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di Luigi Scarpato
L’hotel Eremo, o meglio il relitto di ciò che fu, ormai incastonato in una selva di rami ed antenne radiotelevisive, è situato in cima al colle dei Canteroni. Un balcone naturale tra il Vesuvio e il golfo di Napoli. Prende il nome dal vicino Eremo del SS. Salvatore innalzato su questo colle dalla pietà popolare di alcuni abitanti di Resina (l’odierna Ercolano) in ringraziamento per lo scampato pericolo per la peste del 1656. Alle sue spalle nel 1841 vi fu impiantato l’Osservatorio meteorologico vesuviano, ossia il primo osservatorio vulcanologico al mondo.
Inaugurato nel 1902, oggi ciò che resta dell’antico hotel è un rudere abbandonato e possiamo solo immaginare i fasti del passato e l’emozione di soggiornare in un luogo più volte definito incantevole dai viaggiatori dell’epoca.
L’Eremo per me è sempre stato un punto fisso, visibile dal balcone di casa ma anche da Napoli, facilmente riconoscibile a mezza altezza tra il mare e il Vesuvio. Ma dopo una visita da bambino in occasione di qualche evento del quale ho solo ricordi sfumati sono tornato più volte all’Eremo solo quando questo era ormai già abbandonato da un paio decenni.
Pare che agli inizi degli anni ’90 del secolo scorso il proprietario tal Mario Paudice, appellato col titolo di commendatore, pur giunto al termine della sua attività imprenditoriale rifiutò di vendere l’hotel consegnandolo in tal modo ad una complessa questione ereditaria, all’assalto dei depredatori prima e dei devastatori successivamente.
Per fortuna non tutti i visitatori sono malintenzionati, infatti oggi l’eremo è una delle mete Urbex più frequentate della Campania, forse perché come recita una scritta lasciata da una mano anonima “la felicità è sempre tra un cumulo di macerie”.
In questi ultimi anni ci sono tornato periodicamente trovandolo ad ogni visita sempre più in rovina e depauperato e la cosa più triste è notare che il degrado non è dovuto al naturale decadimento ma è gran parte opera della mano distruttrice dell’uomo nella sua espressione più becera: il vandalo.
Ricordo ancora il portone in legno durante la mia prima esplorazione seguito da una porta interna a vetri colorati. Oggi totalmente bruciati. Seppure già coi vetri rotti, poi, c’erano ancora quasi tutti gli infissi. Oggi non sono altro che cumuli di legname sparsi qui e lì e in parte bruciati per sfizio e forse anche per necessità a giudicare dalle tracce lasciate da qualche occupante temporaneo che in tal modo avrà trovato sollievo dal freddo.
Si dice che l’Eremo sia anche frequentato da satanisti e luogo di messe nere, ma in verità a parte una specie di pentacolo fatto con candele osservato durante la mia prima esplorazione ormai molti anni fa, tutte le tracce che si possono rilevare oggi mi sembrano solo scimmiottamenti di ragazzini annoiati che si atteggiano a novelli Crowley.
L’hotel in origine era raggiungibile solo attraverso la Ferrovia Vesuviana, che proprio qui aveva una fermata, oppure dall’antica carrozzabile per l’Osservatorio. Quindi l’ingesso principale era rivolto al Vesuvio.
Varcato il portone si incontrava prima la reception, nella quale si trova ancora qualche foglio ingiallito dei vecchi registri, e subito dopo degli archi con vetrate danno accesso al grande salone ristorante, dotato successivamente di una terrazza che si apre sul panorama verso Napoli e sul piazzale sottostante. Da qui negli ultimi decenni di vita dell’hotel si accedeva alla struttura e ad accoglierci c’è oggi una gigantesca statua in gesso di un Cristo redentore parzialmente mutilata.
Il panorama purtroppo è ingombrato da antenne e ripetitori radiotelevisivi, fonti di notevole inquinamento elettromagnetico tale da disturbare molti dispositivi elettronici nei dintorni e vero ostacolo ad un auspicabile recupero della struttura a fini turistici.
Le cucine erano ubicate al piano inferiore e oggi sono per lo più disseminate da cocci di piatti su alcuni dei quali è possibile leggere la scritta C.V.S. Coosk’s Vesuvius Service, che rimanda all’originaria gestione del complesso e su altri piatti più recenti ma sempre in frantumi la semplice iscrizione Eremo. Nei seminterrati accanto alle cucine in alcuni ambienti più bui vive qualche colonia di pipistrelli. Il loro volo improvviso ci catapulta esattamente nella giusta atmosfera da film horror che si avverte aggirandosi per l’hotel.
L’atmosfera è certamente molto suggestiva ed offre dei set naturali per sedute fotografiche o per video musicali. Anche il cinema ha fatto qui il suo passaggio (lasciando in verità molti danni). Infatti la bella terrazza a sud che si apre su una splendida vista del gran cono del Vesuvio è stata scelta per girare alcune scene de Il giovane favoloso, per raccontare di Giacomo Leopardi quando visse a Villa delle ginestre, che in realtà si trova a Torre del Greco.
Ridiscendo rapidamente la scala a chiocciola, la scala principale a doppia rampa per poi immergermi di nuovo nel buio del seminterrato e visitare l’ala più recente dell’hotel, un ampliamento risalente agli anni ’50-60 utilizzato come night club e dove si svolgevano alcuni eventi che animavano soprattutto le notti estive del Vesuviano, come l’elezione di miss e piccoli spettacoli di cabaret. Ormai sono state asportate le piastrelle smaltate sulle quali era disegnato il logo dell’Hotel, che ricordo di aver visto durante le prime esplorazioni.
Successivamente all’abbandono qui si sono svolte delle feste clandestine improvvisate come è testimoniato da alcuni residui di addobbi, maschere e volantini che ancora si trovano disseminati un po’ ovunque. Questo ambiente originariamente era uno spazio aperto e fu ricavato obliterando la trincea che girava tutt’intorno al vecchio fabbricato. Oggi le antiche finestre e gli archi dei portali con cornici in pietra vesuviana si trovano all’interno.
Sulla chiave dell’arco che immetteva nel corridoio resta incisa la scritta COOK e la data di quando tutto ciò ebbe inizio: 1902.
Dialoghi Mediterranei, n. 52, novembre 2021
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Luigi Scarpato, architetto, lavora soprattutto sul territorio campano. L’attività professionale spazia dalle residenze private ai locali commerciali alle strutture per il tempo libero e il benessere. La fotografia è un modo per scoprire, fissare nella memoria e soprattutto raccontare visivamente ciò che vive nel corso delle sue esplorazioni in città, campagna e luoghi abbandonati, a partire dalla propria terra vesuviana.
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