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La poesia cambia e i classici continuano a emozionarci
Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2022 @ 01:41 In Cultura,Letture | No Comments
Forse aleggia un nuovo vento nella percezione di cosa sia la “poesia” e di cosa possa definirsi “poetico”. Un vento che si è insinuato tra le trame della concezione “classica” della poesia (e per qualcuno unica ed intoccabile). Oppure, la Poesia non può essere mai etichettata perché si rinnova continuamente e per questo è sempre attuale. La realtà cambia e cambiano anche le parole. La conseguenza è un mutamento anche della struttura narrativa con poesie fuori dalle canoniche regole metriche.
Poesie accompagnate da declinazioni artistiche quali la musica, la fotografia o l’illustrazione. I sentimenti, le emozioni da raccontare, tuttavia, sono sempre gli stessi. Se si rileggono i classici antichi abbiamo la conferma di ciò. Siamo noi che, accogliendo formule nuove e mostrando una maggiore predisposizione a lasciarci andare a suggestioni e interpretazioni, rendiamo la poesia viva e eterna. Eppure troppo spesso è presentata come difficile e distante, respingente e spaventosa. Se ne parla poco se non a scuola e non sempre nel modo migliore. Lo studio della poesia è spesso finalizzato all’assolvimento della mera prestazione scolastica e al puro esercizio mnemonico. Eppure sappiamo tutti che imparare una poesia a memoria è importante perché diventa parte di noi. Per una vita intera.
Se nel tempo la poesia, e in generale le forme espressive sono mutate, occorre capire in che modo tale cambiamento ha modificato le strutture comunicative. Gli stessi social hanno spinto molto in questa direzione proponendo continuamente poesie e stralci di poesie, sia classiche che attuali. L’impressione che spesso se ne ricava, come sostiene Antonio Spadaro [1] è «che si sia trattato di un’evoluzione a strati in cui una cultura e una forma espressiva susseguente abbia integrato la precedente in una linea continua: dalla parola pronunciata a tu per tu, alla comunicazione attraverso immagini e suoni trasmessi a distanza». Secondo Walter J. Ong «molti credono che nella sfera della comunicazione un nuovo mezzo “elimini” semplicemente ciò che esisteva prima. Oggi si sente dire che i libri sono finiti, che radio e televisione li hanno rimpiazzati. Ebbene, chiunque pensi ciò è ben lontano dalla realtà. [...] No, il nuovo mezzo di comunicazione rafforza il vecchio, però lo cambia» [2] (Ong, 1993). Dunque, «se abbiamo a che fare con un progresso, dobbiamo precisare che i livelli di comunicazione sono diversi e fanno appello ad abilità differenti, generando tuttavia interazioni inedite» [3].
Interazioni per le quali talvolta accade – ma non è poco – che la passione per i versi e la passione per la musica generino un modo efficace e corretto di comunicare la poesia. E di farla amare raggiungendo un pubblico vasto ed eterogeneo. Perché la poesia non ha un posto specifico ma è dappertutto, come la luce, come l’aria. Perché in fondo le poesie raccontano i sentimenti universali, gli stessi da sempre, ma sempre nuovi. Sarà stata probabilmente questa la formula magica che ha unito insieme il cantautore Lorenzo Cherubini, in arte Jovanotti [4], e il poeta Nicola Crocetti [5] per dare vita ad un’antologia intitolata Poesie da spiaggia [6].
Un titolo che cela la giusta e innovativa freschezza nel proporre dei classici e renderli attuali, accattivanti, vicini alle emozioni e alle suggestioni di tutti. L’opera raccoglie, infatti, un’antologia di bellissime poesie classiche (ben 118) di vari autori di ogni epoca e latitudine. Si inizia con Costantino Kavafis e si chiude con Pablo Neruda. Tra le altre e gli altri, ci sono poesie di Arthur Rimbaud, Mario Luzi, Ezra Pound, Sandro Penna, Eugenio Montale, Marina Cvetaeva, Robert Frost, Rainer Maria Rilke, Antonella Anedda e anche Friedrich Nietzsche. Poesie che ci scaldano il cuore perché legate all’avventura, all’amore, al mare, al viaggio, alla vita. Si tratta, di una raccolta dei massimi componimenti di poeti a noi cari, alcuni noti e altri meno, ma tutti espressione di una poesia con cui siamo cresciuti e con cui continuiamo ad emozionarci.
È la raccolta perfetta sia per chi vuole scoprire la magia della poesia a piccole dosi, sia per chi cerca una lettura immersiva, sicuri di incrociare le parole di almeno un poeta con cui condividere le proprie emozioni e il proprio stato d’animo. Parole di grandi poeti di tutti i tempi, che chiedono di essere lette, ascoltate, ricordate.
Se un editore – nonché anch’egli poeta – come Nicola Crocetti, nato in Grecia, che ha tradotto migliaia di versi e pagine di narrativa dal greco – da ultimo l’Odissea di Nikos Kazantzakis [7] – , fondatore dell’omonima casa editrice e ideatore della rivista “Poesia”, decida di immergersi in questa avventura, vuol dire che ama la poesia al punto da desiderare che altri la amino. Affidandosi anche a strumenti comunicativi nuovi. Perché è necessario incantare e sorprendere tutti. Nella doppia intervista (a mò di introduzione della raccolta), i due autori si interrogano su cosa sia la Poesia e se sia possibile darne una definizione unica e valida per tutti.
Crocetti non ha dubbi: non esiste una definizione univoca. Nel corso degli anni:
È proprio questa l’operazione che occorre promuovere e sostenere per rendere la poesia sempre viva, attuale e coinvolgente. Per conoscere ed apprezzare la poesia nella sua essenza più autentica. Nella sua vita nel tempo che abbraccia nuove modalità comunicative.
Jovanotti è un cantautore di grande successo e impatto con un travolgente coinvolgimento emotivo attraverso la sua musica, le sue canzoni, le sue parole. Come lui stesso sostiene, «Siamo due tipi da spiaggia a pubblicare un libro di poesie in un tempo come il nostro, siamo come due bagnini per le anime, a nostra volta naufraghi». Così Jovanotti parla a proposito del sodalizio tra lui e il poeta e dell’alchimia speciale che si è creata tra “un maestro e un allievo”. È stata proprio la lettura della traduzione integrale di Crocetti del capolavoro di Nikos Karantzakis, a fargli immaginare che era possibile realizzare il progetto dell’antologia.
Da qui si intuisce che il cantautore – nonostante si definisca un “illetterato” – il “giardino segreto” della poesia lo conosce bene. E ricorda che intorno ai 14 anni, «,,,il vero incontro folgorante fu con i futuristi” e lo “Zang Tumb Tumb” di Marinetti, le poesie visive di quel momento», le percepì «più forti di un disco, di un concerto, e ci ho costruito una passione, una vocazione per le parole che suonano e battono, prima ancora di quello che significano.. ».
Poesia da spiaggia è una raccolta di poesie per ogni momento, per ogni occasione e stato d’animo: rappresentano il contatto e il rapporto uomo-natura, la contemporaneità, l’urbanizzazione, ma anche una fuga nei mari, le giornate piovose, l’antica mitologia, la convivenza di culture diverse, di versi antichi, italiani e stranieri [8].
Come sostiene ancora Spadaro,
E se la comunicazione di un testo scritto non può essere risolta semplicemente in immagini, anche la comunicazione delle immagini in movimento non può risolversi in un resoconto orale. Ci sono alcuni testi e alcune immagini che risultano talmente interconnessi e legati da non riuscire a separarli. È l’effetto che ho ricevuto nel leggere in Poesie da spiaggia, la poesia Itaca di Costantino Kavafis [10], in apertura dell’antologia:
Itaca è metafora stessa del viaggio, non è solo il rientro a casa dell’eroe in balìa delle onde – di sé stesso e dei suoi demoni. È il viaggio in sé. Per Kavafis il viaggio intrapreso deve seguire il suo corso e non deve essere affrettato. Occorre rimanere desti davanti agli eventi, saper prendere in considerazione ciò che accade per poi lasciarsi. Di fronte a tale viaggio anche gli dèi dell’Olimpo chinano il capo.
La poesia cambia e accoglie nuovi e mutati filoni narrativi. Alla ricerca metrico-estetica si sono aggiunti nel tempo l’accostamento di foto e disegni, l’accompagnamento musicale e altre modalità comunicative e inedite forme artistiche. Forme nuove ma che comunque attingono al patrimonio classico della poesia. Si impone dunque una poesia che desidera vivere pienamente ogni potenzialità che la contraddistingue, ogni scintilla creativa, ogni originale epifania.
In questo contesto, e riprendendo le differenti abilità che generano interazioni inedite, si inserisce pienamente la Poesia visiva (Visual Poetry) [12] che ormai delinea un genere ben riconoscibile e con radici lontane. E sulla scia di questo filone, è l’opera di Sofia Demetrula Rosati [13], con particolare vocazione per la poesia filosofica e per la quale la parola e la sua riproduzione grafica svolgono un ruolo centrale nel lavoro artistico. In fondo, come spiega l’autrice stessa, la parola scritta altro non è che
Nel suo ultimo lavoro di Poesie, Sofia Demetrula Rosati, come ci suggerisce Giuseppe Martella [15] nella Prefazione, «si fa traduttrice del tempo trasportando figure a ritroso e ad elica da un’epoca all’altra, riconducendole verso l’evanescente “dimora del ritorno”». E Dimora del ritorno. Sull’evanescenza del divino femminile [16] è proprio il titolo di questa raffinata raccolta di poesie. Lentamente venuta a formarsi col tempo, come, appunto, stratificandosi, l’opera si muove lungo direttrici cronotopiche vastissime, grazie alla presenza splendente e decisiva del pensiero meridiano che abbraccia l’area culturale, storica e geografica rappresentata da Creta, dalla Grecia, dalla Palestina e da Salerno, spazio entro il quale le epifanie e le eclissi della Dea Misterica mediterranea incarnano quell’adesione ai cicli naturali, all’essenza del femminile, alla corporeità sia sensibile che uterina di una conoscenza del mondo, tanto generativa quanto distruttiva. Epifanie ed eclissi della Dea Misterica che ispirano le sei Tavole di Visual Poetry intitolate Sguardi minoici che corredano il volume. «…Ciò che in questa silloge si attua è in effetti, in primo luogo, una sorta di archeologia del rito e del mito greci, un depotenziamento della luce olimpica ferma e intensa». E ancora:
Particolare fonte di ispirazione per i suoi lavori sono le scritture indecifrabili pre-elleniche (Lineare A, disco di Festo, geroglifici minoici, ecc.) nonché il carattere della scrittura greca (sia antica che moderna). Tutti elementi, questi, che le appartengono non solo in senso culturale date le origini greche, ma che esercitano una forte suggestione archetipica caratterizzante, da sempre, tutto il suo lavoro poetico. Infatti,
Ciascuno di noi – sostiene l’autrice – è guidato da un linguaggio universale che ha accomunato l’intera umanità e che si è espresso nei millenni attraverso simboli, geometrie, grafie (l’esempio più eclatante è quello delle rappresentazioni rupestri) e che non può non appartenere al nostro patrimonio archetipico. Questo patrimonio è attingibile solo attraverso l’uso di una grafia asemica che risulta al tempo stesso “illeggibile a chi la usa” ma riconoscibile da tutti. Come afferma Michael Jacobson [19], uno dei maggiori esponenti dell’Asemic Writing [20] a livello internazionale: «I feel a great connection with writers of the past, whether it’s cave painted proto-writing, hieroglyphs, illuminated manuscripts […] Maybe we could ever consider asemic writing as a truly universal language» [21] (Sento un grande legame con gli scrittori del passato, che si tratti di protoscritture rupestri, geroglifici, manoscritti miniati […] Forse potremmo considerare la scrittura asemica come un linguaggio veramente universale).
Poter scegliere liberamente il tratto grafico, la direzione e l’organizzazione del testo sulla pagina (cartacea o virtuale), il tutto sulla base della sua particolare esigenza espressiva, ha trovato nell’asemic writing una meravigliosa opportunità di comunicazione artistica. Come afferma l’artista e poeta Renee Gladman [22]: «It seemed one needed to write in order to see; one had to move out across the page and then through – but maybe not through the page. It would be movement nonetheless and would require the body to transform the physical body becoming astral or like a line itself, moving further in» [23] (Sembrava che fosse necessario scrivere per vedere; bisognava muoversi attraverso la pagina e poi attraverso – ma forse non attraverso la pagina. Sarebbe comunque movimento e richiederebbe al corpo di trasformare il corpo fisico diventando astrale o come una linea stessa, muovendosi più all’interno). Dunque, un’estensione del corpo oltre la pagina, con una grafia che non pone limiti al pensiero e quindi al corpo.
Nelle scritture asemantiche Sguardi minoici, che come ho scritto in precedenza corredano il volume, l’autrice ha voluto provare a tratteggiare alcuni simboli provenienti dalla cultura minoica e che nell’evoluzione delle sue rappresentazioni grafiche, metaforizzano un linguaggio mitico-religioso in gran parte ancora sconosciuto.
Ciò che più si avvicina al senso di queste che sono delle vere e proprie Visual Poetry, può essere collegato alla prosa poetica posta ad epilogo della prima silloge che compone il volume, ovvero “Aphaia di colei che svanisce”:
Per Antonio Devicienti [26], con La dimora del ritorno si attraversa uno splendido libro che «…non è un saggio, ma complessa scrittura in poesia (e quindi anche ritmica, scandita, pausata e, in parte, in versi); (….per Sofia Demetrula Rosati «la dimora del ritorno resta ancora aggrappata ai grafemi, al fare poetico» (è, questa, proprio l’ultima proposizione che, a pagina 62, chiude l’intero libro) – il che significa che proprio nel fare poetico in tutte le sue (molteplici) espressioni la presenza vivificante del femminile riemerge e si conferma necessaria e nutriente, oltremodo vitale)» [27].
Dopo aver letto le poesie di La dimora del ritorno si ha la sensazione di essere stati altrove, di aver compiuto un leggero viaggio in spazi infiniti e senza tempo. La sensazione di essere dentro quelle parole. Ma soprattutto di aver compiuto una scoperta: la Poesia.
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