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Maschera bianca, pelle rossa. Negoziazione del diritto di autogoverno indigeno in Canada
Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2019 @ 01:52 In Cultura,Società | No Comments
di Linda Armano
Nel 1991 Ralph Johnson, dell’University of Washington, pubblicò un importante articolo intitolato “Fragile Gains: Two Centuries of Canadian and United States Policy Toward Indians” in cui comparava la storia della politica federale degli Stati Uniti con quella del Canada specificando che:
Fino agli anni Novanta in Canada, diversamente dagli Stati Uniti con l’United States Supreme Court, mancava un regolamento ufficiale relativo alla possibilità, per le comunità indigene, di autogovernarsi. All’inizio degli anni Novanta del Novecento esisteva infatti solo l’Indian Act che controllava la distribuzione dei gruppi e regolamentava le riserve. Nonostante l’iniziale arretratezza legislativa a favore delle comunità native, il Canada ha comunque raggiunto, seppur con innumerevoli scontri tra le First Nations ed il Governo Federale, compromessi lievemente migliori tra le due parti rispetto agli Stati Uniti. Infatti, mentre le comunità indigene statunitensi subiscono ancora oggi un mancato riconoscimento di molti diritti relativi soprattutto alla proprietà della terra, in Canada alcuni gruppi nativi sono riusciti ad imporre, anche se solo in parte, un’autoregolamentazione delle loro terre e, di conseguenza, delle loro attività tradizionali e cerimoniali. Ciononostante, sia in Canada che negli Stati Uniti, persistono ancora difficoltosi rapporti tra gli indigeni e i rispettivi governi che vengono spesso pubblicamente offuscati. La manipolazione dei fatti e la relativa diffusione di notizie da parte dei mass media comportano, di conseguenza, fraintendimenti anche all’interno della popolazione bianca nei confronti delle comunità indigene, determinando forme di razzismo o di incomprensioni più o meno aperte da parte dei primi nei confronti delle seconde.
Nonostante in Canada le First Nations siano riuscite a raggiungere, seppur minimamente, una forma di autogoverno che consente loro, almeno in apparenza (dato che la struttura autogovernativa è assolutamente vincolata al potere politico del Governo Federale), di prendere decisioni relative alla gestione socioeconomica della propria comunità (come per esempio sulle forme di tassazione), all’uso tradizionale della terra e alle pratiche cerimoniali, Kathleen Burrage sostiene che:
Riguardo a questo tema, Johnson ha inoltre affermato che, similmente agli Stati Uniti, anche la politica federale canadese continua, nonostante le apparenze, ad erodere i diritti delle comunità native attraverso una subdola politica assimilazionista:
West Bank First Nation in Kelowna Britih Columbia dipartimento indigeno per la promozione della cultura nativa
Come gli Stati Uniti, il governo canadese ha una complessa storia di relazioni, regolamentate da trattati, con le comunità indigene. In generale, il Canada è un Paese caratterizzato da molti aspetti contrastanti. Anche se è al 35° posto a livello mondiale per numero di abitanti, con 34,3 milioni di persone, con le sue dieci provincie (Newfoundland e Labrador, Prince Edward Island, Nova Scotia, New Brunswick, Quebec, Ontario, Manitoba, Saskatchewan, Alberta e British Columbia) e tre territori appartenenti legalmente alle First Nations (Nunavut, Yukon e Northwest Territory), è solo secondo alla Russia per estensione territoriale. L’80% della popolazione è distribuita sia lungo il confine con gli Stati Uniti sia nelle principali città come Montreal (Quebec), Toronto (Ontario) e Vancouver (British Columbia). L’attuale distribuzione della popolazione si rifà agli insediamenti degli abitanti risalenti al XVII e al XVIII secolo quando, seguendo i corsi d’acqua e le risorse naturali, vennero costruiti i villaggi minerari (per l’estrazione del carbone e dell’oro) oppure i siti lungo le vie ferroviarie. L’espansione coloniale e l’illegale estrapolazione delle terre degli indigeni, accompagnate anche da violenza e devastazioni, sono intrinsecamente collegate alla corona britannica. Oggi infatti, come in passato, viene messo in atto un apparente processo di riconoscimento dei diritti indigeni che spesso fa credere, anche a livello internazionale, la buona intenzione del governo canadese nel costruire positive relazioni con le First Nations per il riconoscimento dei loro diritti. Questo antico ed ambiguo meccanismo risale ai primi contatti europei con le comunità indigene. La Royal Proclamation del 1763 affermava per esempio il divieto, da parte della Gran Bretagna, di cedere o di acquistare le terre riservate alle comunità native (Clinton, 1989). Chiunque avesse ostinatamente o inavvertitamente invaso le terre riservate agli indigeni avrebbe dovuto chiedere:
I trattati tra la Corona Britannica e le varie First Nations, alcuni dei quali precedettero la Royal Proclamation, sono documenti importanti in quanto consentono di ripercorrere le varie fasi storiche relative alla controversa costruzione di relazioni tra i gruppi aborigeni e i governi coloniali:
I trattati che partono dal numero 1 al numero 11, che ancora oggi regolamentano i rapporti tra le comunità native, il Governo Federale e la Corona Britannica, hanno segnato in maniera preponderante la storia delle First Nations, soprattutto nel Canada occidentale tra il 1871 al 1923. L’apparente volontà di costruire delle relazioni con le comunità native maschera il reale status di separazione politica, economica, sociale e culturale tra governo e nazioni indiane che continua a ricalcare la struttura di potere coloniale impostasi, con i primi contatti europei, sugli aborigeni.
Nel periodo di unificazione del Canada come nazione nel 1867, la Costituzione canadese sancì una divisione politica tra province e Governo Federale (Getty, 1994: 973). Dal punto di vista legislativo infatti:
Tranne qualche eccezione, oltre seicento First Nations canadesi sono ancora oggi regolamentate dall’Indian Act:
La sezione 35(1) della Costituzione Canadese regolamenta la protezione dei diritti delle comunità indigene che comprendono sia le comunità appartenenti alle First Nation, sia gli Inuit che i Métis. Dagli anni Ottanta del Novecento si sono incrementate le iniziative che hanno coinvolto le comunità indigene e il Governo Federale al fine di promuovere l’autogoverno delle prime, anche se non è ancora stato trovato un accordo ufficiale e diffuso. Mentre le varie forze politiche affermano oggi che il riconoscimento di un autogoverno nativo è stato raggiunto ed incluso nella Costituzione, le First Nations combattono ancora, attraverso la stesura di specifici protocolli, per il riconoscimento dei loro diritti sulla proprietà della terra, sulla facoltà di celebrare i riti e le cerimonie, sulla conservazione delle loro lingue e sulle attività tradizionali. Michael Lee Ross spiega nel suo libro First Nations Sacred Sites in Canada’s Courts:
Treaty 11, Trattato firmato dalle comunità indigene Gwichin, Tlicho, Dogrib e Sahtu con il Governo federale Canadese
Tentare di delineare alcuni aspetti problematici relativi all’ambigua politica per il riconoscimento dei diritti indigeni in Canada è l’obiettivo di questa mia breve riflessione, nella consapevolezza che non sarà possibile tracciare l’articolata storia economico-politica, oggetto ancora oggi di negoziazione tra le comunità aborigene canadesi e il Governo Federale. Perciò, all’interno di questo spazio, verranno messe in luce solo alcune considerazioni prodotte da diversi ricercatori, politicamente implicati nella negoziazione indigena con il governo.
Come ho avuto modo di constatare personalmente nelle mie ricerche etnografiche presso diversi gruppi nativi canadesi (come i Sylx nella regione di Okanagan in British Columbia, i N’Dilo e i Tłı̨chǫ nell’area compresa tra il Great Slave Lake e il delta del fiume Mackenzie nei Territori del Nord Ovest), l’approccio etnografico deve basarsi su una negoziazione politico-culturale il cui scopo è quello di costruire relazioni di fiducia e di comprensione reciproca. La partecipazione dialogica è quindi la componente fondamentale per instaurare buoni rapporti culturali con le comunità indigene. Tale “protocollo” viene applicato dagli aborigeni anche con il Governo Federale il quale, per contro, ha dimostrato più volte di non volere davvero avviare una negoziazione culturale con le First Nations. Ciò determina, in generale, l’insorgere di conflitti, sfociati anche nel sangue (come nel caso di Oka in Quebec nel 1993) o comunque continue tensioni che non sembrano mai risolversi.
In generale, l’argomento relativo al riconoscimento dei diritti aborigeni e alla loro negoziazione con il Governo Federale canadese ha suscitato interesse all’interno del mondo accademico, promuovendo innumerevoli ed importanti pubblicazioni su questo tema (Rynard 2000; Murphy 2001; Frideres, Gadacz 2001; O’Sullivan 2006; Shaw 2008). Tali ricerche sono molto di più di un mero esercizio intellettuale volto ad esplorare i limiti del riconoscimento delle comunità native dal punto di vista culturale, sociale, economico e politico. Siccome gli studiosi, per portare avanti le loro ricerche hanno bisogno di contattare persone appartenenti alle First Nation, queste ultime si aspettano in cambio dai primi forme di aiuto e di implemento legislativo da negoziare con il governo. Molto spesso la relazione che si stabilisce tra ricercatori e indigeni canadesi determina che i primi vengano assunti come consulenti e mediatori tra le due parti. Un evidente esempio delle caratteristiche di tale rapporto è quello relativo alla conflittualità tra First Nations e le compagnie minerarie, una vertenza all’interno della quale il ricercatore, se vuole interagire per la sua ricerca con gli indigeni, deve proporre soluzioni atte ad incrementare il cosiddetto “Impact Benefits Agreements”. In generale, comunque forme di aiuto vengono richieste dagli indigeni per questioni relative anche alla salute pubblica (dato che sovente molti indigeni si ritrovano in situazioni socioeconomiche talmente disastrose da provocare abuso di alcol e di droga), a forme di incremento di educazione e di istruzione con l’introduzione nelle scuole di corsi sulla cultura indigena e workshop sulle attività tradizionali (vedi Belanger 2008; Hylton 1999).
Accepting or Rejecting the Colonial Politics of Recognition? Dibattito attuale tra le popolazioni indigene canadesi
Il titolo del presente contributo si rifà al titolo del libro di Glan Coulthard Red Skins. White Mask pubblicato nel 2014. L’autore, appartenente alla comunità Dene di Yellowknife, è docente di Scienze politiche all’Università di Vancouver. L’importanza del volume sta nel proporre una nuova linea guida, mai battuta in precedenza, per le comunità indigene canadesi attraverso il rifiuto del concetto di “riconoscimento” in relazione al diritto sulla proprietà della terra, al diritto di poter celebrare i propri rituali e al diritto di continuare le attività tradizionali strettamente legate alla conoscenza del territorio. A sua volta Coulthard si ispira, per il titolo del suo libro, al volume di Frantz Fanon Black Skin. White Masks, primo attivista nero negli Stati Uniti e pioniere dell’analisi psicologica relativa all’impatto razziale causato dai colonizzatori sui colonizzati. L’ipotesi critica che Coulthard sostiene nel suo libro è il rifiuto della “politica del riconoscimento” come modello dominante. Seguendo il pensiero di Fanon, Coulthard sostiene che il concetto di “riconoscimento dei diritti” è un meccanismo che funziona perfettamente all’interno della politica di potere con cui la logica coloniale si riproduce e si mantiene. In Red Skin. White Masks Coulthard afferma che la lotta anticoloniale indigena deve sganciarsi dalla politica conciliatoria liberale pubblicizzata dal Governo Federale e promuovere invece: «a resurgent politics of recognition premised on self-actualization, direct action, and the resurgence of cultural practices that are attentive to the subjective and structural composition of settler colonial power» (Coulthard, 2014: 8). Negli ultimi trent’anni gli sforzi di autodeterminazione indigena sono stati correlati al concetto di “riconoscimento”: riconoscimento di una particolarità culturale distinta rispetto alla cultura dei bianchi; riconoscimento del diritto di autogoverno; riconoscimento degli obblighi imposti dai trattati firmati dalle First Nations e dal Governo Federale.
Nel contesto della politica relativa all’autogoverno indigeno e all’autodeterminazione, il problema del riconoscimento aborigeno implica un’abilità da parte delle First Nation canadesi nell’articolare, in un linguaggio comprensibile al governo e alle varie multinazionali (come per esempio le compagnie minerarie o quelle legate allo sfruttamento dei gasdotti), la loro propria visione politica e le ragioni storico-culturali della sua esistenza. Questi aspetti implicano, dal punto di vista emico, un forte connotato morale. Afferma infatti Margaret Moore:
Le definizioni di auto-governo e di auto-determinazione possono inoltre assumere diversi significati culturali per gli aborigeni, per i ricercatori, oltre che per i ricercatori indigeni:
Un altro importante concetto che spesso emerge nell’interfaccia tra ricercatori, comunità indigene e Governo Federale è quello di “sovranità”. Anch’esso assume spesso significati contraddittori all’interno di diversi contributi scientifici (Maaka, Fleras, 2005: 37). La prima definizione di “Aboriginal sovereignty” fu data dalla “Federation of Saskatchewan Indians” nel 1970 la quale dichiarava l’assoluto diritto di governo indigeno ed affermava che nessun altro potere poteva essere superiore ad esso (Maaka, Fleras 2005: 49). Nel contesto specifico indigeno il concetto di “sovranità” è fondato su un intrinseco valore culturale di appartenenza alla propria comunità, il quale rigetta qualsiasi forma di governo coloniale esterno di matrice europea (Alfred, 2001: 26). Componente essenziale della “sovranità aborigena” è l’assoluto rifiuto di forme convenzionalmente stereotipate di concetti occidentali come “multiculturalismo”, “diritti individuali” o “uguaglianza universale”:
Una chiara definizione di “sovranità” appare estremamente problematica. Molti ricercatori indigeni riconoscono infatti la radice europea dell’applicazione politica di tale concetto. La tradizione politica britannica viene percepita come dissonante e incompatibile rispetto al concetto indigeno di “sovranità”. Come mette in luce Taiaiake Alfred:
Di fronte al concetto di “sovranità” imposto dal Governo Federale canadese, il concetto di autogoverno sta a significare la possibilità, da parte delle First Nations, di autogestirsi senza intrusioni politiche, economiche, sociali e culturali provenienti dall’esterno. La definizione data da Blackwell Dictionary of Political Science al concetto di “autogoverno” è la seguente:
Molti ricercatori indigeni si oppongono a tale definizione. L’autogoverno è quindi, per molti di loro, una sorta di autorità delegata il cui obiettivo è quello di monitorare la vita delle comunità aborigene rimanendo pertanto concretamente iscritto all’interno del potere politico-coloniale del Governo Federale.
Uno di questi ricercatori indigeni è Glen Coulthard, la cui autorevolezza risiede non solo nella precisione dell’analisi storica relativa all’espropriazione delle terre da parte del Governo Federale, alle lotte indigene per il riconoscimento dei diritti e alla descrizione della resistenza degli aborigeni contro i soprusi (come per esempio l’instaurazione delle residential schools), ma anche nella proposta di interrompere la rappresentazione vittimistica – promulgata dal governo attraverso i discorsi pubblici – basata sulla narrazione stereotipata di storiche ferite e sofferenze subìte dai nativi ed esposte sempre dal punto di vista della politica coloniale:
Coulthard sostiene inoltre che le azioni condotte finora dagli indigeni per affermare il loro riconoscimento politico-sociale sono state sostanzialmente reazionarie, spesso inefficaci e a volte alienanti. Così afferma:
Coulthard continua inoltre:
Al fine di dare una svolta ai precedenti sforzi per il riconoscimento politico-sociali, Coulthard si fa interprete della necessità di stimolare una profonda innovazione legale, culturale, sociale ed economica, promossa, con forza, direttamente dalle First Nations. Nel suo libro non nasconde però la sua preoccupazione riguardo a certi movimenti non-nativi atti a promuovere la loro solidarietà nei confronti delle comunità indigene:
Contemporaneamente lo studioso afferma comunque l’importanza di costruire una solidarietà reciproca tra nativi e movimenti di sensibilizzazione sociale non-indigeni, oltre che con altre comunità aborigene. Coulthard lamenta infatti la necessità di una maggiore apertura culturale da parte di certe comunità native: in particolare egli si riferisce ai Dene di Yellowknife a cui appartiene, che negli anni Settanta del Novecento combatterono contro la costruzione dell’oleodotto nella valle di Mackenzie. Una forte spinta valoriale per sostenere i Dene a resistere contro la multinazionale fu il simbolico legame che essi decisero di istituire con le comunità nigeriane nelle loro lotte contro corporazioni come la Shell. Ritornando sul discorso del concetto di “riconoscimento”, Coulthard conclude quindi, nel suo libro, con l’idea che:
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