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I rinnegati italiani e la loro integrazione nella società nordafricana in età moderna
Posted By Comitato di Redazione On 1 settembre 2021 @ 02:25 In Cultura,Migrazioni | No Comments
Tunisi nel 1573, da La Storia dei corsari barbareschi di Stanley Lane-Poole, 1890, G. P. Putnam’s Sons
di Kais Ben Salah
Il rapporto con l’Islam è un problema cruciale nella storia della tolleranza. Questa religione ha rappresentato un punto di riferimento fondamentale per la definizione dell’identità occidentale e per l’elaborazione di un’idea moderna dell’Altro e dei rapporti con esso. Gli effetti del conflitto tra Oriente ed Occidente in età moderna diedero luogo a questioni e dibattiti intorno alla recente storia intellettuale, culturale e religiosa.
La storia politica si è interessata soprattutto dello sviluppo delle relazioni diplomatiche, economiche e militari che legavano – e legano tuttora – le due parti e ha tralasciato i rapporti informali e i legami di sangue che sono nati da secoli tra i popoli del Mediterraneo. Uno strano silenzio – forse di disprezzo, d’indifferenza oppure semplicemente d’ignoranza – riguarda, per esempio, un fenomeno di quelli straordinari: la notevole avventura europea di quelli che venivano chiamati, secondo l’uso europeo dell’epoca, “rinnegati”, quei cristiani che si sono convertiti in terra musulmana. Il termine “rinnegato” è utilizzato quasi in tutte le fonti occidentali che prendono in esame il problema della conversione religiosa ed è caratterizzato da una forte riprovazione morale, in quanto queste persone tradirono il loro passato e vengono chiamati anche: apostati o traditori.
L’Italia si trovò, infatti, in prima linea in questo confronto tra musulmani e cristiani, essendo la maggior parte dei rinnegati europei, italiani. Quindi lo scenario mediterraneo a cui rivolgiamo l’attenzione in questo lavoro è quello del rapporto tra l’Italia e il Nord Africa e più precisamente con le tre reggenze maghrebine: Tunisi, Algeri e Tripoli. Va ricordato che l’uomo occidentale che si trasferisce in terra d’Islam porta con sé le sue conoscenze e la sua cultura, lasciando il suo mondo e alleandosi al nemico, abbracciando le sue leggi e la sua religione. Così, il fenomeno dell’apostasia coinvolse un notevole numero di italiani, che tra il XVI e il XVIII secolo raggiunse qualche migliaia di persone.
I padri redentori, da The Story of the Barbary Corsairs by Stanley Lane-Poole, 1890 , G. P. Putnam’s Sons
La conversione
La conversione all’Islam non è solo un atto di cambiamento religioso ma più in generale è un processo di trasformazione del convertito da straniero a soggetto musulmano ottomano. «This involved a change of juridical subjecthood as well as legal status» [1].
Prima di divenire musulmano, il neofita doveva passare prima attraverso il rito della conversione. Si tratta, infatti, di un rituale che può avere diverse forme e ha un significato analogo a quello del battesimo nel Cristianesimo. Questo rito viene celebrato per lo più nella moschea. Il giorno della conversione, si raccomanda di fare il bagno e di indossare nuovi abiti puliti e di preferenza profumati. La celebrazione assume i caratteri di una vittoria e impegna quasi l’intera città: «principe per un giorno, il neofita è applaudito accolto, osannato dagli abitanti delle strade attraversate come un eroe» [2]. Nei casi in cui il candidato all’apostasia [3] sia una persona di rango elevato, la cerimonia della conversione si svolgeva in forma solenne: la sera innanzi, l’apostata veniva scortato in giro per la città e l’indomani egli si recava alla moschea a cavallo vestito secondo l’usanza musulmana, per pronunciare la formula tradizionale (la sciahada): «non vi è altro Dio che Dio e Maometto è il profeta di Dio» [4].
Dal momento in cui si recitava la professione di fede, la persona diventava musulmana con completa parità con i suoi nuovi correligionari; dopo di che esso doveva scegliere un nuovo nome musulmano che spesso assomigliava a quello italiano che aveva prima. Dopo la sua abiura, l’apostata subiva anche delle trasformazioni esteriori, come la rasatura del corpo, l’assunzione del turbante… e infine la temuta circoncisione [5]. Le donne invece dovevano accontentarsi di un rituale privato e domestico e per le altre pratiche subivano gli stessi trattamenti già citati per gli uomini.
Per quanto riguarda il problema della loro integrazione nella società, il mezzo più affidabile fu il matrimonio. Infatti, tramite questo mezzo i rinnegati potevano inserirsi facilmente tra la popolazione musulmana e occupare persino posti importanti nella gerarchia sociale [6].
L’astenersi dai tabù musulmani poteva costituire anche una prova di sincerità dei rinnegati. La passione del vino [7], ad esempio, era forte soprattutto negli ex cristiani ed era difficile per loro rinunciare a quest’abitudine, ma il privarsi di questa bevanda permise loro di essere stimati dagli altri musulmani, come nel caso del genovese Osta Morato che, diventando Bey, s’impegnò seriamente alla proibizione del vino in tutto il territorio di Tunisi.
L’appartenenza all’Islam prevedeva, accanto ai tabù alimentari, anche delle regole precise: l’abluzione quotidiana prima della preghiera ad esempio fu un’abitudine sconosciuta in Europa perché c’era la credenza che l’acqua facesse male al corpo [8].
Il rinnegato doveva mostrare poi, che la sua è una convinzione del cuore e doveva accompagnare la dichiarazione di fede con obblighi religiosi: eseguendo le cinque preghiere, osservando il digiuno nel Ramadan, etc …
Ricordiamo, infine, che l’apostata era una figura utile ma perturbante, in quanto veniva da una cultura nemica e nello stesso tempo una cultura ancora più sviluppata, quindi l’aiuto dei convertiti fu di una importanza fondamentale nei vari campi e soprattutto in quello militare, come vedremo.
La vita tra i musulmani
I convertiti di provenienza straniera non rimanevano stranieri e marginali in mezzo alla popolazione d’origine, anche se alcuni di loro vissero in zone periferiche. Essi, infatti, costituirono agenti sociali allogenici e conferivano alle reggenze maghrebine un aspetto di città cosmopolite ed eterogenee. Infatti, il cambiamento di statuto poteva cancellare del tutto il loro passato, e la loro acculturazione si realizzava a poco a poco, col tempo e col contatto giornaliero con i musulmani e con gli insegnamenti arabi che gli furono imposti dalla nuova cultura.
L’aspetto particolare della presenza dei rinnegati italiani nelle tre reggenze fu il loro facile inserimento nel tessuto lavorativo urbano, dove figurano come marinai e capitani di mare, carpentieri all’arsenale, gondolieri, barbieri, facchini, calzolai, artigiani, medici. Furono specialisti di cui il mondo turco aveva bisogno; non si tratta però, di individui ai margini del sistema in una condizione di estraneità, ma di soggetti pienamente integrati nel contesto sociale e produttivo.
Dopo la sua abiura della fede cristiana, Giovanni Battista Guarnieri fece il marinaio; invece il veneziano Andrea de Rossi si guadagnava da vivere come facchino [10]. Tra gli italiani islamizzati, troviamo anche individui di estrazione sociale più elevata, ricordiamo qua un certo Mustafa di origine siciliana, con la carica d’ingegnere; tra i suoi più importanti lavori si segnala la fortificazione della Goletta a Tunisi, entrò poi al servizio di Mohammed Pascià di Algeri, dove disegnò il progetto e diresse la fondazione di borj (fortino) Mohammed Pascià [11]. Ci furono anche dei medici, come il chirurgo Francesco Magnacavalli [12] oppure come Soliman tebib (cioè medico), di origine siciliana che fu chirurgo del bey di Tunisi agli inizi del Settecento [13].
Di esempi come questi ce ne furono tanti, ma il ruolo più importante che i convertiti italiani ebbero nella vita locale fu la loro influenza nell’attività economica. Essi, infatti, costituirono una nuova risorsa nello sviluppo dell’economia degli Stati maghrebini, con la loro funzione di mercanti acquisirono una posizione chiave nelle attività produttive ed erano abili esponenti della vita commerciale, perché grazie ai rapporti di varia natura ch’essi mantennero colla patria, soprattutto colla famiglia e la città natale, molti ebbero la possibilità di estendere il loro commercio ai mercati europei, che era una cosa difficile per gli altri musulmani.
Cercando di ricostruire un’idea sul modo con cui i rinnegati si comportarono in quest’ottica, citiamo l’esempio di Haggi Murad che fu di origine genovese: egli stabilì il suo commercio tra Tunisi e Livorno, e coll’aiuto del fratello riuscì a vendere in Italia i suoi prodotti (pelle di bovini, lana…) e poteva così usufruire di un mercato supplementare e nello stesso tempo comprare merci dall’Italia per venderle nel Nord Africa [14]. Un altro esempio significativo riguarda un ligure, Murad rais, che affidò ad un suo compatriota il compito di effettuare acquisti di vari merci da portare al Nord Africa e di recuperare alcuni crediti da Livorno. Molti dei traffici di questo tipo si sono svolti senza lasciare nessuna traccia. Queste operazioni mettono in rilievo le dinamiche di svolgimento dei rapporti fra l’Italia e il Maghreb o per dire meglio fra Cristianità ed Islam e quindi è legittimo affermare che l’estensione del mercato nord-africano fu in gran parte opera dei rinnegati.
Altri sono andati al di là delle attività commerciali per assumere anche una certa importanza nella vita cittadina; prendiamo l’esempio del messinese Regeb che ebbe il titolo d’ingegnere maggiore, a partire dagli anni trenta del Seicento. Regeb appare come una persona ricca ed autorevole e risulta, in vari atti, come padrone di legni corsari e responsabile della cattura di molte imbarcazioni europee, in maggioranza francesi ed italiane; trattò anche affari per il riscatto di merci e di persone da lui predate, e dal prezzo del riscatto risultano vari personaggi europei di rango elevato. Inoltre, il messinese trattò affari quasi in tutti i campi e appare persino come venditore di tappeti e di barili d’olio, concedendo pure prestiti per il compimento di riscatti o per risolvere altri bisogni [15].
La guerra corsara
Per tutta la durata dell’età moderna vi è stata una grande varietà nel sistema economico del Maghreb. In generale, si può dire che tutto ruotava intorno all’agricoltura, finalizzata prevalentemente all’autoconsumo, ed al commercio come abbiamo detto, ma la fonte di reddito più importante, fu senza dubbio l’attività corsara ed il riscatto degli schiavi che ne derivava, «Renegades were known to engage in the ransom of prisoners» [16]. Questo fenomeno fu di maggior rilievo e ad un certo punto divenne alla base dell’economia delle tre reggenze maghrebine.
La vita dei rinnegati in generale fu molto legata alla guerra corsara. Essi provenivano da tutte le parti dell’Europa, ma osservando bene si può constatare una larga prevalenza italiana sulle altre nazioni: su 22 rais rinnegati ad Algeri, 6 furono Genovesi, 1 Calabrese, 1 Siciliano, 1 Napolitano, 2 Veneziani e gli altri furono di nazionalità diverse (2 Albanesi, 1 Corso, 3 Greci, 1 Ungherese, 2 Spagnoli, 1 Francese e 1 Ebreo algerino) [17]. Vista la superiorità del loro numero possiamo chiederci se gli islamizzati italiani abbiano contribuito più degli altri allo sviluppo tecnico della guerra corsara e in quale misura essi migliorarono il suo rendimento.
Le Galere [18] furono per molto tempo le principali imbarcazioni per corseggiare, grazie alla loro velocità e alla loro efficacia. Il ruolo dei rinnegati italiani nel miglioramento della tecnica navale era quasi inesistente, perché gli Stati maghrebini erano già dotati di questo tipo d’imbarcazioni equipaggiate di cannoni. La grande e sola innovazione che forse può essere attribuita ai rinnegati di origine italiana, riguarda il sistema di navigazione. Dal XIV secolo, i rematori di una stessa banca remavano ognuno con un remo indipendente, ma a partire dagli anni Trenta del Cinquecento, i Veneziani cambiarono questo metodo e i rematori di una stessa barca remavano con un unico remo. Questo metodo fu molto presto adottato da tutte le marinerie mediterranee e forse la penetrazione di questa nuova tecnica di navigazione nel Nord Africa fu opera dei rinnegati italiani [19].
L’uso di questo tipo d’imbarcazione, associato alla nuova tecnica dei Veneziani, diventò molto presto obsoleto, quando verso la metà del XVI secolo apparirono altre imbarcazioni con delle vele come il Galeone, altre dotate di una combinazione tra veli e remi che furono ancora più veloci come la Rowberge degli inglesi: corredata di tre alberi con un Topsail, questa nave fu equipaggiata da un’artiglieria mai vista prima e superiore a tutte le altre imbarcazioni.
All’inizio del XVII secolo le imbarcazioni con le vele sconvolsero profondamente la guerra corsara e così l’uso delle galere diventò sorpassato e pericoloso. A portare la tecnica delle vele a Tunisi fu un certo Ward di origine inglese, lo stesso fece un certo Simone Dansa di provenienza fiamminga ad Algeri fra il 1606 e il 1609. Ciò mostra che la contribuzione dei rinnegati italiani allo sviluppo della tecnica navale fu molto limitata, in confronto ai rinnegati di origine nord-europea, i cosiddetti ponentini come i Fiamminghi e gli Inglesi. Grazie al loro apporto, l’attività corsara si estese fino all’Atlantico che costituì una zona ricca e un circuito commerciale molto seducente per i pirati.
Il contributo italiano fu invece molto importante nel campo tattico. Alla corsa parteciparono i rinnegati più ambiziosi, che furono generalmente quelli più furbi e più coraggiosi; essi potevano superare facilmente i loro compagni di fede per i loro piani d’azione e per la conoscenza dei luoghi colpiti. Moltissimi s’imbarcavano sulla flotta corsara e molti di loro passavano in breve tempo dal remo al grado di Rais. È stato calcolato, infatti, che a metà del ‘600, il 70% dei battelli magrebini erano comandati da rinnegati. Quest’attività garantiva a chi la praticava un mezzo d’azione, di controllo, di dominazione e di prestigio e gli consentiva d’acquisire un’immensa popolarità tra una popolazione profondamente religiosa e convinta di certe virtù come il “Jihad” (guerra santa contro gli infedeli).
Quest’attività fu una fonte di enormi profitti, che ordinò la vita in città, animò i porti, i suoi mercati ed affollò i bagni di schiavi. Il ritorno dei corsari portava abbondanza e stimolava gli affari, riversando nei porti notevoli ricchezze: armi, metalli preziosi, materie prime… Le catture di mare si vendevano all’asta. Di queste ricchezze godettero in primo luogo gli uomini di Stato, vale a dire, il sultano e i membri del Divano, i Raïs e, in misura minore, gli armatori e i membri delle milizie. Possiamo citare ad esempio alcuni nomi famosi come: il siciliano Scipione Cicala, il turco genovese Osta Morato, Mami Ferrarese, Mustafà Rais, Hassan Rais da Trapani, Regelo da Messina capo ciurma e giannizzero …
Il riscatto degli schiavi
Il riscatto degli schiavi fu, infatti, per molto tempo un pilastro fondamentale nell’economia delle tre reggenze tramite il quale i rinnegati svolgevano il redditizio ruolo di mediatori. Infatti, per la padronanza della lingua italiana, essi ebbero il ruolo di traduttori [21] e di intermediari tra i proprietari degli schiavi (che spesso erano loro stessi) e gli ordini dei missionari redentori. Le somme del riscatto potevano a volte essere molto elevate [22].
I missionari erano nella maggior parte dei casi di fronte a persone della loro stessa origine, ma il loro unico interesse era il profitto e quindi non gli furono di nessun aiuto.
Ai rinnegati si indirizzavano spesso i loro parenti per interessarli al riscatto di qualche schiavo, come accadde nel 1610 quando la sorella di Murad Bey, rinnegato di Bastia (Corsica) chiese al fratello di riscattare Louiso Giordano, schiavo a Tunisi di Ramadan Bey. Nel maggio 1621 il rinnegato Murad Rais, per interessamento di una sua conoscenza in cristianità che gli scrisse da Palermo, riscattò la vedova Caterina Campagna di Maiorca, schiava di Haggi Abraccho “capitano dei cavalieri” di Tunisi [24]. Il riscatto degli schiavi fu anche una comoda via tramite cui i rinnegati poterono far pervenire alcune somme di denaro alle loro famiglie in Italia, come nel caso dei due corsi Murad e Regeb, che riscattarono Domenico de Pedro con l’accordo che la somma ad essi dovuta sarebbe stata versata rispettivamente alla madre e alla sorella dei due rinnegati [25].
Le attività degli islamizzati italiani costituirono varie volte delle vere e proprie imprese famigliari italo-maghrebine che vedevano ingaggiati nello stesso affare elementi di una stessa famiglia, in parte musulmana e in parte cristiana, in due continenti diversi, così come il caso del rinnegato Giaffer Genovese Caïd della dogana che, coll’aiuto del cugino che abitava a Marsiglia e del fratello Luca rimasto in Liguria, trattò vari affari per il riscatto degli schiavi e degli scambi commerciali. Sono faccende rilevanti come queste che ci permettono di ricostruire un’immagine più o meno chiara sullo svolgimento di una gran parte dei rapporti informali tra il Nord Africa e l’Italia.
Conclusione
Gli islamizzati italiani ebbero per tutta la durata dell’età moderna il ruolo di mediatori tra due culture diverse, tuttavia la loro sottomissione ai comandamenti dell’Islam e di conseguenza la loro incapacità di contestarli, ha impedito loro di diffondere princìpi cristiani nel campo arabo-musulmano, ma ebbero comunque una grande influenza nella vita locale. Evidentemente, non tutti gli Italiani presenti nel Maghreb hanno fatto carriera, la maggior parte di loro vissero normalmente e del tutto anonimi in mezzo alla popolazione maghrebina, ma bisogna ricordare comunque che la ricchezza permise loro di procurarsi prestigio e di ottenere una possibilità ottimale d’appartenenza e d’integrazione.
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