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La campagna ritrovata: transizioni e contraddizioni. Note su un convegno
Posted By Comitato di Redazione On 1 maggio 2024 @ 02:23 In Cultura,Società | No Comments
CIP
di Maddalena Burzacchi
Giovedì 7 e venerdì 8 marzo 2024 si è svolto a Perugia, presso Palazzo Stocchi, il convegno “Illegale, informale, istituzionale. Neoruralismo e campagne globali”. L’evento, promosso dal Dipartimento di Filosofia, Scienze Sociali, Umane e della Formazione dell’Università di Perugia e dalla Fondazione Alessandro e Tullio Seppilli, è stato realizzato grazie ai contributi della Direzione Generale Educazione, ricerca e istituti culturali (MIC) e del PRIN “Rethinking Urban-Rural Relations for a Sustainable Future” che ne ha costituito uno dei risultati dell’unità di ricerca di Perugia coordinata da Alexander Koensler [1].
Pensato e organizzato come un convegno multimodale – combinando interventi accademici classici con discussioni, uno spettacolo teatrale e la proiezione di un documentario etnografico – ha analizzato le molteplici relazioni esistenti tra urbano e rurale con particolare attenzione ai processi che configurano le contemporanee “campagne globali” [2]. La messa in evidenza nel titolo di due concetti chiave come “campagne globali” e “neoruralismo” è stata una scelta voluta fortemente dal comitato organizzativo. Con il termine “campagne globali” si è voluto infatti sottolineare come la campagna non sia più un luogo lontano dal mondo, una realtà periferica o “residuale”, ma un luogo dentro la globalizzazione determinato da molteplici connessioni con la società globale, per esempio, a livello della comunicazione, del turismo, della presenza di una popolazione multietnica. Il continuo processo di trasformazione sia del territorio e delle forme produttive che del paesaggio e dei tipi di insediamenti umani, con il massiccio incremento demografico, l’aumento della produttività grazie alla industrializzazione dell’agricoltura a partire dalla Rivoluzione Verde, hanno di fatto modificato inevitabilmente lo spazio urbano come quello rurale [3]. In particolare, nel settore agricolo si è assistito a «un progressivo adattamento alle logiche di standardizzazione e replicabilità proprie del paradigma produttivista-industriale, al fine di garantire e supportare il binomio produzione-consumo di massa» [4]. Un processo che ci ha spinto ad analizzare lo spazio rurale non esclusivamente come metafora di una vita lenta “slow living” [5] ma come luogo in cui certe ibridazioni, a un primo sguardo poco presenti o addirittura inesistenti rispetto alla città considerata invece emblema di crocevia culturali, richiederebbero un approfondimento maggiore proprio per il maggiore livello di problematicità.
Lo stesso concetto di “neoruralismo” mette in evidenza la sempre più ampia connessione tra città e campagna attraverso il seppur complesso e controverso “movimento di ritorno alla terra”. Anche per una maggiore attenzione alla ruralità, rivolta sia all’abitare la campagna che a coltivarla, il convegno ha voluto in questo senso dare spazio alle nuove esperienze del mondo agricolo non allineate con il modello agroindustriale: pratiche e modelli in parte informali, in parte oppositivi e in parte “sovversivi” che nella loro eterogeneità sono stati analizzati come possibili anticipazioni di un nuovo orizzonte, quello della transizione agroecologica e alimentare, fondata su un’agricoltura più sostenibile. Nuove forme di agricoltura attraverso anche nuovi attori (cosiddetti neorurali o neocontadini [6]) incentivati anche alla luce del post Covid e della crisi climatica, che sperimentano relazioni sociali ed economiche fondate sulla valorizzazione delle risorse territoriali e sull’integrazione nei territori tra popolazione urbana e produttori agricoli [7]: temi che risultano oggi più che mai necessari da approfondire come hanno anche dimostrato le recenti proteste, con cortei e blocchi stradali, da parte degli agricoltori italiani e non solo balzate alle cronache di tutta Europa [8]. Manifestazioni e criticità non isolate che, Cristina Papa, antropologa e presidente della Fondazione Seppilli ha voluto evidenziare durante la presentazione della due giorni poiché
Secondo queste linee interpretative, qui verranno ripercorse brevemente le varie attività che sono state proposte nel programma del convegno perugino.
Presentazione della prima sessione del convegno: da sinistra Stefano Boni, Alexander Koensler, Massimiliano Marianelli, Cristina Papa e Michael Herzfeld (ph. Maddalena Burzacchi]
Arcaismo sovversivo
Ad aprire la prima sessione del convegno è stato il dibattito dal titolo “Le molteplici etiche dell’antropologia: arcaismo sovversivo e pratica etnografica” in cui l’antropologo Michael Herzfeld dell’Università di Harvard ha anche presentato i risultati pubblicati nel suo recente volume Subversive Archaism: Troubling Traditionalists and the Politics of National Heritage [9]. Tale lavoro, frutto di ricerche sul campo con contadini, pastori e attivisti in Italia, Grecia e Thailandia, analizza come tali attori sociali mobilitano idee arcaiche di tradizioni e miti per avanzare delle richieste politiche di tipo contemporaneo. L’autore, analizzando come questi miti vengono rimodulati e impiegati a fini che non sono sempre legali ma che tendono a sovvertire l’ordine esistente, teorizza “l’arcaismo sovversivo”. Attraverso un’analisi comparativa di Zoniana, un villaggio di montagna sull’isola greca di Creta, e della comunità urbana di Pom Mahakan (uno slum ora demolito nel nucleo storico di Bangkok [10]) con ulteriori confronti con la realtà di Roma – dove Herzfeld ha studiato le politiche abitative – l’arcaismo viene teorizzato come una pratica culturale che i gruppi sociali emarginati impiegano per rifiutare il ruolo subalterno in cui sono assegnati dallo Stato. Questo uso sovversivo dell’arcaismo trasformerebbe le persone appunto in “tradizionalisti inquietanti”. Nella visione liberale comune, il tradizionalismo risulta preoccupante perché la sua mobilitazione del patrimonio culturale per informare il futuro immaginato da una nazione rivela precise ideologie. Herzfeld ribalta questa prospettiva definendo i tradizionalisti degli astuti parodisti che «sfidano l’autorità morale e culturale dello Stato»[11] attraverso «performance di conformità con gli ideali del patrimonio nazionale, ma che tendo deliberatamente una trappola che tenta lo Stato a cadervi».[12] Come ha spiegato l’antropologo:
L’intervento di Herzfeld è stato commentato e discusso dagli antropologi Stefano Boni (Università di Modena), Pietro Meloni (Università di Perugia), Gianni Pizza (Università di Perugia), Filippo Zerilli (Università di Cagliari) e coordinato da Alexander Koensler (Università di Perugia). L’acceso dibattito che ne è derivato ha messo in evidenza le criticità come gli elementi forti della raffinata struttura teorica proposta da Herzfeld che, seppur non applicabile nell’analisi di movimenti “sovversivi” con altre specificità, ne potrebbe definire una cornice concettuale. Di fatto, il lavoro di Herzfeld genera inquadramenti analitici che danno nuova vita all’antropologia dello Stato, offrendo l’opportunità di confrontare più casi etnografici.
Durante il dibattito: da sinistra Stefano Boni, Filippo Zerilli, Pietro Meloni, Gianni Pizza e Michael Herzfeld (ph. Rosaria Parrilla]
Semis: Storie di un potere invisibile
A conclusione della prima giornata del convegno, si è tenuto nella Gipsoteca di Via dell’Aquilone lo spettacolo teatrale “Semis. Storie di un potere invisibile” di e con Giulia Bocciero e Davide Simonetti [13]. Come tengono a sottolineare gli autori lo spettacolo è frutto di una produzione indipendente italo-francese di Nouvelle Plague [14] e di Maison des semences paysannes maralpines [15]. La sua particolarità risiede nel rappresentare un esempio emblematico di teatro di impegno sociale non solo per i temi che tratta in modo lucido ma anche perché nelle varie rappresentazioni è stato contaminato dalle persone e dalle storie delle persone che lo hanno accolto in luoghi e spazi teatrali non convenzionali come scuole, case occupate, agriturismi, aule universitarie, festival contadini ecc.. Infatti, le persone che spesso si sono trovate davanti, anche se non frequentatori abituali del teatro, avevano una spiccata sensibilità e competenza sui temi del biologico essendo inoltre profondi conoscitori delle difficoltà che i piccoli agricoltori hanno nel non volersi omologare o sottostare alle linee produttive industriali. Per questo, nell’introdurre gli artisti, ho voluto presentare lo spettacolo come «un linguaggio altro da quello accademico, non meno scientifico e lucido, che racconta il complesso intreccio esistente dietro ciò che mangiamo, dato che da sempre provoca numerose implicazioni di tipo economico, politico e sociale».
Lo spettacolo, della durata di circa un’ora, è riuscito infatti a far immergere gli spettatori in una riflessione profonda attraverso il linguaggio “leggero” del teatro sui temi della biodiversità, dell’industria sementiera e del legame fra coltura e cultura.
Il confine. Resistere alle monoculture in Italia centrale
Durante la seconda e ultima giornata, venerdì 8 marzo, è stato proiettato di prima mattina ma con un vasto pubblico, il documentario a cura dell’antropologo Alexander Koensler dal titolo “Il confine. Resistere alle monoculture in Italia centrale”.
La ricerca sul campo presentata è stata realizzata nelle regioni Umbria, Lazio e Toscana dove vi è un’estesa coltivazione del nocciolo. Presentando il suo lavoro l’autore ha spiegato che:
Una vera e propria “invasione” per molti degli abitanti del posto (perlopiù piccoli agricoltori, agronomi, semplici residenti ecc.) che viene combattuta cercando di preservare la biodiversità resistente, promuovendo altre forme di agricoltura e mettendo in campo reti solidali di cooperazione. Gli elementi essenziali riscontrati sono da un lato il conflitto, su come gestire e pensare la terra, e dall’altro la grande vivacità delle reti di queste piccole aziende che si oppongono e riescono a creare forme alternative di coltura e di socialità in campagna. Un esempio di queste reti è rappresentato dalla “Comunità rurale diffusa” di Orvieto: un insieme di piccole realtà contadine disseminate lungo la Tuscia fino all’Orvietano e l’Altopiano dell’Alfina, attive per garantire maggiori diritti ai piccoli agricoltori oltre che per divulgare maggiore consapevolezza sulle questioni ambientali e i diversi modelli agricoli.
Alexander Koensler presenta il documentario “Il confine. Resistere alle monoculture in Italia centrale” (ph. Maddalena Burzacchi]
Economie informali: neoruralismo e filiere alimentari in Italia centrale
A seguire la visione del documentario il convegno ha proposto la tavola rotonda coordinata da Cristina Papa in cui si è affrontato il tema “Economie informali: neoruralismo e filiere alimentari in Italia centrale”, oggetto di un recente numero della rivista antropologica Lares [16].
Alla presentazione di Fabio Dei, antropologo dell’Università di Pisa, e di Carlo Pongetti, geografo dell’Università di Macerata, hanno fatto seguito gli interventi degli antropologi Dario Nardini, dell’Università di Siena, Daniele Parbuono dell’Università di Perugia e Giacomo Pozzi dello IULM di Milano. La tavola rotonda si è incentrata su un’area italiana specifica, quella dell’Italia centrale (Umbria, Toscana, Marche) in cui gli attuali processi che investono produzione, circolazione e consumo di beni alimentari vengono esaminati sullo sfondo delle trasformazioni avvenute a partire dalla fine della mezzadria e dei processi di integrazione tra città e campagna, che si sono venuti sviluppando.
I temi affrontati hanno quindi tenuto conto della nuova centralità della campagna ripercorrendo anche alcuni casi studio frutto delle diverse ricerche etnografiche che hanno composto il numero monografico della rivista Lares: sia forme di resistenza attiva al sistema agroalimentare globale sia pratiche di produzione e consumo alimentare che assumono caratteristiche informali legate a comunità familiari e locali.
Durante la tavola rotonda “Economie informali: neoruralismo e filiere alimentari in Italia centrale”. Da sinistra: Giacomo Pozzi, Dario Nardini, Carlo Pongetti e Cristina Papa (ph. Maddalena Burzacchi]
Conclusioni di un convegno ma non del dibattito
Comprendere il rapporto tra città e campagna, come si è trasformato, anche alla luce del post Covid e della crisi climatica, e come gli attuali assetti produttivi debbano essere ripensati orientando le politiche pubbliche verso la transizione agroecologica e alimentare: è stato questo il filo conduttore della due giorni, che si è tenuta a Palazzo Stocchi, a Perugia, da giovedì 7 a venerdì 8 marzo 2024, dal tema «Illegale, informale, istituzionale. Neoruralismo e campagne globali». Le questioni dell’ambiente, del rapporto città campagna, dell’alimentazione sono state centrali: lo svelamento dei rapporti di potere presenti sia a livello istituzionale che informale sono stati esaminati anche attraverso le strategie di soggetti e gruppi eterogenei che rispondono a numerose sfide quotidiane e crisi sistemiche. Il convegno è stato dunque un’occasione di confronto proficuo tra diversi ricercatori che hanno analizzato gli attuali processi che definiscono una linea sempre meno marcata tra città e campagna, raccogliendo numerose riflessioni su questi temi e spaziando dall’antropologia e gli studi sociali alla geografia, dagli studi territorialisti a quelli agrari ed economici.
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