuffarsi in mare tempestivamente; la maggior parte di loro ha riportato serie ustioni di primo e secondo grado all’altezza del bicipite femorale, del cavo popliteo e allo scroto, dovute alla posizione assunta sopra l’imbarcazione. Un primo tempestivo intervento sanitario l’avevano ricevuto al porto, dove medici e infermieri avevano curato le ferite di oltre quaranta ustionati. Adesso tutte quelle persone erano presenti al centro di prima accoglienza di R. e tutte avevano bisogno di un secondo controllo medico.

Nonostante lavorassimo da oltre due ore, la fila che si era creata dietro la porta del piccolo ambulatorio della struttura, sembrava non avesse fine. Avevamo pulito, disinfettato e bendato oltre quindici persone, ma non eravamo giunti nemmeno a metà delle visite previste. Quel giorno la dottoressa aveva seriamente bisogno di un infermiere ad assisterla, ma in assenza di una tale figura, senza pensarci troppo, ho infilato un paio di guanti sterili e ho iniziato ad aiutarla e a occuparmi, sotto il suo occhio attento, delle bruciature più lievi. Da ogni paziente ci facevamo raccontare l’accaduto e ognuno di loro confermava il racconto che avevamo sentito prima. La gente non finiva mai di arrivare alla nostra porta e a poco a poco stavamo esaurendo tutti i farmaci che avevamo a disposizione.

Ambulatorio-medico-gestito-da-Emergency.

Ambulatorio medico gestito da Emergency

Dopo cinque ore di lavoro, pensavamo che il peggio fosse passato, ma in realtà ci sbagliavamo. Sull’uscio della piccola clinica è arrivato zoppicando un giovane eritreo, alto e magro, accompagnato a spalla da un altro ragazzo che probabilmente doveva essere suo amico. Gli occhi lucidi e il volto contratto in una smorfia di dolore, non facevano pensare a nulla di buono. Avevamo curato molte persone con bruciature quel giorno, tutti si lamentavano nel momento in cui iniziavamo a disinfettare le ferite, ma mai prima. Questo ragazzo invece, mostrava insofferenza già prima di stirarsi sul lettino. Il motivo era semplice, infatti, una volta abbassati i pantaloni e mostrate le bruciature, ci siamo resi subito conto di avere davanti il caso più grave della giornata. Bruciature di secondo grado su entrambi i cavi poplitei gli impedivano di camminare, di sedersi e ovviamente di stirarsi e dormire. Mentre la maggior parte dei pazienti aveva dimostrato lievi bruciature sulla zona dello scroto, la sua situazione era ben diversa. La sua zona genitale era stata completamente interessata, il dolore era lancinante e bisognava pulirgli le ferite con estrema delicatezza. La dottoressa non ha perso tempo e con calma e pazienza è riuscita a medicargli tutte le ustioni. Il ragazzo ci ha raccontato che si era reso conto dell’incendio scoppiato sulla barca, ma essendo piombato il caos, si è trovato schiacciato sulla barca da due grossi uomini nigeriani, che si dimenavano nel tentativo di scappare dalle fiamme. I due uomini non avevano capito di essere saliti sopra il giovane eritreo, che nel frattempo urlava e tirava pugni alle loro gambe nel tentativo di farli spostare. Fortunatamente i due uomini sono riusciti a buttarsi in mare e a permettergli di fare lo stesso.

Le sette di sera erano passate da poco, il sole estivo iniziava lentamente a scendere dietro le piccole colline che circondano il centro di prima accoglienza di R.. Io e la dottoressa Russo ci guardavamo increduli ed esausti, adesso dietro la porta del nostro piccolo ambulatorio non c’era più nessuno. Non c’eravamo fermati un attimo, avevamo curato più di quaranta persone e non avevamo avuto neanche il tempo di pranzare. Eppure eravamo soddisfatti, non un solo paziente era rimasto indietro con delle bruciature ancora da disinfettare, nessuno si era lamentato del trattamento medico cui si era sottoposto. Al contrario, ogni paziente prima di uscire dalla porta della piccola clinica ci salutava con un grande sorriso. Il gesto di un sorriso sincero e spontaneo ci dava l’energia necessaria per proseguire nel nostro lavoro.

Adesso, però, dopo ben dieci ore di lavoro, avevamo finito e la sigaretta che io e la dottoressa stavamo fumando insieme nel cortile della struttura, ci stava lentamente togliendo tutta la tensione muscolare accumulata dopo una così estenuante giornata lavorativa. Non vedevamo l’ora di tornare a casa, di fare una doccia e di riposare, per questo non appena anche il mio mozzicone era spento nel posacenere a noi vicino, io e la dottoressa ci siamo guardati in faccia e sorridendo, ci siamo detti: “arrivederci”. Non erano necessarie altre parole, perché sapevamo entrambi quello che avevamo passato in quelle ore chiusi in ambulatorio. Una volta salito in macchina e imboccata l’autostrada in direzione Avola, un profondo senso di orgoglio mi ha attraversato la schiena fino a raggiungere la testa, che come se fosse dotata di vita propria, ha portato la fronte più in alto e ha lanciato lo sguardo di là dalle colline di “Avola Antica”. Ne ero certo, quel giorno avevo svolto un ottimo lavoro.

Dialoghi Mediterranei, n.31, maggio 2018
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Paolo Grande, laureato in Lingue e Culture Europee ed Extraeuropee presso la Struttura Didattica Speciale di Lingue di Ragusa, lavora come mediatore culturale presso l’ASP 8 di Siracusa dal 2013, mentre dal 2016 è un mediatore culturale del Centro di prima accoglienza “Frasca” sito in Rosolini. Ha collaborato al progetto “RE-Health” fra l’OIM e l’ASP 8 di Siracusa. Nell’ultimo anno ha partecipato in qualità di mediatore culturale al progetto FAMI del CPIA di Ragusa supportando una classe di apprendenti di livello pre A1 presso la città di Pozzallo.
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