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Parlare ai morti perché ascoltino i vivi
Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2023 @ 01:13 In Cultura,Letture | No Comments
Il combinato disposto – diciamo, più semplicemente, la somma – d’ignoranza linguistica e d’ignoranza storica (delle quali gli italiani soffriamo meno di altre popolazioni industrializzate, comunque in misura spaventosa) sta producendo effetti che sono sotto gli occhi di chiunque: viviamo tragedie eclatanti (dalle stragi dei migranti alla guerra fra Russia e Ucraina) e crisi striscianti (lo smantellamento, mattoncino per mattoncino, di quel tanto di Repubblica democratica e di “stato sociale” che – non senza lacune e inadempienze – eravamo riusciti faticosamente a costruire dal Secondo dopoguerra agli inizi degli anni Ottanta del XX secolo) come zombi oscillanti fra la veglia della vita e il sonno della morte.
Se questo quadro è sostanzialmente realistico, vedrei due scenari principali per il futuro: o ci si chiederà come l’umanità del terzo millennio abbia potuto attraversare questa fase di cecità autolesionistica oppure il degrado intellettuale e morale avrà raggiunto il livello zero (ammesso che esisterà, nonostante il suicidio ecologico e bellico, ancora una specie sapiens sapiens).
Per scongiurare tali possibili scenari, è evidente che si debbano moltiplicare – qui e adesso – gli sforzi per alfabetizzare le maggioranze dopate e per evocare squarci significativi del nostro passato.
Due terapie sinergiche
Per quanto riguarda il primo obiettivo (l’alfabetizzazione linguistica) non si tratta di moltiplicare la quantità dei testi da leggere – infatti non è vero, come si sente ripetere, che la gente non legge più – bensì la qualità. La gente legge oggi come mai nella storia dell’umanità: ma legge manifesti pubblicitari, post su facebook, giornali e riviste on line, e-mail e whatsapp; dunque legge di tutto senza possedere criteri di giudizio su ciò che legge. Gli studenti preparano una “tesina” con pezzi trovati in rete, ma senza preoccuparsi di specificarne la fonte: così la citazione dalla conferenza di un premio Nobel per la medicina finisce, intrecciata con l’opinione sul cancro del bottegaio all’angolo, in «una notte grigia in cui tutte le vacche sono grigie» (per parafrasare Hegel in polemica con Schelling). Dunque, dovremmo invitare (un po’ controcorrente) i giovani a leggere di meno: a una sorta di digiuno, o almeno di dieta, letteraria. Ma di concentrarsi su testi significativi, possibilmente belli, suggeriti da qualche persona adulta di loro fiducia. Poi, quando si saranno disintossicati dalla spazzatura – o anche da ciò che, pur non essendo dannoso, è superfluo – potranno navigare da soli nell’oceano dei testi scritti. E diventare, a loro volta, garanti (provvisori) delle generazioni successive.
Non minore attenzione esige il perseguimento del secondo obiettivo (la memoria di ciò che del passato merita di essere ricordato o perché terribile o perché esemplare). Ci sono, pur tra prodotti poco interessanti, film e documentari che riescono efficacemente a ricostruire epoche storiche, vicende, personaggi. Ma è importante – a mio sommesso avviso – che il recupero della memoria storica avvenga anche attraverso pagine scritte, più adatte del linguaggio visivo a cogliere dettagli analitici e a suscitare pause di riflessione e valutazioni critiche. Pagine di questo genere dovrebbero, comunque, possedere una certa attrattiva estetica, in difetto della quale producono la noia e la disaffezione che ben conosciamo noi fruitori di manuali scolastici e di monografie accademiche. Per fortuna il Novecento (come il secolo in cui ci troviamo) ci ha regalato volumi seri e gradevoli al tempo stesso, come – per non aprire un elenco lunghissimo – Il secolo breve di Erich Hobsbawm: volumi che non ci raccontano tutti gli avvenimenti degni di memoria, ma ci accendono il desiderio di conoscerli.
Lettere dall’aldiquà
Di sintesi potenti e attraenti come i volumi di un Hobsbawm non tutti siamo capaci. Ma possiamo dare una mano all’intento, inscindibilmente didattico e politico, di colmare – almeno in parte – le amnesie collettive sperimentando altri generi letterari. È il caso di Maria D’Asaro che, da molti anni, ha avvertito l’esigenza interiore di scrivere “lettere” a protagonisti della vita civile nazionale (e non solo) che, in questi giorni, ha deciso di raccogliere in un unico volume: Una sedia nell’aldilà (Diogene Multimedia, Bologna 2023).
A siciliani (più o meno… illustri)
Lascio alla curiosità del lettore le ragioni dell’insolito titolo e passo direttamente a qualche assaggio delle dodici “lettere” (alcune delle quali già edite in riviste o in volumi curati da altri). Nel ripercorrerle, seguo l’andamento centrifugo: parto dalla provincia di Palermo – la città dell’autrice – per allargare lo sguardo sulla Sicilia, poi sull’Italia e infine, anche oltre. La missiva che apre il volume è indirizzata a un giovane adulto che è vissuto, ed è morto assassinato, a poche decine di chilometri dal capoluogo regionale:
Sullo stesso fronte antimafia troviamo una donna, Giuliana Saladino, giornalista de “L’Ora” e scrittrice di successo. A lei, con toni non meno toccanti della lettera precedente, si rivolge D’Asaro:
Chi come me ha conosciuto Giuliana negli anni Sessanta e l’ha avuta come mentore nei primi passi nel mondo della comunicazione sociale (aveva la responsabilità della pagina “L’Ora-Scuola” cui contribuivamo alcuni di noi liceali) non può che rallegrarsi nel vederla ricordare anche a generazioni che, molto probabilmente, non ne hanno mai sentito pronunziare neppure il nome. Anche un terzo personaggio è palermitano, ma schierato esattamente sul fronte opposto rispetto a Peppino e Giuliana. Maria D’Asaro non rinunzia al suo registro comunicativo mite, misurato, ma anche dolente e inequivocabilmente chiaro:
Torna in mente, per contrapposizione, il titolo sarcasticamente fulminante con cui un noto settimanale umoristico dell’epoca diede la notizia del suo assassinio per mano mafiosa: «Salvo Lima come John Lennon: ucciso da un suo fan».
Prima di lasciare il giro dei palermitani, mi piace ricordare la lettera dedicata a uno dei più innocenti e amorevoli abitanti che la città possa ospitare: il cagnolino Dipsy (e, in certa misura, la sua cuginetta felina Felicetta). In queste righe in onore dell’animalità l’autrice riversa alcuni tesori della sua umanità:
Fuori da Palermo e dintorni, ma ancora dentro i confini della Sicilia, troviamo Andrea Camilleri, al quale Maria D’Asaro si rivolge mimando la lingua simil-siciliana usata dallo scrittore agrigentino nei suoi celeberrimi romanzi:
Il «Caro Francuzzo» cui si rivolge la mittente è Battiato:
A Palermo è nata anche Natalia Ginzburg, dove il padre – di cognome Levi – si trovava temporaneamente a insegnare, ma ne è vissuta lontano sino alla morte nel 1991. La sintonia fra chi scrive e la destinataria (virtuale) è, anche in questo caso, profonda. E commovente. Peccato doverci limitare, per non abusare dello spazio, alle poche righe d’esordio:
A italiani (meritevoli di non essere dimenticati)
L’autrice non si limita a dialogare con conterranei. Si rivolge, infatti, anche ad Alex Langer, indimenticabile intellettuale e politico alto-atesino, nei cui confronti la stima e l’affetto appaiono inestricabilmente annodati:
Un altro destinatario cui Maria D’Asaro scrive ex abundantia cordis è Vittorio Arrigoni detto Vik (1975-2011). Come di Carneade, di lui sarà spontaneo ai più chiedersi: «Chi era costui ?». E proprio domande del genere sottolineano la rilevanza, culturale e civile, di libri come Una sedia nell’aldilà, la cui autrice così scrive all’autore del libro-reportage Gaza. Restiamo Umani:
Non più noto di Arrigoni è il medico marchigiano Carlo Urbani infettivologo di fama mondiale. Quando ad Hanoi, il 28 febbraio del 2003, corse al capezzale di un americano ricoverato con una strana polmonite, intuì la pericolosità di quell’infezione polmonare, lanciò l’allarme all’Organizzazione mondiale della Sanità e chiese un’immediata quarantena. «Grazie alla sua prontezza» – gli scrive D’Asaro
La penultima lettera della raccolta è indirizzata, invece, a un personaggio noto a livello internazionale:
A una giornalista russa (e non solo)
Oltre le lettere ai siciliani e agli italiani, Maria D’Asaro ne riserva una particolarmente vibrante all’eroica giornalista russa Anna Stepanovna Politkovskaja (assassinata, ad appena 48 anni, il 7 ottobre 2006):
L’autrice approfitta dell’occasione per accomunare, in un unico abbraccio, i giornalisti che hanno pagato con la vita la fedeltà all’unico precetto deontologico irrinunziabile: scrivere la verità: Natal’ja Éstemirova (colpevole di avere anch’essa denunziato le violazioni dei diritti umani del governo di Putin); Daphne Caruana Galizia ( che «ha scoperchiato i segreti di inconfessabili evasioni fiscali» a Malta); Pippo Fava e Giancarlo Siani che, rispettivamente «in Sicilia e in Campania, hanno fatto i nomi di chi era colluso o faceva affari con la mafia e la camorra».
Forse, aver restituito di queste dodici lettere solo frammenti, è stato scortese nei confronti dell’autrice. In questa ipotesi, cercherò di farmi perdonare impegnandomi a leggerle integralmente, ogni volta che ne avrò l’occasione, a quanti – adulti o giovani – ritengono meritevoli di entrare nei libri di storia soprattutto statisti che siano stati al potere per almeno un ventennio e/o che abbiano perpetrato almeno qualcuna di quelle follie che chiamiamo guerre.
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