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Nomi di piante e nomi di santi. San Giovanni nella lessicografia botanica siciliana
Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2022 @ 02:51 In Cultura,Società | No Comments
di Marina Castiglione
Si fachisti o fachisti fari incantacioni/ad erbi oy cristalli, oy ad alcunu di li elementi,/oy orbiscasti in lu jornu di la/natività di Sanctu Joanni Baptista,/et altri mali cosi chi si fannu in tali jornu.
(Confessionale del XV sec., in G. Pitrè Spettacoli e feste popolari siciliane, 1881: 298)
Ventiquattro di Giugno, San Giovanni. Era per gli Alcaresi la festa del Muzzuni,/e festeggiare soleano nei quartieri quelle piccole brocche e i germogli,/con canti e danze fino a notte alta./Si scioglievano allor le inimicizie, si intrecciavano gli amori, i comparaggi.
(Vincenzo Consolo, Il sorriso dell’ignoto marinaio).
Così, con Roberto Sottile, cominciavamo un nostro lavoro a quattro mani [2] presentato al Convegno sul lessico e gli etnosaperi dell’Università di Cosenza svoltosi nel 2009. In quella circostanza ci occupammo di indagare alcune connessioni tra la botanica e i caratteri umani, filtrati attraverso le locuzioni idiomatiche (es.: ristari urmu), il lessico comune (ess. carduni, salacuni, ecc.), l’onomastica (ess. Piràino, Carciopolo, ecc.). In seguito non ci fu più occasione di tornare ad applicare il metodo iconimico a questo interessante campo di studio, ma di recente è tornato ad occuparsene con pregevoli risultati Alfio Lanaia, all’interno del suo volume Le parole nella storia [3]. In un capitolo integralmente dedicato alle piante [4], il dialettologo catanese affronta i seguenti concetti: i cavolicelli, i taḍḍi, le fave di Baia, le pale dei fichidindia, le pere ucciardone, il bagolaro, la senape, la vruca e la tamerice, l’acanto, gli asfodeli, i “piumini” della barba di becco e di altre piante. Basterebbe partire da quest’ultimo esempio per rendersi conto di come un referente naturale, il cui stesso nome italiano è sconosciuto ai più, possa contenere, nella lessicografia dialettale, mondi di riferimento che oggi sono scomparsi, poiché a venir meno è stato, insieme al dialetto, anche il rapporto fisico con il territorio, con il mondo vegetale e persino con quello animale (se non addomesticato e ridotto a “pet”) [5].
Nel caso specifico, non c’è chi non abbia il ricordo di un’esperienza campagnola legata all’inseguimento di uno di quei fiocchi vegetali, bianchi, che in mano hanno la consistenza di un piumino lanuginoso leggero e aereo. Si tratta dei ‘pappi’ [6], infiorescenze che trasportano al vento i semi di numerose piante, dai pioppi ad alcuni arbusti palustri come la mazzasorda. In Sicilia prendono il nome di gattareḍḍi, arrobbadinari/arrobbasordi, nannu. Il primo tipo lessicale coincide con quello di altri dialetti, come il romagnolo ‘gattini’. Tale slittamento lessicale dal mondo animale a quello vegetale non è anomalo, in quanto – nell’esempio citato – il passaggio semantico si muoverebbe lungo la somiglianza tra i ciuffi del gatto (e, in generale, del pelo animale) e l’infiorescenza pelosa della pianta [7]. Il caso di arrobbadinari/arrobbasordi recupera, invece, uno sfondo culturale connesso all’immaginata presenza di folletti dispettosi, in questo caso materializzati sotto forma di ciuffi che, al passaggio, avvolgono piccoli tesori sottraendoli ai legittimi proprietari.
L’assenza di un nome proprio testimonia di un uso presente in numerose comunità tradizionali, ossia quello della tabuizzazione del nome soprattutto relativamente a figure connesse al soprannaturale [8], indicate in maniera generica. In questo lessema composto, la motivazione è trasparente: sia che si tratti di arrobbasordi (presente nell’area ennese) o di arrobbadinari (più diffuso nella Sicilia occidentale), i pappi rientrano in una visione magica del mondo. Un passo indietro, culturalmente parlando, dobbiamo fare quando si cerchi l’iconimo di nannu, forma catanese [9]:
La leggerezza delle anime dei defunti e la loro presenza in terra come figure protettrici risale a visioni animiste ancora oggi rivelate dalla lingua, ad esempio nella corrispondente radice di avis e di avus. La lettura di Lanaia, così come quella tentata nel lavoro del 2010 con il collega Sottile da cui si è partiti, affonda la sua matrice nella cosiddetta etimologia motivazionale che ha avuto in Mario Alinei il maestro indiscusso e che vede nel “riciclaggio” di elementi linguistici del patrimonio collettivo la chiave per interpretare la genesi di alcuni significati [10].
Gli iconimi e il battesimo del mondo naturale
Proprio a Mario Alinei si deve l’idea che alcune porzioni del lessico della nostra lingua siano più conservative di altre e che esse manifestino traccia, nelle circostanze più fortunate, delle diverse stratificazioni iconimiche prodottesi secolarmente. A ciascuna stratificazione corrisponderebbe uno stadio evolutivo che va dal mondo animistico-parentelare, a quello magico, sino a quello legato, infine, al cristianesimo (popolare) [11]. Un esempio classico è quello che si evince dai nomi attribuiti popolarmente a diversi animali. Secondo Alinei (2009: 360), le principali categorie zoonimiche rilevabili nei dialetti italiani, possono essere considerate tre:
La classificazione è stata efficacemente avvalorata dai dati dell’ALE (Atlas Linguarum Europae) [12] e dell’ALiR (Atlas Linguistique Roman) [13] e da numerosi studi di zoonimia popolare, italiani e stranieri.
Tab. 1 Le tre principali categorie tipologiche di iconimi zoonimici:
cristiani, pre-cristiani, parentelari (Alinei 2009: 361, riprod. parziale)
Come si evince dallo schema, le forme lessicali zoonimiche connesse con la fase del cristianesimo popolare si manifestano prevalentemente sotto forma di agiozoonimi connessi a devozioni variegate (S. Giovanni, S. Nicola, S. Pietro, S. Lucia, S. Antonio, ecc.); la seconda fase, invece, si declina lessicalmente con forme comuni connesse a streghe, spauracchi, folletti, ossia figure legate al mondo magico; la terza, che però corrisponde alla prima considerando un ordine d’antichità, presenta forme parentali (mamma, sposa, comare, nonna, zio, ecc.). Questa fase coincide con un antico stadio di solidarietà tra uomo e natura, sicché l’animale diventa un membro della famiglia e come tale viene rispettato e persino sacralizzato, penetrando spesso nei racconti orali sotto forma di nume tutelare [14]. La sequenza, pertanto, che va dall’animismo al cristianesimo, prevede un “battesimo” della natura selvatica e degli esseri che la popolano: non più parenti da ascrivere alla stessa famiglia umana, non più esseri del mistero e della paura di un mondo popolato da streghe e spiriti funesti, ma finalmente esseri divini che condividono il progetto della creazione per servire gli uomini e proteggerli.
Se nei suoi studi sembra esserci uno spazio preferenziale per la zoonimia, Alinei, però, non esclude altri ambiti:
Le piante, quindi. Gli iconimi delle piante sono spesso trasparenti, quando non si ricorra alle classificazioni linneane e ci si muova sul terreno linguistico delle denominazioni popolari o usuali: ‘girasole’, ‘dente di leone’, ‘biancospino’, ‘stella alpina’, ‘barba del becco’, ecc. In tal caso siamo in presenza di forme descrittive che ricavano la propria forma dall’altitudine presso cui vegetano, dal dato cromatico, da una particolare conformazione, nulla, però, che faccia pensare all’attribuzione di poteri speciali, taumaturgici o magici o che riconduca la pianta ad una devozione peculiare.
Eppure, il mondo vegetale è gravido di sensi simbolici e di riferimenti che travalicano le culture e le sensibilità, in cui tradizione popolare e tradizione colta svolgono ruoli di pari legittimità e si rafforzano reciprocamente. Si pensi all’albero di fico [15]:
Se nel mondo classico il bosco ha rappresentato il luogo in cui si insegnava o si cercava la pace (l’Accademia platonica nasce tra olivi e platani) e per sfrondare un bosco sacro occorreva produrre riti di espiazione, il cristianesimo desacralizza la natura, quasi la avversa, e tra i boschi costruisce narrazioni di blasfemia e stregoneria. Le stesse narrazioni orali fanno del bosco il luogo della perdita e del pericolo e degli alberi i potenziali inghiottitoi verso gli inferi [16]. Sotto gli alberi tribunalizi, però, nel Medioevo, si esercita anche la giustizia terrena: la locuzione siciliana lassari all’urmu, analizzata e spiegata nel 2009 nell’articolo che si è citato ad incipit, ne è una traccia linguistica ancora attiva, anche se dispersa nel metaplasmo da sostantivo (urmu, ‘albero dell’olmo’) ad aggettivo (urmu, ‘uomo che non ha bevuto, scusso’).
La nominazione del mondo vegetale, dunque, non può essere estranea ad una intrecciata relazione tra etimi e motivazioni, in una alternanza di demotivazioni e rimotivazioni che però sono più complesse da tracciare rispetto a quelle dei loro “fratelli” zoonimi, non foss’altro per la grande varietà di specie non sempre distinguibili nelle tassonomie popolari, tant’è che lo studio del sistema della flora è meno praticato [17].
Gli agiofitonimi nella lessicografia siciliana
In una dimensione solidale tra uomo e ambiente naturale, la conoscenza delle piante era un presupposto innanzitutto di sopravvivenza. Dalla raccolta delle erbe e dei frutti spontanei si attingevano sostanze alimentari; dalle piante si ricavava il legno e si estraevano fibre da impiegare per la produzione di oggetti materiali: corde, ceste, tessuti; nei vegetali erano depositate anche proprietà taumaturgiche utili all’uomo e alle bestie.
Elementi vegetali penetravano anche nelle narrazioni orali: le infiorescenze [18] o altri elementi [19] costituivano spesso il primo emistichio degli stornelli e su di essi si plasmava la rima; erano l’elemento di paragone rispetto alle bellezze della donna (di volta in volta assimilata ad un giglio, un garofano o ad una rosa); apparivano nelle fiabe anche attraverso l’onomastica femminile (Majurana, Marvìzia, Bianca Cipudda, ecc.) [20]; costituivano la risposta di molti indovinelli [21]. L’individuazione delle piante nell’ecosistema circostante era, dunque, garanzia di fruizione di una materia prima accessibile e, come tale, andava trasmessa anche alle generazioni future attraverso un chiaro e inequivocabile sistema di nominazione.
Le denominazioni popolari si costruiscono generalmente con un composto endocentrico costituito dal nome generico dell’erba/albero/fiore/ortaggio seguito da un aggettivo portatore di una qualche caratteristica della pianta stessa (o del frutto) o da un etnico di provenienza. La struttura, dunque, non è dissimile da quella della classificazione scientifica che distingue il nome del genere, seguito da un termine che di norma è un aggettivo descrittivo (anche un etnico) o un aggettivo derivato dallo scopritore della varietà (ess. Homo sapiens, Euphorbia pulcherrima o Adonis cupania, dal nome di Francesco Cupani [22]). In alcuni casi, invece, si ha un’unica forma costituita o da un lessema semplice (es. sic. zarchi, bietole [23]) o da un composto univerbato (es. sic. pisciacani, per diversi tipi di piante selvatiche, tra cui la Sinapis pubescens).
Provando a individuare gli iconimi che stanno alla base del “battesimo” della vita vegetale, è facile riscontrare forme generiche come erva diàvula (Diplotaxis muralis), erva angelica (Angelica sylvestris) o erva biniritta (Geum urbanum), erva di Santa Cruci (Nicotiana tabacum), o, ancora, erva di la Trinità (Viola tricolor). Sono presenti anche tipi lessicali più descrittivi, che rimandano soltanto esteriormente all’ambito religioso, come ad esempio varva di parrini (Plantago lanceolata) o vastuni di lu patriarca (Celsia eretica).
Compulsando il più importante repertorio dialettale del siciliano, ossia il Vocabolario Siciliano (VS) ideato da Giorgio Piccitto [24] che collaziona tutte le forme registrate nei vocabolari editi e inediti, oltre che forme reperite sul campo con il metodo del questionario per corrispondenza [25], abbiamo individuato un numero non alto di agiofitonimi, nella forma semplice o derivata. Da alcune motivazioni esplicitamente riportate dalle fonti primarie, sembra che il “battesimo” della natura non sia la causa di queste denominazioni, legate piuttosto alla cadenza stagionale della loro maturazione e raccolta:
Nome del santo |
Festività calendariale |
Fonte |
Forma linguistica |
Varietà di pianta |
Motivazione |
Agata | 5 febbraio | Tr., Pe. | erva sant’Àita | bugula: Aiuga reptans |
// |
Andrea | 30 novembre | Can. | àrvulu di sant’Andrìa | loto falso: Diospyros lotus |
// |
Anna | 26 luglio | PA 50 | santanna (pessica i s.) | var. di pesche; |
// |
Can. | santannisi | var. di pere;var. di nocciuole | |||
Can. | çiuri di sant’Anna | camomilla bastarda: Anthemis arvensis | |||
Antonio | 13 giugno | Can.: CT 41 | çiuri di sant’Antòniu | giglio di sant’Antonio: Lilium candidum | maturano nella seconda metà di giugno |
CT 12-14 | santantoni | var. di ciliegie duracine | |||
Can., Pe. | erva di sant’Antoniu | piantaggine: Plantago maior | |||
Apollonia | 9 febbraio | Pa., Can. | erva di sant’Apollònia | Ranunculus bullatus e asiaticus | // |
Barbara | 4 novembre | Can. | erva di santa Bbàrbara | Barbarea vulgaris |
// |
Benedetto | 21 marzo | Can. | erva di san Binirittu | Geum urbanum |
// |
Caterina | 25 novembre | CT 12 | pire santa caterina | var. di pere | maturano o si raccolgono nell’ultima decade di novembre |
CL 5 | ggigliu di Santa Caterina | giglio | |||
Can. | fiuri di santa Caterina | fanciullaccia: Nigella damascaena | |||
Cosimo | 27 settembre | Can., Pe. | erva di san Còsimu | calendula: Calendula arvensis |
// |
Cristoforo | 25 luglio | Can.Can. | erva di san Cristòfalu | Althaea spicatapolmonaria: Polmonaria officinalis. |
// |
Domenico | 8 agosto | Can., Pe. | erva di sannumiricu | vescicaria: Cardiospermum halicacabum |
// |
Eligio | 1dicembre | Can.: TP 15 | erva di sant’Aloi | Ammi creticum |
// |
Filippo | 3 maggio | Dr. | erva di sanfilippu | tiglio: Tilia cordata |
// |
Can. | erva di san Fulippu | abete: Abies alta | |||
Tr. | àrvulu di san Filippo | abete rosso: Picea excelsa | |||
Francesco | 4 ottobre | Pe.: Etna | amureddu di san Franciscu | la pianta e il frutto del lampone: Rubus idaeus | sanfranciscanu: di legumi e frutti di cui mette in evidenza il colore violaceo del tegumento o della buccia (in riferimento al colore del saio francescano) |
Dr. | erba di sanfranciscu | var. di borragine | |||
Can.:AG 22/RG7 | fasola/casola sanfranciscana | var. di fagiolo | |||
Can: AG 22 | ciciru sanfranciscanu | var. di cece | |||
Can: CT 41 | favi sanfranciscani | var. di fava | |||
Can: CT 41 | aliva sanfranciscana | var. di oliva | |||
Can: AG 32 | rracina sanfranciscana | var. di uva violacea | |||
Can : RG 6Tr., NU, CT 7 | ficu sanfrancischina | var. di fico di color scuro | |||
Tr., Pe. | erva di san franciscu (o erva di gammi malati) | bugula: Aiuga reptans | |||
Giacomo | 25 luglio | Can. | çiuri di san Iàbbicu o anche çiuri di san Giàcumu | Senecio Iacoboea |
// |
Can. | erva di sagnàbbicu | Senecio Iacobea | |||
Pe.: CT 41, Can. | varva di sagnàbbicu/sagnàpicu | narciso marino, pianta delle amarillidacee | |||
Giorgio | 23 aprile | Can. | erva di san Giòrgiu | valeriana: Valeriana officirtalis |
// |
Giovanni | 24 giugno | Ca. | çiuri di san Giuvanni | caglio: Galium verum |
// |
Pe. | erva di san Giuvanni | Campanula fragilis | |||
Can. | erva di san Giuvanni | Nepeta glechoma | |||
Can. | erva di san Giuvanni | Sedum maximum | |||
Pi. | varva di san Giuvanni | Campanula gracilis | |||
Can. | vastuni/vastuneddu di sanciuvanni | Polygonum orientale | |||
PA 1 | sanciuvanni | var. di pera selvatica | |||
Can.: AG 19 | rracina di sangiuvanni | var. d’uva | |||
Tri. | cacciòffulu di San Giuvanni | cardo selvatico: Dipsacus silvestri | |||
Can.: PA 41 | prunu sangiuvanni | var. di susina | |||
ME 12 | pira sangiuvanni | var. di pera | |||
CT 12 | pir’i sangiuvanni | var. di pera | |||
CT12 | pum’i sangiuvanni | var. di mela | |||
CAN: TP 11/Le.: RG4 | ficu sanciuvannara | var. di fichi | |||
Can.: SR 12, TP 11 | piru sanciuvannaru | var. di pera | |||
PA 50 | prunu sanciuvannaru | var. di susina | |||
Can.: SR 12, TP 11 | pumu sanciuvannaru | var. di mela | |||
Can.: CT | fastuca sangiuannara | var. di pistacchio | |||
Can.; CT 4 | nucidda sangiuvannara | var. di nocciòlo precoce | |||
Can.: SR 5, RG 6; SR 16, RG 11 | ficu sangiuvannara | var. di fico | |||
Can.: AG 5 | fava sangiuvannara | var. di fava | |||
Can.: SR 12, AG 33, 35, 40; SR 16 | piru sangiuvannaru | var. di pera | |||
Can.: SR 12, AG 33, 35, 40 | pumu sangiuvannaru | var. di mela | |||
Giuliano | 27 gennaio | Can. | erva di san Giulianu | Satureia iuliana | |
Giuseppe | 19 marzo | Can. | çiuri di san Giuseppi | Littoria triphylla |
// |
Pe. | çiuri di san Giuseppi | Littoria vulgaris | |||
Can. | çiuri di san Giuseppi | Adonis flammeus | |||
Can. | çiuri di san Giuseppi | Adonis aestivalis | |||
Can | çiuri di san Giuseppi | oleandro: Nerium oleander | |||
Me | çiuri di san Giuseppi | giaggiolo: Isis germanica | |||
ME 35 | hiùr’i sanciuseppi | narciso (pianta delle Amarillidacee) | |||
Pe. | erva di san Giuseppi | Agapantus umbrellatus | |||
Can. | vastuneddu di san Giuseppi | giaggiolo | |||
Pe. | vastuni di san Giuseppi | Allium trifoliatum | |||
Can. | vastuni di san Giuseppi | Nerium oleander | |||
CT 38, PA 50 | vastuni di san Giuseppi | asfodelo | |||
Can. | vastuni di sanciuseppi senza truncu
[26] |
fior bambagio: Allium Chamae- moly | |||
Lorenzo | 10 agosto | erva di san Lorenzu | bugula: Aiuga reptans |
// |
|
Lucia | 13 dicembre | Pe | erva di santa Lucìa | Salvia clandestina |
// |
Can. | àrvulu di santa Lucìa | ciliegio canino: Prunus mahaleb | |||
Marco | 25 aprile | Can. | çiuri di san Marcu | girasole: Helianthus anmius |
// |
Tri. | erva di san Marcu | Cardamine hirsuta | |||
Maria [27] | // | Tr. | erva santamaria | erba amara ma non disgustevole |
// |
Can.: CL 16, AG 2, 7, 19 | santamaria | var. di fico | |||
Tr.; Pe. | erva di la Madonna | scalderona: Salvia sclarea; vetriola: Parietaria officinalis | |||
Can. | erva di la Maronna | spino giallo: Centaurea solstitialis | |||
Martino | 11 novembre | Can. | çiuri di san Martinu | Meria peregrina |
// |
Tr./Man./ SN: CL 2, 3, 8, AG 9; ME 85, CL 6, PA 43 | sammartinara | var. di frumento (di buona qualità; bianca e grossa; a spiga nera) | |||
Tr. | sammartinaru | var. di cavolfiore | |||
Mercurio | 25 novembre | Pe. | erva di san Mircèriu | Torilis nodosa |
// |
Michele | 29 settembre | Can. | çiuri di san Micheli | zafferano bastardo: Colchicum autumnale |
// |
Nicola | 6 dicembre | SR 16 | sannicola | liquirizia |
// |
Paolo | 29 giugno | EN 5 | sampàulu / sampaula | var. di frumento |
// |
Pietro | 29 giugno | DB | erva di sampetru | Mentha graeca | che matura nei giorni in cui si festeggia San Pietro |
CT 9 | sampetru | senecio: Senecio vulgaris | |||
Can. | sampetru | Senecio iacobea | |||
Can. | sampetru | Chrysantbemum balsamita | |||
CT 12 | prunu sampitraru | var. di susina | |||
CT 12 | cirasa sampitrara | var. di ciliegia | |||
CT12 | cirasa sampitrota | var. di ciliegia | |||
Can.: CT 9; CT 37 | cirasa sampitrisa | var. di ciliegia | |||
Rocco | 16 agosto | An. | erva di san Rrocco | Pulicaria dysenterica | |
Simone | 28 ottobre | Can. | erva di san Simuni | Malva rotundifolia | |
Stefano | 26 dicembre | Can.: PA 41 | erva di santu Stèfanu | Circaea lutetiana. | |
Tommaso | 3 luglio | Pe. | erva di san Tumasi | Bauhinia scandens | |
Venera | 26 luglio | Can.: CT 14; CT 12 | pèrsich’i santavénnira | var. di pesche |
Caso diverso è l’attribuzione a ben tre santi di una pianta erbacea perenne che cresce lungo i sentieri o nei campi incolti, la Bugula (Aiuga reptans). Anche in italiano essa è detta “erba di san Lorenzo”, ma dalle fonti indirette incamerate nel VS, essa può essere identificata con l’erva di sant’Àita, l’erva di san Franciscu e l’erva di san Lorenzu. Un geosinonimo diffuso della Bugula è erva di gammi malati, che abbina in stretta connessione la patologia e il rimedio terapeutico offerto dalla pianta: infatti, nella medicina popolare le foglie erano impiegate per trattare le emorragie, le piaghe da decubito, ma anche per combattere le intossicazioni epatiche grazie ad un effetto antinfiammatorio. Gli agiofitonimi costituiscono una spia del «legame tra mondo cerimoniale e vegetale […(caratterizzato da)] una nomenclatura simbolica semanticamente correlata all’universo botanico»[28]. La proprietà terapeutiche, quindi, possono essere la manifestazione di una potenza ultraterrena, sebbene ciò non sia particolarmente frequente nelle piante officinali in Sicilia, o quanto meno non appare tra le informazioni desumibili dai lessici editi ed inediti.
Un’analisi semasiologica a partire da un’assenza
Tra tutti i casi che emergono dall’elenco, il più interessante ci sembra quello legato a san Giovanni, non tanto per ciò che c’è, quanto per ciò che manca. A san Giovanni Battista, la cui festività coincide con la nascita presunta del santo, il 24 giugno, vengono collegati frutti, ortaggi, fiori [29]. Tra le varie presenze di questo agionimo, nella lessicografia siciliana manca quello relativo all’iperico, sebbene sia innegabile che l’arbusto fiorisca proprio in concomitanza con la festività del Santo, a fine giugno. Comunemente, però, l’Hypericum perforatum è detto proprio “erba/fiore di san Giovanni” [30]: i boccioli e i fiori freschi raggruppati in corimbi, di color paglierino, vengono utilizzati ‒ essiccati o macerati ‒ per diversi malesseri, dalle malattie della pelle agli stati depressivi [31]. Dalle vescicole oleose delle foglie si secerne un liquido rossastro, l’ipericina. Le sue proprietà terapeutiche e magiche sono note sia in area mediterranea che continentale, tanto da essere connessa a riti druidici [32].
Nel volume dedicato alla medicina popolare, Giuseppe Pitrè registra una voce galloitalica, raccolta a Nicosia, ossia curdùn di San Giovanni (Torilis nodosa) [33], e la elenca tra le numerose erbe vulnerarie, ossia con potere cicatrizzante, in analogia con l’iperico. Se però si cerchino espressamente informazioni su questa pianta, si individuano le seguenti ricette:
Ricaviamo da questo breve elenco due importanti informazioni: una riguarda il fitonimo e l’altra la motivazione del nome. Nel quarto rimedio, dedicato al dolor di denti, l’iperico viene espressamente nominato con due diverse forme, piricò e erva di S. Giuvanni. Ecco, finalmente, la denominazione mancante! L’altra informazione la si deduce, invece, dalla ricetta dell’olio di iperico: affinché i benefici contenuti nella pianta si manifestino occorre che i fiori vengano raccolti durante la notte di san Giovanni, notte di solstizio, che in tutto il folklore mediterraneo è connessa alla potenza vegetale.
La testimonianza di questa pratica di raccolta notturna ‒ o svolta alle prime ore del giorno ‒ è ancora oggi rinvenibile non soltanto relativamente all’iperico, ma anche rispetto ad altri fiori di campo ed erbe officinali. Nel 2017 io stessa raccolsi a Milena (CL) un etnotesto che illustrava il modo in cui veniva prodotto domesticamente l’ògghiu di pricò, a partire dalla raccolta che si svolgeva dopo avere recitato una formula (non prodotta in quella sede) con alle spalle il campo di iperico [35].
Lo stesso Pitrè riconduce alla notte del 24 giugno la raccolta di due piante: il puleggio (Mentha pulegium) [36], poi utilizzato per esser posto nel Presepe la notte di Natale, e, appunto, l’iperico [37]. Ma nella stessa notte si mangiano fave, si gettano a terra i frutti primaticci del ficodindia per far produrre la pianta per un periodo di tempo più esteso; si pota la vite delle pergole; si sradicano alti pioppi da condurre in processione [38]; si salassano gli alberi onde riposarvi sotto. Se non si provveda a spezzarne qualche ramoscello, il viandante che dorme all’aperto resterà ligatu, ammaliato [39].
Tra divinazioni e pericoli, la notte di san Giovanni si presta anche per trasmettere le orazioni magiche, esattamente come avveniva, più comunemente, la notte di Natale. Due ulteriori dati lessicali tratti dal VS ci confermano l’abbinamento piante selvatiche-san Giovanni:
Al santo protettore del paese, che è proprio San Giovanni, si collega anche il rito del muzzuni che si svolge ad Alcara Li Fusi (ME), in segno di ringraziamento per le messi che chiudono il ciclo del grano cominciato in autunno e attraverso cui si salda un legame profondo tra divinità e umanità, vita e rinascita.
La variante muzzuni [41], con il significato che qui vedremo, non è registrata nel VS, però è presente il lessotipo principale, ossia mazzuni: può trattarsi di un fascio di legna o di canne, di un mazzo di fiori o di sarmenti, di un mannello di spighe o di una scopa vegetale. In molte accezioni esso è collegato con funzioni simboliche:
Ad Alcara esso, circondato da tappeti intessuti dalle donne di casa e addobbato con ori antichi, rappresenta la “testa mozzata di san Giovanni Battista” di cui si celebra il dies natalis:
Fondativo dell’ordine naturale, il solstizio estivo è, dunque, il momento di passaggio in cui convergono scadenze calendariali, attività produttive (su tutte la cerealicoltura) e dimensione religiosa, così come accade anche in altri momenti dell’anno [43]:
La peculiarità del 24 giugno, antica festa pagana, si riverbera, in alcuni centri, anche nella realizzazione di fuochi sacri, vamparigghi [45], sul modello di quelli di S. Giuseppe. Ma l’aspetto simbolicamente più rilevante sta nel collegamento tra il giorno di San Giovanni e i riti del comparatico [46], spesso rafforzati proprio dalla presenza di elementi vegetali. L’ùriu i san-Ciuvanni [lett. ‘orzo di San Giovanni’], regalo che ufficializza il rapporto tra novelli consuoceri; un canestro di fiori e frutta scambiato tra ragazze a San Marco D’Alunzio (ME) [47]; un mazzo di fiori, anch’esso detto muzzuni, a Gratteri [48]; i germogli del grano sul modello dei Sepolcri del Giovedì Santo [49]; piante di basilico a Catania; garofani intrecciati con nastri colorati a Naso: l’elemento vegetale è il contesto naturale e simbolico in cui si rafforza una parentela spirituale [50]. Il dono sancisce e rende pubblico un avvenuto cambiamento dei rapporti, tali che essi somiglino ad un “affratellamento” siglato sotto gli occhi del Santo:
Tale sacralità così come si costruisce, può anche essere distrutta, facendo precipitare le relazioni nel precedente stato di frantumazione del legame sociale e, in ultima analisi, conducendo ad una disgregazione, di cui San Giovanni è altrettanto testimone:
La potenza del santo, infatti, può produrre anche pesanti vendette, come dimostra un proverbio: Di tutti li santi riditinni,/ Ma nun pigghiari ‘mprisa cu San Giuvanni. Da ciò si evince come attorno al Santo si concentrino potenze non comuni e a dimostrarcelo è ancora una volta un proverbio che lo pone quasi sullo stesso piano di Dio: Cui nun timi a San Giuvanni,/ Mancu timi a Diu cchiù granni. A causa di questa concentrazione simbolica, tra uomo e natura, singolo e comunità, la fede in san Giovanni non può che essere totale e imperitura:
In Sicilia, la centralità simbolica del Battista e l’emergere, attraverso la sua devozione, di un momento dell’anno ad alta densità di significati antropologici, dovrebbe manifestarsi in un nome che però è assente dai dizionari, salvo trovarlo nascosto ‒ come abbiamo visto ‒ tra le righe di un volume di Giuseppe Pitrè. La difficile ricerca del “vero” nome della pianta ci sembra risponda a un quadro tabuistico non difficile da ricostruire se si prenda il complessivo sistema semasiologico connesso all’iperico. Torniamo nuovamente al VS, alla ricerca dei geosinonimi dei diversi tipi di iperico nominati in Sicilia:
Hypericum |
geosinonimo |
fonte |
asciru/sciru | (Can.) Hypericum quadrangulum | |
(erva di S. Giuvanni) | (Pitrè 1881) | |
brunnulidda | (Can.) Hypericum qua- drangulum e Hypericum perforatum | |
cacciadiavuli | (Can.) Hypericum perforatum | |
cunucchiedda | (As., Pe., Can.: RG 11) Hypericum crispum | |
piricò/pericò/pricò | (DB., Pa., Mo., ecc.) m. iperico, pianta erbacea delle guttifere.nome generico di quattro varietà di iperico: a) (Pe., Can.) Androsaemum officinale, b) (As., Can.) Hypericum montanum\ anche (Pe., Can.) p. a-mmàcchia, c) (Pe., Can.) Hypericum perfoliatum, d) (Pe., Can.) Hypericum quadrangolum; anche (Pa., Can.) p. fàusu. ò. seguito da un elemento di determinazione se ne indicano alcune varietà: (Pa., Can.) p. a-mmàcchia. Hypericum crispum, (Can.) p. ad arvuliddu: Hypericum ciliatum, (Can.) p. ccu-ffogghi di murtidda; (Ca., Can.) p. ccu-ffogghi piluseddi; (Can.) p. muntagnolu | |
rizzuta | pianta delle Guttifere ‘con la quale si fanno manipoli per ricavare la seta dalle pellicole’. | |
sciatra/sciàtala | (Tr., Pe.: SR 16, Uc.1) | |
scuparinu | (CT 47) pianta erbacea del genere iperico | |
tota/totasana | (Pe.; Can.) erba sana o ruta selvatica, pianta erbacea del genere Iperico: Hypericum androsaemum. |
L’assenza di contestualizzazione geografica delle forme (tranne in pochi casi) rende impossibile costruire un quadro interpretativo circa la loro distribuzione areale e, conseguentemente, formulare ipotesi di stratificazione etimologica [54].
Il lessotipo certamente presente in sincronia è pericò/ piricò /pricò, grecismo da ὑπερικόν, transitato dal lat. hypericon. La forma è vitalizzata dall’uso della polirematica ògghiu di pricò (e varr.). Ci sembra suggestiva una possibile etimologia, che però non trova riscontro sui dizionari etimologici, da ὑπό (‘sotto’) e εἰκών (‘immagine, icona’) in quanto erba protettrice con cui addobbare gli altari. Il DIR [55] rimanda, invece, ad un composto tra ὑπό (‘sotto’) e ερείκη (‘erica’) che però non sembra trovi conferma nell’habitat della pianta.
Dal punto di vista iconimico alcune forme sono descrittive: brunnulidda (lett.: ‘biondina’), cunucchiedda (lett.: ‘piccola conocchia), rizzuta [56] (lett.: ‘ricciuta’), scuparinu (lett.: ‘pennello’). Sono di etimologia incerta asciru/sciru e tota/totasana [57]. Restano le voci cacciadiavuli e sciatra. La prima ha una grande espansione e arriva sino all’italiano comune. Ritornando alle proprietà magiche della pianta, si comprende bene perché il composto abbia avuto fortuna: ogni disturbo sembrerebbe retrocedere grazie all’impiego officinale, vero toccasana per i malanni del corpo e dello spirito. San Giovanni, esorcista, manifesterebbe il suo potere nel contrastare ogni impedimento fisico e morale, grazie all’effusione del suo potere sulle diverse parti della pianta (foglie, infiorescenze e fiori), raccolta in suo onore e nel suo giorno.
Cacciadiavuli, dunque, potrebbe costituirsi come appellativo di erba di san Giuvanni, per evitare la nominazione esplicita del santo nella pianta che più di altre ne rappresenta la forza. Più complesso, quasi un azzardo, la spiegazione dell’ultimo geosinonimo. Non sappiamo nulla circa il tipo sciatra, se non quanto riportato nel VS, in una sequenza di rimandi fra tre voci:
Se non parlassimo di un vegetale connesso al santo delle divinazioni, degli auspici, dei diavoli da cacciare, non verremmo attirati da un’imprecazione la cui origine etimologica è altrettanto misteriosa: sciàtara e-mmàtara! L’esclamazione esprime stupore, paura, sdegno, disprezzo e la si ritrova come primo elemento di formazioni analoghe: sciàtira e rrinchju!, sciàtiri e-ddiàvulu! sciàtiri e-mmaṭṛi e-viḍḍicu di vecchja! sciàtiri e-mmaṭṛi e-vogghju diri! sciàṭṛa maṭṛa e-ccuṭṛa! sciatulammàtula! sciataredda e-mmataredda!
Ciò che ci riconduce nell’alveo del nostro discorso è trovare il costituente sciàṭṛa a inizio di una formula per scacciare il malocchio delle fattucchiere, accompagnandosi da un segno della croce: sciàtara e-mmàtara, acqua e-ssali, zzoccu voi fari num-pozza iuvari [lett.: sciàtara e-mmàtara, acqua e sale, ciò che vuoi fare, non si possa realizzare]. San Giovanni non c’è, ma la dimensione di nominazione dell’iperico ricondurrebbe nuovamente alla straordinarietà del santo e dei suoi poteri miracolosi. Un modellamento lessicale (possibile) su una formula scaramantica che connetterebbe, ancora una volta, l’iperico alla fascinazione e alla “incantacioni ad erbi”.
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