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Hibernia (non) capta: contatti, influssi e relazioni fra l’Irlanda antica e il mondo romano
Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2024 @ 03:27 In Cultura,Migrazioni | No Comments
di Alessandro Perduca
Saepe ex eo audivi legione una et modicis auxiliis debellari obtinerique Hiberniam posse; idque etiam adversus Britanniam profuturum, si Romana ubique arma et velut e conspectu libertas tolleretur [1].
Esiste una sostanziale asimmetria nel quadro dei rapporti fra il mondo del Mediterraneo romano e l’arcipelago britannico [2]. Alla pletora di informazioni di ordine documentario, storico e archeologico della Britannia conquistata e colonizzata dai Romani, corrispondono testimonianze frammentarie circa l’influsso della civiltà romana sulla vicina Hibernia [3], mai conquistata, ma capace nel tempo di organizzare ed evolvere con originalità sorprendente in epoca precristiana e cristiana il portato di un’inevitabile contatto ancorché esclusa dalla tutela imperiale e dall’evoluzione culturale principale della Romania propriamente detta.
I contatti fra l’Irlanda e il mondo mediterraneo in epoca preromana sono testimoniati da alcuni significativi reperti: asce doppie in bronzo e grani di faïence di provenienza egizia ed egea. Il reperto più curioso resta un cranio di scimmia risalente ai primi secoli avanti Cristo, proveniente dall’Africa del nord e scavato non lontano da Armagh nella antica capitale che la letteratura irlandese conosce come Emain Macha, capitale del regno di Ulaid (attuale Ulster) al quale Tolomeo fa forse cenno con il vocabolo Woluntioi [4]. Questo reperto testimonia rotte commerciali occidentali attraverso la Penisola Iberica anteriori all’avanzata romana in Britannia.
Al Museo nazionale di Dublino sono esposte quattro figurine in bronzo di fattura italica risalenti ad un periodo databile fra il II e il I secolo a.C. e includono un guerriero e una figura etruschi e due statuine di Ercole, tutte prova di commerci con la nostra Penisola. I reperti romani sono distribuiti in un arco temporale compreso fra il I e il V secolo d.C. I reperti del primo secolo si trovano sulla costa orientale e all’interno, ma comunque in aree rivolte verso la Britannia romana e includono spille, fibule e oggetti di sepoltura. Sull’isola di Lambay nella contea di Dublino uno scavo [5] ha dato alla luce fibule, dischi di bronzo, una torque e oggetti di provenienza britanna che fanno supporre da parte degli studiosi la presenza di rotte commerciali fra il Mare d’Irlanda e la costa britannica o di esuli a seguito della sconfitta inflitta dai Romani ai Briganti nel 74 d.C.
Reperti risalenti a un arco temporale di quattro secoli si trovano nel celeberrimo sito di Brug na Bóinne sul fiume Boyne [6]. Si tratta di sepolture a tumulo e luoghi cultuali neolitici dove gli archeologi hanno rinvenuto monete romane di un periodo che va da Domiziano fino ad Arcadio e oggetti cultuali di pellegrinaggio. Se si tratti di manufatti posseduti da Irlandesi, offerte di pellegrini romani o romanizzati non è facile da stabilire. Il sito era legato al culto dei Tuatha Dé Danann [7] e le offerte sono numerose e soggette a manipolazione come, ad esempio, una torque con incisione di lettere latine successive alla sua fabbricazione. Al II secolo appartiene una olla, recuperata da un peschereccio gallese al largo della costa occidentale. Porta un graffito inciso e faceva probabilmente parte di un carico di nave mercantile proveniente dalla Britannia o dalla Gallia: per quanto minimo questo reperto porta a concludere circa la presenza di rotte commerciali iberno-romane. Altri oggetti risalenti al II secolo danno i medesimi indizi, come la patera incisa dell’isola di Rathlin.
Fra il II e il III secolo in Irlanda, col concomitante passaggio di genti provenienti dalla Britannia romanizzata, si assiste a un cambiamento graduale nelle procedure di sepoltura, segnatamente dalla cremazione all’inumazione e secondo alcuni studiosi potrebbe riflettere il mutamento avvenuto a Roma con il passaggio all’inumazione nell’epoca di Adriano [8]. Allo stesso periodo risalgono sepolture recanti segni di ritualizzazione romana e mediterranea, come l’abitudine di introdurre una moneta, l’obolo di Caronte, nella bocca dei defunti. Le sepolture di Bray Head ne sono un esempio laddove gli scheletri sono stati rinvenuti con monete all’interno e a Stoneyford si segnala addirittura la presenza di un’urna in vetro per la raccolta delle ceneri, fatto che gli studiosi hanno interpretato come la possibile presenza di un avamposto commerciale romano. Due tesori di monete, denarii in argento del II secolo, sono stati scavati nella contea di Antrim sulla costa settentrionale e sebbene si segnalino incursioni posteriori di pirati irlandesi o la presenza di mercenari in epoca recenziore, la loro presenza e datazione rimane un mistero irrisolto.
Il III secolo presenta una lacuna nel rinvenimento dei reperti, solo poche monete di argento e rame che gli studiosi attribuiscono agli scontri causati dagli assalti al limes renano e danubiano da parte delle tribù germaniche e alle incursioni sulla Britannia romanizzata e coerenti al concomitante silenzio delle fonti su altre aree dell’impero. Al IV e V secolo corrispondono ritrovamenti di monete e lingotti iscritti che indicano cariche e titoli dei possessori, luogo di fusione e anche simboli cristiani. Nella contea di Tipperary, a Golden, due reperti non esattamente databili, si segnalano come testimoni importanti: una barca di fattura mediterranea [9] e il sigillo iscritto di un oculista [10]. Quest’ultimo appartiene a una categoria di oggetti medici numerosi in Britannia, Gallia e Germania, segnatamente sigilli che indicavano la composizione di colliri e unguenti e la nosografia di destinazione. Oggetto di commercio, di rapina o spia di una presenza?
Senza forzare congetture la sepoltura di Stoneyford testimonia una presenza nelle valli dei fiumi dell’Irlanda meridionale e la barca proveniente dal Lough Lene indica un possibile contatto fluviale con il bacino del Boyne. La barca, simile ad altre rinvenute in Germania e nei Paesi Bassi, data fra il I e III secolo d.C. ed è costruita secondo una tecnica specificatamente mediterranea. Gli studiosi ipotizzano un suo utilizzo da parte di mercanti della costa lungo le vie fluviali dell’interno. Le prove archeologiche collimano con testimonianze letterarie su relazioni commerciali e incursioni di pirati irlandesi. Gli oggetti romani o di fattura romana e la loro localizzazione fanno ritenere plausibile la presenza di rapporti commerciali, così come i tesori monetari depongono a favore di bottini di incursione, fondi cassa per il pagamento di mercenari o l’abbandono da parte di mercanti romani costretti alla fuga per imprecisate ragioni. Seguendo la lezione di Tacito il quale rileva che «aditus portusque per commercia et negotiatores cogniti»[11] e combinandovi il dato archeologico, concludere circa la presenza di basi stanziali permanenti potrebbe non essere escluso né troppo azzardato.
Accanto all’archeologia è la linguistica storica a supportare tesi a favore di contatti e relazioni fra popoli e culture. Testimoniare la presenza della lingua e della cultura latina prima della missione di Patrizio e dei suoi sviluppi nel V secolo d.C. non è agevole, ma molti dati convergono e favoriscono la formulazione di interessanti ipotesi di lavoro. Non pochi studiosi hanno sostenuto che il latino è stato introdotto solo come lingua di cultura «bookish and artificial» [12] a distanza da qualsiasi uso quotidiano e utilizzato solo in ambito monastico. A partire dagli inizi del XXI secolo e con una valutazione incrociata e attenta delle fonti, dei dati archeologici e linguistici pare di poter rivolgere l’attenzione a rapporti più complessi e a una comunicazione fra il mondo irlandese e la lingua latina su un terreno di più concrete commistioni.
Uno studio di Patrick Reinard pubblicato nel 2014 [13] ha riconsiderato i dati proponendo l’ipotesi che, pur in assenza di una sistematica conquista, costosa e non necessaria a fronte di scarsi benefici economici e strategici, si possa parlare di relazioni commerciali risalenti al I secolo d.C. e che i Romani avrebbero potuto stabilire delle basi a Drumanagh e Lambay a nord di Dublino. Se queste località possano essere identificate con Manapia e Limnos citate da Tolomeo nella Geografia [14] rimane forse indimostrabile, ma di sicuro i ritrovamenti archeologici portano ad una presenza di Britanni del nord quantomeno fortemente romanizzati e se l’area occupata dal forte dell’Età del ferro sul promontorio di Drumanagh possa essere un centro commerciale o un avamposto militare per una futura conquista non si può decidere con sicurezza, ma lascia aperte ulteriori ipotesi.
L’ipotesi di emporia precedenti il VII e VIII secolo d.C. darebbe ragione della forte presenza di reperti romani nelle aree della baia di Dublino così come sostenuto dagli studi di T. Charles-Edwards [15]. L’imbarcazione del Loch Lene potrebbe, a fronte di queste considerazioni e viste le già menzionate particolarità costruttive, essere opera di un maestro d’ascia romano residente sull’isola ed essere servita come strumento per comunicazioni fluviali agili e veloci. La costa e le vie d’acqua dell’interno avrebbero potuto costituire un’area di scambi con la Britannia romana almeno dal I secolo e dunque aver favorito un contatto linguistico senza il quale nessuna interazione commerciale articolata può avere luogo.
Lo studio del bilinguismo nel mondo romano ha confermato l’utilizzo di lingue diverse dal latino e la loro presenza fa capolino nelle prove testuali a disposizione. La linguistica storica [16] pone un problema ulteriore allo studio dei prestiti linguistici: la vicinanza nella galassia indoeuropea della famiglia latina a quella celtica. La teoria italo-celtica, che pur non trova un consenso unanime, parla di innovazioni comuni ai due gruppi, fenomeno che potrebbe essere dovuto a un contatto di prossimità che, iniziato dagli antenati dei due gruppi linguistici, sarebbe continuato in epoca storica e dopo la formazione dei singoli idiomi [17]. L’Irlanda pre-patriciana e la Britannia romana potrebbero essere entrate in contatto per tramite del latino come lingua ufficiale, ma gli idiomi celtici della Britannia e il gaelico irlandese mostrano prestiti e mescolanze che potrebbero essere stati favoriti, dopo la partenza dei Romani nel 410, da matrimoni misti e dalla presenza di Britanni romanizzati in grado di parlare la lingua madre e il latino volgare con eguale fluidità [18].
La toponomastica, prove storiche e iscrizioni bilingui testimoniano la presenza di Irlandesi in Galles dagli inizi del V secolo d.C, così come la presenza di Britanni in Irlanda. La natura dei prestiti linguistici latini alla lingua irlandese antica indica una sfera semantica relativa alla navigazione, alla vita materiale e la guerra. Fra questi ant. irl. arm ˂ lat. arma, ant. irl. míl ˂ lat. miles, ant. irl. bárc ˂ lat. barca, ant. irl. long ˂ lat. (navis) longa, ant. irl. múr ˂ lat. murus, ant. irl. ór ˂ lat. aurum, ant. irl. trebun ˂ lat. tribunus ant. irl. Mercúir ˂ lat (dies) Mercurii, ant. irl. Saturn ˂ lat. (dies) Saturni, ant. irl. romdae ˂ lat. Romanus [19]. Molti di questi vocaboli sono stati trasmessi oralmente e infatti riflettono i cambiamenti fonetici che permettono di datarne l’ingresso nella lingua. Le parole latine hanno forma diversa a seconda dell’epoca del loro ingresso. Gli studiosi li classificano in due serie diverse denominate Coithriche e Patráic [20], forme rispettivamente seriore e recenziore del nome Patricius. La prima riflette uno stadio antico provenienti perlopiù dal latino parlato nel quale i suoni latini non hanno ancora né un equivalente, né un grafema specifico dell’alfabeto latino, ma la cui pronuncia viene resa dalla approssimazione più vicina nella lingua irlandese antica, ad esempio la labiovelare kw (resa con c nella grafia) per p e s per f: ant. irl. cland ˂ lat. planta, ant. irl. senester ˂ lat. fenestra, ant. irl. sorn(n) ˂ lat. furnus, ant. irl. síbal lat. fibula; i secondi una provenienza più tarda dove la padronanza della pronuncia e della scrittura latina permette una resa più sicura e l’imprestito di parole proviene dalla lingua scritta.
Alcuni termini presentano chiari segni della presenza cristiana: ant. irl. cresen ˂ lat. cristianus, ant. irl. orathiu lat ˂ oratio, ant. irl. caille ˂ lat. pallium, ant. irl. caisc ˂ lat. pascha, ma soprattutto un riferimento diretto al mondo del commercio e in particolare di quello del vino, bene di lusso tipico del mondo romano: ant. irl. fín ˂ lat. vinum, ant. irl. corcur ˂ lat. purpura, ant. irl. sesra ˂ lat. sextarius, ant. irl. muide ˂ lat. modius, ant. irl. esarn ˂ lat. exhibernum (vinum), ant. irl. creithir ˂ lat. cratera, ant. irl. cann ˂ lat. panna, ant. irl. síthal ˂ lat. situla, ant. irl. cess ˂ lat. cista, ant. irl. cróch ˂ lat. crocus, ant. irl. ingor ˂ lat. ancora, ant. irl. monad lat. ˂ moneta, ant. irl. dírna/dinnra ˂ lat. denarius. Queste testimonianze scritte trovano supporto in prove archeologiche e sostengono la tesi di attive rotte commerciali fra la Britannia romana e il sud dell’Irlanda. L’ipotesi di Charles-Edward sull’esistenza di emporia e di un mutuo scambio è suffragata dall’esistenza di un lessico che ne adombra la presenza: ant. irl. calad ˂ lat. calata, ant. irl. legáit ˂ lat. Legatus [21].
La cultura druidica dell’Irlanda pagana [22] era tramandata oralmente e riservava alla scrittura, intesa come incisione di segni su materiale, una funzione propriamente magica e rituale. Nell’Irlanda dal IV al VII secolo d.C. è attestato un alfabeto di segni consistente in brevi linee tracciate perpendicolarmente o obliquamente a una linea, rappresentata nelle iscrizioni dallo spigolo di una pietra poggiata in senso verticale. Prende il nome di Ogam [23] ed è limitato normalmente alle iscrizioni su pietra in celtico insulare (in gran parte bilingui latino-irlandesi) e distribuito su un’area che comprende l’Irlanda il Galles e l’isola di Man con sporadiche attestazioni in Inghilterra, Scozia e sulle isole Shetland. Ne sono state proposte differenti derivazioni: latina, greca, etrusca e runica. Il suo studio ha suscitato varie ipotesi e suggestioni, ma sebbene l’origine possa essere spiegata con la difficoltà di utilizzare su pietra un alfabeto latino o greco e la plausibile derivazione da un sistema di conteggio a tacche del bestiame e degli ovini in una società agropastorale, una delle sue caratteristiche più interessanti è la sistemazione dei segni che si distribuiscono, pur nella loro originale forma, secondo l’ordine fonetico stabilito dai grammatici latini di età imperiale.
Un’ipotesi formulata dagli studiosi è che si tratti dell’invenzione di qualche geniale irlandese itinerante che potrebbe aver studiato nelle scuole latine della Gallia o della Britannia. Tale iniziativa trova attestazioni a partire dal III secolo a.C. in un arco geografico che comprende l’Italia, Gallia, Iberia e Asia minore con parlanti lingue celtiche che hanno utilizzato varie forme di alfabeti etruschi, latini e greci per testi epigrafici di natura bilingue come, ad esempio, l’iscrizione gallo-latina di Todi. Il corpus di iscrizioni gallo-latine della Gallia cis e transalpina comprende dediche, incantesimi, iscrizioni funebri, calendari, dediche amorose scritti in alfabeti di derivazione greca, romana ed etrusca in un periodo compreso fra il II secolo a.C. e il IV secolo d.C. Le iscrizioni funerarie in lingua lepontica della Gallia cisalpina utilizzano un alfabeto di derivazione etrusca e i Celtiberi nel II e I secolo a.C. hanno utilizzato un misto di alfabeto e scrittura semi sillabica per testi di natura legale, funeraria e religiosa.
Cesare e Diodoro Siculo [24] attestano il possesso della cultura classica da parte dei Celti e Tacito scrive di nobili di provenienza gallica quali studenti di grammatica latina. Nei secoli successivi alla conquista della Britannia, greco e latino si diffondono come lingue di cultura. Ausonio, il poeta di lingua latina e di ascendenza gallica del IV secolo d.C. era docente di retorica a Bordeaux e persino Patrizio scrive la sua Confessio nel latino appreso in Britannia [25]. Ne consegue che un irlandese avrebbe potuto studiare sul continente o in Britannia e importare l’idea di un alfabeto servendosi della classificazione fonetica della grammatica codificata nelle scuole imperiali. La disposizione delle lettere dell’alfabeto ogamico non mescola le sequenze di consonanti e vocali come gli alfabeti di derivazione greca e italica o runica, ma separa le vocali e ordina le consonanti secondo un sistema analogo alle analisi dei grammatici latini. L’ordine alfabetico ogamico comprende quattro gruppi di lettere di cinque segni ciascuno disposti in ordine decrescente, orizzontali e verticali, disposti a destra, a sinistra e trasversalmente in diagonale rispetto a una linea centrale e un gruppo di punti disposti da cinque a uno lungo una linea utilizzati per rappresentare le vocali. Tre di questi gruppi (aicmi in irlandese) sono composti da consonanti.
L’origine della scrittura apre una controversia fra gli studiosi che discutono ancora sull’origine runica, greca o latina dell’alfabeto, ma concordano in maggioranza sulla derivazione classica dell’ordine dei suoni rappresentati. Il passo successivo riguarda l’attribuzione della tradizione grammaticale che lo ha ispirato. Le codificazioni fonetiche e grammaticali di origine ellenistica e recepite dalla tradizione latina fino alle sintesi di Donato e alle varie versioni di Ars grammatica utilizzate nelle scuole imperiali debbono essere viste, come sottolinea Philip Freeman, meno come una paternità genetica, quanto come un’ispirazione che un geniale irlandese con una formazione classica non avrebbe avuto difficoltà ad adattare e portare con intraprendenza a un risultato funzionale e suggestivo [26].
Studiosi come Christine Mohrmann [27] e Doncha Ó Croinín [28], basandosi sulla presenza di una letteratura latina separata dall’uso della lingua irlandese in opposizione fra innovazione e conservazione, hanno sostenuto che il latino è stato introdotto in Irlanda dai missionari come lingua libresca e di cultura e sostanzialmente alieno alla pratica locale. Anthony Harvey [29] basandosi sulla vita di Columba scritta da Adomnán [30] mostra come la consuetudine di interpolare traduzioni latine nel testo antico irlandese indichi una dimestichezza con la lingua latina tutt’altro che occasionale. Le prove archeologiche e linguistiche indicano una vicinanza col latino che potrebbe spingere all’ipotesi di un utilizzo ben più ampio e diffuso. Come sostiene Maxim Fomin in un articolo molto ben argomentato la facilità con la quale i missionari nel V secolo d.C. si muovono attraverso il Mare d’Irlanda suggerisce una padronanza del latino e Patrizio stesso nella Confessio e nella Epistola ad Milites Corotici [31], oltre a evidenziare il gran numero di Britanni che come lui erano stati fatti prigionieri dai pirati irlandesi, fa supporre un impiego del latino nella comunicazione. Il riesame delle fonti suggerisce peraltro una vicinanza di irlandese e latino che, lungi dal presentarsi in un rapporto gerarchico, si struttura come una prossimità dettata da una consuetudine di lunga durata. Le iscrizioni ogamiche presentano quaranta testimoni bilingui dove gli idiomi si complementano indicando un possesso sicuro del latino. Non si tratta, come ben sottolinea Maxim Fomin, di un contro argomento, ma di situare l’elaborazione della cultura latina in un contesto già ampiamente ricettivo che renderebbe ancora più plausibile la presenza romana nel sud dell’isola come un fenomeno più stabile di quanto si fosse finora pensato. Le prime poesie in antico irlandese databili al V secolo d.C. contenute nelle Genealogie di Leinster propongono nella tradizione manoscritta, l’interpolazione di note esplicative in latino. Valga ad esempio la seguente:
Una pratica simile occorre nei Glossari irlandesi, e la facilità con la quale i compilatori passano da una lingua all’altra è notevole:
E da ultimo gli strati testuali più antichi degli Annali mostrano un uso addirittura più ricorrente del latino; valgano questi esempi tratto dagli Annali dell’Ulster:
La battaglia di Femhin nella quale cadde il figlio di Cairthin, figlio di Caelub che alcuni dicono fosse figlio di Cruithin.
La battaglia di Ath Dara fu vinta da Laigin su Laegaire e nella stessa fu fatto prigioniero, ma poi liberato dopo aver giurato su sole e vento che avrebbe rimesso il tributo in bestiame [32].
Si tratta di un vero esempio di code-switching che suppone un bilinguismo certo e attivo e indica una formazione latina dei compilatori. Quanto questo processo abbia portato ad una commistione fra l’elemento autoctono e quello importato, ma anche pagano e cristiano e ad una consapevolezza di grande bellezza e raffinatezza nella lingua dei secoli successive è testimoniato dagli sviluppi della letteratura irlandese.
Le testimonianze archeologiche, le fonti, le pratiche testuali e i processi di inculturazioni adombrati mostrano che l’Irlanda antica precedente alla missione di Patrizio, seppur non soggetta alla conquista romana per ragioni di ordine pratico, aveva probabilmente con altrettanta pragmatica sagacia trovato vie di comunicazione efficaci al passaggio della cultura latina e basi solide per la sua persistenza. Quelle vie che nel Mediterraneo erano da millenni ponti e passaggi di cultura e civiltà si ritrovano in una zona periferica ed esterna al mondo romano, ma beneficiate da uno spirito, quello irlandese, pronto al confronto e ad un’osmosi produttiva. A due millenni di distanza immaginiamo il generale Agricola che dalle coste della Caledonia volge il suo sguardo alle foreste e al verde che si illumina oltre il Mare d’Irlanda e con sprezzante sicumera calcola una facile possibile conquista [33]. Quello che non può vedere è che la lingua con cui Tacito ci riporta i suoi pensieri feconderà con libertà una matrice ricettiva, dando vita a una delle culture più originali del Medioevo europeo.
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