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Fare ricerca attraverso il mare: per una nuova etnografia del Mediterraneo
Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2023 @ 00:23 In Letture,Migrazioni | No Comments
Sono questi giorni d’estate, seppur singolari, ma a cui forse dovremmo abituarci, che come ogni anno fanno da sfondo a un inevitabile aumento degli approdi nelle coste europee, le nostre particolarmente, di migranti. Sono questi giorni di maggio e giugno che avrebbero dovuto vedere un aumento, quantomeno, seppur, lieve, della capacità empatica del nostro sguardo, attitudine, predisposizione, all’accoglienza, al salvataggio, di migliaia di vite che vengono da oltre mare, perché proprio in questi giorni tragedie climatiche e umanitarie hanno investito il nostro Paese. E invece no, ennesimi morti, ennesime vittime, ennesime tragedie nelle coste italiane e greche [1], in questi giorni.
Dialoghi Mediterranei, lo sappiamo, è da sempre in prima linea nel raccontare quanto succede, nell’intervenire nel dibattito nazionale e non solo, nello studiare e nell’interrogarsi su questo dramma umano di cui i nostri occhi e le nostre coscienze si vanno assuefacendo sempre di più in una sorta di placida e rassegnata tristezza e ipocrito rammarico tipicamente occidentalistico e niente più.
Anch’io sono alcune volte intervenuto sul dibattito, ho incontrato testi importanti di cui ho discusso, ho commentato studi utilissimi che da terraferma cercavano di far fronte a questo fenomeno storico destinato ad essere ricordato come una lunga e silenziosa, per noi, strage alla quale, come cittadini europei, abbiamo risposto spesso soltanto con omertà. Da terraferma dicevo.
Questa volta invece mi trovo di fronte un lavoro completamente nuovo, un esperimento che forse qualcuno non considererà sufficientemente rigoroso, ma finalmente un’esperienza, un lavoro, un viaggio, che ha tentato di costruire qualcosa di diverso dal solito: fare ricerca attraverso il mare. Questo è anche il titolo dell’introduzione di questo testo intitolato Crocevia Mediterraneo, di Equipaggio della Tanimar, a cura di Jacopo Anderlini e Enrico Fravega, edito da Elèuthera (2023). Cosa racconta allora questo volume, cos’è? Come si colloca nel dibattito e nel panorama culturale ed editoriale italiano? Anderlini e Pellegrino scrivono :
Il volume è quindi sia un’etnografia del mare che un diario di viaggio, in cui i capitoli, che scandiscono i giorni di viaggio passati per mare o nelle isole, sono le voci plurime o singole dei componenti dell’equipaggio. Si tratta quindi di un’esperienza tanto singolare, inedita, spiazzante per il lettore quanto per i membri dell’equipaggio stesso. Un’etnografia del mare come è stata appunto chiamata:
E ancora, tutto il libro è costellato da una dimensione audio-visuale che cerca di restituire il sentire e il vissuto dell’equipaggio andando a costituire una dimensione narrativa che trascende sia la dimensione diaristica che quella etnografica. Ci ritroveremo quindi non solo parte noi stessi della crew ma noi stessi isolani, viaggiatori, ricercatori e testimoni di ciò che avviene in quei luoghi e in quel – nostro – mare. Tutto il volume è attraversato non solo da uno spirito di scoperta e ricerca ma da un afflato umano, da una solidarietà e urgenza umanitaria che investe il lettore, accademico e no, spingendolo ad aprire gli occhi e il cuore a ciò che ogni giorno succede poche miglia oltre le nostre coste. Se i luoghi tracciati e visitati sono solite prede del turismo, di massa o di nicchia, qui li ritroviamo raccontati da una pluralità di sguardi, questa volta animati da tensioni troppo spesso aliene e lontane da quei luoghi, quelle traiettorie, quelle onde.
Come detto prima, Crocevia Mediterraneo è sia un’esperienza nuova per il lettore quanto un’esperienza nuova in senso assoluto per l’equipaggio:
È un viaggio a più direzioni e un viaggio ricorsivo questo libro. Una narrazione che veleggia fra il racconto di viaggio, l’evocazione poetica e l’orizzonte etnografico, che si immerge nella collettività di chi la produce per riemergere fra la collettività di chi la riceve provando, e secondo me riuscendoci, a portarci con sé.
Come detto, i capitoli sono tappe che seguono le coordinate del viaggio. Alcuni giorni come il terzo presso Lampedusa sono come dei resoconti stesi da una pluralità di voci dell’equipaggio, a più mani, altri invece sono più intimi, dove ogni voce è uno sguardo diverso pur per lo stesso itinerario, lo stesso spazio dentro e fuori. La barca e il mare e le isole. Come scrive Luca Queirolo Palmas nel terzo capitolo scritto con Jacopo Anderlini, Daniela Leonardi, Antonino Milotta, Vincenza Pellegrino, dal titolo Stare mare. Appunti corali, in navigazione verso Lampedusa – Mar Mediterraneo 36° 29’ Nord – 12° 04’ Est:
Si intrecciano così incontri con gli isolani, memorie, riflessioni che vanno a contaminare il mero resoconto di viaggio componendo una nuova etnografia che magari meno piacerà all’accademia ma che risulta più autentica e restituisce quel senso di emergenza che soggiace il lento quotidiano delle isole attraversate. Chi ha vissuto in un’isola, chi ha viaggiato verso un’isola e non per turismo, sa bene a cosa mi sto riferendo. C’è nelle isole siciliane del Mediterraneo un diverso senso del tempo e dello spazio che questo lavoro riesce a far trasparire oltre la pagina e senza mai tacere sul già tenebroso silenzio che avvolge questi luoghi che vivono direttamente le migrazioni e tutto ciò che comportano. Le conversazioni con gli isolani inoltre ci danno modo di cogliere l’anima etnografica ma anche umanitaria del testo, lì dove la voce degli abitanti oltre a offrirci uno spaccato reale di chi vive il Mediterraneo da sempre ci regala spazi di riflessione sul presente del nostro Paese e dell’Europa, quest’ultima, ancora sospesa ancora fra mito, narrazione e realtà sociale.
E così fra scenari, timori e speranze, il lettore rimane saldo aggrappato al resto dell’equipaggio fino a Linosa e infine Malta, le ultime due tappe del testo e del viaggio della Tanimar, dove gli autori-equipaggio, prima di arrivarvi, scrivono che «ci si potrebbe perdere in tutto questo mare, così come fanno le nostre parole che scivolano, si scompongono e non trovano più un solido attrito terrestre (Terra di mezzo, mare di mezzo – Malta 35° 54’ Nord – 14° 30’ Est, Colombo, Daminelli, Fravega, Goletti, Queirolo Palmas).
Resta difficile continuare a parlare di Crocevia Mediterraneo senza inevitabilmente citare interi capitoli che seppur brevi risultano densissimi sia nei contenuti di interesse etnografico sia nelle immagini che riescono a evocare. Per familiarità, abitudine, canone, spesso siamo abituati ad associare questi tre elementi, mare-viaggio-poesia, al mito nella sua accezione fantastica e favolistica. Resta quindi altrettanto difficile cogliere l’elemento poetico, la bellezza dei luoghi, l’esotismo senza tempo della vita nell’isola, l’insondabile e incessante incedere delle onde, nella sua invece estrema crudezza, materialità e feroce realtà, scinderlo dalla fantasia per riuscire a rivelarlo fra gli scogli, i relitti, l’amarezza disincantata degli abitanti, l’orrore nel volto di chi è scampato alla morte.
Questo lavoro riesce quindi a riportare alla luce il viaggio come pratica del sapere geografico, cosa audace, non banale e non semplice, e riesce anche a incarnare con onestà epistemologica l’idea di elaborare un’etnografia nuova che si sappia muovere fra l’inchiesta, il racconto e il documentario senza rinunciare a ciò che alla fine, più di tutto, è in grado di muovere gli esseri umani: la speranza.
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