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Poggioreale ovvero della grazia perduta
Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2021 @ 00:15 In Immagini,Società | No Comments
immagini
di Zino Citelli
Il presente progetto fotografico, dedicato al borgo siciliano di Poggioreale, nasce semplicemente dalle emozioni che riescono a suscitare i luoghi descritti attraverso le immagini. Poggioreale vecchio nell’immaginario collettivo che anima il ricordo del terremoto del Belice del ‘68, viene ricordato come un borgo fantasma, dalle atmosfere tetre che comunicano un senso di abbandono, l’impossibilità di una restituzione alla comunità di quanto si è irrimediabilmente perduto.
In realtà Poggioreale, prima della distruzione non era un borgo conosciuto se non all’interno del comprensorio e quell’evento drammatico rappresentò per quell’entroterra, l’occasione per accendere i riflettori nazionali, per denunciare la condizione di isolamento che vivevano i residenti.
Dal mio punto di vista, protagonista assoluta di quanto oggi è ancora possibile osservare è la natura che ha deciso 52 anni fa di interrompere il ciclo vitale di un paese e di una popolazione che, a seguito di un terribile terremoto, nel giro di pochi minuti, ha vissuto la distruzione dei luoghi e il successivo abbandono.
La natura rimane la sola protagonista, anche attraverso i colori della vegetazione incolta e infestante che si è integrata ai resti dell’originario paesaggio urbanistico. A distanza di mezzo secolo la scena che ci si pone davanti agli occhi vede questa protagonista riappropriarsi dei luoghi e delle atmosfere facendo a meno della presenza umana, ridimensionando gli aspetti surreali e riempiendo ogni angolo di vitalità selvaggia.
Nonostante tutto restano ben visibili le tracce antiche dell’uomo e della comunità che ha fondato quel borgo, trasformando le campagne in un paesaggio armonioso nei tratti, semplice, rurale, povero ma con una fisionomia precisa, in termini identitari e di appartenenza.
In questa selezione di immagini, reportage di diverse visite iniziate cinque anni fa, ho cercato di mettere a fuoco la bellezza di quel che resta attraverso le forme, i colori e le suggestive atmosfere delle macerie sospese nel tempo che ancora oggi sembrano restituire i suoni e le immagini della vita passata.
Le foto esaltano i dettagli dei colori e le forme illuminate dai fasci di raggi di luce che si insinuano nelle voragini tra le macerie. Nel mio repertorio ho cercato di restituire un’idea di bellezza, consapevole che negli anni non è stata esercitata da parte delle istituzioni una sufficiente cura del territorio, per preservare i resti di una comunità che meritava di poter conservare una memoria costruttiva ed è stata invece costretta prevalentemente ad emigrare.
In un luogo dove la bellezza può sembrare un paradosso, dove si fa strada la vegetazione che copre parzialmente le rovine, dove vivono e si sono insediate senza alcuna preoccupazione per la presenza umana alcune forme di vita animale, sembra difficile poter affermare che le rovine suscitino bellezza.
Tra i colori sgargianti che ho privilegiato spicca l’azolo, una miscela di polvere che nella tradizione rurale veniva usata dalle nostre bisnonne, oltre che come disinfettante nel lavaggio delle lenzuola, anche per tinteggiare gli interni delle case e vincere il tempo che scrostava le pareti. L’azolo è l’indaco siciliano, che sembra creare una simbiosi tra cielo e terra.
Il mio intento in tutti gli scatti realizzati era quello di cogliere i segni di una grazia perduta e che resta sospesa nel tempo.
Tracce di questa bellezza sono coagulate nei dettagli, nelle sfumature e nei colori che il vento, la pioggia e le stagioni stanno pian piano sbiadendo, una testimonianza di vita e di rinascita che tuttavia può vincere il sentimento di abbandono e di morte, almeno nella proposizione artistica.
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