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Conoscere per dominare. Guide del buon soldato
Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2020 @ 01:45 In Cultura,Letture | No Comments
L’antropologia nasce in ambito europeo anche a seguito dello sviluppo del colonialismo, inglese soprattutto. Assieme ai soldati furono mandati esperti nella nuova scienza, che nel vecchio continente si affermava prepotentemente. Non senza ragione gli Inglesi ritenevano che fosse più produttivo, ai fini di una perfetta riuscita dell’opera di colonizzazione di popoli sconosciuti, conoscerli preventivamente: conoscerli per dominarli. Nacque l’antropologia culturale. Siamo a metà del secolo XIX. Poi essa prese altre direzioni diametralmente opposte alle prime timide apparizioni in terre lontane.
Una simile operazione misero in campo i comandi anglo-americani nel corso dell’operazione Husky che nel 1943 vide il Mediterraneo occupato da un’armata quale non si era fino ad allora mai vista se non ai tempi, forse, della battaglia di Lepanto. Per favorire l’operazione militare furono diffusi una serie di rapporti sui costumi della gente di Sicilia: dall’aristocrazia al popolo minuto. I soldati furono dotati anche di una Guida, la Soldier’s guide to Sicily, che ogni militare portava con sé col fucile e i documenti personali. Il rapporto più significativo circolò tra gli ufficiali. Esso è uno “studio” dei costumi siciliani, redatto da gente esperta e ben informata.
Furono due i rapporti pubblicati dai Britannici, uno ad uso degli ufficiali, il Sicily zone Handbook June 1943 [1], l’altro, come detto, ad uso delle truppe, il Soldier’s guide to Sicily. Di questi due manuali riportiamo i passi più significativi, senza distinguerli, perché costituiscono, uno spaccato dell’Isola, degli anni Quaranta del secolo scorso, sotto l’aspetto sociale, economico e politico ed etnografico.
Nel 1994 Rosario Mangiameli ha pubblicato interamente il Sicily Zone Handbook, sottolineando nel lungo saggio introduttivo come la guida preparata dagli uomini del Foreign Office per gli ufficiali britannici (forse anche americani), costituisca una testimonianza che si presta a più livelli interpretativi, restituendoci da un lato la dimensione effettiva della «guerra totale, che non può trascurare alcun aspetto del nemico»; dall’altro lato rispecchiando il processo di costruzione dell’immagine del nemico stesso, creata unendo dati empirici e visioni del mondo, antropologia e storiografia, in una ricostruzione che ci dice più dell’impero coloniale britannico che non della Sicilia. Lo stesso può dirsi per l’analisi delle altre regioni del Mezzogiorno, che nella lettura britannica diviene il luogo dell’arretratezza, sospeso e immobile tra la grandezza di un passato mitico e la piccolezza di un presente folklorico.
Ma i britannici non sono i soli a preparare un vademecum per gli ufficiali: anche il Dipartimento di Guerra Usa, infatti, affida ai dipartimenti governativi la compilazione di Civil Affairs Handbooks, che nella forma di bozze – come essi stessi li definiscono – ci sono giunti nell’imponente mole di documenti conservati tra le carte della Commissione di controllo alleata. I manuali americani, in realtà, cosituiscono ben più che una bozza preparatoria, e hanno una struttura molto diversa da quella degli handbooks britannici. Si tratta infatti di lunghi rapporti su svariati argomenti, tra cui la condizione dell’economia agricola o l’assetto finanziario italiani, stilati secondo un criterio il più possibile scientifico, e sulla base di fonti coeve di vario genere, indicate a conclusione delle lunghe relazioni.
Rispetto ai manuali del Foreign Office, siamo di fronte a resoconti che poco hanno a che vedere con una visione preconcetta del Mezzogiorno, mentre ben più ci dicono sul tipo di informazioni di cui erano in possesso gli statunitensi in prossimità dell’occupazione, come anche sul pragmatismo che informa il loro approccio al conflitto. Purtroppo non possiamo datare precisamente i Civil Affairs Handbooks, dal momento che la data di pubblicazione è assente.
Il Mangiameli dunque si sofferma sul manuale ad uso degli ufficiali, redatto, secondo lo studioso, con criteri più scientifici e diversi da quelli praticati dagli Inglesi. Tuttavia ai fini nostri, cioè con sguardo etnografico, i due testi contengono notazioni assai interessanti, frutto, a nostro parere, di dettagliate informazioni di corrispondenti locali. Non li distingueremo, perciò, in quanto riteniamo che la fonte informativa sia unica.
Molto interessante risulta la lettura dell’altro manuale ad uso dei militari, questa volta semplici soldati di truppa, la Soldiers guide to Sicily, diffuso sotto forma di libro tascabile.
Questi due documenti delle Guide, pur descrivendo, delle volte, una Sicilia stereotipata e convenzionale, contengono osservazioni d’interesse etnografico, che ci dicono qualcosa della cultura dell’osservatore, del suo sguardo, spesso abbastanza attento e non privo di buone intuizioni. A ben leggere, le relazioni sembrano uscite dalla penna di un informatore locale, comunque un Siciliano, che, esclusi quei luoghi comuni connessi all’uso da Cavalleria rusticana del coltello, descrive aspetti del costume e dei modi di vivere siciliani assolutamente veritieri. Se prendiamo la nota sull’alimentazione, se pur estremamente sintetica, contiene spunti di riflessione, quando ad esempio ci racconta che il vino marsala è diffuso a livello popolare, laddove questa bevanda si pensava più appannaggio delle classi alte; o quando ci dice che la produzione di grano era bastevole per la popolazione, laddove spesso i racconti, anche etnografici, descrivono una Sicilia povera di pane ed affamata; o quando ancora accenna alla produzione di frutta candita: solo un osservatore attento poteva conoscere questo particolare importante di particolari produzioni dolciarie siciliane: tra cui ricordo le prime che mi vengono in mente i muccunetti di Mazara e la famosa cassata, dolci che prescrivono l’uso di cucuzzata e di variopinta frutta candita.
Quando poi scrive: «Le feste del giorno del Santo sono una caratteristica dell’Isola; esse sono normalmente associate a fastose e teatrali processioni. Le strane mescolanze di canti da opera e pantomime non sono considerate irriverenti», ci dice non poco sulle nostre feste popolari, quasi ad avvertire le truppe a non irridere tali manifestazioni del folklore siciliano, nelle quali, invece, suggerisce di cogliere la particolarità di molte musiche popolari, a metà tra musica d’opera e pantomime: si tratta di un informatore che avrà assistito a “spettacoli popolari” o che avrà letto il Pitrè, il che non sminuisce il particolare realismo di queste informazioni. Più stereotipate sembrano le osservazioni sui “costumi”: nulla a che vedere, in tutta evidenza, con altre e illustri descrizioni di viaggiatori del Grand Tour, intrise di cultura illuministica, che su questo versante hanno scritto cose ben più “severe”.
Infine, a confermare questa mia rapida lettura dei testi ad uso delle truppe inglesi e poi americane, sta il breve ma puntuale passo sui contadini di Sicilia: «Il contadino siciliano è un gran coltivatore e trasformerà in terrazze un intero pendìo roccioso, e zapperà ed irrigherà di continuo. Non è mai ozioso, tranne quando non ha lavoro. [...] In tutta la Sicilia, ma soprattutto a Palermo e dintorni, si possono ammirare carretti gialli, a due ruote, dipinti a colori vivaci, con scene tratte dalla Bibbia o dai Reali di Francia o dalle opere di Dante, di Tasso o di Ariosto. [...]». Credo che non si tratti di una descrizione stereotipata, ma, al contrario, attenta e informata nota di folklore, frutto di chi tali cose le ha viste e vissute. Questo passo ci rivela che l’informatore era, molto probabilmente, un palermitano, forse un figlio o nipote di emigrato in America ai primi del Novecento.
Chiaro che l’uso di queste informazioni sarà finalizzato alla conquista (per altri alla liberazione) dell’Isola: ciò che colpisce è tuttavia che, intelligentemente, i “conquistatori”, soprattutto gli Inglesi, fanno uso di informazioni (per quanto sintetiche) realistiche e precise: non dimentichiamo che erano pur sempre, in qualche modo, permeati dalla cultura del padre dell’antropologia culturale: Edward Burnett Tylor
Non è senza significato che questi testi ebbero una certa influenza su studiosi del folklore in Europa e soprattutto in America del Nord: tra tutti cito il Lomax che se ne servì, decidendo di verificare sul campo quelle notizie, indirizzandosi però verso la ricerca etnomusicologica. Ma il Lomax era già un’altra cosa.
La Soldiers guide to Sicily è stata tradotta e ristampata nel 2013 da Sellerio con una nota introduttiva di Andrea Camilleri, il quale però nel richiamare alla memoria le sue esperienze di fanciullo in occasione dello sbarco degli angloamericani in Sicilia considerò il testo, che Eisenhower fece distribuire ai soldati prima della partenza, pieno di banalità e di vistose omissioni. Non c’è dubbio che le conoscenze storiche e geografiche non sono sempre corrette (delle province elencate si dimenticano Trapani e Agrigento) e alcune informazioni sulla mancanza di servizi igienici e sull’inquinamento dell’acqua sono sicuramente datate, da riferirsi cioè ad un quadro socio economico risalente all’Isola dell’Ottocento. Resta vero tuttavia che nella Sicilia rappresentata ci sono elementi interessanti che non possono essere liquidati nella valutazione bozzettistica che ne dà Camilleri. Ci sono indubbie tracce dello sguardo etnocentrico e coloniale, ma anche piccole e felici intuizioni su aspetti e forme della vita materiale e della cultura popolare. Si pensi solo alle puntuali osservazioni sulla funzione socializzante dei lavatoi per le donne e dei saloni da barba per gli uomini, luoghi destinati a segnare memorie, narrazioni e studi di tanta letteratura.
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