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Il matrimonio. Appunti per un’antropologia autobiografica del rito
Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2023 @ 00:49 In Cultura,Società | No Comments
di Sabina Leoncini
Patrimonio o matrimonio?
«Le parole fanno le cose» afferma Paolucci (2009) citando Bourdieu. Pensiamo all’etimologia dei termini patrimonio e matrimonio. Il dizionario online Treccani definisce così il patrimonio: «patrimònio s. m. [dal lat. patrimonium, der. di pater -tris «padre»]. – 1. a. Il complesso dei beni, mobili o immobili, che una persona (fisica o giuridica) possiede» [1].
Come se, quindi, il primo dovere dell’uomo in quanto tale fosse proprio quello di preoccuparsi dei propri beni materiali. A questo punto viene da chiedersi, qual è invece il compito della donna? «La parola italiana matrimonio continua la voce latina matrimonium, formata dal genitivo singolare di mater (ovvero matris) unito al suffisso -monium, collegato, in maniera trasparente, al sostantivo munus ‘dovere, compito’» [2] Dunque “matrimonio”, rispetto ad altri termini che vengono correntemente impiegati con significato affine, pone, almeno in origine, maggiore enfasi sulla finalità procreativa dell’unione: l’etimologia stessa fa riferimento al “compito di madre” più che a quello di moglie, ritenendo quasi che la completa realizzazione dell’unione tra un uomo e una donna avvenga con l’atto della procreazione, con il divenire madre della donna che genera, all’interno del vincolo matrimoniale, i figli legittimi.
Il compito della donna è quindi quello (etimologicamente parlando) di procreare e accudire i figli. Dopo decenni di lotte femministe e il fiorire di una letteratura internazionale scientifica sterminata sugli stereotipi di genere, che secondo alcuni studiosi sono presenti sin dall’età scolare (Guerrini 2017), ancora oggi utilizziamo, più o meno consapevolmente, alcuni termini della nostra lingua che hanno un significato etimologico con una chiara connotazione maschilista. La famiglia, tra l’altro, come istituto e concetto in cambiamento è stata indagata da tutte le scienze umane, in epoche diverse fino a oggi, a livello pedagogico (Catarsi 2009), psicologico (Fruggeri 2018), sociologico (Ruspini 2011), antropologico (Grilli 2019). Vorrei soffermarmi in questa riflessione in particolare sul matrimonio, sul suo significato rituale, sull’esperienza stessa dell’organizzazione e del vissuto di un evento che nasconde in sé storie, come la mia, ognuna diversa.
«Che storia, quella del matrimonio.»
Appare oggettivo il fatto che si assista quindi ad una secolarizzazione di tutte le sfere del vivere quotidiano, e che alcuni riti religiosi, spesso legati anche ai miti (Lanternari 1997) siano divenuti oggi riti secolari. Il rito – è noto – presuppone una sequenza prestabilita di azioni che si ripetono sempre attraverso la stessa modalità e che sono connessi ad un significato simbolico. Come Durkheim ha descritto in maniera magistrale (Dei 2019) i riti, che siano essi individuali o collettivi, esprimono significati sociali e condivisi. Essi hanno altresì la funzione di suscitare emozioni che conservano sentimenti collettivi identitari.
Se accettiamo la prospettiva del sociologo francese rispetto all’utilità dei riti, quella di Geertz e Cassirer risale alla definizione di cultura (compito da sempre dell’antropologia culturale) vista come insieme di simboli. Per mantenere la sacralità di tali simboli è necessario mettere in atto dei riti. Che siano religiosi o laici prevedono la celebrazione, la ripetitività, la partecipazione della collettività, il passaggio da uno status all’altro, fasi e paradigmi studiati in particolare da Van Gennep (1909). A proposito del rito del matrimonio civile e religioso in Italia oggi apprendiamo che:
La mia però è un’altra storia…
Quando si parla di matrimonio oggi in Italia, nel senso comune subito si pensa ad una cerimonia in cui due persone che si amano decidono di suggellare il loro rapporto tramite il rito civile o religioso in cui solitamente avviene lo scambio delle fedi nuziali come simbolo dell’unione; a questo segue solitamente un pranzo o una cena, alla quale partecipano gli invitati, che osservano tutti un certo “dress code”, tra cui parenti e amici convocati insieme per il brindisi finale con tanto di taglio della torta, foto ricordo e bacio degli sposi. Un quadro prescrittivo, da cartolina, anzi da immancabile servizio fotografico. Cosa rimane all’invitato altre al ricordo dei momenti salienti? La bomboniera, un suppellettile spesso e volentieri made in China che per qualche giorno viene conservato tra i cimeli di famiglia….fino al prossimo matrimonio! Nella mia esperienza il rito del matrimonio è stato ben diverso.
Ad ottobre 2022 a mio padre, pensionato ottantenne, lavoratore stakanovista dall’età di 11 anni (non ha neanche finito l’allora scuola elementare) è stato diagnosticato un tumore alla prostata, ormai in fase avanzata, con metastasi sparse un po’ ovunque, tanto da impedirgli oramai di camminare. Ho visto sempre mio padre come il più forte dei supereroi, un misto tra Marvel e DC. Impavido come Spiderman, forte (e con le stesse camicie) come l’incredibile Hulk, aggirarsi sempre di notte come Batman per sconfiggere le ingiustizie (il carovita, l’inflazione, i piccoli prestiti da saldare, la grandine che rovina i raccolti di uva e olive). Forte, invincibile, unico. Ovviamente con i suoi pregi e i suoi difetti, tra i quali mi preme sottolineare il suo scrivere sgrammaticato, non aver imparato mai a nuotare (tra i supereroi non a caso ho escluso subito Acquaman), non averci mai portato in vacanza. Per lui la vacanza era stare tra le sue amate colline pisane, all’aria aperta, con un panino al prosciutto all’ombra di un ciliegio, con un cappello da cowboy in testa, proprio come faceva suo padre un tempo, prima di ricominciare a lavorare.
Dopo la diagnosi i medici, come spesso succede per tutelarsi, hanno detto a me e mio fratello che avrebbe vissuto solo alcuni mesi. Non dovevamo farci troppe aspettative. A noi la decisione su se, come, cosa dirgli. Da quel periodo sono cambiate le nostre abitudini (i nostri riti appunto), niente più trekking sulle Apuane o weekend al mare. La domenica si va a visitare mio padre. Nel mio giorno libero a scuola un susseguirsi di visite, esami, medicine da ordinare, iniezioni per rallentare la crescita del tumore, la visita per la certificazione dell’invalidità, la carrozzina con le ruote grandi e poi quella elettrica, la badante che scappa perché non va d’accordo con lui e mia madre, e mia madre che piange ininterrottamente…
Arriviamo così a Natale 2022, anzi al mio compleanno che ricorre pochi giorni prima e da sotto il cuscino prima di dormire il mio compagno tira fuori una scatolina e mi dice: «Questo non è un regalo, i regali sono finiti….questa è una proposta! Avrei voluto farlo con calma tra qualche mese, ma viste le condizioni di tuo padre, meglio farlo adesso: mi vuoi sposare?».
Cosa ho provato in quel momento non so spiegarlo con le parole: un misto di tristezza profonda come un abisso buio e infinito, per la paura di perdere mio padre prima del giorno del mio matrimonio. D’altra parte, la gioia sconfinata di immaginarmi accanto a lui nel giorno più bello della mia vita, con le persone che amo, a bere e fare festa fino a che la testa gira, gira e gira. Infine la dolcezza, la tenerezza del mio compagno che non avrebbe potuto chiedermelo diversamente, in maniera al tempo stesso così delicata e forte.
Da lì si è messa in moto la macchina del matrimonio ed inizia questa delirante storia, che è un pezzettino della mia vita durato quattro mesi, fatta di assaggi al ristorante, perle, tamponamenti, bottoni strappati. Non c’era tempo per niente, neanche per pensare al significato di questo rito come mi sto concedendo di fare solo adesso. Fissata la data, 29 aprile, quattro mesi dopo appunto, le cose da fare erano tante e le energie non molte, vista la stanchezza emotiva che la diagnosi di mio padre ci aveva prodotto.
Il nostro è stato un matrimonio “romantico” come direbbero alcuni antropologi, poiché l’idea che si sposi una persona a cui si vuole bene, che non sia stata prima scelta dalla propria famiglia, o dal clan, o dalla tribù, è oggi qualcosa che diamo per scontato ma non è così ancora nel 2023 in alcune parti del mondo [5]. I matrimoni combinati sono infatti oggi ancora diffusi e addirittura si preferisce sposarsi all’interno della propria cerchia di parentela per numerosi motivi (Fabietti 2002). Tra i Nuer del Sudan, per esempio, studiati negli anni Trenta da Edward Evans-Pritchard (1940), si formavano anche famiglie basate sulla coresidenza di due donne e dei loro figli; in Tibet ancora oggi può capitare di osservare situazioni di poliandria adelfica. Il matrimonio talvolta può essere anche solo uno scambio economico o sociale (Levi Strauss 1949). Chissà, forse sui manuali di antropologia troveremo tra venti o trent’anni le ricerche di chi si è occupato dei matrimoni di chi, come me e il mio compagno aveva già un figlio con un precedente partner. L’Istat definisce la nostra condizione come “famiglia ricostituita coniugata”.
In questo tipo di famiglia partecipano al matrimonio anche i relativi ex partner, con gli attuali partner e gli attuali figli? Nel nostro caso sì; non perché lo indica il vademecum di matrimonio.com [7], noto sito in cui si trovano tutti i consigli per organizzare un matrimonio ma perché i nostri figli hanno espresso questa volontà. E qui entra in gioco il concetto di consenso, sia per chi decide di sposarsi, sia per chi ne è coinvolto seppur in maniera indiretta. La consapevolezza che, come conferma Malo (2015), ancora oggi nonostante le mille precarietà dell’esistenza umana, si possa ancora impegnarsi insieme ad altre persone: il partner, i figli, i genitori dei propri figli.
Scelte pratiche
A quasi sessant’anni dalla pubblicazione del celebre L’uomo a una dimensione (1964) di Marcuse, varie crisi economiche ed emergenze sanitarie, sui principali quotidiani italiani si parla di cifre da capogiro per la realizzazione di un matrimonio [8]. Un “indotto”, quello dei matrimoni, che coinvolge l’1% circa della popolazione ma che se veramente ha i costi che indicano i media più importanti avrebbe una spesa di miliardi di euro.
Ovviamente il nostro voleva essere un matrimonio semplice, sobrio, all’insegna della sostenibilità. Volevamo affidarci ad un catering solidale ma per esigenze logistiche legate allo stato di salute di mio padre abbiamo dovuto scegliere un agriturismo nella zona dove abitano i miei genitori; ovviamente con prodotti a km zero. Per le bomboniere ci siamo affidati a due associazioni, una che lavora con disabili psichici e realizza piccoli manufatti di ceramica e l’altra che collabora con associazioni locali africane con bambini che cercano di realizzare laboratori di danza. Per le fedi abbiamo scelto di non utilizzare l’oro ma ci siamo rivolti ad una associazione che riutilizza scarti di bombe inesplose risalenti alla guerra del Vietnam. Il servizio fotografico è stato affidato ad amici che per passione fotografano, mentre il vestito l’ho acquistato da una nota ONG. italiana che vende abiti usati e con il ricavato finanzia progetti di cooperazione in Paesi emergenti. Per le partecipazioni ci siamo fatti aiutare da un’amica e abbiamo stampato pochissime copie, diffondendo tramite social per evitare spreco di carta; abbiamo deciso di evitare la torta nuziale (con grande e martellante protesta di genitori e suoceri) preferendo gelato artigianale di vari gusti (considerando allergie e intolleranze degli invitati). Per il viaggio di nozze abbiamo scelto l’Albania (non sono mancate reazioni di disapprovazione dei parenti) con voli low cost ma dove ci siamo concessi una vera luna di miele viaggiando con macchina a noleggio da Nord a Sud.
Conclusioni: il dono nel matrimonio
Sposarsi significa ancora oggi soprattutto donare. Condividere la propria gioia con i propri cari, aver cura del fatto che mangino, bevano in abbondanza e che si divertano (questa è la principale preoccupazione delle famiglie degli sposi). Ovviamente d’altra parte c’è per gli sposi un ritorno economico non da poco che oggi non è più la busta chiusa come nei matrimoni ad Andria o in Calabria [9] ma il bonifico sul conto degli sposi come anche noi abbiamo invitato a fare, per poter poi usufruire di questi fondi per il viaggio di nozze o per investirli in oggetti necessari per la convivenza (ad esempio un tagliaerba o un tagliasiepe).
Facendo un salto agli anni ’20 del secolo scorso, l’antropologo francese Marcel Mauss, decise di avviare delle ricerche etnografiche sul dono, indagando sul suo ruolo soprattutto nelle società “arcaiche”. Sintetizzò i risultati delle sue ricerche nel Saggio sul dono, uscito nel 1923, destinato a diventare testo fondamentale dell’antropologia contemporanea. Mauss nel suo lavoro osserva che il dono non è una pratica effimera alla quale ci si dedica per far felice il prossimo, è invece un fatto sociale con regole ben precise, importantissimo per la nascita e la tenuta dei legami sociali. La concezione cristiana ha sicuramente influenzato il concetto di dono, come anche gli scambi di natura commerciale onnipresenti nella società contemporanea, che ci portano fino alla globalizzazione.
Nel matrimonio però è rimasta la concezione maussiana del dono come un “fatto sociale totale”, ossia un qualcosa che influenza diversi aspetti di una società: quelli pratici, economici, affettivi, religiosi. Il dono infatti è un vero e proprio meccanismo di scambio, e la sua particolarità non è quella di essere uno scambio disinteressato o di non mirare all’utile, ma quello di non tenere distinto l’ambito produttivo da quello etico-affettivo. Aspettarsi che il dono venga ricambiato vuol dire infatti avere fiducia e rispetto di un patto sottinteso, di un’alleanza sottaciuta. Questo ci permette di costruire rapporti e legami sociali (non si ha fiducia in chiunque). Nel semplice scambio monetario o acquisto su internet questa dimensione è quasi del tutto oscurata. D’altra parte, si responsabilizza le persone a dover ricambiare nel tempo un dono in maniera congrua o equivalente. Il dono quindi ci impone di rimanere uniti, in contatto ad esempio con parenti che vediamo o sentiamo poco.
Sono passati otto mesi, la situazione di salute di mio padre è stazionaria. Col senno di poi ho pensato che avremmo potuto organizzare il matrimonio con più calma e curando di più i particolari (ad esempio non abbiamo utilizzato nessun addobbo per il comune o per l’agriturismo, se non delle piantine aromatiche come centro tavola). Nonostante avessimo potuto spendere molto di più, impegnarci molto di più, ciò che per noi era importante di questo rito, ovvero donare a mio padre, ad amici, parenti e a noi stessi una giornata indimenticabile è quello che siamo riusciti a fare e rimarrà nelle nostre memorie, come “fatto sociale totale”.
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