- Dialoghi Mediterranei - http://www.istitutoeuroarabo.it/DM -
Io, Charles Didier, e la “Recherche du temps perdu” di Marcel Proust
Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2015 @ 00:21 In Città,Cultura | 2 Comments
di Giovanni Falcetta
Ho conosciuto lo scrittore franco-svizzero Charles Didier per un fortuito caso o per una predestinazione? Non saprei dirlo con certezza. So solo che, come per tutti gli esseri umani, talora, nella vita, accadono avvenimenti “curiosi”, apparentemente “casuali” ma che, se vi riflettiamo con il senno del poi, ci rivelano delle sorprese. Sono avvenimenti collegati in qualche modo, talvolta misterioso, alla nostra vita individuale o collettiva presente e futura. Per la mia conoscenza di Didier voglio pensare a questa corrispondenza (vedi le Correspondances di Carles Baudelaire) che, forse, ha anche qualche risvolto psicoanalitico. Negli anni ’70 -’71, un giorno mi trovavo alla Biblioteca Comunale del mio paese natale, Castelvetrano, a preparare la mia tesi di laurea in Storia moderna incentrata sullo studio della Platea di Castelvetrano del Noto[1], quando, per caso, mi imbattei in un romanzo tradotto dal francese, ai primi del ’900, Carolina in Sicilia, di Charles Didier, dove lessi questo strano incipit:
Molto incuriosito, ed anche un po’ eccitato per la mia scoperta, mi avventurai a leggere altre pagine del testo. Era un romanzo d’appendice tipicamente francese, il celebre feuilleton, il cui intreccio, piuttosto farraginoso e contorto, descriveva l’improbabile passione d’amore tra Maria Carolina d’Austria, regina delle Due Sicilie, esiliata dagli Inglesi, nel 1812, proprio a Castelvetrano, allora sessantenne, (il marito, il re Ferdinando di Borbone era stato relegato in una villa al bosco della Ficuzza) e un giovane suo capitano trentenne di nome Fabio che abitava in una casetta nei pressi di Campobello di Mazara. Ma quel giorno, più che la storia romanzesca mi colpì il fatto che essa fosse stata ambientata a Castelvetrano. Lessi, ancora:
Maria Carolina d’Austria (illustrazione tratta dall’edizione italiana del romanzo di Didier – Medicina 1885)
Da allora, con abbandoni e riprese, ho cercato di conoscere meglio l’autore di questo romanzo, divenutomi “familare”. Ho consultato decine di storie della letteratura francese e svizzera, enciclopedie, etc. Dopo aver scoperto che Didier era amico di parecchi protagonisti del Risorgimento italiano, come Mazzini, Guglielmo Pepe, Gian Pietro Capponi, Gian Pietro Viesseux, Michele Amari, ho consultato le opere di questi ultimi, i loro carteggi e vi ho trovato interessantissime informazioni sulla vita e le opere dello scrittore franco-svizzero e, soprattutto, sul suo intenso «rapporto d’amore» con l’Italia e, per me, siciliano, particolarmente con la Sicilia. La mia ricerca, così, negli anni 1979-1980, mi ha portato prima a Ginevra e, poi, a Parigi.
Avevo, per caso, scoperto che in Svizzera, nei dintorni di Ginevra, viveva ancora un discendente di Charles Didier, un suo lontano nipote, il notaio Pierre Lacroix. Ne trovai l’indirizzo e gli scrissi una lettera accorata nella quale gli chiesi notizie più approfondite sulla vita e l’opera del suo antenato. Egli, nonostante il suo carattere burbero e la gelosia con cui custodiva alcuni manoscritti di Didier, dopo parecchie mie insistenze, mi permise di consultare il Journal (il Diario) dello scrittore, conservato alla Biblioteca universitaria di Ginevra, ma sotto la sorveglianza attenta del bibliotecario che l’aveva in affidamento speciale, il dottor Philippe Monnier.
Poi, in un bellissimo villaggio nei pressi di Ginevra, con le case in legno, un po’ in stile medioevale, conobbi Madame Luc Monnier, discendente di un altro scrittore svizzero dell’Ottocento, Marc Monnier, anche lui innamorato dell’Italia e della Sicilia ed amico di Charles Didier. Madame Monnier mi accolse con molta gentilezza e disponibilità. Mi fece entrare in un soggiorno situato su due piani “open” pieni zeppi di scaffalature in legno pregiato che contenevano migliaia di volumi rilegati in cuoio con i titoli in copertina incisi in oro. Mi offrì il tè e dei biscotti. Parlammo a lungo e liberamente… Mi diede le informazioni che aveva su Didier. Successivamente, da Ginevra mi spostai a Parigi, per ricostruire, cercando documenti nelle biblioteche e negli archivi della città, la vita di Didier in Francia. Trovai, così, all’Institut de France, una copia ridotta del Journal dello scrittore, e, poi, alla Bibliothèque de l’Hotel de Ville, un importante documento sui rapporti tra Didier e il siciliano Michele Chiarandà, barone di Friddani, allora residente a Parigi, presso la cui casa si riunivano spesso molti patrioti soprattutto siciliani, allora esuli nella capitale francese e, tra questi, il celebre storico ed arabista Michele Amari, che aveva trovato lavoro alla Bibliothèque Nationale, allora sita ancora in Rue de Richelieu.
A questo punto, che cosa c’entra Proust, Freud e, possiamo aggiungere, anche Jung, con il rapporto che, con gli anni, ho costruito, tra me e Charles Didier? È molto semplice. Forse il mio primo incontro con lui e la sua opera letteraria non è stato del tutto “casuale”. È probabile, cioè, che, attraverso le linee misteriose, impreviste, tortuose, archetipiche, dell’inconscio individuale (Freud) e collettivo (Jung), io ero, forse “predestinato” ad incontrare Didier, quel giorno degli anni ’70, alla Biblioteca Comunale di Castelvetrano.
È probabile, altresì, che la mia ricerca tortuosa, ma costante, della vita e dell’opera di Charles Didier, che mi ha fatto ripercorrere, al contrario, da Castelvetrano in Svizzera e in Francia, il suo viaggio in Italia, è stata determinata, in un certo senso, anche “inconsciamente”, “proustianamente” dalla mia ricerca, indilazionabile, del tempo perduto, del passato della Sicilia ma, anche, del passato del mio essere siciliano e nativo di Castelvetrano.
La vita e le opere di Charles Didier
Charles Didier nacque a Ginevra il 15 Settembre 1805. Il 15 settembre 1821 cominciò a scrivere versi. Presto fece parte dell’ambiente letterario prima svizzero, poi francese. Infatti si trasferì a Parigi dove, il 25 Novembre 1830, conobbe Victor Hugo.
Egli collaborò, così, alla “Revue Encyclopédique” e alla “Revue de Paris”. Successivamente scrisse su altri giornali parigini, in particolare su le “Courier Francais”, “Droit”, “Le Monde”, “National”, “Revue du Progrès”, “L’État”, “Credit”. Strinse amicizia, anche, con altri celebri scrittori, come Chateubriand, Sainte-Beuve, Alexandre Dumas, Alfred de Musset. Honoré de Balzac, Georges Lamennais, Alphonse de Lamartine, Heinrich Heine, George Sand e con i musicisti Franz Liszt, Frederich Chopin e Hector Berlioz. Didier divenne amico anche dei patrioti italiani in esilio in Francia e in Inghilterra come Giuseppe Mazzini, Michele Amari, Guglielmo Pepe[4], Michele Palmieri di Micciché, Michele Chiaranda barone di Friddani e molti altri.
E ancora, per sottolineare la sua conoscenza diretta delle popolazioni, così descrisse il Regno delle Due Sicilie:
Didier s’innamorò dell’Italia al punto che ne ebbe sempre un’intensa nostalgia. Sostenne con passione la causa dell’indipendenza italiana e il suo contributo al nostro Risorgimento così gli è stato riconosciuto, con parole di sincera riconoscenza, da Giuseppe Mazzini:
Charles Didier, inoltre, ha avuto l’importante primato di aver fatto conoscere in Francia l’opera poetica di Giacomo Leopardi in una recensione dei suoi Canti, pubblicata con le iniziali «S.R.» sulla “Revue Encylopédique” del gennaio 1833. La notizia, purtroppo, non ebbe molta eco, nell’immediato, ma aprì un percorso conoscitivo sul poeta di Recanati, percorso sviluppato, poi, da un importante saggio a cura di Alfred de Musset, amico di Didier.
Parecchie sue opere letterarie sono ispirate all’Italia. Nel giugno 1831 egli pubblicò, nella “Revue Encyclopédique”, un’appassionata Notice sur le Royaume de deux Siciles dove descrisse, con un’attenta analisi, le condizioni politiche e sociali del Sud Italia sotto il governo borbonico. Ancora, lo stesso anno, a gennaio, aveva pubblicato Coup d’oeil sur la statistique morale et politique de l’Italie sulla “Revue Encyclopédique”, Les Capozzoli et la police napolitaine sulla “Revue de Deux Mondes” e Souvenirs de Calabre dove egli ci dà notizie sulle locali comunità albanesi[10].
Didier scrisse anche un vero e proprio reportage sul Sud Italia, dapprima pubblicato in diverse riviste, poi, finalmente, con i contributi di altri autori, fu incluso in un volume dal titolo L’Italie pittoresque (Parigi 1846). Nel gennaio 1832 egli aveva scritto un saggio politico Les trois principes: Rome, Vienne, Paris, con la prefazione di Giuseppe Mazzini. Nel 1842 apparvero Campagne de Rome e Chants populaires de la Campagne de Rome, nel 1844 Moeurs calabraises et siciliennes. Tra i romanzi “italiani”, ricordiamo Rome Souterraine, con la prefazione di Giuseppe Mazzini (Parigi 1833), il cui tema è il mondo segreto della Carboneria italiana, e Caroline en Sicile (Bruxelles 1844 e Parigi 1845), dove, ispirandosi al secondo esilio della regina di Napoli Maria Carolina d’Austria in Sicilia, l’autore ci descrive, con la tecnica del feuilleton francese, un’improbabile storia d’amore di quest’ultima, già sessantenne, con un giovane ufficiale borbonico, trentenne, di nome Fabio. Ma ci descrive anche, in modo impareggiabile, i luoghi, i paesaggi e le usanze dell’Isola ed anche i complessi complotti politici ivi intessuti dai Borbonici, dagli Inglesi e dai Francesi. Infine, nel 1849, apparve il suo violento pamphlet antiborbonico dal titolo Question Sicilienne.
Charles Didier non ebbe una vita felice. Già la sua infanzia e la sua giovinezza furono tormentate dalla sua condizione di figlio illegittimo che ebbe un’incidenza profonda sul suo animo particolarmente sensibile. Ma anche la sua vita sentimentale da adulto fu infelice. Due furono, soprattutto, le donne che lasciarono una traccia profonda nella sua esistenza: la scrittrice George Sand, con la quale il ginevrino ebbe una relazione amorosa tormentata, e sua moglie, Alexandrine Aglaé Hanonnet, dalla quale, presto egli dovette divorziare. In più un altro non meno grave motivo di sofferenza per Didier fu il suo ardente desiderio di divenire un grande artista e la sua contemporanea coscienza dei suoi limiti. Furono probabilmente tutte queste esperienze negative, percepite come fallimenti, e unite ad una grave malattia agli occhi, che lo condussero al suicidio, nel marzo1864, a Parigi. Le sue opere, oggi, sono citate soltanto in poche storie della letteratura francese. Sicuramente, Charles Didier non scrisse dei capolavori ma la sua produzione letteraria, tuttavia, ha un notevole valore storico-culturale e, se i suoi romanzi, spesso, sono prolissi, con un intreccio piuttosto tortuoso e con personaggi costruiti in modo troppo sbrigativo e superficiale, privi di pathos, di una loro vita autonoma, i reportage dei suoi viaggi suscitano ancora un certo interesse documentario-giornalistico e, in tal senso, ci sembra di poter condividere il giudizio critico del suo più importante biografo John Sellards:
Ed ecco il suo ritratto umano e letterario disegnato da George Sand :
La Sicilia di Charles Didier
Come abbiamo visto prima, Charles Didier, nel corso del suo lungo viaggio in Italia, dal 1827 al 1830, si spinse fino in Sicilia. Percorse l’Isola in lungo e in largo, per circa sei mesi[12], visitò, talora a piedi, non solo le grandi città, come Messina, Catania e Siracusa, o Palermo, ma si avventurò anche nei villaggi dell’interno, anche nei più sperduti. Dobbiamo sottolineare ancora, il suo costante desiderio di conoscere le abitudini, la mentalità, i problemi sociali e politici del popolo siciliano. Perciò cercò, come abbiamo visto, di «farsi siciliano», di conoscere la Sicilia, non come un semplice turista, ma dall’interno, vivendo la vita dei suoi abitanti. Ebbe la fortuna d’essere aiutato, sin dall’inizio del viaggio, a raggiungere questo obiettivo, dagli stessi siciliani. Infatti, della Sicilia, così egli scrisse alla sua amica Hortense Hallart, a Parigi :
Charles Didier e la piccola colonia siciliana a Parigi
Lo storico siciliano Michele Amari, durante il suo primo soggiorno a Parigi, dal novembre 1842 al febbraio 1848, conobbe Charles Didier e divenne suo amico. Questa amicizia è dimostrata da un carteggio epistolare Didier-Amari, depositato presso la Biblioteca Nazionale Centrale della Regione Siciliana, che ho pubblicato in appendice all’edizione italiana de La questione siciliana[14]. Si tratta di venti lettere, non tutte datate, che vanno, più o meno, dal gennaio 1844 al marzo 1863. Ho cercato, a lungo, in Italia, in Francia e in Svizzera, eventuali lettere inviate da Amari a Didier ma, fino ad ora, i miei sforzi sono stati vani. Ad ogni modo, altri siciliani a Parigi conobbero Charles Didier. Per esempio, lo scrittore Emanuele Navarro della Miraglia, autore del romanzo La Nana, cosi scrisse:
Forse lo scrittore siciliano Giovanni Gambini, anche lui in esilio a Parigi, conobbe Charles Didier se, nelle sue Memorie inedite egli cita un frammento delle Mélodies Helvétiques del ginevrino[16]. Un altro siciliano, esiliato a Parigi, che influenzò sicuramente la percezione della realtà siciliana da parte di Didier, fu, secondo Helène Tuzet, Michele Palmieri di Micciché (1799-1863)[17], che era, con il ginevrino, un assiduo abitué della casa di George Sand[18].
Ma la conoscenza di Palmieri da parte di Didier, forse, ci è provata da questa lettera inviata da quest’ultimo ad Amari, datata Amiens, 14 gennaio 1852:
Ritornando ancora a Michele Amari, il suo nome è citato undici volte nel Diario manoscritto dello scrittore svizzero. Un altro celebre siciliano di cui Didier ci parla (13 volte) nel suo Diario è Michele Chiarandà, barone di Friddani. Il 12 gennaio 1848, scoppiò la Rivoluzione siciliana contro il re Ferdinando II di Borbone e il governo rivoluzionario nominò il barone di Friddani suo rappresentante accreditato presso il Governo francese, con Amari che, lasciato in agosto il Ministero delle Finanze, divenne Commissario della Rivoluzione non solo presso la Francia ma anche presso l’Inghilterra[20]. In questo periodo, in Sicilia, il Governo Rivoluzionario ha bisogno di armi per preparare la sua difesa dai prevedibili attacchi delle truppe regolari borboniche. Riguardo a tale problema ho trovato, nel Diario di Didier, all’anno 1849, delle annotazioni su un «affare» di fucili al quale sono associati sia Amari che Friddani. Riportiamo, qui di seguito, solo le più significative :
Infine, il 17 marzo 1849, lo scrittore così annota:
Qui c’è la prima allusione all’opuscolo dallo stesso titolo, Question Sicilienne, che Didier ha dedicato alla Rivoluzione Siciliana[21]. Ancora, nel Diario leggiamo:
E, a proposito delle notizie contraddittorie che arrivano dalla Sicilia a Didier, a Parigi, leggiamo ancora sul suo Diario:
Ho già avuto modo di mostrare sopra che l’opuscolo di Didier Question Sicilienne (pubblicato il 13 aprile 1849, a Parigi) è stato scritto per esplicita sollecitazione di Michele Amari e del barone di Friddani. Ma non basta. Abbiamo la prova che esso è stato scritto da Didier tenendo conto anche delle opere sullo stesso tema pubblicate da Michele Amari, da Isidoro La Lumia e da Michele Pantaleoni, anche questi ultimi, siciliani. Si tratta, per il primo, de La Sicile et les Bourbons (Parigi, gennaio 1849) e, per gli altri due, della Question Sicilienne: Memoire historique sur les droits politiques de la Sicile (Parigi 1849). Scrive, infatti, Didier:
Basta un rapido confronto tra le tre opere, per accorgersi della notevole influenza avuta da queste fonti siciliane sull’opuscolo Question Sicilienne di Charles Didier. Tutti e tre gli autori cercano di dimostrare, con un linguaggio appassionato e con molti riferimenti storici, il diritto della Sicilia ad avere il suo Parlamento e la sua Costituzione e il furto di questi diritti da parte dei sovrani borbonici dal 1799 al 1848.Vi è una sola differenza: mentre i siciliani chiedono alla Francia e all’Inghilterra insieme un chiaro e definitivo appoggio alla causa della loro Rivoluzione, sciogliendo le ambiguità e le contraddizioni della loro politica, fino a quel momento praticata verso la Sicilia, Didier spera, particolarmente, in un deciso intervento della Francia repubblicana in appoggio alla Sicilia. Infatti egli scrive:
Ma Didier esaminò, in modo più critico il carattere del «siciliano» in questa straordinaria pagina che ci sembra prefigurare, in anticipo, un po’ le taglienti pagine che su questo argomento scriverà Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel suo romanzo Il Gattopardo:
E, in merito all’ospitalità siciliana, così, egli la definisce:
Ed ancora sul carattere del «siciliano»:
Article printed from Dialoghi Mediterranei: http://www.istitutoeuroarabo.it/DM
URL to article: http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/io-charles-didier-e-la-recherche-du-temps-perdu-di-marcel-proust/
Click here to print.
Copyright © 2013-2020 Dialoghi Mediterranei. All rights reserved.