- Dialoghi Mediterranei - http://www.istitutoeuroarabo.it/DM -
L’isola che non c’è, o della tonnara fantasma
Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2023 @ 00:33 In Cultura,Società | No Comments
di Ninni Ravazza
L’isola di cui parliamo non è quella fantastica di Barrie [1], né la fuggente Ferdinandea [2], non quella che si trova dopo la seconda stella a destra [3] e neppure la più bella di tutte che Gozzano [4] inconsapevolmente ha regalato a Guccini [5]. Non è neanche quella dei Beati vagheggiata da San Brandano [6] o quella misteriosa di Verne [7]. È un’isola di terz’ordine, derelitta, poverella, ma con le altre ben più famose ha una particolarità in comune: è un’isola fantasma. Nessuno sa di preciso dov’era, pochissimi se ne ricordano appena per un istante poi la cancellano nuovamente dalla memoria. Eppure è esistita davvero, e per centinaia di anni è apparsa all’improvviso ogni primavera per poi scomparire a inizio dell’estate. È incredibile verificare come la memoria comune possa cancellare interi segmenti della storia di un territorio, ancora più sorprendente se quella storia si è conclusa appena cent’anni fa.
La nostra “isola” dimenticata è la tonnara di San Vito lo Capo e la sineddoche indica il recinto di rete dove i tonni vengono imprigionati. Una figura retorica per dare consistenza a un “non ricordo” [8].
La tonnara dimenticata
Da circa tre secoli la Tonnara di San Vito viene identificata col meraviglioso impianto del Secco che finalmente sta per essere restaurato, una struttura dalla architettura superba realizzata in uno dei luoghi più belli di Sicilia [9]. È stato, questo, un errore ricorrente che ha tratto in inganno ricercatori e studiosi e che ha creato non poche difficoltà a chi ha investigato la storia della pesca del tonno in Sicilia. Perché la prima vera tonnara di Santo Vito era un’altra, sconosciuta e dimenticata. Il fantasma della tonnara che non c’è ha sedotto financo il massimo esperto di tonnare italiane, il compianto Raimondo Sarà, che contesta la tesi di M. A. Platania il quale situa la terra Cetaria «nei pressi della tonnara di S. Vito» (1987): «non è mai esistita una tonnara con tal nome (se non per mal riusciti tentativi di questo ultimo trentennio – scrive Sarà nel 1998 – la denominazione però è stata spesso usata per un generico riferimento alla vicina, antica e assai bella tonnara del Secco (o forse meglio della Sicca, così indicata almeno sino a metà del XIX Sec.)» [10].
Ma Sarà non è il solo a cadere nell’inganno. Oltremodo imprecisi erano stati in precedenza altri saggisti che hanno lasciato opere fondamentali sulle tonnare siciliane. A fine Settecento il palermitano Marchese di Villabianca nel suo elenco degli impianti di pesca fa notevole confusione: «Tonnara di S. Vito: Tonnara che si tiene nei mari del Golfo di Castellammare comprendesi tiene il nome di S. Vito perché il … di S. Vito in Palermo ne gode la signoria. A mio credere questa tonnara è quella nomata del Sevo o sia della Sicca e di S. Vito lo Sicco». Il diarista cita anche la tonnara del Sevo: «Col nome pure di Sicca si chiama questa tonnara, ma volgarmente conoscesi sotto quello di S. Vito lo Sicco. Ella a mio credere è la stessa tonnara che si dice di S. Vito lo Sicco» [11].
Nel 1816 Francesco Carlo D’Amico, duca d’Ossada, proprietario di tonnare nel messinese, grande appassionato e conoscitore del settore, elencando gli impianti dell’isola riferisce di una Tonnara di S. Vito di cui sa poco e solo de relato: «Per le relazioni ricevute … mi è stato avvisato essere una piccola Tonnarella che pesca a scamali, o sia salvaggina, ed è propria del Monastero di S. Rosalia di Palermo» [12]. Anche il professore Pietro Pavesi a fine Ottocento nella sua importantissima relazione sull’industria delle tonnare [13] fa confusione: «Fra le tonnare pervenute al demanio dall’asse ecclesiastico noverasi questa del monastero di Santa Rosalia in Palermo … è propriamente una tonnarella indicata in tante carte della Sicilia a scirocco del capo San Vito, per cui fu detta di San Vito o più spesso del Sevo …» e nella classificazione in base alle catture inserisce il “Secco” nel quarto “ordine” con una media annua di 500 tonni, e comunque mai più di 1500. Salvatore Scimè nella sua Scheda delle tonnare siciliane in appendice del bel volume di Vincenzo Consolo sulla pesca del tonno [14] unisce sotto lo stesso comma le tonnare sanvitesi: «San Vito o Secco o Sevo. Tre nomi per la stessa tonnarella …» [15].
In realtà di una tonnara di Santo Vito che non era il Secco si trova riscontro già in un atto notarile del 1377 che registra la vendita di quell’impianto da parte di Markisia de Aurea (o Lauria), vedova del conte Arduino Ventimiglia, al mercante Pace Rosso, cittadino palermitano, in società con Francone de Afflitto per la concessione delle quattro tonnare di Bonagia, di Cofano, di S. Vito e di S. Teodoro per una cifra complessiva di 650 fiorini d’oro:
Tale circostanza viene riportata anche dallo storico dell’economia Rosario Lentini che alle tonnare ha dedicato approfonditi studi [17].
Della tonnara di Santo Vito parlano in maniera dettagliata l’ingegnere militare senese Tiburzio Spannocchi e l’architetto fiorentino Camillo Camilliani che nella seconda metà del XVI secolo vengono incaricati dai Vicerè di Sicilia di pianificare le difese costiere dell’isola contro i pirati barbareschi. I due ci lasciano accurate descrizioni delle coste siciliane con le torri esistenti e il progetto di quelle da realizzare (operazione che verrà portata a termine nei primi decenni di Seicento).
Lo Spannocchi suggerisce di costruire una torre sul piano di San Vito e in attesa della realizzazione sottolinea che «sarà bene tener continua guardia alla torre della tonnara overo della chiesa»; a corredo della descrizione l’ingegnere traccia un accurato disegno della torre a guardia della tonnara (“Torrazzo”) a pianta circolare, risalente al XIV secolo e oggi splendidamente restaurata. Altro bel disegno Tiburzio Spannocchi dedica alla torre a difesa della vicina tonnara di Cofano aggiungendo però che anche lì è da costruire una nuova torre più a ponente perché le torri esistenti non sono in contatto visivo con le altre da realizzare (infatti poco dopo sarà costruita la torre San Giovanni all’estremità del golfo di Cofano, che avrebbe potuto trasmettere e ricevere segnali a levante con la realizzanda torre Isolidda e a ponente con la torre Xhiare) [18].
Il Torrazzo a difesa della Tonnara di Santo Vito nel disegno di Tiburzio Spannocchi (seconda metà del XVI sec.)
I due tecnici militari, che compiono il sopralluogo tra il 1577 e il 1583, percorrono la costa di San Vito e non trovano traccia di alcuna tonnara nel golfo del Secco, come emerge chiaramente dalla relazione di Camillo Camilliani: «Siegue la spiaggia arenosa e scoperta detta di Santo Vito, qual siegue lo spazio di tre miglia, e conduce ad una piegatura del lido, dove si vede la chiesa di Santo Vito, devotissima e forte, vicino alla quale si vede una tonnara con una torre assai comoda: ma non può avere nessuna corrispondenza» [19]. L’architetto fiorentino compie il periplo della parte nord occidentale dell’isola da levante a ponente, e prima della spiaggia con tonnara annota soltanto «una cala di gran capacità, detta lo Guzzo, dove si vede una torre incomplita, fatta dal signor Ottavio Gioacchino per adattarvi una tonnara, che oggi è tralasciata …». Il Guzzo, o Uzzo, oggi rientra nella riserva dello Zingaro, a est di San Vito, e fino alla metà del secolo scorso era sede di una piccola tonnarella “a monta e leva” di pertinenza della tonnara di Scopello, con calo intermittente [20], che non poteva essere quella del Secco.
Il ricercatore trapanese Stefano Fontana nel suo La resistenza frustrata dedicato al “500 a Trapani” trova tra gli atti notarili notizie sul personale assunto per la tonnara di San Vito alla fine del XVI secolo, proprio nel periodo in cui Spannocchi e Camilliani compiono il loro sopralluogo:
ovviamente il riferimento è alla stagione di pesca 1585 e la tonnara dunque risulta pienamente operante.
Si deve aspettare l’inizio del XVIII secolo per avere le prime notizie sulla tonnara “del Secco”: nel 1709 viene dato alle stampe il lavoro del gesuita Giovanni Andrea Massa che ne La Sicilia in prospettiva descrivendo la costa a levante del paese annota «… a fronte di essa scende il vallone di S. Vito, dove ha il suo cominciamento una vasta cala, cui appellano Cala rossa … è qui la tonnara detta del Sevo … e seguitando immantenente nuova spiaggia arenosa, cui appellano di S. Vito … quivi vicino sta la tonnara di San Vito con sua torre» [22]. Eccole finalmente, le due tonnare sanvitesi, forse entrambe ancora operanti (Massa attinge le notizie certamente alla fine del 1600).
Pochi anni dopo la pubblicazione de La Sicilia in prospettiva, esattamente nel 1713-14, la tonnara di Santo Vito risulta abbandonata: l’ingegnere militare piemontese Alessandro Ignazio Amico di Castellalfero, incaricato da Vittorio Amedeo di Savoia di effettuare la ricognizione delle fortificazioni sulle coste siciliane, scrive: «… e scendendo nel golfo di San Vito si principia l’ingresso in una cala detta Cala Rossa … con una tonnara di Santa Rosalia di Palermo … entrati nella spiaggia di San Vito, arenosa e scoperta, si vede vicina la chiesa di detto Santo, et indi girando si trova vicina una torre abbandonata qual serviva di guardia ad una tonnara che altre volte vi era …» [23].
Dall’età moderna alla contemporanea
Fin qui la storia della piccola e poco redditizia tonnara di San Vito in età medievale e moderna che va dall’atto di vendita nel 1377 (ma era sicuramente già in attività da tempo) alla sua scomparsa nel 1714 (nel XVII secolo pagava appena 28 onze di decima alla Curia di Mazara del Vallo, la quota più bassa di tutti gli impianti del trapanese [24] e nel 1578, acquistata da Don Francesco Sieri barone di Fiume Grande, rende appena 185 onze l’anno a fronte delle 600 onze della vicina tonnara di Cofano [25]).
Le ultime notizie ufficiali a inizio ‘700 (Castellalfero) dunque la danno per “spenta”. Ma non sarà così per sempre. Agli inizi del XX secolo la tonnara di Santo Vito era nuovamente in attività, e non ci sono (finora) riscontri di quando abbia ripreso a calare le reti (anche in questo caso spesso documentazione e statistiche fanno confusione tra i due impianti del Capo). Una tonnara di S. Vito era in attività per certo nel 1912, come si rileva dai Diari della tonnara del Secco, allora di proprietà della famiglia Foderà di Castellammare (Vito la aveva acquistata nel 1872 dal demanio dopo la dismissione dei beni ecclesiastici). Nenè Bergamini, uomo di fiducia della famiglia ed estensore dei Diari (in alcuni anni “Giornale”) fino al 1918, cita spesso la tonnara di S. Vito, assai vicina, ed emerge chiaramente che tra questa e il Secco vigeva una proficua collaborazione, favorita anche dal fatto che amministratore di San Vito era Giovannino Plaja, nipote di Foderà, il quale dopo lo “spegnimento” della tonnarella sanvitese diverrà amministratore e successivamente proprietario assieme al fratello Giuseppe della tonnara del Secco [26].
Proprietari delle reti di San Vito erano i Serraino già titolari dell’impianto di San Giuliano/Sancusumano a Trapani; i rapporti fra le due proprietà erano ottimi e spesso le due tonnare si scambiavano uomini, barche e attrezzi. Il fatto che la vicinanza delle due tonnare (nemmeno le tre miglia di “rispetto” sancite dalla legge) non comportasse alcuna polemica potrebbe apparire strano (in precedenza si erano registrate aspre contese legali tra i proprietari delle tonnare di Bonagia, Cofano e San Vito per il “disturbo” che quelle a levante potevano arrecare alle reti che stavano sottovento [27]): a San Vito invece la presenza di una vasta secca rocciosa a ponente del Secco allontanava comunque i tonni dalla costa, cosicché le reti di S. Vito pescavano quelli che si avvicinavano alla riva tra la secca di Levante e quella del Faro nell’ampia golfata davanti al paese e non piuttosto quelli che provenivano da est, già intercettati dal Secco.
Il 4 aprile 1912 (a questa data risale la prima notizia ufficiale della tonnara “contemporanea” in nostro possesso) Leonardo Foderà, fratello di Vito nel frattempo scomparso, manda la muciara del Secco «per l’acconcio delle barche di S. Vito», e il 29 dello stesso mese l’amministratore Bergamini termina «d’inventariare tutti gli oggetti di S. Vito». Nel 1914 il 27 marzo Bergamini annota che «con il Sig. Plaja ci siamo recati qui di mattina con la ciurma dei S. Vitari e cominciamo la consegna del materiale per la tonnara di S. Vito» che il 21 aprile «cruciò l’isola meno 4 ancore»; il 26 aprile al Secco «è arrivata una mociara di Scopello destinata a S. Vito in prestito», e l’1 maggio lo stesso Bergamini manda una squadra di tonnaroti «compreso il Sottorais Michele Oliva» a San Vito per aiutare nel calato delle reti; il 16 maggio di quest’anno l’amministratore annota che «San Vito fece il primo sangue e pescò N. 12 tonnarelli del peso di Kg. 514» (questo è l’unico dato a nostra conoscenza riferito alla pesca). Per il 1915 abbiamo solo notizie sul materiale prestato dal Secco a San Vito («N. 6 midollaroni di disa») e sul giorno del calato delle reti (6 maggio, con l’aiuto dei tonnaroti del Secco), nessuna notizia di catture. Questo deve essere stato l’ultimo anno di attività perché già nel 1916 vengono portati nelle tonnare del Secco e di Scopello diversi attrezzi non più usati: «1 sommo di San Vito canne 102 … Kg. 2197 Sughero di San Vito … attrezzi»; viene stilato inoltre l’elenco del «Materiale rimasto depositato al Secco provenienza tonnara di S. Vito»: si tratta di ormeggi, cavi, gomene, reti …).
Il 20 aprile 1917 «… vi è al Secco una persona mandata dal Sig. Serraino, con 6 persone di San Vito, ed altri 6 marinari nostri, per consegnarsi tutte le gomene di cocco di quelle della tonnara di San Vito, che il padrone vendette a Serraino …»: chiusa la tonnara di San Vito, l’imprenditore trapanese Serraino acquista per la sua tonnara parte del materiale che Foderà gli aveva dato in prestito. Si conclude così la seconda vita della tonnara fantasma che lascia solo labili tracce della sua attività tanto è vero che Maurizio Gangemi, apprezzato storico dell’economia, rileva come tra il 1909 e il 1914 «Nel compartimento di Trapani gli unici impianti destinati a pescare scarse quantità di tonno e solo per pochissimi anni [a fronte di esiti molto migliori di altre tonnare NdA] saranno quelli di Curto, Capo Feto, San Vito lo Capo …» ma per quest’ultimo anche lui viene tratto in errore dalle fonti a disposizione (la Relazione periodica pubblicata dalla Marina Mercantile Italiana dal 1885 al 1915 e dal 1925 al 1930) qualificandolo come «la tonnara di S. Vito lo Capo di V. Foderà» che invece come abbiamo visto era quella del Secco [28].
Il fumaiolo della Tonnara del Secco, primo intervento di restauro effettuato sulla struttura (ph. Nini Ravazza)
Una terza, brevissima esistenza, la tonnara fantasma la vivrà negli anni 1969 e ‘70 quando Michelangelo Plaja in società con alcuni imprenditori di San Vito portò le reti del Secco nell’antico “loco” della tonnara, davanti al Torrazzo, perché l’inquinamento industriale aveva reso “sterile” il golfo di Castellammare allontanando i tonni dal loro millenario percorso. L’esperimento, con lo spostamento a ponente delle reti e l’impiego di un impianto “alla spagnola” (meno “camere” e diversa imboccatura) diede esiti disastrosi, e col 1970 anche l’ultima delle tonnare di San Vito si è “spenta” definitivamente.
La memoria cancellata
Da quando ho appreso della esistenza dell’antica e primitiva tonnara di Santo Vito mi sono spesso chiesto quali misteriosi procedimenti psicologici abbiano comportato la cancellazione dalla memoria collettiva di quella realtà. Il mio arrivo nel paese risale al 1964, dunque nemmeno cinquant’anni dopo la chiusura della tonnara; è più che probabile che allora fossero in vita alcuni pescatori che ci avevano lavorato, e che i loro figli e nipoti ne avessero sentito parlare.
Capo San Vito e batimetria dei fondali: si vede come a levante dopo il golfo del Secco si estenda verso nord una secca rocciosa che allontanava i tonni
Invece no, nessuno ne ha mai fatto parola, la tonnara di San Vito era solo quella “del Secco”. La rimozione ha compreso anche alcuni toponimi che per secoli hanno contraddistinto la costa a ovest della bellissima spiaggia: dove oggi c’è il porto peschereccio si trova la Punta del Carpino e appena più oltre la Punta della Tonnara, denominazioni ufficiali riportate da Camilliani e Massa («sporgono bensì da quello alcune Punte, tra le quali due sono le più notabili, quella del Carpino, e quella nominata della Tonnara…») [29].
Oggi nessuno chiama più col nome originale quelle lingue di scoglio lanciate sul mare. Mai ho sentito alcuno accennare a una punta della Tonnara, nemmeno i bravissimi pescatori sanvitesi che come tutti gli uomini di mare sono molto legati alle tradizioni e alle conoscenze del passato. Tutto dimenticato.
La tonnara di Santo Vito dunque veniva calata davanti al Torrazzo costruito a cavallo del 1400 a sua difesa; le reti partivano dalla punta a essa intitolata e uscivano in direzione nord-est, la sua “isola” (da qui il titolo di questo mio intervento) veniva posta in mare a levante della maestosa Secca del Faro e questo finalmente mi ha fatto capire come mai sul fondale mi capitasse di rinvenire assieme ad ancore romane e puniche di piombo anche attrezzi molto più moderni, in ferro, discretamente conservati: erano le ancore della tonnara di inizio ‘900 perdute accidentalmente.
Torre cilindrica e tonnara di Santo Vito portano con sé anche un altro mistero: alle spalle della torre agli inizi del XVII secolo, sul pianoro, venne realizzata la torre Roccazzo suggerita da Spannocchi e Camilliani, finalmente in contatto visivo con le altre coeve poste a difesa della costa. Questa torre venne distrutta nel 1935 per fare posto a un Osservatorio militare (ora trasformato in abitazione privata). Sono passati solo pochi anni, ma anche del Roccazzo si è perduta memoria: nessuno dei vecchi sanvitesi se ne ricorda, oggi come ieri, e per decenni ho cercato invano una sua fotografia, un disegno. Niente. Anche il Roccazzo come la tonnara era sparito nella memoria del paese, nessun ricordo, nessuna immagine.
Come la tonnara di Santo Vito, però, alla fine anche a quel fantasma possiamo finalmente dare corpo e forma. Grazie a Sergio Pace, i cui avi sono stati proprietari e gestori di tonnare a Trapani e in Libia, sono riuscito ad avere una fotografia dell’antica torre, l’unica di cui si abbia notizia, probabilmente la sola esistente. È una immagine straordinaria e fortuita, perché l’ignoto fotografo intendeva riprendere dei giovanissimi bagnanti (sanvitesi?) in riva al mare, accanto alle barche tirate sulla spiaggia (il porto viene realizzato solo a fine anni ‘50) … ma lontano alle loro spalle appare il Roccazzo! Non credevo ai miei occhi quando Sergio mi ha trasmesso la foto, e mi sono commosso, tornava a galla un altro segmento della storia di questo paese che ho scelto quale mio luogo dell’anima. L’immagine è certamente antecedente al 1935 e si nota che la torre versa già in grosso degrado, con la parte superiore semi crollata; sulla destra si intravede la Punta Carpino.
La foto inedita (propr. Sergio Pace) dove si vede il Roccazzo; a destra la Punta del Carpino (antecedente al 1935)
Questa fotografia è assolutamente inedita e “Dialoghi Mediterranei” è la prima rivista a pubblicarla (per questo motivo, per evitare che altri si prendano meriti non propri, ho voluto aggiungere in sovrimpressione il nome dell’amico che me ne ha fatto dono).
Il mistero della Madonna ritrovata
Torniamo alla nostra tonnara di Santo Vito e ribadiamo la domanda: come mai su essa è calato l’oblio che ha cancellato secoli di storia e di storie? Una prima motivazione è certamente la mancata realizzazione di un complesso architettonico a supporto della pesca, la “tonnara” intesa come fabbricato (vedi Bonagia, Secco, Scopello, Favignana, Formica, solo per restare nel trapanese): a Santo Vito i tonnaroti si accampavano sotto il Torrazzo deputato a difenderli dai pirati di Barberia, e tiravano le loro barche sulla spiaggia arenosa della golfata. Nessun caseggiato venne costruito per uomini e attrezzi e solo il ritrovamento di alcuni scheletri nei pressi della torre denuncia una remota presenza umana. Questo fatto però porta con sé un altro mistero: come mai nessuna comunità è sorta attorno alla tonnara, che pure nel periodo della pesca (aprile-luglio) doveva contare decine di persone? Il paese sorge soltanto alla fine del 1700, in precedenza l’unico punto di aggregazione era la Chiesa-Santuario dedicata al Santo giovinetto, meta di pellegrinaggi e processioni devozionali [29]. Tutto il resto non esisteva.
Vecchia foto di San Vito lo Capo; le barche e gli attrezzi della tonnara venivano conservati nei magazzini che si vedono in basso a sinistra
Come mai la tonnara è restata per almeno trecento anni (dal 1300 a metà 1600) una realtà avulsa dal territorio, non in grado di creare una comunità? e come e dove venivano portati e lavorati i tonni qui pescati (pochi ma comunque sufficienti ad assicurare un reddito al proprietario/gabelloto)? Le fonti documentarie fino a oggi non hanno fornito una risposta. È probabile che nel XIV secolo, ai tempi di Donna Markisia, non esistendo una comunità sanvitese i pescatori venissero da Trapani o da Palermo città dei nuovi proprietari, ma a inizio ‘900 pur essendo di proprietà trapanese, con amministratore di Castellammare del Golfo, è possibile che la marineria sanvitese rimanesse del tutto estranea alla tonnara? Le barche e gli attrezzi venivano conservati in magazzini anonimi che si affacciavano sulla spiaggia più o meno dove oggi termina il corso principale e anche in questa occasione non venne realizzata una struttura con le caratteristiche del fabbricato di tonnara.
Nessun ex voto conservato nel bellissimo Museo del Santuario, appena riaperto al pubblico [30], conduce alla tonnara di Santo Vito mentre quella del Secco è rappresentata dalla meravigliosa Madonna Immacolata lignea di metà 1500 cui era dedicata la cappella gentilizia di quella tonnara. Questa statua era stata trafugata dalla cappella della tonnara ormai abbandonata e fu ritrovata per caso; uno straordinario restauro a cura della Chiesa locale le ha restituito l’antico semplice splendore [31].
Anche qui però c’è un mistero che le fonti documentali non chiariscono: la tonnara del Secco in origine apparteneva al monastero palermitano di Santa Rosalia ed è di due secoli posteriore alla “sua” Immacolata, da dove proviene questa bellissima icona? Non dal Santuario né da una delle tante chiese di Monte San Giuliano nella cui universitas ricadeva il territorio di “San Vito la punta”. Un tentativo di accreditarla quale opera da sempre appartenente al cinquecentesco Santuario locale non trova riscontro alcuno [32]. Una Madonna apparsa all’improvviso proprio come l’isola che non c’è, ma stavolta destinata a perpetuare la propria bellezza nelle austere sale del Santuario, finalmente come una memoria ritrovata.
______________________________________________________________
Article printed from Dialoghi Mediterranei: http://www.istitutoeuroarabo.it/DM
URL to article: http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/lisola-che-non-ce-o-della-tonnara-fantasma/
Click here to print.
Copyright © 2013-2020 Dialoghi Mediterranei. All rights reserved.