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“Il fiume ghiacciato” di Mikhail Naimy. L’esordio poetico in lingua russa di uno scrittore arabo
Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2024 @ 03:25 In Cultura,Letture | No Comments
di Francesco Medici
In un suo saggio pubblicato in occasione dei novant’anni di Mikhail Joseph Naimy (Mīḫā’īl Yūsuf Nu‘aymah), l’insigne arabista Francesco Gabrieli (1904-1996) fu il primo in Italia ad adoperare per il grande scrittore libanese la definizione di «triplice anima», alludendo alla triplice lingua e triplice cultura di quest’ultimo: araba, inglese e russa. Se è vero infatti che il mondo anglosassone d’America ha formato la ‘seconda anima’ di numerosi autori della letteratura araba dell’emigrazione d’inizio Novecento, quali ad esempio Kahlil Gibran (Ǧubrān Ḫalīl Ǧubrān, 1883-1931) e Ameen Rihani (Amīn Fāris al-Rīḥānī, 1876-1940), una serie di circostanze che si tenterà nel presente articolo di illustrare mise invece Naimy a contatto con l’ambiente slavo ben prima che egli varcasse l’Atlantico, come molti dei suoi compatrioti tra il XIX e XX secolo, e si stabilisse, seppure non definitivamente, negli Stati Uniti [1].
Naimy nasce il 17 ottobre 1889 [2] da una modesta famiglia di fede greca ortodossa, terzo di sei figli, a Baskinta (Baskintā, talvolta traslitterato anche come Biskinta), un villaggio di 2000 anime a una quarantina di chilometri a nord-est di Beirut, situato sulle pendici del monte Ṣannīn, nell’allora mutasarrifato del Monte Libano, distretto autonomo dell’Impero ottomano a maggioranza cristiana. Nel 1895 inizia a frequentare la scuola confessionale del villaggio natale, composta da un’unica classe tenuta da un paio di insegnanti, dove apprende l’alfabeto arabo e i rudimenti dell’aritmetica. Nel 1899 continua gli studi presso un istituto scolastico fondato a Baskinta dai missionari della Società Imperiale Ortodossa Russa di Palestina. Il corpo docente era costituito da cinque maestri e quattro maestre che impartivano lezioni di grammatica araba, lingua russa, geografia, aritmetica, storia ed educazione fisica.
Grazie all’eccellente profitto, nell’autunno del 1902 lo studente ottiene di proseguire la sua formazione a Nazareth, in Palestina, presso una scuola maschile fondata con gli aiuti della Chiesa ortodossa russa e istituita specificamente per la preparazione dei futuri insegnanti nonché per avviare i giovani al sacerdozio. Uno zio lo accompagna a dorso di mulo fino al porto di Beirut, dove il fanciullo si imbarca su un piccolo piroscafo che lo conduce ad Haifa. Giunge in treno a Nazareth nel mese di dicembre e vi rimane per i successivi quattro anni.
Nuovamente selezionato tra i migliori allievi dell’istituto, nel settembre 1906 parte alla volta della Russia zarista per intraprendere gli studi teologici presso il seminario diocesano della città di Poltava, nell’attuale Ucraina. Il diciasettenne arriva a destinazione dopo un viaggio in nave di due settimane da Beirut fino al porto di Odessa e un paio di giorni di treno. Negli anni seguenti approfondirà la lettura in lingua originale di Puškin, Lermontov, Žukovskij, Nikitin, Nekrasov, Gogol’, Turgenev, Dostoevskij, Čechov, Nadson, Gor’kij, Gusev-Orenburgskij, Belinskij.
A partire dal 23 marzo 1908 inizia a tenere un diario in russo le cui ultime annotazioni si fermano al 21 maggio 1909, per un totale di circa 750 pagine vergate nell’antica ortografia prerivoluzionaria, alcune delle quali, tradotte in arabo, confluiranno cinquant’anni dopo nella sua autobiografia in tre tomi Sab‘ūn: ḥikāyat ‘umr (Settanta: storia di una vita)[3]. Naimy vi riversa tutta la sua passione per la cultura e per gli abitanti del Paese ospitante, con un’attenzione particolare rivolta all’umile e infaticabile classe contadina, ma non tralascia di descrivere i molti mali e contraddizioni di un ormai fatiscente Impero russo a cavallo tra due rivoluzioni (quella fallita del 1905 e quella, ancora da venire, del 1917): le evidenti diseguaglianze e ingiustizie sociali, la crudeltà del sistema feudale, l’inerzia dell’aristocrazia, la povertà di braccianti e operai ridotti a servi della gleba, il dispotismo politico e religioso, la corruzione del clero. Il giovane cerca rifugio in un mondo ideale di semplicità, verità, giustizia e bellezza, e si dedica alla lettura degli scritti etici di Tolstoj.
Nel corso dell’estate del 1909 si concede una vacanza a Baskinta e in quegli stessi mesi si cimenta con la composizione di alcune liriche in lingua russa, quali Rybaki (Pescatori), K stoletiju godovščiny Nikolaja Vasil’eviča Gogolja (Per il centenario dalla nascita di Nikolaj Vasil’evič Gogol’), Son (Sogno) e Pochorony ljubvi (I funerali dell’amore), tutte sistematicamente sottoposte al vaglio di Ivan Vasil’evič Avramenko, il suo docente preferito nella scuola di Poltava nonché suo mentore letterario. I manoscritti originali di alcune di tali opere, tutte rimaste inedite, sono contenuti in un suo taccuino personale dell’epoca, custodito dal 2015 presso la biblioteca dell’Università di Harvard (Cambridge, Massachusetts) [4], mentre altri sono purtroppo andati perduti.
La sua poesia Mjortvaja reka (Il fiume morto), anche nota come Zastyvšaja reka (Il fiume ghiacciato), composta una sera d’inverno dopo una passeggiata lungo il fiume Sulà [5], viene pubblicata nel 1910 sotto lo pseudonimo di «N.-Rêveur» (ovvero «N.-Sognatore», in francese) sul primo numero di «Avrora» (Aurora), periodico non ufficiale del seminario interamente redatto a mano dagli studenti [6]. Sebbene si tratti di versi ancora acerbi, essi costituiscono di fatto l’esordio poetico dell’autore, che a quel tempo non aveva ancora dato alle stampe alcunché nella sua lingua madre. Se ne fornisce qui di seguito un’inedita traduzione in italiano:
Il poeta, che paragona le condizioni in cui versava l’Impero russo a quelle di un fiume congelato e stagnante, sembra quasi profetizzare un’imminente quanto inesorabile rivoluzione. Il componimento, caratterizzato da un ritmo prosastico, è costruito su brevi strofe rimate dense di esclamazioni e allitterazioni. Lo stile è quello tipico dei canti della tradizione contadina russa, in cui il paesaggio naturale si fa scenario dei più profondi sentimenti dell’animo: malinconia, dolcezza, struggimento, smarrimento. Anche il gioco di contrasti e parallelismi e il tema della ciclicità delle stagioni sono peculiari delle canzoni popolari russe. Di particolare interesse al riguardo è pure il ricorso a forme della lingua antica o colloquiale: «staja voronov» («stormo di corvi», presagio di sventura e morte), «pesenki pogrebal’nyja» (i «canti funebri», parte integrante delle cerimonie e dei riti religiosi delle regioni slave orientali, che raccontavano sia l’esistenza terrena del defunto sia la sua nuova vita in cielo), «Rus’ Matuška» («Madre Russia»), «krasno solnyško» (letteralmente «sole rosso», nell’accezione di «sole bello»).
Benché retto da una severa e gretta disciplina interna, l’istituto di Poltava lasciava tuttavia agli allievi una certa libertà di movimento e di relazioni sociali: per il poeta in erba risalgono a quel periodo le prime frequentazioni di spettacoli teatrali, balletti, eventi artistici e culturali, nonché le sue prime avventure amorose con alcune ragazze del luogo, tra cui una certa Varja, sorella sposata di Aljoša, un compagno di studi. Sfortunatamente, solo qualche tempo dopo la pubblicazione di Mjortvaja reka, il ragazzo resta coinvolto in una protesta studentesca che, per decreto del Santo Sinodo, gli costa l’espulsione dal seminario. Deve così preparare l’esame finale da privatista e ottiene il diploma nel marzo 1911. Non intenzionato a ordinarsi sacerdote, lascia Poltava e all’inizio di aprile fa ritorno a Baskinta.
Nel mese di novembre si lascia convincere da uno dei fratelli maggiori a seguirlo negli Stati Uniti e si stabilisce a Walla Walla (Washington). Nell’ottobre 1912 si iscrive alle facoltà di letteratura inglese e giurisprudenza dell’Università del Washington, a Seattle. Nel 1913 sul numero di luglio del mensile newyorkese in lingua araba «al-Funūn» (Le arti), appena fondato da Naseeb Arida (Nasīb ‘Arīḍah, 1888-1946), compagno di studi a Nazareth dal 1902 al 1904 [8], compare il suo primo articolo: un’entusiastica recensione al romanzo al-Aǧnīhạh al-Mutakassirah (Le ali spezzate) [9] del connazionale Gibran, dal titolo Faǧr al-amal ba‘d layl al-yā’s (L’alba della speranza dopo la notte della disperazione) [10]. A partire dal numero di novembre del medesimo mensile, destinato a diventare in breve tempo l’organo di stampa ufficiale della letteratura araba d’emigrazione, inaugura la rubrica al-Ši‘r wa al-šu‘arā’ (La poesia e i poeti), in cui illustra il ruolo rivestito dalla poesia e dai suoi principali esponenti nel panorama della storia della letteratura araba.
Il 14 giugno 1916 consegue la doppia laurea negli studi giuridici e letterari. Il 18 agosto si dimette dall’impiego di vicesegretario presso il Consolato russo a Seattle e in ottobre si trasferisce a New York, dove incontra il poeta-pittore Gibran, di cui diviene intimo amico. Quest’ultimo, come tutta la cerchia dei suoi sodali più stretti, suole chiamarlo affettuosamente «Mischa» (Miša), in riferimento al periodo trascorso in Russia. Per sostentarsi a New York, lavora prima come semplice impiegato negli uffici della Marina Mercantile Russa, poi come viceispettore per conto della delegazione russa presso la “Bethlehem Steel Co.”, con sede nell’omonima cittadina in Pennsylvania, una ditta di forniture d’acciaio che riceveva molte ordinazioni per l’acquisto di armi da parte del governo zarista. Nonostante la discreta retribuzione economica, l’impiego gli causa una profonda crisi di coscienza: confesserà anni dopo di non poter sopportare il fatto che il pane che si guadagnava fosse intriso del sangue di migliaia di giovani che morivano al fronte e bagnato delle lacrime dei loro cari in tutto il mondo. Dal mese di dicembre inizia a pubblicare a puntate su «al-Funūn», di cui era divenuto intanto coeditore, una pièce in quattro atti dal titolo turgeneviano al-Abā’ wa al-banūn (Padri e figli) [11].
Sul numero di febbraio 1917 di «al-Funūn» esce al-Nahr al-mutaǧammid (Il fiume ghiacciato), rimaneggiamento in arabo dell’omonima lirica composta in russo sette anni prima, che sarà poi inclusa quasi un trentennio più tardi nella silloge Hams al-ǧufūn (Bisbiglio di palpebre) [12]. L’anno di pubblicazione di questa sua prima poesia in arabo coincide, per una fatale coincidenza, con quello della dissoluzione dell’Impero zarista che l’autore aveva conosciuto negli anni giovanili. Anche di tali versi, come per quelli in russo, si propone qui di seguito una traduzione altrettanto inedita in italiano:
La composizione si attiene, almeno in parte, a uno dei metri tradizionali della poesia araba classica denominato kāmil, seppure con qualche licenza, ma risente anche dell’influenza di forme metriche occidentali come il distico eroico di matrice inglese, che aveva goduto di una certa popolarità nel XIX secolo. Nel passaggio dal russo all’arabo, viene espunto dalla lirica ogni riferimento alla Russia – ai suoi abitanti, alla sua cultura, ai suoi elementi naturali (per esempio, il vocabolo «step’» [«steppa»] viene sostituito da «al-ḥadā’iq wa al-zuhūr» [«i giardini e i fiori»]) –, e il testo assume un carattere più intimo: il fiume ghiacciato, qui privo di denominazione, si fa esclusivamente metafora della crisi interiore del poeta, della sua condizione di isolamento tra gli altri esseri umani.
Con l’obiettivo di promuovere l’arruolamento volontario dei siro-americani al fianco delle forze alleate, nel maggio 1917 viene fondato a New York il Comitato per la Liberazione della Siria e del Monte Libano (in inglese Syrian-Mount Lebanon League of Liberation, anche noto come Syrian-Lebanese League of Liberation o Syrian-Mount Lebanon Volunteer Committee), i cui segretari sono Gibran, per la corrispondenza in lingua inglese, e Naimy, per quella in arabo. Con la Rivoluzione d’ottobre, e quindi con il ritiro della Russia dal conflitto e la conseguente interruzione di qualsiasi rapporto tra gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica, si conclude anche la sua esperienza lavorativa presso la “Bethlehem Steel Co.”. Lasciata la cittadina di Bethlehem, all’inizio del 1918 torna a vivere a New York. Arruolatosi volontario nell’esercito statunitense, il 25 maggio riceve la chiamata alle armi (il suo reclutamento era stato differito a causa dell’impiego presso la “Bethlehem Steel Co.” che, come detto, forniva armamenti agli alleati russi) e viene destinato al fronte franco-tedesco.
Nell’autunno del 1909 ritorna a New York, dove si riunisce ai suoi colleghi di «al-Funūn», e inizia a svolgere i più disparati lavori saltuari per sostentarsi. Il 28 aprile 1920, insieme a una decina di scrittori siro-libanesi, è tra i fondatori a New York di al-Rābiṭah al-Qalamiyyah (Vincolo della Penna), nota in inglese semplicemente come Arrabitah, un’associazione letteraria presieduta da Gibran, di cui egli viene nominato segretario e della quale stila lo statuto ufficiale. In questi anni stringe la sua collaborazione con i periodici newyorkesi «al-Sā’iḥ» (Il viaggiatore) – fondato nel 1912 a New York dai fratelli siriani Nadrah Ḥaddād (1881-1950) e ‘Abd al-Masīḥ Ḥaddād (1890-1963) – e «The Syrian World» (Il mondo siriano) – primo mensile arabo-americano in lingua inglese, fondato nel 1926 da Salloum Mokarzel (Sallūm Mukarzil, 1881-1952) –, nonché con diversi quotidiani e testate nazionali.
Naimy con l’autore sovietico Konstantin Aleksandrovic Fedin, presso la Casa degli scrittori a Mosca, 1956
Il 19 aprile 1932 lascia per sempre gli Stati Uniti per fare ritorno in patria, con 500 dollari in tasca e una profonda delusione verso la civiltà americana, completamente asservita, a suo dire, al dio denaro. Rientrato in Libano, fa voto di castità e si dà alla vita ascetica, ritirandosi in un eremo presso una località montana non lontana da Baskinta e denominata Shakhroub (al-Šaḫrūb), dove continua infaticabilmente a scrivere e a pubblicare racconti, romanzi e contributi vari in arabo e in inglese.
Nel 1956 partecipa a Beirut a una cerimonia per il 75° anniversario della morte di Dostoevskij, a seguito della quale, in agosto, su invito della Lega degli Scrittori Sovietici, si reca per tre settimane in Russia, dove torna a visitare dopo quarantacinque anni i luoghi che aveva frequentato in gioventù, ormai profondamente trasformati dalla rivoluzione: oltre a Mosca, Leningrado (San Pietroburgo), Stalingrado (Volgograd) e Kiev, rivede Poltava, il cui antico seminario era divenuto una casa della cultura e la chiesa una sala per conferenze.
Nel suo saggio pubblicato a Beirut l’anno successivo dal titolo Ab‘ad min Mūskū wa min Wāšinṭun (Oltre Mosca e Washington) [13] scriverà al riguardo: «Non biasimo il comunismo per aver stigmatizzato una tal fede (quella dei riti cristallizzati, della superstizione e dello sfruttamento dei credenti); lo biasimo per aver stigmatizzato ogni fede, e aver cercato di imporre l’ateismo, dimenticando così di fare del suo stesso ateismo una fede, in nulla differente da quella che esso combatte» [14]. Si rammarica inoltre di non aver potuto incontrare di persona il grande arabista Ignatij Kračkovskij (1883-1951) – anche noto tra i conoscenti arabi con lo pseudonimo «Ġanṭūs al-Rūsī» (Ġanṭūs [diminutivo di Ignatij in dialetto libanese] il russo) –, deceduto pochi anni prima, che già dagli anni Venti si era interessato alle sue opere letterarie [15] e con cui egli aveva intrattenuto per anni una lunga e intensa corrispondenza epistolare. Nel 1962 rivede Mosca per l’ultima volta in qualità di partecipante alla Conferenza Internazionale di Pace organizzata nella capitale russa.
ll 28 febbraio 1988 Naimy muore poco meno che centenario di infezione polmonare a Zalka (Zalqā), sobborgo a nord di Beirut, nell’appartamento dove aveva trascorso i suoi ultimi vent’anni di vita circondato dalle cure amorevoli della nipote May Najeeb (Mayy Naǧīb, 1924-2014) e della pronipote Suha Haddad (Suhá Haddād), meglio nota come Suha Naimy (Suhá Nu‘aymah). A partire dal 1958 fino ai giorni nostri l’URSS prima e successivamente la Federazione Russa e l’Ucraina non hanno mancato di rendere onore allo scrittore del Paese dei Cedri attraverso innumerevoli traduzioni delle sue opere [16], celebrazioni, eventi e conferenze. In occasione del centenario della nascita, dal 24 al 26 aprile 1989, si tiene a Poltava un convegno sull’autore a cui partecipano alcuni tra i maggiori arabisti sovietici quali la russa Anna Dolinina (1923-2017) e l’azera Aida Imangulieva (1939-1992) [17]. Il 29 ottobre 2011, nella medesima città, viene inaugurato da Yūsuf Ṣādiq, ambasciatore del Libano in Ucraina, un monumento a lui dedicato. Nel novembre 2019, in occasione dei 130 anni dalla nascita, la Casa Libanese di Mosca (associazione nota in arabo come al-Bayt al-Lubnānī, in russo come Livanskij Dom) gli dedica un convegno internazionale, mentre, sempre a Mosca, dall’11 novembre al 9 dicembre, la Biblioteca Nazionale Russa (Dipartimento di Letteratura dell’Asia e dell’Africa) ospita una mostra delle prime edizioni in arabo di alcune delle sue opere insieme alle relative traduzioni in russo.
Tra le pagine più suggestive dell’autobiografia di Naimy figurano senz’altro quelle in cui l’autore racconta di come e quando ebbe inizio la sua ‘esperienza russa’, cioè con la fondazione della scuola ‘moscovita’ nel suo misero villaggio natio, «sotto lo sguardo tollerante e incurante del regime ottomano» [18]:
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