di Lina Novara
L’11 aprile 1898 veniva aperta al culto, con solenne atto di benedizione, la chiesetta di Sant’Antonio di Favignana, voluta dalla Famiglia Florio ed edificata fra il 1893 ed il 1898 come segno tangibile della loro religiosità e come omaggio al santo tanto venerato dai pescatori di Favignana che lo pregavano prima di ogni mattanza. La vollero semplice all’esterno ma riccamente decorata all’interno, come le chiesette bizantine.
Per questo fecero dipingere, a tempera, sulle pareti e sul soffitto meravigliose decorazioni creando un unicum straordinario che oggi si rivela un raro esempio di edilizia di culto di fine dell’Ottocento – primi del Novecento, in cui confluiscono arte sacra e art nouveau.
L’apparato decorativo pittorico, passando da stilemi neobizantini, neomedievali e preraffaelliti, si inserisce infatti nel più ampio respiro dell’art nouveau condividendone la grazia decorativa e le invenzioni [1]. La mancanza di documentazione non consente di stabilire con certezza chi sia stato il progettista né tantomeno l’autore o gli autori dei dipinti, mala qualità complessiva dell’apparato decorativo denota che i Florio sceglievano sempre validi e rinomati artisti [2].
Il progetto viene attribuito a Giuseppe Damiani Almeyda, che si sarebbe avvalso della collaborazione di Filippo La Porta al quale aveva affidato la direzione dei lavori dei cantieri di Favignana e in particolare del palazzo Florio [3]. È risaputo che Damiani Almeyda fu l’architetto di fiducia di Ignazio Florio sin dal 1868, come già precedentemente Carlo Giachery lo era stato di Vincenzo Florio, padre di Ignazio.
Probabilmente nella scelta delle decorazioni interne influì Filippo La Porta che a Palermo aveva adottati soluzioni liberty per l’apparato decorativo del villino Caruso. Nastri con iscrizioni, cartigli e alcuni motivi fitomorfi sembrano infatti ispirati alle decorazioni del villino palermitano dove avevano lavorato artisti come Ettore De Maria Bergler, Pietro Bevilacqua, Gaetano Geraci, e dove il mobilio proveniva dalla rinomata fabbrica Ducrot.
Sicuramente nella chiesa, che ha impianto basilicale a tre navate, c’è un intento teologico-didascalico, espresso attraverso la decorazione ricca di motivi floreali e simbolisti, a tinte pastello e con ampio ricorso ai fiori e alle curve morbide e sinuose del liberty. Soggetto protagonista è naturalmente il santo titolare Antonio che compare nella lunetta sopra la porta d’ingresso dove è rappresentato uno dei suoi miracoli: la predica ai pesci.
Come nella vita di San Francesco è significativo l’episodio della predica agli uccelli, nella vita di Antonio non meno fantasiosa e poetica è la predica ai pesci, avvenuta a Rimini, città popolata da eretici nel XIII secolo. All’arrivo del francescano, i capi di quella città diedero l’ordine di isolarlo: Antonio trovò infatti le chiese vuote e nessuno gli rivolse la parola. “Poiché vi dimostrate indegni della Parola del Signore – disse – io mi rivolgerò ai pesci in modo da evidenziare ancora di più la vostra mancanza di fede”. Si avviò allora verso la spiaggia e giunto vicino al mare, disse: “Fratelli pesci, venite voi ad ascoltare” ed iniziò a predicare.
Alle sue parole i pesci cominciarono a comparire e a sollevare parte del corpo sulla superficie dell’acqua. Si avvicinavano a lui e lo osservavano attentamente aprendo la bocca. Per tutto il tempo che il Santo parlò lo ascoltarono attentissimi, come se fossero dotati dell’uso della ragione e, a volte, davano anche segni di assenso alle sue parole. Dopo aver ricevuto da lui la benedizione si allontanarono. Impressionati da questo episodio i Riminesi abbandonarono l’eresia. La predica ai pesci è uno dei miracoli di Sant’Antonio meno raffigurato nei cicli dedicati al frate di origine portoghese, poi divenuto padovano. Nella basilica dedicatagli a Padova, vicino alla Sacrestia, c’è un affresco che narra, in termini pittorici, lo stesso miracolo.
I pesci raffigurati a Favignana sono di grossa taglia e, in tema con l’ambiente, sembrerebbero tonni, specie ittiche considerate nell’antichità – soprattutto presso gli Etruschi – simbolo della forza e del coraggio di superare le avversità della vita poiché molto veloci a muoversi in mare. Il dipinto, pur garbato nella condotta pittorica e naturalistica, non si impone per qualità narrativa ed espressiva.
Sotto il dipinto si leggono i versi di una antifona ispirata al passo di Luca (12,37): BEATI SERVI ILLI QUOS CUM VENERIT DOMUS INVENERIT VIGILANTES [4].
Lungo tutto l’architrave e nell’abside altri brani di canti di lode e di salmi: a Sant’Antonio è rivolta la preghiera – o responsorio – “Si quaeris miracula” che fa parte dell’Officium rhythmicum S. Antonii, composto da fra Giuliano da Spira in onore del Santo nel 1233, due anni dopo la sua morte: è una forma di preghiera popolare che gli viene rivolta come invocazione per ritrovare le cose perdute, tra le quali la salute [5].
Si quæris miracula/mors, error, calamitas,/dæmon, lepra fugiunt,/ægri surgunt sani./ Pereunt pericula,/cessat et necessitas/O proles Hispaniae/pavor infidelium/nova lux Italiae/ nobile depositum/urbis Paduanae [6].
Dal XV secolo in poi Sant’Antonio è stato rappresentato con un giglio bianco in mano, fiore che sta ad indicare la sua purezza e la lotta contro il male. Il giglio nella simbologia cristiana allude infatti alla purezza e alla castità, motivo per cui è accostato alla Vergine Maria. e lo troviamo quasi sempre nei dipinti che raffigurano L’annunciazione tra cui quella celeberrima di Leonardo da Vinci.
Nella navata centrale vi sono due pannelli dipinti, di chiaro gusto preraffaellita, nei quali sono rappresentate due eleganti figure di angeli che, avvolti in una veste candida, si elevano da un campo di gigli bianchi: uno tiene in mano un nastro con la scritta ANTONIUS, l’altro due gigli.
Nelle principali religioni gli angeli vengono ritenuti messaggeri di Dio in quanto eseguono i suoi ordini e li trasmettono agli uomini. Essi svolgono il ruolo di intermediari tra l’umano e il divino. Sono ausiliari di Cristo nell’opera della salvezza (Lettera di Paolo agli Ebrei 1,14), assicurano la custodia degli uomini (Matteo 18,10; Ati 12,15), presentano a Dio le preghiere dei santi (Apocalisse 5,8: 8,3), conducono l’anima dei giusti in Paradiso (Luca 16, 22).
Nelle rappresentazioni dei due angeli si manifesta con forza la simbologia che contraddistingue i lavori preraffaelliti ed è evidente il rapporto tra spiritualità e natura. Il bianco è il colore che predomina e sta a simboleggiare l’innocenza e la purezza degli angeli, in quanto liberi dal male e dalla malvagità, ma anche dediti alla castità, alla virtù e alla fedeltà.
Fa da scenario alle due figure il contesto naturale, ma la poetica è quella simbolista e il sentiero sinuoso, tracciato fra i gigli, indica il cammino verso Dio. Sul capo degli angeli, che hanno folti capelli, è posta una vistosa e variegata aureola, formata da un nimbo, contornato da un motivo geometrico a zig zag, a sua volta circondato da raggi filiformi. La composizione si basa su linee verticali, segnate dagli steli dei gigli che danno spinta ascensionale alla figura che sta per elevarsi; l’orizzontalità è invece segnata dalla linea dell’orizzonte stesso, reso vivido dai contrasti dei colori.
Il giglio è stato anche associato a Sant’Antonio per le parole con le quali egli si riferisce al fiore in uno dei Sermones, la sua grande opera teologica e letteraria [7].
«Considera che nel giglio ci sono tre proprietà: il medicamento, il candore e il profumo. Il medicamento si trova nella sua radice, il candore e il profumo nel fiore. E queste tre proprietà raffigurano i penitenti, poveri nello spirito, che crocifiggono le membra con i loro vizi e le loro concupiscenze, che custodiscono l’umiltà nel cuore per soffocare l’impudenza della superbia, il candore della castità nel corpo e il profumo della buona fama». Sant’Antonio considera quindi il giglio bianco come simbolo dei penitenti, coloro cioè che rinunciando ai piaceri corporali e materiali, nel medioevo, esaltarono i piaceri spirituali e intrapresero il cammino verso Dio. Il giglio inoltre fiorisce in primavera, la stagione in cui è morto Antonio, e simboleggia anche la natura, molto valorizzata dai Francescani.
Nel catino absidale domina l’immagine del Bambino Gesù che, sotto forma di Serafino circondato da un nimbo, si pone davanti ad un disco bianco – l’ostia sacra – contornato da raggi lanceolati ed ondulati simili a quelli di un ostensorio. I Serafini, essendo gli angeli più vicini a Dio, risiedenti nel cielo supremo, si collocano nella prima gerarchia.
Il profeta Isaia parla della visione di un Serafino (6,1-3): «Vidi il Signore seduto su di un trono, ed il suo seguito riempiva lo Hekhal. Sotto di lui stavano i Serafini, ognuno con sei ali, e due di queste ricoprivano il loro viso e due i loro piedi, mentre con le ultime due volavano».
Tommaso d’Aquino nella sua Summa Theologiae cita i Serafini diverse volte e sostiene che essi possiedono l’eccellenza dell’ardore nella carità: «questi angeli possiedono in se stessi una luce inestinguibile, e …loro sono in grado di illuminare perfettamente gli altri». Proprio la luce sembra essere il filo conduttore della simbologia dell’abside: come luce viene raffigurato Gesù Bambino, e nell’arco absidale si legge la frase che Gesù rivolse alle turbe dei Giudei: EGO SUM LUX MUNDI QUI SEQUETUR ME NON AMBULAT IN TENEBRIS SED ABEBIT LUMEN VITAE (Giovanni 8, 12) [8].
Nell’abside è riportata una frase oggi lacunosa di cui ancora si intravedono le parole ET ORNAVIT…INDUIT EUM riferentisi al versetto 9 del Capitolo 45 del Siracide: Amavit eum Dominus et ornavit eum; stolam gloriae induit eum [9].
Nei due tratti di architrave che poggiano sui capitelli delle colonne binate a sostegno dell’arco si leggono le parole del Salmo 98, rispettivamente (a sinistra) FECIT MIRABILIA (a destra), IN VITA SUA [10]. Al Salmo 132 si riferisce invece la frase PAUPERES SATURABO PANIBUS sull’architrave della navata centrale, a destra [11]. L’iscrizione IN BONITATE PLACUIT DEO, riportata sullo stesso architrave, è tratta dalla lettera di Paolo agli Efesini (1, 9) [12].
Tra Sant’Antonio di Padova e il Bambino Gesù c’è stato un grande legame e il Santo, nell’iconografia tradizionale, lo tiene in braccio. Il Bambino oltre ad indicare l’attaccamento di Antonio all’umanità del Cristo e alla sua intimità con Dio, fa anche riferimento alla visione che il Santo ebbe a Camposampiero, vicino Padova, dove si era ritirato in preghiera poco prima di morire, presso un convento messo a disposizione dei Francescani dal conte Tiso. Una sera, il conte, essendo andato a trovarlo, dall’uscio socchiuso della cella vide sprigionarsi una luce intensissima. Temendo un incendio, spinse la porta e vide Antonio che stringeva fra le braccia Gesù Bambino. Ripresosi dall’estasi, Antonio si accorse della presenza del conte che era attonito e commosso per avere assistito alla scena miracolosa, e lo pregò di non raccontare a nessuno quanto aveva visto. Infatti, solo dopo la morte del Santo, il conte Tiso riferì dell’apparizione celeste.
Sul fondo delle vele delle due volte a crociera della navata centrale, dorato come nei mosaici bizantini, spiccano, in una, i simboli dei quattro Evangelisti – aquila, leone, bue, angelo – con relativi inizi dei loro Vangeli:
JOANNES IN PRINCIPIO ERAT VERBUM,
MARCUS INITIUM EVANGELII,
LUCAS QUONIAM QUIDEM MULTI,
MATTHEUS LIBER GENERATIONIS JESU [13]
Nell’altra crociera sono dipinti angeli con simboli eucaristici e testoline infantili di cherubini tra quattro ali, con le seguenti frasi, tratte dal Vangelo di Giovanni:
EGO SUM VIA VERITAS ET VITA
QUI CREDIT IN ME ABEBIT VITAM AETERNAM
SI QUIS MIHI MINISTRAT ME SEQUATUR
EGO SUM PANIS VITAE [14]
Simboli eucaristici anche nelle navatelle laterali: composizioni di spighe e uva, alludenti al pane e al vino, al corpo e al sangue di Cristo, inseriti in cornici di gusto floreale, le stesse che incorniciano tutti i pannelli figurati.
Tipicamente liberty sono inoltre i decori dei lunghi pannelli rettangolari dove tralci, foglie e viticci, ispirati alla morfologia vegetale, si avviluppano e si aggrovigliano determinando intrecci di linee curve: linee che si attorcigliano, si raddoppiano, si moltiplicano fino a trasformarsi nel tipico colpo di frusta del liberty, stile che qui esplode come la fiamma che compare in alto, inquadrata tra rami di aranci, tratti al repertorio figurativo della tradizione culturale siciliana, ma rivisitati in termini modernisti. L’arancio è simbolo di paradiso, di redenzione e di vita eterna.
Vengono in mente le composizioni delle vetrate di Gregorietti nel villino Caruso a Palermo, come allo stesso artista rimandano le geometriche cornici dei vari pannelli [15]. Ancora al Santo di Padova fa riferimento il fuoco, talvolta tenuto in mano come simbolo del suo amore per Dio e per il prossimo. Motivi floreali e vegetali si ripresentano nei dipinti “a cassettoni” delle coperture delle navate laterali e del vano d’ingresso.
Ma il vero fulcro del liberty è sulle pareti perimetrali decorate come carte da parati o tessuti serici: in una inedita composizione di girasoli da cui sbocciano angeli adoranti, su un fondo bianco e senza soluzione di continuità, si sviluppa una teoria di tondi floreali dove i fiori di mughetto fanno da cornice. Si tramanda che nei visi degli angeli sono ritratti i giovani favignanesi morti prematuramente
Anche qui tralci e foglie si intrecciano formando linee curve e continue che fanno fa riempimento negli spazi vuoti, assieme ad altri piccoli girasoli. Anche qui si ripete il connubio tra simbolismo, spiritualità e arte: il girasole dal greco “helianthus”, significa “fiore del sole”, simboleggia il sole e quindi la luce e la vita. Rappresenta Cristo, il quale attinge all’amore del Padre per illuminare ogni creatura e trasfigurarla a sua immagine.
EGO SUM LUX MUNDI… riporta la frase che si legge sull’arco absidale. I girasoli seguono il sole mentre si sposta, ogni giorno, da est a ovest nel cielo: possono essere identificati come i fedeli leali e devoti che seguono Dio. Sono quindi un simbolo di vera e fedele lealtà verso ciò che è molto più luminoso e grande di loro. Riferimenti al girasole si trovano sia nell’Antico che nel Nuovo Testamento. Nell’Antico, Dio usa il girasole per descrivere la sua relazione con Israele: I tuoi figli si comportano come i gigli che crescono nel campo. I tuoi figli sono come i Girasoli che si voltano verso di te (Osea 14:5-6). In questi versetti, Dio promette di proteggere e curare Israele come un padre fa con i suoi figli. Nel Nuovo Testamento, Gesù Cristo tramite il girasole descrive la fine dei tempi: E quando vedrete un Girasole che spunta a oriente, sappiate che il Figlio dell’uomo è vicino, alle porte (Matteo 24:32). In questo versetto Gesù dice agli uomini di stare attenti e di essere pronti perché Egli tornerà presto.
Riferendosi alla chiesa di Sant’Antonio di Favignana, Francesco Stabile scrive su La Repubblica:
«Entrare nella chiesa… è come entrare fisicamente in un’illustrazione dell’epoca in cui in Europa dominava quello stile, intenso e delicato insieme, chiamato Art Nouveau… E qui sta proprio quello che rende la chiesa di Sant’Antonio a Favignana un caso da manuale d’architettura, il fatto, cioè, che si tratta di un esempio piuttosto raro di edificio sacro concepito e realizzato secondo i dettami dell’Art Noveau» [16].
È come immergersi in un apparato decorativo avvolgente senza lasciare spazi vuoti; è come se una sorta di horror vacui avesse travolto il pittore nella foga di riempire completamente e meticolosamente l’intera superficie con particolari finemente dettagliati: festoni, fiori, tondi figurati, croci, motivi geometrici e poi tante, tante stelle ad otto punte.
La stella simboleggia luce, speranza, energia, libertà, fede, eternità e ricerca della vita: quella ad otto punte, o Stella Polare, è la luce che serve come guida ai popoli dell’emisfero settentrionale e quindi la stella che indica la giusta via, la direzione corretta. Dal libro del profeta Baruc (3,35) apprendiamo che è Lui che invia la luce ed essa va. Le stelle brillano ai loro posti e gioiscono; egli le chiama e rispondono: Eccoci! E brillano di gioia per colui che le ha create.
Purtroppo sfugge all’indagine il nome di chi realizzò, a tempera, questo straordinario apparato decorativo – quasi certamente eseguito a più mani – che costituisce tuttavia un unicum nell’arte sacra e segna il passaggio dalla tradizione storicistica di fine Ottocento alle esperienze di più ampio respiro europeo, condividendo stilemi e grazia decorativa dell’art nouveau.
Volendo indagare tra i nomi degli artisti cui i Florio facevano riferimento vengono in mente quelli di Ettore De Maria Bergler, Antonio Leto, Giuseppe Di Giovanni, Michele Cortegiani, Salvatore Gregorietti, Paolo Vetri, ma in questo insieme composito di dipinti, risulta difficile individuare, specificatamente, la mano o le mani di qualcuno di essi [17].
Il tipo di raffigurazione non è tuttavia immune al confronto con la coeva produzione europea modernista e virtualmente la si può accostare e ad altri importanti esempi di arte sacra in stile liberty presenti in Belgio, Ungheria, Svezia e Gran Bretagna: in particolare condivide soluzioni lineari e decorative, oltre che simboliste, con la decorazione con angeli dipinti dall’artista J. Bucmaniuk sul soffitto di una cappella nella chiesa greco-cattolica ucraina del Sacro Cuore a Zovkva, Ukraine [18].
Lo stato di conservazione estremamente precario induce ad auspicare solleciti interventi di restauro per questi dipinti, unici nel loro genere [19].
Dialoghi Mediterranei, n.62, luglio 2023
Note
[1] La bibliografia sulla chiesa di Sant’Antonio a Favignana è molto esigua e comprende soprattutto articoli giornalistici e brevi citazioni in pubblicazioni sul liberty. Una trattazione più ampia si trova in M. Marchese, Architettura del periodo modernista nell’area trapanese. Variabili di uno “stile nuovo” in un territorio di frontiera, Tesi didottorato Università degli studi di Napoli Federico II, dipartimento di Architettura, 2014: 117-119.
[2] Vd: D. Brignone, I luoghi dei Florio. Dimore e imprese storiche dei “vicerè” di Sicilia, Milano 2022.
[3] Cfr. A. M. Fundarò, Giuseppe Damiani Almeyda, tre architetture tra cronaca e storia, Palermo 1999; U. Di Cristina, G. Trombino, La Porta Filippo, in L. Sarullo, Dizionario degli artisti siciliani, vol. I Architettura, a cura di M. C. Ruggeri Tricoli, Palermo 1993, ad vocem.
[4] Beati quei servi che il padrone quando verrà troverà vigilanti (Luca 12, 32).
[5] Il canto di lode o responsorio viene cantato nella Basilica di Sant’Antonio a Padova e, ogni martedì, in molte chiese nel mondo intero. Per tradizione popolare la preghiera di lode va recitata senza interruzione per tredici volte di seguito, da cui deriva la definizione di “tredicina di Sant’Antonio”.
[6] Se cerchi i miracoli, ecco messi in fuga la morte, l’errore, le calamità e il demonio, la lebbra; ecco gli ammalati divenir sani. S’allontanano i pericoli, scompaiono le necessità. O stirpe d’Ispania paura d’infedeli nuovo splendor d’Italia unico tesoro di tutta Padova.
[7] Sermones: Domenica XV dopo Pentecoste.
[8] Io sono la luce del mondo; chi segue me, non camminerà nelle tenebre, ma avrà la luce della vita (Gv 8, 12).
[9] Il Signore l’amò e lo adornò; gli pose indosso una veste di gloria (Siracide, 45, 9).
[10] Homo iste fecit mirabilia in vita sua et probatus perfectus inventus est in gloria aeterna (Quest’uomo ha fatto miracoli in vita sua ed è stato trovato perfetto nella gloria eterna), Salmo 97 del Salterio, libro biblico che raccoglie 150 Salmi distribuiti nei giorni della settimana, secondo le ore canoniche. È questo il salmo del “Sabbato a Mattutino” e si ringrazia Dio per aver liberato il popolo giudeo dalla cattività: il profeta predice la venuta di Gesù Cristo e la redenzione degli uomini.
[11] Sazierò di pane i suoi poveri: Salmo 131 (15).
[12] Piacque a Dio nella sua bontà a rivelarsi in persona e manifestare il mistero della sua volontà (Ef. 1,9). [13] Giovanni, In principio era il Verbo. Marco, Inizio del vangelo [di Gesù Cristo]. Luca, Poiché molti hanno intrapreso ad esporre. Matteo, Libro della generazione di Gesù.
[14] Io sono la via e la verità. Chi crede in me avrà la vita eterna. Se uno mi vuol servire, mi segua, Io sono il pane della vita.
[15] Vd. il soffitto della stazione ferroviaria di Taormina, dipinto da Gregorietti.
[16] A. Stabile, Favignana, salviamo quel gioiello dell’Art Nouveau: campagna per chiesa di Sant’Antonio, in “La Repubblica”, 21 luglio 2014.
[17] Il pittore ennese Paolo Vetri aveva dipinto nel 1893 un trittico, di impronta preraffaellita, raffigurante Santa Lucia fra due angeli, nella cappella dell’Istituto per ciechi “Florio Salamone” a Palermo.
[18] Chiesa di Santa Marta a Kortrijk in Belgio; Watts Chapel a Compton – Surrey, e chiesa di Santa Maria Vergine a Warley Brentwood Essex in Inghilterra; chiesa della Madonna della neve a Zebegeny in Ungheria settentrionale; Vasa chiesa, Göteborg, Svezia, progettata dall’architetto svedese Yngve Rasmussen.
[19] Il 29 aprile 2023 si è tenuto a Favignana un convegno dal tema “Salviamo la Chiesa di Sant’Antonio”, organizzato da Italia Nostra – sezione di Trapani, Diocesi di Trapani, Comune di Favignana, durante il quale l’autrice del presente testo ha relazionato su: I dipinti liberty della chiesa di Sant’Antonio. Una scheda della stessa autrice Lina Novara, su La chiesa di Sant’Antonio a Favignana: un piccolo “scrigno liberty” è in corso di stampa in “L. Novara, M. A. Spadaro, Trapani Liberty”, ed. Kalòs, Palermo.
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Lina Novara, laureata in Lettere Classiche, già docente di Storia dell’Arte, si è sempre dedicata all’attività di studio e di ricerca sul patrimonio artistico e culturale siciliano, impegnandosi nell’opera di divulgazione, promozione e salvaguardia. È autrice di volumi, saggi e articoli riguardanti la Storia dell’arte e il collezionismo in Sicilia; ha curato il coordinamento scientifico di pubblicazioni e mostre ed è intervenuta con relazioni e comunicazioni in numerosi seminari e convegni. Ha collaborato con la Provincia Regionale di Trapani, come esperto esterno, per la stesura di testi e la promozione delle risorse culturali e turistiche del territorio. Dal 2009 presiede l’Associazione Amici del Museo Pepoli della quale è socio fondatore.
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