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Henry Di Spirito, il poeta della pietra
Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2023 @ 01:31 In Cultura,Letture | No Comments
di Laura D’Alessandro
Un dolce ticchettio al mattino presto rincorre speranze spezzate di sogni… stacca, rabbonisce ogni cosa e la roccia obbedisce la visione dello scultore all’interno della forma il mazzuolo spinge…il cesello vola…e la roccia diventa il pensiero di Henry lavora con lo scalpello…questa vita…da una pietra senza vita risorge… (Michael Simpson, President of Utica University, NY)
Mi trovavo ad un incontro letterario nel Palazzo del Comune di Castelforte [1], quando il mio sguardo incede con insistenza su una scultura che mi piace sin dal primo istante. Una scultura in granito raffigurante il volto di una donna. Mi diranno che si tratta della Sognatrice o Pensierosa, realizzata dallo scultore Henry Di Spirito [2], nato a Castelforte nel 1898 ed emigrato negli Stati Uniti nel 1921 all’età di 23 anni e che, con le sue opere presenti nei più prestigiosi musei d’arte americani, ha lasciato un segno importante nell’arte scultorea.
Conoscevo l’arte di Henry Di Spirito perché avevo letto tempo fa il libro a lui dedicato e realizzato nel 1995 da un suo concittadino, lo storico e studioso Duilio Ruggiero [3] che con il volume Henry [4], ha ricostruito la vita dell’uomo e la sua vita da scultore. Si tratta dell’unica opera scritta in italiano su questo artista, grazie alla quale lo storico ha permesso di far conoscere anche in Italia uno scultore tanto amato e ammirato ancor oggi negli Stati Uniti. Con il suo preciso e, a tratti, commovente lavoro, Ruggiero ha scritto delle pagine bellissime da cui emergono la profonda riconoscenza verso l’opera che lo scultore ha realizzato, oltre ad una grande sensibilità e vicinanza ad un uomo che ha sofferto molto per la decisione di emigrare lasciando il paese d’origine e con esso familiari e amici.
E così, rileggendo l’opera di Ruggiero, tentiamo di ripercorrere la vita e l’arte scultorea di quest’artista. Scopro che è in corso un’esposizione presso il New York State Museum [5] ad Albany dal titolo Henry Di Spirito: Stonemason to Sculptor (Henry Di Spirito: da scalpellino a Scultore). Iniziata a dicembre 2019, terminerà a dicembre di quest’anno. L’esposizione è solo l’ultima di una lunga serie di mostre realizzate nei musei americani. La curatrice dell’esposizione, Ashley Hopkins-Benton [6], storica senior presso il New York State Museum, dichiara che «La particolarità di questa collezione è che ci dà un’idea reale di come fosse realmente la vita di Di Spirito». Ashley Hopkins-Benton si è occupata con molta cura della vita e dell’opera dello scultore, è infatti autrice del volume Breathing Life Into Stone, The Sculpture of Henry Di Spirito [7], opera interamente dedicata all’artista con la cura delle figlie dello scultore: Theresa, Dolores e Loretta. Di Spirito appartiene ai migliori scultori del XX secolo che scolpirono direttamente la pietra. La sua tecnica era l’intaglio diretto, o taille directe come viene talvolta chiamato, essendo un metodo di intaglio più spontaneo che si basa sia sulla memoria visiva che sensoriale piuttosto che sull’uso di un modello.
Primo di cinque figli, Henry (Erasmo Orazio) Di Spirito, nasce a Castelforte [8], in provincia di Latina, il 2 luglio 1898. Per imparare un mestiere, sin da ragazzo seguì il padre che alternava l’attività di muratore con quella di agricoltore coltivando un piccolo appezzamento di terra. Dal padre, da cui ripeteva sempre di aver ereditato il talento artistico, aveva imparato ad utilizzare lo scalpellino. Nei suoi racconti e nelle sue interviste ricordava che la sera, dopo una giornata di duro lavoro, si sedeva sulla porta di casa scolpendo o abbozzando piccole forme per uso domestico, come mortai e soprammobili. Erano anni molto difficili e il lavoro scarseggiava. Proprio per la mancanza di lavoro, tra il 1915 e il 1916, ebbe la possibilità, saltuariamente, di apprendere i primi rudimenti di pittura. Vedendo il talento del ragazzo, un artista locale [9] offrì a Henry lezioni di pittura, un corso che, però, fu interrotto dalla chiamata alle armi durante la Prima guerra mondiale.
Il conflitto lasciò dietro di sé gravi danni e molta povertà dopo i sanguinosi e rovinosi combattimenti. Lui, come il padre, si ispirava ad ideali democratici e socialisti e i tempi potevano risultare molto pericolosi. Ritornato dal fronte a Castelforte nel 1920, Di Spirito decise di emigrare negli Stati Uniti d’America. Nel 1921, con l’unico bagaglio di estro, intelligenza e speranza, partì seguendo uno zio e un cugino che erano già emigrati a Utica, nello Stato di New York. Il punto di forza dell’emigrante era proprio la “catena migratoria”, la rete parentale e amicale dei compaesani che, avendo già vissuto l’esperienza dell’esodo, avrebbero guidato in ogni fase dell’espatrio e facilitato l’inserimento nel paese di destinazione. Dopo tredici giorni, la nave su cui viaggiava attraccò a New York nel marzo del 1921. Henry salì su un treno per Utica con un foglio attaccato al vestito, che indicava la sua destinazione.
La storia di Henry Di Spirito è la storia di tanti emigrati che hanno lasciato il paese di origine, e con esso gli affetti, una situazione di sofferenza, di dolore e sacrificio nella speranza di una vita migliore. E non è solo questo, è la storia dell’America stessa, è uno spaccato della storia americana, in cui gli immigrati hanno avuto un ruolo importantissimo e imprescindibile per lo sviluppo della società, della cultura e dell’economia.
Ho provato ad immaginare Henry Di Spirito che ragazzo di soli 21 anni, decide di partire, lasciare Castelforte, il suo paese, la famiglia, gli amici e i luoghi a lui più cari e partire con i timori e le preoccupazioni che accompagnano ogni emigrante nel suo viaggio verso una vita che si augura sia migliore di quella che lascia. E per quanto possa provare ad immaginare i sentimenti che lo accompagnavano in questo lungo viaggio penso che potrei provare solo una lontana parvenza di quel sacrificio. E come l’artista, furono molti gli italiani che si trasferirono, quasi sempre definitivamente, negli Stati Uniti per sfuggire alla miseria. In quegli anni andava compiendosi l’ultimo grande flusso migratorio verso gli Stati Uniti. Si stima che dal 1820 al 1924 immigrarono 35,5 milioni di persone. Negli anni ‘20 erano presenti nel Paese 13 milioni di immigrati, su una popolazione di 92 milioni di persone, pari al 14,13%, a cui vanno aggiunti 26 milioni di “americani” di seconda generazione.
Negli Usa l’immigrazione dall’Italia ebbe una battuta di arresto con la Prima Guerra mondiale. Nel 1921 l’Emergency quota act [10] impose delle “quote” di accesso al numero di immigrati dall’Europa dell’Est e del Sud in quanto si riteneva che alcune comunità, come quella italiana, fossero meno assimilabili. In pratica veniva annualmente determinato dalle autorità competenti il numero di immigrati che per ogni nazionalità poteva entrare nel Paese, nel corso di un anno.
Durante la prima ondata migratoria, in molti perirono durante il viaggio e quelli che sopravvivevano venivano esaminati scrupolosamente dalle autorità sanitarie. L’arrivo in America era caratterizzato dal trauma dei controlli medici e amministrativi durissimi, specialmente nell’Immigration Point di Ellis Island (l’Isola delle Lacrime), un piccolo isolotto, nella baia di New York, poco distante da Manhattan, dove tutti gli immigrati venivano controllati e accettati [11]. Nel paradiso terrestre promesso dalle “Guide” e dagli “slogan” le cose, in realtà, erano molto diverse. Subito dopo l’arrivo gli immigrati cominciavano a rendersi conto di essere in una America diversa da come l’avevano sognata. La realtà non era da paradiso terrestre di cui si erano riempiti gli occhi e la mente. Si scontrarono con pesanti formalità burocratiche cui erano sottoposti e, almeno negli Stati Uniti, molti erano coloro che venivano respinti specialmente perché affetti da malattie invalidanti [12]. Nel Museo dell’Emigrazione a New York ci sono ancora le valigie piene di suppellettili e di povero abbigliamento delle persone che reimbarcate per l’Italia, nella disperazione, si buttavano nelle acque gelide della baia andando quasi sempre incontro alla morte.
Alle visite mediche seguiva una visita psico-attitudinale. Chi non superava i controlli, che potevano durare anche tre giorni (in cella), veniva marchiato con una X sui vestiti e rimandato indietro. Sui documenti rilasciati agli italiani, accanto alla scritta white (bianco), che indicava il colore della pelle, a volte c’era un punto interrogativo, indice del razzismo [13] che subirono gli italiani da una parte della società americana:
Sebbene non parlasse ancora inglese, Henry fu rincuorato nel riconoscere le colonne di marmo di Carrara che vide quando scese al deposito dei treni di Utica. Trovò lavoro dove poteva, in un cotonificio e poi come imbianchino dove i fumi della vernice lo facevano ammalare e dovette rifugiarsi in una fattoria per riprendersi. Soprattutto fu muratore e, come tagliapietre in Utica, ha lavorato per alcuni anni per costruzioni locali. Poi, durante la Grande Depressione del 1929 per 16 mesi venne inserito per il WPA – Works Progress Administration [15]. Nel 1930 divenne cittadino americano. Anche per Henry Di Spirito non deve essere stato semplice l’adattamento alla nuova condizione di emigrato in terra straniera tanto che in una lettera al padre scriveva:
Quando, poi, scoppiò la Seconda Guerra mondiale, Henry Di Spirito viveva negli Stati Uniti da più di 20 anni. Le notizie che arrivavano oltreoceano lo angosciavano e lo avvolgevano in una morsa che amplificava la lontananza dai suoi cari. Castelforte, la frazione Suio [17] e i comuni nei dintorni furono teatro di feroci combattimenti e terribili bombardamenti in quanto si ergevano lungo la “Linea Gustav” che si estendeva dalla foce del fiume Garigliano (confine tra Lazio e Campania), fino a Ortona, sull’Adriatico a sud di Pescara, passando per Cassino, le Mainarde, gli Altopiani Maggiori d’Abruzzo e la Majella [18]. La sua impotenza e la sua grande preoccupazione furono espresse più volte nelle lettere che inviava alla famiglia:
Era un autodidatta, non aveva mai veramente seguito corsi per apprendere l’arte dell’intaglio e della scultura, tranne sporadici contatti con artisti. Eppure, nonostante tutto, andava progressivamente riscuotendo un vasto consenso di pubblico e di critica. Nelle sue lettere alla famiglia, scriveva:
L’esposizione in corso al New York State Museum presenta una raccolta di opere varie dell’artista: sculture in pietra, in legno e altri materiali, disegni abbozzati, dipinti, fotografie e strumenti di lavoro. In particolare, si possono ammirare nove sculture donate dalla famiglia alla Utica University e una scultura, The Refugee, che il College ha gentilmente reso disponibile. Immagini storiche e strumenti di lavoro del suo studio rappresentano e aiutano a comprendere il suo processo creativo e la sua modalità di lavoro. Girando per le sale espositive e ammirando i suoi lavori si può sentire la presenza pacifica di questo uomo eccezionale le cui opere d’arte riflettono la vita di un immigrato italiano, la bellezza della natura, il forte legame familiare e il rapporto che riuscì a costruire con la comunità dove visse il resto della sua vita.
Vinse moti premi, come il Premio dalla Natural Academy of Design per la sua scultura Ant (la formica). Tra i vari riconoscimenti, nel 1989 gli fu conferita la Laurea Honoris Causa in “Lettere Umanistiche” presso la Syracuse University [19] dello Stato di New York per il suo servizio al College e alla comunità. Continuò a lavorare lì fino alla sua morte, avvenuta nel 1995, all’età di 97 anni.
Nel 1940 Di Spirito lavorò su una serie di diorami per la WPA, la sua prima pausa dal lavoro di muratore. Ha studiato arte la sera al Munson-Williams-Proctor Art Institute dal 1941 al 1943. L’Istituto acquistò la sua prima opera scultorea, Leaping Frog, nel 1948. Nel 1951, in una recensione di una mostra collettiva al MoMA, Museum of Modern Art [20], il New York Times fu il primo a evidenziare l’arte e le caratteristiche proprie nell’opera dello scultore. Quando l’architetto Philip Johnson [21] progettò una nuova casa per l’istituto d’arte nel 1960, nella struttura esterna fu creato uno spazio per una scultura in rilievo di Di Spirito raffigurante una volpe. Desiderava tanto affinare la sua innata capacità di lavorare i materiali. Scriveva:
Nella sua continua ricerca di tempo e spazio per la sua arte, Di Spirito ha chiesto sovvenzioni, inclusa la Guggenheim Fellowship [22], ma la sua domanda fu respinta avendo superato il limite di età al momento della presentazione della domanda. Dagli anni ‘20 fino al 1963, Di Spirito lavorò come scalpellino e muratore nel centro di New York mentre contemporaneamente studiava arte al Munson-Williams-Proctor Arts Institute. Nonostante iniziasse a riscuotere i primi successi presso vari musei, non riuscì per molto tempo a dedicarsi esclusivamente all’arte. Continuava, infatti, a lavorare come muratore. Solo dopo il suo ritiro nel 1963 Di Spirito trovò quel tempo prezioso. Fu subito nominato Artist in Residence [23] presso l’Utica College, un beneficio che di solito durava un anno ma che fu prolungato fino alla sua morte avvenuta nel 1995. Finalmente lo scultore ebbe uno studio interamente dedicato al suo lavoro. Amava questa attività all’interno dell’Università perché gli permetteva di ritirarsi definitivamente dal lavoro di muratura e concentrarsi a tempo pieno sulla scultura. Alla sua “casa adottiva” donò tanto, sia lasciando alcune delle sue opere, sia attraverso l’insegnamento, portando l’arte a persone e luoghi spesso trascurati dagli artisti suoi contemporanei.
Si impegnò molto con gli studenti e con i docenti a valorizzare il Campus con le sue sculture e, in generale, a renderlo un luogo piacevole ed accogliente: «…Mi sentii molto onorato quando realizzai l’Athlete (l’Atleta), per il College». E, in particolare, agli studenti rivolgeva parole incoraggianti, esortandoli a seguire i loro sogni:
E sempre agli studenti del College, dedicò la scultura Dodging the Wind (Schivare il vento): «…è un tributo a tutti i giovani che sfidano il vento nel College di Utica». Fu un artista generoso che prestava le sue opere per mostre e, cosa più insolita, permetteva alle persone di acquistare le sue opere attraverso pagamenti dilazionati, rendendo possibile a un pubblico più ampio di godere di un’opera d’arte nelle proprie case come parte della propria vita quotidiana. Di Spirito ha collaborato con il Centro di riabilitazione per ciechi di Topeka, nel Kansas, per rendere la scultura disponibile ai non vedenti. Le sue opere valorizzano ancora oggi il paesaggio settentrionale dello Stato di New York, il Museo dei bambini di Utica, una cappella dedicata alla Beata Madre presso la chiesa di St. Stanislauw, il pompiere volontario a Deerfield e diverse suggestive opere all’aperto, tra cui l’opera incompiuta, The Tiger, sul Campus dell’Utica College.
Al New York State Museum i dipinti di Di Spirito esposti sulle pareti, raccontano anche la sua vita in Italia come, il The Refugees, che fa riferimento alla sua esperienza di viaggio mentre lasciava Castelforte, in cerca di una vita migliore. «Era devastato dalla guerra e da ciò che aveva fatto al suo popolo», ha scritto Hopkins-Benton. Un altro dipinto, From My Window, rappresenta il suo cortile in inverno in Jay Street a East Utica. Questa fu la prima casa ove si stabilì con sua moglie, Rose Conte, e dove ebbe inizio la sua famiglia. Quando Henry entrò con successo a far parte del mondo dell’arte, rimase sempre in questo quartiere operaio dove aveva forti legami con amici e vicini.
Lavorava e modellava la pietra, il legno, l’argilla e il gesso, ma trovava nella pietra la sua vocazione principale. Quando gli chiedevano perché, con tutte le alternative disponibili avesse scelto, in particolare, il granito, rispondeva. «Per me l’arte è la sfida con la pietra. L’arte è una continua lotta con la vita». Non utilizzava strumenti elettrici. Tutto era modellato a mano. Anche i suoi strumenti da intaglio sono presenti nella mostra al New York State Museum. Sceglieva con cura le pietre da scolpire lungo le rive dei ruscelli e dei letti dei fiumi dello Stato di New York, dove amava recarsi anche per pescare. E con l’occasione osservava attentamente la fauna selvatica. Aveva, inoltre, scoperto, nel corso delle sue passeggiate, grandi sassi tondeggianti nei campi intorno a Utica. Spesso, un suo compaesano lo aiutava a trasportare con il proprio mezzo le pietre selezionate. Henry Di Spirito non guidava e non disponeva di un mezzo di trasporto. Altre volte si caricava questi pesanti sassi che “intrappolavano” animali, persone o cose e li depositava nel suo giardino. I vicini e i passanti assistevano al suggestivo procedimento di “pulitura”, per liberare tutto ciò che per Henry era intrappolato al loro interno. E così creava le sue bellissime sculture.
La mostra include Sucker Fish, una scultura in pietra proveniente dal giardino di Henry che molto probabilmente è stata motivata da uno dei suoi viaggi in un ruscello locale. Nel riprodotto “giardino di Henry” c’è The Elephant. Hopkins-Benton ha dichiarato: «Questo è un ottimo esempio di come Henry abbia utilizzato la roccia così com’era e l’ha scolpita quanto basta per rivelare l’immagine che era già lì. Molto probabilmente ha tratto ispirazione per The Elephant dalle frequenti visite che ha fatto allo Zoo di Utica».
Mentre abbracciava la sua nuova vita nel centro di New York, i ricordi dei suoi primi anni in Italia emergevano a intermittenza e stimolavano nuove idee. Lungo il muro di fondo del giardino di Henry c’è “Il portatore d’acqua”. Questa scultura in legno raffigura il ricordo di Di Spirito di sua madre mentre raccoglieva l’acqua. L’armonioso equilibrio necessario per questo compito è evidente nel pezzo.
Nel 1963 Di Spirito fu assunto come Artist In Residence presso l’Utica College. Amava questa carriera perché gli permetteva di ritirarsi dalla muratura e concentrarsi a tempo pieno sulla scultura. Era molto impegnato con gli studenti e i docenti mentre abbelliva il campus. Una delle opere più amate di Henry è The Pioneer, un regalo della classe della UC del 1957. Si trova di fronte allo Strebel Center della Utica College ed è servito da ispirazione alla UC per il soprannome, The Pioneers. L’Utica College fa tesoro della sua collezione di arte, ma Di Spirito è stato così gentile da prestare The Refugee per la mostra del museo statale. Si tratta di una scultura in gesso dipinto in bronzo raffigurante un uomo piegato in avanti nel vento. Come William Zorach [25], il cui affresco dà il benvenuto all’atrio centrale del Munson-Williams-Proctor [26], il lavoro di Di Spirito è rappresentativo ma anche stilizzato dalla sua impronta personale, spirituale e piena di ritmo. La Collezione di sculture Di Spirito (ad eccezione del The Refugee, che è in prestito dall’Utica College) è un dono delle figlie Di Spirito.
Ancora oggi il New York State Museum propone sul proprio sito programmi di lezioni per gli studenti delle scuole elementari e medie sulle opere d’arte di Di Spirito e sulla storia dell’immigrazione. Breathing Life Into Stone: The Sculpture of Henry Dispirito, è la mostra al Munson-Williams-Proctor Art Institute di Utica, NY, che si è tenuta da maggio a settembre del 2013. Dalle parole dello scultore, pubblicate in cataloghi realizzati in occasione delle varie esposizioni, emerge il ritratto di un uomo semplice, umile, saggio e con una grande passione per le sue creazioni:
Nell’opera dedicata alla vita, all’arte e alle opere di Henry Di Spirito riscritta da Duilio Ruggiero, è riportato anche un elenco dettagliato delle opere scultoree (con distinzione dei materiali utilizzati per ogni opera), pittoriche e altro. Inoltre, lo storico ricostruisce la vita artistica dello scultore attraverso le tante esposizioni che, a partire dal 1947 e fino alla sua morte, sono state realizzare nei musei d’arte americani più prestigiosi e in quelli locali. Le sculture di Henry Di Spirito si possono ammirare oggi nelle collezioni di importanti musei come il Whitney Museum di New York [28], l’Addison Gallery of American Art [29], l’High Museum di Atlanta [30], il Williams College Museum of Art [31], il County History Center [32] oltre che presso collezioni private.
Nell’esposizione in corso al New York State Museum è esposta una foto del 1960 in cui Henry Di Spirito viene ritratto nel suo “giardino” in Blandina Street, la sua seconda casa. Lui e la sua famiglia si trasferirono lì nel 1958. Si servì del suo giardino come la sua galleria principale dove espose le sue sculture su ceppi d’albero in un ambiente molto naturalistico: «Era un posto meraviglioso. Ha invitato artisti, curatori e scrittori. Tutti erano i benvenuti», ribadisce la ricercatrice Hopkins-Benton. «Questa foto è stata la nostra ispirazione per la mostra. Abbiamo fatto del nostro meglio per ricreare quello spazio giardino (il giardino di Henry»). Il giardino era esso stesso un’icona, con le sculture di animali che hanno incantato i vicini, la regione e l’intero mondo dell’arte degli anni ’50.
Di Spirito chiedeva sempre educatamente ai suoi vicini se fossero infastiditi dai suoni tintinnanti che faceva mentre scolpiva. Nessuno si era mai lamentato. Piuttosto, il suono del suo martello e scalpello attirava le persone nel suo giardino incantato dove le incoraggiava a guardare e sentire le sculture. Condividere il suo amore per l’arte con gli altri, compresi i bambini e i non vedenti, è stata una delle sue gioie più grandi. Si ritrova in tutta l’opera di Henry Di Spirito, l’uomo gentile, generoso, l’artista di grande sensibilità. Quasi tutti i grandi artisti sono stati uomini semplici ed Erasmo Orazio Di Spirito era un uomo semplice.
Henry Di Spirito era molto legato alla sua comunità. Era membro dell’Unione Locale dei Muratori e Artigiani, dell’Associazione Sons of Italy (Figli d’Italia), di Utica e socio di molti sodalizi culturali tra cui i prestigiosi The Kirkland Art Center [33] , The Coopertsthown Art ASS, The Utica Art Association, The Forge Art Association e del Munson-Williams_Proctor Institute. Fu anche membro del Sculpture Center of New York City. Eugene Paul Nassar, docente di lingua inglese all’Utica College of Syracuse University, lo ricorda con affetto e grande ammirazione:
Il suo mondo poetico, la sua umanità, erano fuori dagli schemi della tradizione. Si ritrova in tutta l’opera di Henry Di Spirito, l’uomo gentile, l’artista di grande sensibilità. La sua arte è al di fuori di qualsiasi corrente ufficiale, non si ispira ad alcun artista del passato o del presente. Di Spirito non pensava che la sua arte potesse costituire una corrente artistica. La sua era un’ispirazione pura e naturale. Nelle sue opere emergono le inquietudini, le ansie e i tormenti ma anche la natura, l’amore verso la famiglia e la dignità di chi, anche attraverso l’arte, lotta sempre. Con la creta realizzò i busti dello scrittore Mark Twain 1862 [34], del filosofo e scrittore Henry David Thoreau 1862 [35]. L’unica opera in bronzo realizzata nel 1965, riproduce il volto del presidente John Fitzgerald Kennedy e fa parte della Collection of Utica Public Library.
Una retrospettiva dei lavori di Henry Di Spirito, tra il 6 settembre ed il 14 ottobre 1987, venne organizzata dalla Edith Barrett Art Gallery nell’Utica College of Syracuse University. Nel presentare l’esposizione il curatore Joan Fiori Blanchfield [36], Direttore della Edith Barrett Galley, disse:
In tutta l’opera di Henry Di Spirito, emerge il desiderio di sacralizzare i luoghi comuni, la natura, gli animali e le persone. La sua, è stata un’arte tesa ad esaltare il mondo e la vita di ognuno di noi. Nel 1927 sposò Rose Conte dalla quale ebbe le tre figlie, Dolores, Theresa e Loretta. La sua famiglia lo sostenne e lo incoraggiò sempre nel proseguire con le sue creazioni. Quando le sue opere iniziarono ad essere esposte diffusamente, mandò le sue figlie a rappresentarlo, preferendo restare vicino a casa. «Era un marito e un padre meraviglioso», con queste parole lo ricordano le sue figlie. I temi familiari erano molto comuni nelle sue opere d’arte. In mostra nel giardino di Henry c’è la scultura Mother and Child, da cui emerge il forte legame familiare:
Nell’angolo destro del ricostruito giardino di Henry, la sua giacca di montone con cappuccio pende solennemente sulla sua sedia di legno. Sembra che possa prendere vita permettendo agli spettatori di sentire il suono del metallo che batte sulla pietra, e di sentirlo avvertire nello stesso modo in cui avvertì le sue stesse figlie: «Quando non ci sarò più, non piangete per me perché ho avuto una vita fantastica!» Dai critici d’arte fu definito il “poeta della pietra”. I suoi lavori, e le sue parole erano poesia.
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