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Continuando a riabitare l’Italia
Posted By Comitato di Redazione On 1 marzo 2023 @ 03:03 In Cultura,Società | No Comments
il centro in periferia
di Pietro Clemente
Buon compleanno a “Dialoghi Mediterranei”
«Ci sono diverse ragioni perché una rivista di cultura vada in rete….Le fondamenta sulle quali si articoleranno i nostri contenuti sono le tematiche antiche dell’uguaglianza, della libertà, della giustizia. Dalla violazione di questi principi derivano tutte le questioni che noi vogliamo raccontare: laicità o fondamentalismi, rivoluzioni e migrazioni, le tante guerre dimenticate, accettazione delle diversità o razzismo e conflitti etnici, negazione di diritti umani fondamentali e pratiche di tortura ovvero un’umanità solidale che sa coniugare l’uguaglianza con le diversità. Ciò che ci proponiamo è una narrazione della realtà, capace di stimolare e suscitare un pensiero critico e consapevole… Con l’occhio e col cuore attento all’etica della tolleranza e della consapevolezza, c’incamminiamo in questo nuovo percorso».
Così 10 anni fa recitava l’editoriale n. 1 della rivista Dialoghi Mediterranei. Era il 2 aprile 2013. Da allora, con inesorabile puntualità bimestrale, la rivista è cresciuta, si è sviluppata, ha favorito dibattiti sull’attualità, ha creato via via nuove sezioni, ha coinvolto autori di diversi mondi conoscitivi, e di vari settori della ricerca universitaria, ha dato voce al mondo del volontariato, della società civile e della ricerca territoriale. Ha in programma la pubblicazione di libri con le edizioni Museo Pasqualino di Palermo. La rivista, nata da un gruppo di intellettuali formatisi intorno all’Università di Palermo su temi antropologici e storici, ha poi esteso i suoi interessi all’urbanistica, alla linguistica, alla letteratura e ha dato voce a tante realtà periferiche della vita culturale, connettendo sistematicamente ricerca e politica, temi generali e ambiti specifici. Ha dato all’Università l’opportunità di una comunicazione più larga e alle associazioni e militanze locali la possibilità di un dialogo con l’Accademia. Così rendiamo omaggio al 60° numero della rivista: una data e una tappa importante.
Il centro in periferia è una delle ‘sezioni’ che sono nate da e dentro Dialoghi Mediterranei. Nave ammiraglia di cui il CIP è una scialuppa. Il centro in periferia nasce dentro Dialoghi nel 2017 e nel 2022 ha festeggiato 5 anni di attività con l’uscita di ben 30 numeri. Il CIP ha avuto la collaborazione di 210 autori che rappresentano il target della rivista madre: vi si trovano universitari che amano sottrarsi alle rigide regole delle riviste accademiche, che amano dialogare con la dimensione pubblica della disciplina (public history, public anthropology …). Vi si trovano associazioni che operano sul territorio, musei, ecomusei ma anche museografi, giornalisti, sindaci, assessori, funzionari di Regioni, esperti dello sviluppo e della cooperazione. Il mondo delle zone interne, che sta al cuore di questa sezione, ha coinvolto voci che venivano dalla ricerca specialistica in antropologia, in storia, in geografia, in urbanistica, in sociologia, in economia, in pedagogia, ma anche testimonianze che venivano dal cinema e dalla letteratura. Vi compaiono le firme dei principali protagonisti del dibattito sul ‘Riabitare l’Italia’ e viene in evidenza il dialogo tra generazioni relativamente alla ricerca e all’attivismo territoriale.
Il CIP è una piccola sezione della più ampia rivista Dialoghi Mediterranei, rivista per cui le cifre vanno raddoppiate quanto a numeri usciti e a numero di collaboratori e collaborazioni e quadruplicate per la vastità del mare in cui la nave si muove. Fin dal primo numero il Mediterraneo, le migrazioni, le religioni, i conflitti sono stati argomenti che hanno dato vita a intensi momenti di dibattito oltre che alla redazione di costanti repertori, opere e documenti legati alla dimensione della fotografia. Finora la rivista non è stata riconosciuta da parte delle istituzioni accademiche come ‘rivista scientifica’. Ma come non notare che essa incarna quella ‘terza missione’ che l’Università si è impegnata ad attivare?
Dialoghi fa proprio questo ed è, con la importante presenza di universitari tra i suoi autori, uno spazio di Terza Missione.
Siamo in presenza di scenari difficili: l’attività che ha caratterizzato in questi decenni la società civile della realtà locali non si attenua anzi si accentua. Il Governo oscilla tra il centralismo, il regionalismo leghista e un forte accentuarsi dello stile governativo e tecnico della cultura di destra. Non sono tempi buoni per riabitare l’Italia. Il progetto sulle zone interne non ha mai avuto incoraggiamenti da parte della sinistra, al di là del caso isolato e poco sostenuto della fondazione della SNAI e del ruolo che ha avuto in essa Fabrizio Barca. In ogni caso la cultura del ‘riabitare’ sta crescendo sia come sogno di giovani cittadini, sia come pratica di giovani neorurali, che di giovani ‘restanti’ nei paesi.
Barca continua il suo impegno anche col Forum Uguaglianza e diversità ed è nel sito del Forum che di recente ho trovato una frase di Franco Basaglia che mi pare assai adeguata alla battaglia che portiamo avanti per l’Italia interna e abbandonata.
La assumo come guida per il ruolo che cercano di avere le pagine e le scritture de Il centro in periferia. Si deve riuscire a convincere con la forza delle idee, ma anche con gli esempi e le buone pratiche. La campagna di convinzione deve avere come target i giovani in senso lato, ma in specie quelli che restano nei paesi e quelli che sono insoddisfatti della vita nelle grandi città. Tra questi giovani si potrebbero realizzare forti e solidali alleanze verso una nuova civilizzazione.
Voglia di restare. Indagine sui giovani nell’Italia dei paesi [1] è un nuovo volume della serie che l’editore Donzelli dedica al mondo delle aree interne. Si tratta di una indagine sociologica su basi statistiche effettuata a campione su giovani che vivono nei paesi, a cui è stato chiesto, con una complessa batteria di domande, se la loro intenzione era di restare o di andare via e quali ne erano le ragioni. Tra Nord e Sud la ricerca ha scoperto e descritto un nucleo significativo di giovani che intende restare nel proprio paese. Questi giovani sono perlopiù dotati di una buona formazione intellettuale, e vedono nel restare una chance per una vita adeguata, in dialogo con il mondo della natura e il paesaggio, chance che può essere resa possibile anche grazie al telelavoro e ai mezzi di comunicazione.
L’indagine è stata condotta durante il Covid in aree interessate da progetti SNAI attivi. Nello scenario della fuga dei giovani verso città più grandi o verso l’estero, il dato importante è stato l’identificazione di un nucleo diffuso e nazionale, anche se non statisticamente ‘pesante’, di giovani che di fronte all’alternativa tra restare e partire ha scelto la prima possibilità. Ha scelto di restare non perché getta la spugna, ma perché vuole combattere per migliorare il proprio mondo, non perché non ha strumenti culturali per competere, ma perché vuole investirli nella località cui è legato da catene genealogiche e da relazioni affettive non solo parentali ma comunitarie. Anche se nei paesi non permangono vere e proprie comunità, le connessioni extrafamiliari legate ad impegni e scadenze comuni hanno qui una capacità di mobilitazione maggiore che altrove.
Sul piano metodologico il libro, basato sul trattamento di dati statistici, pone al centro il tema dei giovani che rimangono e dialoga con l’approccio qualitativo, antropologico e storico che è incorporato nel concetto di ‘restanza ’ elaborato da Vito Teti. Il libro si chiude con una intervista a Teti, il suo concetto di restanza corrisponde e dà nome all’attitudine di quei giovani che restano non come scelta di rassegnazione ma come scelta di vita e di azione. Il volume termina con un appello ad attuare politiche che incoraggino queste scelte di ‘restanza’, che si muovono con fatica, in salita e controvento rispetto ai grandi investimenti pubblici. È interessante inoltre in questo libro notare il dialogo tra i dati italiani e la letteratura internazionale sulle scelte giovanili e sulle aree interne. Viene definendosi un lessico delle pratiche relative alle aree interne che si lega alla letteratura internazionale, prevalentemente anglosassone [2].
Tracce 2. Corsi
Una traccia importante di un nuovo rapporto tra giovani e aree interne è data dallo sviluppo a livello nazionale di scuole di apprendimento della pastorizia. La nuova rilevanza della pastorizia brada per la cura dei territori marginali era già stata segnalata sul CIP n. 54 del marzo 2022 da Letizia Bindi e Paolo Coppar [3]:
In un numero successivo gli stessi autori hanno pubblicato alcune testimonianze soggettive della partecipazione ai corsi di pastorizia realizzati nelle Marche, che mostrano l’attenzione dei giovani verso la sperimentazione di nuove possibilità di vita [4].
Dai giornali apprendo che la SNAP, Scuola Nazionale di Pastorizia, propone un corso nazionale di “Formazione e Accompagnamento per Giovani Pastori” promosso da Rete Rurale Nazionale e Riabitare l’Italia con il contributo della Fondazione Cariplo. Leggo inoltre che “Apre in Casentino la prima scuola per pastori”, e che “Una legge regionale del 2021 istituisce la Scuola sarda di pastorizia” di cui si fanno promotori i circoli dei sardi emigrati, spesso legati a nuovi insediamenti pastorali. Questo quadro rinforza l’analisi del volume Voglia di restare. ‘Voglia di restare’ è un concetto che la pastorizia incorpora ed è interessante che non si tratti soltanto della classica pastorizia orientata verso un’ampia produzione commerciale ma di un nuovo rapporto produttivo che si basa sui luoghi, sul rapporto con gli animali, riunito in greggi con un numero limitato di capi, su forme consapevoli di uso del territorio. È una pastorizia nuova, giovanile, spesso femminile [5] che dà risposte ai temi dell’abbandono e delle zone interne.
Queste due ‘tracce’ sono un’ulteriore conferma del radicarsi di un nucleo importante e trainante di giovani sui territori delle zone interne.
Fondamentali
L’enciclopedia, con le sue parole chiave, del riabitare l’Italia è ancora in movimento e in crescita. Nell’ultimo numero del CIP c’era la proposta di una riflessione sul tema della green community (Lupatelli) mentre in questo vengono proposti due temi centrali: la comunità nell’accezione contemporanea e la distanza (Membretti) come tratto distintivo delle zone interne, o meglio la remoteness, termine anglosassone che si traduce in italiano con un termine raro, la ‘remotezza’. Si tratta di considerazioni sui ‘fondamentali’ del riabitare contemporaneo. Eccone degli spunti dai testi:
È interessante accostare ai testi sopra riportati il testo: Cos’è paese? Tenere acceso un fuoco, di Nicola Grato. Quest’ultimo è legato a una esigenza riflessiva e al tempo stesso è capace di mettere in scena le soggettività. Questo scritto fornisce molte definizioni-motivazioni dell’essere paese.
Presìdi
Nel CIP n. 60, un gruppo di testi riguarda il mondo degli ecomusei e dei musei, un aspetto che ha attraversato tutta la vita de Il centro in periferia, e che è anche uno dei modi specifici con i quali la comunità degli antropologi ha seguito le vicende dei piccoli paesi correlate con i temi del Patrimonio Culturale Immateriale.
Gli scritti sugli ecomusei piemontesi erano presenti negli ultimi numeri di Dialoghi Mediterranei mentre in questo numero è l’Ecomuseo friulano delle Acque di Gemona, considerato una delle esperienze più significative, a raccontarsi in rapporto allo sviluppo locale:
Quasi un programma generale per le aree interne.
Gli altri musei ‘raccontati’ come quello di Armungia (Sardegna) e quello di Filadelfia (Calabria) appaiono, anche se in modo meno diretto, come presìdi contro l’abbandono del territorio per la loro vitalità legata ai ritorni e al turismo. Sono oggettivamente e soggettivamente basi di partenza per lo sviluppo e contro l’abbandono, riferimenti di socialità e di attività culturale. Nel testo su Taipana (Zolli), paese di 565 abitanti (prov. Udine) in lieve ripresa demografica, il museo è incorporato in una riflessione sul Comune, sulla sua memoria storica, sul cambiamento di identità, ma anche sulla resistenza della popolazione. Troviamo nell’intervista al sindaco tutti i temi delle zone interne:
Abbiamo seguito nel CIP, anche se meno sistematicamente, i temi dell’ambiente, dell’energia e del paesaggio. In questo numero emergono due diverse tematiche: le energie alternative con le loro problematiche generali (Cossu) e con le loro applicazioni particolari (Muscas). Viene analizzato il problema dei lupi nelle campagne grossetane (Nardini), problema che ha forti interferenze con la tematica del vecchio e nuovo pastoralismo e in generale con i temi dell’animalismo. Gli scritti di Cossu e di Muscas sono legati al territorio della Sardegna, che è diventata quasi un laboratorio della questione delle energie rinnovabili (vedi Muscas nel numero 51) [6]. Il tema delle rinnovabili in Sardegna è un grande nodo di politica dello sviluppo. Eccone un passo nel testo di Cossu:
I due scritti sull’auto elettrica (Muscas) e la presenza dei lupi nelle campagne (Nardini), trattano argomenti apparentemente assai diversi, ma che hanno forti analogie nel suscitare conflitti, nel produrre polemiche che oscillano tra il generale e il locale e danno luogo a ‘formazioni’ e lobbies circoscritte e cangianti.
Esperienze
La Corsica continua ad essere un punto di riferimento per la ricchezza di esperienze di rinascita in zone marginali. Nelle pagine di Dialoghi Mediterranei abbiamo raccolto in Corsica molti esempi (Seddaiu, Broccolini, Casalonga) [7] di rinascita nelle periferie. Pigna, nell’esperienza di Toni Casalonga, resta un modello di riferimento radicale, tanto più se lo si colloca nello scenario spesso drammatico dell’indipendentismo corso. In questo numero Corradino Seddaiu torna sul tema dell’Erasmus rural francese che ‘dissemina’ giovani nelle zone rurali per favorire la diffusione delle nuove tecnologie, per incrementare la partecipazione comunitaria, e imparare a conoscere i bisogni della popolazione. È possibile che alcuni di questi giovani si fermino nei luoghi che hanno seguito. Una sorta di modello alternativo ma complementare della ‘restanza’ studiata nel libro Voglia di restare.
Riabitare l’Italia organizza convegni territoriali. Nel convegno “Riabitare il Salento” si sono affrontati i nodi di una regione colpita dalla crisi degli ulivi e da un turismo eccessivo, elementi questi che disorientano lo sviluppo locale in modo drammatico e limitano la capacità di fare scelte per le nuove generazioni. Eugenio Imbriani, antropologo dell’Università del Salento, ne coniuga alcuni aspetti:
Nel testo di Imbriani troviamo la rivendicazione del ruolo svolto dall’Università di Lecce per il riequilibrio del Salento, un ruolo importante ma non abbastanza preso in considerazione dalla politica.
È questo un numero ricco che consente di evidenziare i vari fronti sui quali il CIP si misura. Nel campo delle politiche per le zone interne, uno dei fronti meno transitati è quello dei musei e degli ecomusei e del ruolo che svolgono nello sviluppo locale. A questi temi viene attribuito talora un carattere conservatore. Così come nella letteratura manca il tema delle feste, della socialità e della convivialità legati al ciclo dell’anno e alle feste religiose. Sono argomenti sui quali gli antropologi e gli studiosi del patrimonio debbono dare un contributo più forte.
Nel leggere di recente un volume sulle madonne vestite [8] e sui conflitti che talora nascono tra Chiesa ufficiale e popolazione locale, mi è capitato di far interferire l’ambito demologico/religioso con quello dei piccoli paesi e della resistenza delle popolazioni all’abbandono: ne veniva in evidenza quanto il radicamento locale investa su temi come quelli che Daniel Fabre ha chiamato ‘emozioni patrimoniali’ [9]. La resistenza all’abbandono ha forti ragioni di tipo ‘sentimentale’ legate a identità storiche della comunità in cui forte è la dimensione religiosa. Ci sono casi in cui solo nelle feste del santo patrono, della Settimana Santa, di Sant’Antonio etc… la gente dei paesi si ritrova, si ritrova con chi è andato via, o con chi forse tornerà ed è nelle feste che i giovani che restano ritrovano la dimensione della partecipazione. Un fenomeno opposto a quel che avveniva negli anni delle grandi migrazioni.
Uno dei problemi delle aree interne riguarda i modelli di nuova vivibilità collettiva dei paesi periferici. Come vivere il futuro dei paesi? Le generazioni sono compatibili tra di loro? Collaborano o confliggono? I nuovi abitanti riescono a stabilire buone relazioni con chi è restato? Dalla letteratura si evince che i rapporti sono difficili. E non ci sono molti riferimenti per un modello ideale che si innesti sulla realtà odierna.
Nelle pagine del CIP abbiamo visto che in Corsica vi sono alcuni modelli assai interessanti di rivitalizzazione. Per l’Italia Ostana è stata un caso significativo. Ne hanno scritto Antonio De Rossi e Laura Mascino [10]:
Il caso Ostana viene descritto come una sorta di caleidoscopio equilibrato di fattori diversi ed ‘improbabili’. Si tratterebbe di un modello poco applicabile altrove, ma metodologicamente suggestivo. Anche in queste pagine si è discusso a lungo di Riace, ma il silenzio che ha seguito la fine di quell’esperienza fa pensare che non potesse essere un modello riproducibile [11]. I modelli più duraturi e più radicali hanno un carattere estremo e pressochè irripetibile che non li rende tuttavia meno interessanti come punti di riferimento per la costruzione di una ideologia e di una politica dei paesi come luoghi di cittadinanza attiva e di nuova densa socialità. Sono aspetti che mancano o restano sullo sfondo anche in indagini eccellenti riportate da Voglia di restare [12]. A questo proposito riprendo il caso di Pigna, in Corsica. È uscito recentemente un volume che ricapitola la intensa vita di Toni Casalonga [13]che è stato l’ideatore del progetto di far rinascere Pigna. Pigna è il caso più longevo. Avviato nei primi anni ’60, era basato su una tendenziale sostituzione della popolazione locale con una comunità di persone che vi erano confluite per scelta. Si trattava in gran parte di artisti e artigiani, che condividevano uno stile di vita e che hanno fortemente contribuito a dare al paese il carattere di centro di promozione e di accoglienza per eventi culturali di alta qualità, in particolare in campo musicale.
Pigna è cresciuta nel tempo in modo sempre assai modesto ma costante: da circa 60 a più di 120 abitanti. Si è basata su scelte di sviluppo locale che accomunavano abitanti (non senza conflitti) che hanno condiviso la critica della motorizzazione, l’uso delle energie rinnovabili, la cura nello smaltimento corretto dei rifiuti, il rispetto del mondo naturale circostante ed altre pratiche virtuose che non si trovano facilmente nelle realtà di paese.
Quasi opposta sembra l’esperienza degli Elfi del Gran Burrone [14], nel pistoiese. Si tratta di un insediamento alle pendici della montagna, nato nel 1980 da occupazioni di case rurali abbandonate e diventato un ampio villaggio, basato su una agricoltura elementare di sussistenza senza tecnologie e senza comunicazione con l’esterno. Questa comunità ha vissuto per decenni senza scuola pubblica, internet e TV. Ora c’è più libertà di scelta. Queste comunità contadine radicali sono legate alla rete internazionale degli ecovillaggi, sono ricche di esperienza di lavoro e di educazione comunitaria, hanno un alto tasso di fecondità, non sono amate dalle istituzioni pubbliche, ma vivono una idea di agricoltura basilare legata al culto e al rispetto della Terra. In essa sono cresciute diverse generazioni. A Pistoia in un incontro di presentazione del libro in cui Mario Cecchi [15] racconta la sua storia di fondatore di quegli insediamenti, ho potuto constatare l’attenzione e il rispetto di cui gode quella esperienza che nel tempo è venuta attenuando le proprie distanze radicali grazie anche ad una diffusa maggiore comprensione delle loro scelte. È evidente che nelle zone SNAI o nei piccoli paesi in declino non possiamo fare come nel Gran Burrone o a Pigna. Ma nel mondo dei paesi che lottano per ritrovare dinamismo sociale e demografico, queste esperienze dicono qualcosa con cui confrontarsi e alle quali fare riferimento per progetti diversi e adeguati alle diverse realtà in cui si svolge l’attività di riabitare l’Italia.
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