di Roberta Cortina
La festa del paese, con tutto il suo corollario di riti sacri e profani. Il sole pomeridiano dell’estate siciliana. Un lungo palo proteso orizzontalmente sul mare, palcoscenico di gesta impavide, cosparso di sapone, grasso animale o olio vegetale. Le sfide dei lavoratori del mare su porti, spiagge, scogli o pescherecci, occasione per mettere in mostra le proprie doti fisiche e virili dinnanzi l’intera comunità. Una bandiera in palio, fissata all’estremità della trave, da conquistare ed ostentare alla folla. La calca del pubblico lungo la costa e sul mare intorno all’asse lignea, su imbarcazioni e galleggianti d’ogni tipo. Le doti di equilibrismo, gli scivoloni esilaranti, i tuffi acrobatici dell’uno o dell’altro concorrente. L’impatto violento dei corpi nudi dei giocatori, uno dopo l’altro, contro la superficie del mare o dello scivolosissimo palo, finché uno di questi, dopo innumerevoli tentativi, riesce ad agguantare l’ambito vessillo e la vittoria. Il riso e lo stupore degli spettatori, il frastuono degli applausi e delle tifoserie. I suoni festosi dei tammurinara e della banda musicale. Le acclamazioni al Santo festeggiato e le congratulazioni al vincitore, la cui impresa sarà ricordata dai compaesani negli anni a venire. Ecco i principali elementi di un gioco di antica data.
Da almeno due secoli ‒ ma è assai probabile che le radici del fenomeno ludico affondino in un passato ancor più remoto ‒ una volta all’anno e in occasione di determinate feste religiose tradizionali, i pescatori di diversi borghi marinari siciliani sono i protagonisti di un evento ludico-spettacolare, tanto divertente quanto pericoloso, denominato nel Palermitano a ‘ntinna a mari (l’antenna a mare). Si tratta di una versione acquatica dell’albero della cuccagna ‒ gioco popolare diffuso ampiamente in Europa e nel Mediterraneo ‒ che in Sicilia, durante la stagione estiva e balneare, allieta abitanti locali, turisti e villeggianti. Sono piuttosto vitali, ad esempio, i giochi dell’antenna a mare di Cefalù e Porticello (PA), Brolo (ME) e Gela (CL), Porto Empedocle (AG) e San Vito Lo Capo (TP). Nonostante la frequente spettacolarizzazione del fenomeno in chiave turistico-economica, questi eventi ludici sembrano sopravvivere sui litorali dell’Isola con immutato entusiasmo di attori e fruitori, sfidando nuovi modi di far festa e recenti mode folkloristiche. Sopravvivono nella memoria dei più anziani e nelle testimonianze scritte e fotografiche diverse altre cuccagne aquatiche, come quelle di Mazara del Vallo (TP), Aspra e Terrasini (PA). Ma non finisce qui. Il gioco sembra ampiamente diffuso anche in altre terre e in altri mari, vicini o lontani dall’Isola.
In altro mare è il titolo dell’interessante documentario di Franco La Cecla, nel 2010 vincitore del premio Coast Culture all’International Ocean Film Festival di San Francisco. Il lungometraggio attesta l’esistenza della cuccagna acquatica in quella che l’autore definisce «una colonia di pescatori di Terrasini […] negli Stati Uniti, vicino a Boston. Il posto si chiama Gloucester ed è un’isola collegata con un ponte alla terraferma, non lontana dalla mitica Nantucket di Moby Dick. Vi vivono oltre ventimila terrasinesi che hanno mantenuto dialetto, usi, feste e persino la tradizionale separazione tra ambiti maschili e ambiti femminili» (La Cecla 2011: 94-95). Le immagini e il sonoro del film giocano sui contrasti e le analogie tra due mari e le rispettive isole. L’antropologo-architetto mostra allo spettatore significativi scorci ed episodi della vita lavorativa e festiva degli emigrati siciliani nella cittadina di mare statunitense, nota nel mondo per le sue acque oceaniche tanto pescose e redditizie quanto fredde e tempestose, teatro di avventure e disavventure storiche, letterarie e cinematografiche, come le vicende immaginarie di certi Capitani coraggiosi inghiottiti dalla famigerata balena bianca o dalla tempesta perfetta.
Intrepidi marinai, grosse balene e spaventose tempeste, in quei luoghi, esistono realmente e gran parte dei veri protagonisti di queste peripezie marinaresche, i pescatori di Gloucester, ha origini siciliane. Si tratta di uomini emigrati principalmente da Terrasini ‒ ma anche da Porticello e altri borghi marinari dell’Isola ‒ verso la costa del Massachusetts, dall’Italia all’America, dal Mediterraneo all’Atlantico, alla ricerca di migliori condizioni lavorative e di vita. Molti hanno vissuto e realizzato il proprio sogno giovanile: una bella casa per una bella famiglia. L’American dream si è però trasformato in un miraggio in seguito alle recenti restrizioni legislative sulla pesca, connesse a serie problematiche di natura ambientale ed economica. O ha assunto piuttosto i caratteri di un incubo: in centinaia hanno trovato la morte pescando in quell’altro mare colmo di risorse e, contemporaneamente, di nuove insidie. Così rammenta ai passanti il monumento funebre sul lungomare di Gloucester, The man at the wheel, raffigurante un pescatore al timone sotto l’ennesima tempesta. Molti lupi di mare hanno presto abbandonato l’utopia degli States vagheggiati come una sorta di Paese di Cuccagna in cui basta lavorare sodo per esaudire tutti i propri desideri.
I rischi del mestiere e il bisogno di coesione sociale in terra e acque straniere hanno spinto i primi immigrati siciliani e i loro discendenti ad invocare a gran voce la protezione dei loro Santi, a rafforzare le proprie tradizioni festive e religiose. La comunità marinara partecipa con grande entusiasmo ai festeggiamenti del santo patrono, che si configurano come una fiera affermazione delle origini siciliane e italiane di buona parte dei suoi membri. Il 29 giugno, per la festa di san Pietro, protettore dei pescatori di Gloucester, gli addobbi tricolore si aggiungono a quelli a stelle e strisce e la processione sul lungomare è accompagnata da acclamazioni corali dei fedeli in dialetto siciliano, mentre la banda musicale intona l’inno di Mameli (La Cecla 2011). L’Apostolo, in passato, era fastosamente celebrato anche a Terrasini con le processioni per terra e per mare, la regata delle barche e la cuccagna acquatica. Ma se oggi la festa terrasinese, con rimpianto dei pescatori più anziani, ha perduto la vitalità di un tempo ‒ complice l’esodo dei più giovani verso la Mèrica nel corso del XX secolo ‒ oltreoceano è ancora fortemente voluta e partecipata dai discendenti dei migranti. St Peter’s fiesta, seine boat race, greasy pole contest: nuovi nomi e piccole varianti di forma e di senso per le medesime tradizioni marinare.
Il greasy pole di Gloucester è la variante siculo-statunitense del gioco dell’antinna a mari, non più praticato a Terrasini. Se il palo terrasinese era un vecchio albero d’imbarcazione, saldamente ancorato ad uno scoglio, unto con sivu e sapone e posto orizzontalmente a pochi centimetri dalle acque del mite Tirreno, quello americano è un palo del telegrafo cosparso di grassi alimentari e allestito su una palafitta di fronte la spiaggia, a quattro o cinque metri d’altezza dal freddo Oceano Atlantico. A differenza di quanto avviene in Sicilia, il greasy pole non è mai smontato dalla sua piattaforma. La struttura contraddistingue il paesaggio marino della cittadina americana lungo le stagioni, animandosi soltanto in occasione della festa del patrono. Con la sua presenza stabile e imponente, confortante e familiare, il monumento acquatico sembra rispondere giorno per giorno al bisogno di identificazione culturale dei suoi abitanti. Analogamente a quanto avviene in terra siciliana, durante la gara, uno speaker commenta all’altoparlante le prestazioni dei concorrenti e, quando il gioco si fa duro, incita pubblico e giocatori alla concentrazione: «Here we go! Here we go!». Il momento della vittoria dà il via ad un tripudio di festeggiamenti, tra acclamazioni ed esultanze, tuffi di gruppo e cortei sul lungomare, brindisi e offerte di bevande alcoliche (La Cecla 2011).
L’albero della cuccagna è interpretabile come simbolo di axis mundi, asse cosmico che mette in comunicazione il mondo terreno con quello celeste, e la sua ascensione come l’arduo percorso in ascesa che conduce l’Uomo a Dio. Non a caso in alcuni paesi siciliani la bandiera in palio porta il nome e l’immagine del Santo celebrato. E non è senza significato che i protagonisti del gioco siano tradizionalmente lavoratori del mare di sesso maschile, che si tramandano il diritto di parteciparvi di padre in figlio, come è avvenuto per secoli, parallelamente, col duro mestiere del pescatore. Greasy pole e antinna a mari sembrano assumere, infatti, i caratteri di una vera e propria prova di virilità, di un rituale di aggregazione socio-professionale, di un rito iniziatico allo status sociale di maschio adulto in età da lavoro. A livello simbolico, attraverso il gioco, il marinaio veterano mostra periodicamente le proprie abilità psicofisiche e conferma il suo diritto di appartenenza al gruppo dei lavoratori del mare; l’adepto invece ne diventa membro attivo attraversando per la prima volta l’antenna, varcando la soglia che divide la casa e la barca, la terra e il mare, la vita e la morte.
Il prestigio sociale ottenuto dal vincitore dell’ambita gara è lo stesso di cui godevano, fino a poco tempo fa, i coraggiosi pescatori di Gloucester. Costoro, ancora oggi, accompagnati da stelle o precipitazioni d’ogni tipo, sfidano l’oceano a bordo delle loro case-imbarcazioni. Sulla costa, nel frattempo, le loro donne scrutano a distanza le condizioni di cielo, vento e mare, aspettano ansiose e impotenti il ritorno delle barche colme di pesci, in nome di quel sogno americano realizzabile soltanto «in altro mare». Ma il settore ittico nordamericano ‒ sottolinea Franco La Cecla attraverso il suo film ‒ da almeno un ventennio è in crisi, complici l’eccessivo sfruttamento delle risorse naturali e una assai discutibile gestione politico-amministrativa della situazione. Come è già avvenuto in Sicilia, i figli dei pescatori si allontanano sempre più dal mestiere dei padri e la flotta peschereccia si impoverisce progressivamente. Il futuro economico della comunità degli States è incerto e se l’uomo non rimedierà ai suoi stessi torti, a lungo andare, questa potrebbe andare incontro ad una nuova disgregazione sociale con conseguente scomparsa di quegli elementi culturali, come la fiesta e la ‘ntinna, ormai così radicati nel territorio.
Alcuni pescatori, intanto, hanno già fatto dietro front dal turbolento Atlantico verso il vecchio, placido e ancor meno florido Mediterraneo. Certo, per alcuni fortunati e intraprendenti, il mito della Mèrica-Paese di Cuccagna si è faticosamente e parzialmente trasformato in realtà; per altri, invece, è rimasto solo un fugace abbaglio, un’utopia. Ma chi nella terra d’origine ha poco o nulla da perdere ‒ le odissee dei migranti del Mediterraneo lo dimostrano ‒ non considera la possibilità concreta del fallimento e continua a mettere in gioco la propria vita alla disperata ricerca della propria idea di benessere, o semplicemente di essere. Occorre dunque tutto l’aiuto umano possibile per far sì che chiunque si imbarchi in un viaggio della speranza verso la propria Cuccagna possa riuscire ad attraversare, nel migliore dei modi, quel mare che è «luogo simbolico di tutti i segreti e i misteri della Natura, specchio delle speranze e delle paure degli uomini, orizzonte della vita e frontiera della morte» (Cusumano 1998: 8).
Dialoghi Mediterranei, n.5, gennaio 2014
Riferimenti bibliografici
Cusumano A., In nome del mare, in Cinema e mare. Rassegna cinematografica e mostra di manifesti, a cura dell’Istituto Euro Arabo di Studi Superiori di Mazara del Vallo, Palermo 1998.
La Cecla F., Mente locale. Per un’antropologia dell’abitare ‒ In altro mare (libro + DVD), Eléuthera, Milano 2011.
Van Gennep A., I riti di passaggio, trad. it., Bollati Boringhieri, Torino 1981.