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Comunità locale e fruizione dello spazio naturale in un piccolo comune dell’Appennino parmense
Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2021 @ 01:09 In Cultura,Società | No Comments
il centro in periferia
di Amalia Campagna, Matteo Volta
Il territorio italiano manifesta una significativa variabilità fisica, sociale, storica e culturale. Luogo di convivenza di molteplici esistenze1, che nel tempo hanno prodotto una realtà multiforme, la Penisola possiede, dal punto di vista territoriale, la caratteristica di essere attraversata da rilievi e alture. La presenza di tali eterogenei sistemi di valle e periferie rurali, che rendono il territorio nazionale uno spazio rugoso, permette di delineare all’interno del perimetro nazionale la cosiddetta Italia interna. Il termine fa riferimento a quell’insieme di zone, montuose-collinari e pianeggianti che non sono state protagoniste del mutamento economico-occupazionale responsabile di aver provocato, oltre un secolo fa, il passaggio da un sistema etico-organizzativo prevalentemente rurale a uno urbano-industriale.
Le tante periferie territoriali, in forme mutevoli e altalenanti a seconda del contesto, hanno perciò vissuto una progressiva deprivazione delle condizioni minime di salute, riconducibili a dinamiche di declino demografico, riduzione delle attività manutentive e complessiva rottura dei cicli naturali che garantiscono forme armoniche di coesistenza tra gli elementi naturali e le attività antropiche. Tuttavia, non è infrequente riscontrare in queste realtà, parallelamente agli elementi di criticità, casi di effervescenza comunitaria. Questi fenomeni di attivismo locale possono essere intesi come tentativi, da parte degli attori locali, di affermare la presenza2 nelle dinamiche contemporanee del proprio contesto di vita.
Questi fenomeni riflettono il rapporto tra popolazione e territorio, inteso non più come risorsa da depauperizzare ma come dimensione produttrice di senso. Nell’analisi dello stato di salute di tali contesti, appare proficuo utilizzare una prospettiva territorialista3 poiché essa permette di approcciarvisi considerando l’assetto territoriale come esito di processi complessi e di analizzarne le criticità in relazione al quadro complessivo del Paese4. Lungi dal posizionarsi su visioni nostalgiche o differenzialiste, l’approccio di studio basato sulla prospettiva delle aree interne permette di sviluppare riflessioni originali sugli equilibri contemporanei che interagiscono a livello micro e marco locale e distanti dalle divisioni paradigmatiche tra Nord e Sud, sviluppo e sottosviluppo, rurale e urbano, per abbracciare la complessità dell’oggi e proporre una lettura articolata e multidimensionale dei processi in atto.
In tale contesto, i temi legati alla produzione e riproduzione della memoria collettiva assumono cruciale importanza poiché permettono un mutamento di sguardo nei confronti delle aree interne e una centralizzazione dei margini4, proponendo una cornice di significato per la lettura dei fenomeni di attivismo locale. In questa sede è nostro intento applicare tali premesse analitiche a un caso studio etnografico dell’appennino emiliano.
Nel territorio dell’Appennino parmense, l’area interna afferente alla Strategia Nazionale Aree Interne5 è situata tra le provincie di Piacenza e di Parma, in una posizione di passaggio tra tre regioni, Emilia-Romagna, Piemonte e Liguria. Essa presenta criticità analoghe ad altre realtà della Dorsale: fragilità ambientale di tipo idrogeologico, problemi boschivi, incendi e inselvatichimento delle terre. Tuttavia, il dato più preoccupante di quest’area è quello demografico, il quale ha visto, secondo i dati censuari dal 1951 al 2017, una riduzione del 65% della popolazione accompagnata da un alto tasso di invecchiamento, una bassa densità abitativa e una grande carenza di servizi6, fenomeni favoriti nel tempo dal potere attrattivo della pianura emiliana.
Con l’intenzione di proporre un ripensamento sulla marginalità delle terre alte rispetto ai principali poli di servizi, illustriamo un caso studio relativo al piccolo comune di Bore, di 683 abitanti7, situato tra la Val Cenedola e la Val Ceno, caratterizzato da tutti gli elementi che contraddistinguono le aree interne.
Nonostante le criticità strutturali e il progressivo spopolamento, una parte significativa della popolazione di Bore è impegnata in forme di attivismo locale, mediante piccole progettualità che tentano di attivare percorsi finalizzati alla produzione di buone pratiche, basate sull’utilizzo di ciò che il territorio offre. Questo impegno sul territorio sorge da un bisogno condiviso di elaborare azioni comuni per rendere vivi i luoghi della quotidianità e far fronte alle criticità strutturali e gestionali dell’area proponendo momenti di convivialità.
Durante uno studio sociologico della durata complessiva di sei mesi nell’area appenninica parmense, propedeutico al lavoro di tesi e incentrato sul rapporto tra musei etnografici e memoria collettiva8, è emerso come particolarmente significativo a Bore il ruolo della Proloco in quanto attore capace di produrre occasioni di incontro sul territorio mediante l’utilizzo del patrimonio naturale eculturale. Tramite interviste qualitative ad alcuni abitanti del Comune e all’associazione, appare subito chiara la necessità, acuita dall’esperienza del lockdown dovuta alla pandemia da virus SARS COV-2, di immaginare e mettere in pratica nuove maniere di interagire con il territorio.
Queste modalità alternative di interrelazione con l’ambiente prendono le mosse da una diffusa sensibilità nei confronti del paesaggio locale e si basano su attività di tutela e condivisione di conoscenza intergenerazionali circa la cura del territorio. Il tema della memoria collettiva diventa allora una chiave di lettura imprescindibile per capire queste nuove forme di riappropriazione del territorio: esse non rappresentano forme nostalgiche di ritorno al passato ma possibilità di considerare criticamente suggerimenti e visioni ereditate da tempi passati in forma di retroproiezioni9.
A partire dall’estate del 2020, in seguito all’interruzione dello svolgimento di attività e festività collettive a causa dell’emergenza epidemiologica, la Proloco di Bore ha strutturato una serie di iniziative finalizzate alla riscoperta, al recupero e alla fruizione di sentieri e percorsi in disuso nel territorio circostante, attivando gruppi di cammino. Inoltre, ha valorizzato gli interventi di cura e di pulizia storicamente attivi nei boschi di castagno intorno al paese, aderenti ai modelli impiegati quando il lavoro boschivo era una delle principali attività remunerative della zona (cfr. immagini 1e 2). Questa azione di cura e manutenzione sentieristica è un esempio tangibile di come l’attenzione verso il patrimonio naturale non svolga più un ruolo esclusivamente economico-occupazionale.
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