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Una sera d’inverno a Flumini
Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2020 @ 00:55 In Politica,Società | No Comments
il centro in periferia
di Marco Corrias
Una sera d’inverno di alcuni anni fa chiesi a un mio amico giornalista in pensione nella sua bella casa di campagna: «Ma perchè uno come te, con le tue disponibilità economiche, con il tuo passato professionale, con le due case che ti ritrovi, una a Milano l’altra a Bologna, perchè, dico, te ne sei venuto a vivere qui, in questo posto del mondo cosí lontano dal tuo mondo?».
Mario Palumbo, cosí si chiamava (è scomparso qualche tempo dopo) mi regalò uno dei suoi aperti sorrisi e rispose: «Perchè per uno che ha visto tutto del mondo, che non vive di serate e mondanità, che ama i bei posti e la tranquillità e il buoncibo, questo dove tu sei nato è uno dei posti migliori al mondo per venire a trascorrervi gli anni che ci è dato di vivere una volta andati in pensione». E siccome quell tempo sembra essersi sempre piú allungato, concordammo, chi va in pensione oggi è ancora sufficientemente attivo nel fisico e nella mente per poter godere appieno dei piaceri che il mondo gli può regalare.
Non potevo che essere d’accordo con Mario. Avendo per larga parte fatto un percorso professionale da giornalista come lui e avendo visto abbastanza del mondo per capire e apprezzare quell che da giovani soltanto si intuisce della propria terra, quando il desiderio di partire sovrasta ogni altra considerazione, quando il recidere i legami non costa fatica, forse perchè si da per scontato che quell recidere in fondo sarà solo un allentare, sarà solo temporaneo, di pochi anni o di molti decenni non importa, perchè alla fine quasi sempre ci si arrenderà alla tenacia di quell’elastico che invariabilmente ti riporterà al punto di partenza.
Succede ovunque, ma succede, credo, ancor di più quando il luogo che hai lasciato a vent’anni è stato baciato dall anatura. Perchè Fluminimaggiore e il territorio che lo circonda è un posto bellissimo, lontano da ogni rotta turistica di massa, perfetto per chi ama godere delle cose buone e semplici eppure cosí sophisticate ed esclusive come andarsene a spasso per boschi alla ricerca di funghi o asparagi selvatici o semplicemente di se stessi, sedersi all’ombra di una sorgente, godere di un tramonto o di una bufera di vento capace di scatenare mareggiate oceaniche, chiacchierare con i vicini cortesi e disponibili, coltivare un pezzetto d’orto, ma anche raggiungere Cagliari per la stagione lirica o per una mostra d’arte.
Il paese è disteso lungo una vallata verde attraversata da fiumi e ruscelli gonfi d’acqua estate e inverno; circondato da monumenti naturali come la Grotta di Su Mannau o create dale mani dell’uomo come il tempio di Antas o le vestige della miniera di Su Zurfuru. Mettici dentro un mare selvaggio e affascinante a pochi chilometri; un cibo di primaria bontà dato da orti e giardini non intaccati dalla chimica e greggi che brucano un’erba salmastra allo stato brado, ed ecco confezionato bell’e pronto un pacchetto offerta di bella vita alle cui tentazioni può essere difficile sottrarsi. Specie se la propria esistenza è trascorsa in città immerse nel ritmo frenetico del lavoro e da dove, per la maggior parte dell’anno, non si faceva che sognare luoghi come questi per le proprie vacanze.
Quella sera, con Mario, assistiti da un buon bicchiere di rosso, pensammo che questo nostro privilegio poteva essere esteso a tanti che abbiano come noi la stessa vision della vita e del tempo della pensione. Si potrebbero trasformare in residenze per anziani e benestanti ospiti le tante case vuote del paese, sofferente, come tanti altri borghi d’Italia e della Sardegna in particolare, di un lento ma inarrestabil espopolamento. Quel che segue è la bozza di un progetto che qualche giorno dopo buttai giù, quando ancora non sapevo che sarei diventato sindaco di Flumini (come abbreviamo normalmente noi abitanti) e anzi questa idea non era neanche nell’anticamenra del mio cervello.
Happy Village
Fluminimaggiore – 3 mila abitanti, un territorio di 108 kmq, un’ora e 15 minuti di auto da Cagliari e quindi dal porto e dall’aeroporto, che diventa una grande e diffusa casa di accoglienza per anziani pensionati, italiani e stranieri, benestanti e autosufficienti, utilizzando come residenze le case disabitate, che sono oltre 400. Il costo medio di acquisto è intorno ai 40/50 mila euro, un affitto raramente supera i 300 euro al mese.
Si punta sul principio che la Sardegna, e in particolare Fluminimaggiore, sia appetibile per chi va in pensione e vorrebbe trascorrere l’ultimo scorcio della propria esistenza in un bel posto.
Target: pensionati medio-alti (provenienti dai paesi del Nord Europa e dalle regioni più ricche d’Italia) che possano permettersi una retta che va dai 1500 ai tremila euro, a seconda della sistemazione e dei servizi di cui vorranno usufruire. Dovranno essere autosufficienti, ma con l’eventuale sviluppo del progetto si potrà pensare a una struttura per pensionati disabili o bisognosi di cure leggere.
Organizzazione
Una Cooperativa di Comunità, (ad agosto del 2018 è stata approvata dalla Regione Sardegna, una legge che istituisce e regola le cooperative di Comunità) è in via di costituzione per offrire a chi intenda trasferirsi a vivere nel paese ogni possibile servizio. Il paese immune da atti di criminalità spicciola o organizzata è abitato da una comunità accogliente e pronta a integrare gli ospiti, anche attraverso le numerose associazioni culturali, sportive e ricreative presenti.
Della Cooperativa faranno parte:
1) i proprietari delle case vuote del paese, o almeno coloro che intendano partecipare al progetto (un patrimonio di circa 450 abitazioni, quasi tutte da ristrutturare, abbandonate a causa dello spopolamento costante da oltre cinquant’anni, che ha portato gli abitanti da circa 4 mila degli anni 50/60 agli attuali tremila);
2) manager e altre figure professionali capaci di gestire la complessa organizzazione;3) gli artigiani (fabbri, idraulici, elettricisti, falegnami) e gli imprenditori edili del paese, che dovranno individuare le case da utilizzare e partecipare alla ristrutturazione delle stesse per poi curarne costantemente la manutenzione.
4) operatrici/operatori specializzati nelle varie attività e nei vari servizi da offrire agli ospiti.
5) cooperative e società individuali
6) tutti gli abitanti del paese che a vario titolo vogliano diventare soci della Cooperativa di Comunità.
I servizi
La casa: In un connubio con imprenditori edili che si occupino della reperibilità e ristrutturazione, verranno individuate le case da inserire nel progetto, possibilmente nel centro storico. Le case dovranno avere standard eccellenti di qualità nella struttura, nell’arredamento, nella sicurezza, secondo canoni della più avanzata bioedilizia e dell’efficientamento energetico. Possibilmente dotate di giardino o cortile non dovranno essere isolate, ma se possibile vicine alle case di altri ospiti, per restituire il senso di comunità e favorire le relazioni. Dovranno poter ospitare un single ma anche una coppia o una micro comunità di amici (massimo 4 persone). Il canone d’affitto (che rispetti i bassi costi del paese) sarà compreso nella retta mensile che varierà a seconda del pacchetto servizi a cui si aderirà.
La salute: assistenza sanitaria garantita h24, con allarmi in casa collegati a un centro medico e servizi, coordinato con la Casa della Salute e la Croce Verde già attive e funzionanti, in grado di intervenire in qualsiasi momento, anche in piena notte; personale paramedico a domicilio e a richiesta personale di compagnia notturna e diurna.
Pulizie, cura e manutenzione della casa. Ovviamente ogni bolletta, ogni manutenzione e quant’altro occorra sarà compreso nel canone.
Mensa a km zero certificata da slow food, ma anche acquisti alimentari su richiesta degli ospiti (con prevalenza assoluta dei prodotti locali) e possibilità di cucina in autonomia nell’abitazione assegnata. Della mensa comune, per favorire l’integrazione, potranno usufruire anche gli anziani del paese.
Trasporti: mezzi circolanti a costante disposizione degli ospiti e degli anziani del paese per la quotidianità, per il mare ma anche per andare a Cagliari, in aeroporto o per gite in altre località dell’isola. O per accogliere eventuali parenti in visita. Quest’ultimo è un punto di forza da valorizzare nella campagna pubblicitaria: un conto è andare a trovare i propri genitori o zii o nonni in una casa di riposo persa nel nulla delle brume padane, un altro è trascorrere alcuni giorni nella loro casa, in un luogo che è di per se stesso luogo di vacanza.
Disbrigo di tutte le pratiche burocratiche: dal rinnovo della patente all’acquisto dei biglietti di viaggio, dalla richiesta di un certificato a pagamenti vari e al ritiro della pensione etc.
L’idea iniziale, oggi in qualche parte perfezionata, rappresentata approssimativamente dalla bozza di progetto appena letta, aveva però bisogno di buone gambe e buone teste perché potesse essere, non dico realizzata, ma almeno avviata sulla buona strada. Avevo capito fin da subito che questo progetto poteva avere uno sbocco operativo soltanto in due modi: o attraverso un grosso investimento da parte di una importante società privata che operasse nel mondo dell’accoglienza sociale e del welfare o dell’edilizia, oppure tramite un “contenitore” popolare come poteva essere la cooperativa di comunità, ovvero una lega tra abitanti dello stesso paese che si uniscono per gestire e produrre servizi associati di cui direttamente o attraverso i proventi prodotti dalle varie attività usufruirà, per l’appunto, l’intera comunità.
Individuai quindi una delle prime (sicuramente la più importante) Coop di comunità appena nate in Italia: quella di Melpignano, nel Salento. Contattai il sindaco Ivan Stomeo e presentandomi come giornalista (ma specificando che avevo un diretto interesse privato a informarmi sull’argomento) gli chiesi di poter trascorrere una giornata nel suo splendido borgo. Ivan fu felice di accogliermi e mi mise al corrente dei meccanismi che regolano la nascita e il funzionamento di questo particolare tipo di coop. In quegli stessi giorni mi presentai a Paolo Scaramuccia, il responsabile nazionale di Legacoop per le cooperative di comunità. Gli illustrai il progetto e la sua risposta mi lasciò strabiliato: «È il più convincente progetto contro lo spopolamento che ci sia mai stato presentato». Fu la prima e fondamentale adesione a un’idea di cui io stesso ogni tanto arrivavo a dubitare, tanto mi sembrava enorme nelle sue implicazioni.
Divenni sindaco nel giugno del 2018. Nel corso della campagna elettorale, nonostante avessi ben chiaro che questo sarebbe stato il progetto più importante della mia amministrazione, non ne feci pubblico cenno. Avevo paura che venisse interpretato come una delle tante roboanti e velleitarie promesse da campagna elettorale, appunto, senza nessuna possibilità che venisse mai tradotta in fatti concreti. Solo a coloro che con me decisero di candidarsi confidai la mia idea seppur a grandi linee e con piacere percepii che la sposavano in pieno. Una volta eletto venni travolto dalle mille incombenze a cui deve far fronte un neo sindaco, moltiplicate per le altre mille di cui deve farsi carico chi si accinge a questo compito tanto gravoso, specie quando il neo sindaco, come capitava a me, mai aveva avuto un simile esperienza ed era totalmente digiuno dell’arte difficile della pubblica amministrazione.
Legacoop nazionale, a cui avevo intanto comunicato la mia elezione, mi mise in contatto con Legacoop Sardegna, il cui presidente Claudio Atzori col suo staff aveva a sua volta sposato con entusiasmo il progetto, garantendo ogni sostegno – compreso quello economico – all’impresa. Da quel momento cominciò il cammino della nascente Cooperativa di Comunità, la prima a essersi costituita in Sardegna, sotto la grande ala protettrice di una delle più importanti imprese nazionali.
Capii subito, però, che non avrei potuto scaricare sulle già gravate spalle della mia maggioranza, né tantomeno su quelle della debole macchina amministrativa comunale, l’organizzazione del progetto che ovviamente si sarebbe presentato ben più complesso di quanto sommariamente immaginato quella lontana sera d’inverno. Dovevo assolutamente mettere in mani capaci e forti questa creatura.
Uno degli obiettivi dichiarati della mia candidatura era quello di far emergere dal sonnacchioso mondo del paese tutte le forze culturalmente attive, che dovevano per forza esistere e che, ne ero certo, si muovevano sotto traccia, in un intreccio di amicizie, di affinità e di visioni del futuro personale e collettivo, ma prive di un orizzonte comune. Quell’orizzonte provai a illustrarlo in una prima riunione a una decina di giovani donne e uomini che dopo la laurea in varie discipline stavano cercando una loro strada nel mondo delle professioni. Dissi loro che questo progetto poteva comprendere il loro futuro professionale e quello dell’intera comunità. Non ci fu bisogno di tante parole perché capissero che se la cooperativa di comunità si fosse formata, comprendendo il progetto Happy Village, in molti ne avrebbero tratto giovamento. I soci che avrebbero conferito alla cooperativa le loro seconde case vuote o abbandonate, prima di tutto. Perché quelle abitazioni sarebbero state ristrutturate a spese della cooperativa per essere poi abitate dai nuovi residenti di Happy Village, i quali con la loro retta mensile avrebbero ripagato delle spese la coop.
I proprietari, quindi, al termine del contratto di affidamento si sarebbero ritrovati un immobile nuovo e a quel punto avrebbero potuto decidere se lasciarlo alla gestione della Cooperativa e percepire quindi anche un affitto, o farne l’uso che ritenevano. Un’operazione come questa avrebbe messo in moto, oltre che la rigenerazione di una buona parte del centro storico, un’economia circolare virtuosa che avrebbe creato nuova occupazione: avrebbero lavorato le imprese edili e l’intero indotto, avrebbero lavorato i soci impiegati nei vari servizi da offrire agli ospiti di Happy Village, i quali a loro volta avrebbero portato nuova economia nel paese con la loro sola presenza. Oltre, ovviamente all’economia creata dalle varie attività previste nello statuto.
Quel gruppo di giovani professionisti ha costituito il nucleo fondante del progetto ora arrivato in dirittura finale. Si sono dati da fare a elaborare schede tecniche e relazioni da inviare a Invitalia e ad altri eventuali finanziatori, organizzato assemblee pubbliche per raccontare il progetto e raccogliere le adesioni dei futuri soci. Sostenuti, in questo loro entusiasmo, dalla crescente popolarità che il progetto Happy Village aveva a livello nazionale. Io stesso, che pure mi vanto, per averne fatto parte, di conoscere i meccanismi che regolano la diffusione delle notizie, restai di stucco al risalto dato dalla grande stampa e da tutti i media nazionali, comprese le principali reti radio televisiva. Cominciò tutto con un articolo del Sole 24 ore che mise in home page il progetto. E io dissi subito: se ci crede il “Sole” significa che tutto questo può davvero avere un futuro. Lo riprese subito il Corriere della Sera, e da allora fu un diluvio di richieste di interviste, di collegamenti tivù, di email di persone che si dichiaravano interessate. Oggi sono arrivate quasi 250 email di informazione e di manifestazione di interesse, e calcolando che nessuno scrive solo per se stesso si arriva facilmente a una platea di circa 500 persone potenzialmente interessate a trasferirsi a vivere a Fluminimaggiore. Una cosa enorme, che stiamo gestendo attraverso email dedicate, una newsletter e un sito in costruzione.
L’atto finale, che è anche quello di partenza, è avvenuto il 18 settembre scorso. In una manifestazione pubblica e all’aperto nell’anfiteatro comunale, davanti al notaio Antonio Galdiero e al presidente di Legacoop Claudio Atzori e a poco meno di duecento soci si è costituita la Cooperativa di Comunità Fluminimaggiore. Una cerimonia pubblica emozionante, ispirata, densa di buoni presagi. In quell’occasione io ho annunciato che il Comune da me rappresentato non avrebbe fatto parte della Cooperativa per evitare ogni commistione e conflitto di interessi tra pubblico e privato. Io stesso, che ho visto avviarsi a compimento il mio sogno, ho annunciato che sarei stato un semplice socio, esimendomi dal far parte del Consiglio di Amministrazione per gli stessi motivi di opportunità su esposti. Con una buona dose di commozione, però, ho detto che sarò sempre a disposizione per ogni eventuale consiglio o suggerimento che i capaci amministratori vorranno avere da me.
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