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La lingua salvata. Tra i docenti e gli studenti di lingua e cultura italiana in una università tunisina
Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2017 @ 01:01 In Cultura,Migrazioni | No Comments
Istituto Italiano di Cultura. Tunisi, 22 febbraio 2017, inaugurazione della “Cattedra Sicilia” dedicata a Vincenzo Consolo, da sinistra Meriem Dhouib, Alfonso Campisi, Vittoria Longhi, Rawda Razfallah
di Laura Faranda
Nel numero di settembre avevo annunciato un secondo momento di restituzione della mia esperienza alla università “La Manouba”di Tunisi e del confronto con studiosi e studenti impegnati in un percorso di formazione linguistica e culturale dedicato all’Italia. Riprendo qui le fila del discorso da dove l’ho interrotto, tentando di assolvere alla promessa di deportare nel presente quella storia di sguardi reciproci che abbiamo visto tradursi nell’impegno didattico e scientifico di due “testimoni consapevoli”, Silvia Finzi e Ahmed Somai, per affidarla alla voce testimoniale di allievi e studenti che a tutt’oggi si misurano con l’esercizio di una lingua in un mondo sospeso tra conflitti e speranze, tra passato e futuro [1].
La didattica della lingua italiana come superamento degli stereotipi identitari
Alla scuola di Finzi e Somai si è formata Meriem Dhouib, l’attuale direttrice del Dipartimento di Lingue, che è approdata a La Manouba come studentessa e che sotto la loro guida ha mosso i primi passi di una formazione in filologia moderna, conclusasi con un dottorato a Pavia:
Dopo la laurea magistrale, Meriem Dhouib consegue a Pavia anche il dottorato di ricerca sotto la guida di Angelo Stella, docente di Storia della lingua italiana, accademico della Crusca dell’Arcadia e presidente del Centro Nazionale di Studi manzoniani. Del suo soggiorno in Italia, tra il 2001 e il 2008, ricorda la ricchezza formativa ma anche le difficoltà a superare i pregiudizi e i luoghi comuni che ne hanno spesso pregiudicato la serenità:
Faculté di Lettres “La-Manouba”, Tunisi 14 ottobre 2014, inaugurazione della sede dell’AISLLI (Associazione Internazionale per gli Studi di Lingua e letteratura Italiana) – Africa del Nord
Con l’intento di restituire l’immaginario del Bel Paese a un principio di realtà, Meriem Dhouib incoraggia per i suoi studenti tunisini esperienze di tirocinio in Italia che sollecitino nuove consapevolezze critiche. Al tempo stesso si impegna in una didattica della lingua sensibile ai meticciati culturali di un Mediterraneo letterario, in cui la novellistica o i generi in “ottava rima” diventino anche indizi storici di condivisione, della circolarità eloquente che affiora già a partire dalla stagione medievale. E se i suoi campi di ricerca spaziano dalla letteratura di viaggio (Dhouib 2009) alla visione del mondo arabo nei testi asiatici, dalla letteratura epica del Cinquecento (Dhouib 2016) ai testi inediti delle “guerre in ottava rima”, quando insegna Boccaccio non può fare a meno di soffermarsi «su quelle novelle dove ci sono arabismi, sui mondi comuni che affiorano anche nel medioevo mediterraneo». Per il futuro auspica una maggiore caratterizzazione del profilo letterario dei corsi di laurea in italiano, ma al tempo stesso si dice pronta a incoraggiare un aggiornamento dei percorsi di lingua applicata al commercio o alla traduzione, che faccia leva sulle competenze plurilingue degli studenti tunisini e li avvii verso una prospettiva formativa ispirata anche alla mediazione culturale.
Diverso è il percorso che porta a La Manouba Alfonso Campisi, trapanese di nascita, docente di filologia romanza italiana, formatosi prima a Palermo e poi in Francia:
Dopo il DEA (diplôme d’études approfondies) Campisi consegue un dottorato a Parigi, viene reclutato come docente a contratto tra Lille e Dunkerque, quindi si trasferisce a Parigi, dove ricopre il ruolo di Maître Assistant fino al 1998, quando
Alla scadenza del distacco biennale Campisi chiede e ottiene una proroga di altri due anni, ma quando il rientro in Francia, alla fine del quadriennio, diventa obbligato gli viene posto un ultimatum dal Ministero:
Il sentimento di appartenenza si è tradotto per Campisi nella recente richiesta della cittadinanza politica:
L’impegno didattico di Alfonso Campisi è stato assiduo e tenace negli anni: da Cartagine si è trasferito all’università di Gabes per sostenere l’avvio di una sezione di italianistica; poi a Tozeur, dove ha diretto un dipartimento, impegnandosi a incrementare un polo di italianistica in una sede decentrata del sud tunisino che all’indomani della rivoluzione è stata quasi interamente assorbita da La Manouba. Negli anni in cui ha insegnato a Tozeur la richiesta di un incremento dell’insegnamento di italiano sembrava invece in crescita costante:
Presidente dell’AISLLI (Association Internationale pour les Études de Langue et de Littérature Italiennes) per l’Africa del Nord, dal 2012 Campisi insegna a La Manouba e privilegia ambiti di ricerca dedicati a una comparazione storico-filologica tra Sicilia e Tunisia e alle stratificazioni storiche del dinamismo migratorio tra le due sponde (Campisi, Pisanelli 2015). Dell’impegno didattico nel suo Ateneo sottolinea l’importanza di un Master biennale [2] che accoglie studenti da tutta la Tunisia e dell’istituzione dell’unico dottorato tunisino in italianistica, nonché dell’unica cattedra di “Lingua e cultura siciliana” intitolata a Vincenzo Consolo, la cui inaugurazione è avvenuta lo scorso febbraio, in occasione del III Convegno Internazionale di Studi Mediterranei dedicato a “Sicilia, insularità e identità mediterranee”.
È in questa circostanza che ho conosciuto e ho raccolto la testimonianza del più giovane dei docenti di italianistica, Vittorio Valentino, studioso di letteratura della migrazione (Valentino 2016), reclutato con il ruolo di Maître Assistant in Lingua e Letteratura italiana. La sua storia sollecita nuovi scenari di riflessione e ci consente il transito verso le nuove generazioni di studenti tunisini, alcuni dei quali mi hanno reso una testimonianza diretta della scelta di un percorso formativo. È con questo obiettivo che ho scelto di restituire ampi passaggi dell’intervista realizzata a Vittorio Valentino il 21 febbraio scorso.
Migrazioni di ritorno, tra appartenenza e cittadinanza
Se ho ben compreso tu hai vissuto in Francia fin dall’adolescenza?
Che significa per te insegnare in questo contesto, in una realtà che avevi letto, visto e conosciuto più come terra di emigrazione?
Quanto ti senti migrante a tua volta?
Quindi paradossalmente arrivi come studioso francese in Tunisia e ritrovi la tua “napoletanità” d’origine?
[…]
I tuoi genitori come hanno vissuto la tua scelta di venire a vivere in Tunisia? Più come un esilio o come un riconoscimento professionale?
[…]
Ieri ho avuto modo di raccogliere la testimonianza di diverse studentesse che hanno scelto l’indirizzo di italianistica e che non esitano a confessare che la loro scelta è stata alimentata da un improbabile (per non dire inquietante) sogno italiano. A te che appartieni a una generazione più vicina alla loro per ovvie ragioni anagrafiche vorrei chiedere come affronti e gestisci questo orientamento? Che responsabilità formativa ti richiede? Quali cautele?
Forse, se dovessimo immaginare le vite di questi giovani in un contesto internazionale, uno spazio possibile potrebbe essere proprio quello della mediazione linguistico-culturale, considerando che parlano correntemente arabo, francese, inglese e italiano. Non credi che questo obiettivo potrebbe essere perseguibile, tanto più nel contesto universitario?
Come percepisci il futuro dell’università tunisina? Con quale prospettiva comparativa, rispetto a quello delle università italiane?
Pensi che possa rappresentare un deterrente al movimento e allo scambio transnazionale la recente arabizzazione, l’islamizzazione della cultura tunisina in questi anni post-rivoluzionari?
Un ritorno alla tradizione o una reinvenzione della tradizione?
[…]
Faculté di Lettres “La Manouba”, Tunisi, 28 febbraio 2017, Laura Faranda con i dottorandi Miriam Gabsi, Slimane Ibtissems, Mehrrez Olfa, Rayen Arfaoui, Mabrouk Bouchoucha, Jihenè Rajhi
Un’ultima domanda riguarda la tua dimensione umana. In questa situazione continua a prevalere il sentimento di solitudine di un giovane migrante, sia pure d’élite? Come vivi con il grado-zero esistenziale della tua condizione di straniero?
«Il grado-zero esistenziale l’ho sentito molto, soprattutto nel mio primo anno di permanenza, quando conoscevo poche persone e abitavo in un quartiere distante dal centro; e nonostante il fatto che la comunità italiana con cui sono da subito entrato in contatto sia stata molto generosa e calorosa, l’aver lasciato il Paese in cui ho trascorso metà della mia vita, l’aver lasciato la mia compagna, la mia famiglia ha avuto un prezzo. Rientra però in quella solitudine necessaria di tutti i giovani forzati o destinati alla mobilità transnazionale – dal ricercatore al pizzaiolo – nella fase di adattamento. Poi, pian piano si guadagna una dimensione più addolcita e cominciano ad affiorare i primi ottimismi».
Tu sei in questa fase?
Il grado-zero esistenziale di Vittorio Valentino trova un riscontro speculare di grande interesse in quelle studentesse e dottorande che sono rientrate in Tunisia dall’Italia, per poter completare un percorso formativo.
Così è stato per Maysem Maidouib, ventiquattrenne nata a Catania, che dopo il diploma ha scelto di tornare in Tunisia per continuare gli studi universitari, preclusi in Italia dalle difficoltà economiche di una famiglia numerosa. A La Manouba ha potuto attenuare il sentimento di spaesamento determinato dal rientro in Tunisia, grazie a «colleghi di mentalità aperta, che accettano le differenze e non hanno pregiudizi per chi proviene da un mondo diverso dal loro». Quanto ai docenti, per Maysem
Alla mia richiesta di posizionare la sua identità tra Italia e Tunisia, Maysem replica: «mi sento sia italiana che tunisina ma allo stesso tempo non mi sento di nessuno, non sento di avere una patria di appartenenza».
Anche Firas Elleuche, nata a Palermo 24 anni fa e originaria di Sfax si è trasferita a Tunisi dopo il diploma di maturità linguistica. Nel 2011 decide di tentare la via di un rimpatrio:
Contrariamente alle previsioni, Firas ha superato le difficoltà iniziali e oggi non esita a valutare il suo percorso in termini positivi:
Quando chiedo anche a lei di riflettere sul suo cammino identitario, commenta che
Alla fine del suo percorso di laurea magistrale, Firas ha concordato con Alfonso Campisi una tesi sulle parentele linguistiche e culturali tra Sicilia e Tunisia. Immagina il suo lavoro come una restituzione all’Italia della sua avventura formativa e progetta di condurre le sue ricerche tra Tunisi e Palermo.
Istituto Italiano di Cultura, Tunisi, 20 febbraio 2017, studentesse del Corso di Laurea in Lingua e Cultura Italiana
Sempre in termini di restituzione, Donia Ben Ahmed, 22 anni, nata a Gafsa, spera che il completamento dei suoi studi magistrali possa prevedere uno sbocco lavorativo che compensi i sacrifici dei genitori. La sua famiglia è composta di 11 figli, sei fratelli e cinque sorelle; il padre lavora in una Compagnia di fosfati di Gafsa, la madre è impegnata nel lavoro domestico. Donia sarà la quarta figlia a conseguire una laurea. Il suo italiano è sicuro e forbito, anche grazie alla passione per il teatro (ha interpretato un ruolo ne L’altro figlio di Pirandello, con un gruppo teatrale di Mahdia). Si riconosce passione e talento per la scrittura, compone poesie in italiano, ma il suo futuro lo vede in modo ben più prosaico. Nella ricerca di stabilità, anche il matrimonio e la maternità rappresentano un’aspirazione: a condizione di incontrare “la persona giusta”, che possa capirla e soprattutto rispettarla.
Slimane Ibtissem, dottoranda di 27 anni, si presenta segnalando timidamente l’etimologia del suo nome:
Istituto Italiano di Cultura – Tunisi, 21 febbraio 2017 studentesse del Corso di Laurea in Lingua e Cultura Italiana
Viaggiare altrimenti. Lo studio della lingua italiana come progetto di vita.
Diversa la storia e diverso il percorso di Rayen Arfaoui, dottorando di italianistica, nato a Tunisi 27 anni fa, che dopo la laurea triennale si trasferisce in Italia per conseguire a Perugia una laurea magistrale in “Italiano per l’insegnamento agli stranieri”:
Agli studi di genere si ispira la ricerca dottorale di Olfa Merez, che sotto la guida di Silvia Finzi sta redigendo una tesi su donne italiane e donne tunisine a confronto, tra specificità culturali e diritti universali. Inscrive il suo lavoro nel desiderio personale di emancipazione dallo stereotipo, interiorizzato fin dall’infanzia, di una donna “tunisina musulmana”, privata di diritti civili e di visibilità sociale.
A un progetto ambizioso si consacra invece la ricerca di Mabrouk Bouchoucha, dottorando proveniente dal sud tunisino, laureatosi a La Manouba con una tesi in linguistica italiana:
Il suo percorso dottorale lo vede impegnato, sotto la guida di Ahmed Somai, in una ricerca sull’impatto sociolinguistico della presenza italiana in Tunisia, dal 1815 fino alla diaspora della comunità nel 1943, dopo la caduta del fascismo, quando gli italiani dopo lo schiaffo di Tunisi lasciarono il Paese.
Mabrouk lamenta le difficoltà incontrate come studente non vedente, i problemi che deve fronteggiare in un contesto che non dispone di supporti didattici adeguati, il che lo ha incoraggiato a cercare una sponda italiana e a chiedere una co-tutela all’università di Pavia. Nel frattempo sta facendo un’esperienza didattica nella facoltà tunisina di Gafsa, nel sud, dove insegna lingua italiana per integrare economicamente una borsa di studio dottorale troppo esigua (250 dinari, circa 100 euro mensili).
Museo del Bardo, Tunisi, 27 febbraio 2017, studenti nell’area antistante il museo, accolgono i turisti con danze e canti
Delle studentesse più giovani, iscritte al corso di laurea triennale, per ovvie ragioni di spazio mi limito a richiamare solo qualche suggestione, a partire dalla consuetudine a presentarsi esplicitando il significato del proprio nome: così, Hanen Grissi (il cui nome vuol dire “tenerezza”), riconduce l’amore per la lingua italiana al ricordo di un padre scomparso e alla sua familiarità con una lingua che nella prima infanzia era per lei ancora indecifrabile, ma che lo faceva ridere di cuore assieme ai suoi compagni di lavoro italiani.
Marwa Aâmri (il cui nome richiama la montagna Marwa, meta del pellegrinaggio a La Mecca) riconduce la sua scelta a uno “strano destino”, il divieto del padre di intraprendere gli studi di economia, che però le ha consentito di misurarsi con una passione inattesa per la lingua, per la letteratura, per la storia dell’arte italiana. Raghda Arroum, dopo avermi restituito l’etimologia del suo nome (“una vita bella per sempre”) lamenta le difficoltà di una pronuncia poco sicura acquisita a Tozeur, durante la formazione in italiano applicato al commercio, e si ripromette di migliorarla nei corsi intensivi di conversazione previsti a La Manouba. Nedra Mansour mi comunica, per cominciare, di aver convertito il suo nome in Erminia: lo ha adottato per gli amici e per facebook, come omaggio a un Erminio napoletano conosciuto in una gita nel deserto. Frequenta assiduamente il social network per tenere in esercizio la lingua scritta, parla in modo fluido e sicuro ed è fierissima del suo accento milanese, contratto durante gli anni scolastici, grazie a un’insegnante disponibile e preparata.
Mouna Abidi, di Kasserine, orfana di padre, confida infine in una preparazione linguistica che le consenta di consolidare nel futuro un presente incerto, minacciato da una seria malattia, da una situazione economica molto precaria e dall’ansia di un possibile destino coniugale che ne pregiudichi l’autonomia: in luogo di una “lingua salvata”, una “lingua che salva” dalle inquietudini e si accorda con la nostalgia di futuro.
Graffito della medina di Tunisi riprodotto sulla locandina del convegno Tra due rive (Tunisi, 24 ottobre 2017)
Mentre chiudo questo contributo, il Ministero dell’Insegnamento Superiore e della Ricerca Scientifica tunisino, in collaborazione con l’Istituto Italiano di Cultura di Tunisi, sta sostenendo e incoraggiando l’organizzazione di due Giornate di Studio previste per il 9 e il 10 novembre 2017 dedicate alla promozione del sistema accademico italiano in Tunisia. Si tratta a mio avviso di un segnale forte, che esplicita un’intenzione di dialogo, che si origina anche dalla realtà che ho tentato di “etnografare” in queste pagine e che presta attenzione alla scelta del nostro Paese da parte di diversi studenti tunisini impegnati in una formazione universitaria (dai 216 iscritti in atenei italiani nell’a.a. 2003-2004 ai 902 del 2015-2016). Aderiranno al convegno numerose università italiane: anche una delegazione dell’ateneo “Sapienza” parteciperà all’incontro, rispondendo alla richiesta di informazioni sugli accordi di collaborazione scientifica in atto, sugli insegnamenti a distanza, sulla partecipazione a programmi Erasmus Mundus e Horizon 2020, sulle borse di studio e sul coinvolgimento di enti di ricerca italiani in progetti di formazione scientifica.
Sempre nel segno di una continuità e di una reciprocità auspicabile, alla “Sapienza” di Roma il 24 ottobre scorso abbiamo dato vita a una Giornata di studi dal titolo Tra due rive. Partenze, cittadinanze, appartenenze nel dialogo tra Italia e Tunisia. Tra gli ospiti tunisini, Silvia Finzi, Ahmed Somai, Ihmed Melliti (IRMC Tunis), Mohamed Kerrou (Université de Tunis El-Manar). Le due sessioni di lavoro, “Scenari di conflitto e mutamento sociale nella Tunisia contemporanea” e “Immaginare il Mediterraneo: mobilità culturale e reciprocità tra Italia e Tunisia” hanno inteso riproporre l’efficacia di uno sguardo trasversale sia sulle dinamiche di trasformazione in atto nel contesto tunisino (con particolare attenzione al ruolo dei giovani sulla scena politica, religiosa, sociale) sia sull’efficacia di un progetto strategico euromediterraneo votato al dialogo – scientifico e umano – tra generazioni di studenti e di studiosi.
In luogo di una conclusione, mi limito ad auspicare che i due eventi qui richiamati alimentino l’avventura formativa dei nostri studenti tunisini: se è vero che la cultura è l’acqua in cui si è immersi e in cui si nuota (Linton 1945: 125), l’esercizio di una lingua salvata tra due sponde del Mediterraneo potrebbe incoraggiare a ritrovare in quelle acque, non un paesaggio, ma gli innumerevoli paesaggi che lo fanno “sistema” (Braudel 1987: 7). Perché nessuno si salva da solo e perché intorno al “brusio” di ogni lingua c’è l’utopia di un desiderio, la fantasia di un dialogo, il disegno di un’intelligenza.
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