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Valori della letteratura: la molteplicità. Ricordando Italo Calvino
Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2024 @ 03:25 In Cultura,Letture | No Comments
[…] ci sono cose che solo la letteratura può dare coi suoi mezzi specifici
Italo Calvino, Lezioni americane
Come ben noto, Italo Calvino nella Premessa alle sue Lezioni americane [1], oltre che la leggerezza, la rapidità, l’esattezza e la visibilità, indica la molteplicità fra i «valori o qualità o specificità della letteratura» che gli stanno a cuore e alimentano la sua fiducia nel futuro della letteratura nel nuovo millennio che si approssimava. E il capitolo che le dedica prende inizio da un riferimento a Carlo Emilio Gadda che
Calvino prende le mosse in particolare da Quer pasticciaccio brutto de via Merulana per trattare del romanzo contemporaneo «come enciclopedia, come metodo di conoscenza, e soprattutto come rete di connessione tra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo»[3]. Volge lo sguardo a Robert Musil, anche lui ingegnere, che
L’uomo senza qualità, “libro enciclopedico”, nel quale si manifesterebbe quel che per Musil è “conoscenza”, cioè
Il suo è un «libro enciclopedico a cui cerca di conservare la forma di romanzo, ma la struttura dell’opera cambia continuamente, gli si disfa tra le mani […]» [6], emerge la “rete delle relazioni”, la “molteplicità dei codici e dei livelli” che, si direbbe, invasivamente porta a non “concludere”. Calvino quindi volge lo sguardo a Proust:
Trattando della leggerezza, Calvino ricorda come suo punto di partenza erano stati e Lucrezio e Ovidio «dal modello d’un sistema d’infinite relazioni di tutto con tutto che si trova in quei due libri così diversi» [8]. Fa quindi riferimento a Goethe, a Mallarmé che dedicò «gli ultimi anni della sua vita al progetto d’un libro assoluto come fine ultimo dell’universo, misterioso lavoro di cui egli ha distrutto ogni traccia […], a Flaubert che negli ultimi dieci anni della sua vita ebbe a dedicarsi al romanzo più enciclopedico che sia mai stato scritto, Bouvard et Pécuchet» [9].
Ricorda come «il libro che possiamo considerare la più completa introduzione alla cultura del nostro secolo è stato un romanzo: Der Zauberberg (“La montagna incantata”) di Thomas Mann». Sottolinea come
A differenza della letteratura medievale, come il caso della Divina Commedia. Così T. S. Eliot e James Joyce “entrambi cultori di Dante”: «dissolve – il primo – il disegno teologico nella leggerezza dell’ironia e nel vertiginoso incantesimo verbale» [11]; il secondo realizza soprattutto un’«enciclopedia degli stili» [12]. Calvino traccia quindi una tipologia degli esempi di molteplicità indicati:
Ideale che trova in Jorge Luis Borges massimo interprete, il suo saggio sul tempo, El jardín de los senderos que se bifurcan: la compresenza di «infiniti universi contemporanei», il «modello della rete dei possibili».
L’esemplificazione proposta da Calvino prosegue con riferimenti ai suoi Se una notte d’inverno un viaggiatore, nonché a Il castello dei destini incrociati, a La vie mode d’emploi di Georges Perec, per così concludere questa sua «apologia del romanzo come grande rete»:
E vagheggia la possibilità che «fosse possibile un’opera concepita al di fuori del self […] per far parlare ciò che non ha parola, l’uccello che si posa sulla grondaia, l’albero in primavera e l’albero in autunno, la pietra, il cemento, la plastica …» [19]. Il pensiero corre a Chandra Candiani. Questo era ciò a cui tendevano Ovidio nel narrare «la continuità delle forme», Lucrezio «nell’identificarsi con la natura comune a tutte le cose» [20].
Nei grandi laboratori delle letterature moderne e contemporanee
La penetrante analisi di Calvino sul romanzo come grande rete, il che non gli sfugge, sono il punto d’arrivo, appunto, di ciò cui tendevano e Ovidio e Lucrezio. Forse non è ozioso tornare su quelli che possiamo ritenere i grandi laboratori delle letterature moderne e contemporanee, cioè le letterature antiche, ma anche quelle medievali, che certo Calvino ha ben presenti, ma che meritano qualche ulteriore approfondimento.
Il riferimento qui è limitato all’Odissea di Omero, alle Metamorfosi di Ovidio, alla Divina Commedia di Dante, al Decameron di Boccaccio.
L’Odissea
È ben noto come i poemi omerici siano poemi “complessi” e di formazione stratificata, dalla datazione oscillante, lavorìo di autori incerti, materiali compositivi di natura e provenienza diverse, in particolare proprio l’Odissea [21].
Calvino si chiede: «Quante Odissee contiene l’Odissea?» [22]. E da par suo ne propone una ricostruzione: l’eroe epico è qui inserito in un intreccio che lo vede alle prese «con streghe e giganti, con mostri e mangiatori d’uomini», cioè in situazioni tipiche di una saga più arcaica, le cui radici andrebbero cercate «nel mondo dell’antica favola, e addirittura di primitive concezioni magiche e sciamaniche» [23].
Citando Heubeck, Calvino ancora precisa come la “vera modernità” dell’autore si manifesterebbe nel presentare un Ulisse che, oltre alle virtù tipicamente epiche, «in più è l’uomo che sopporta le esperienze più dure, le fatiche e il dolore e la solitudine» [24]. E Ulisse, ricongiuntosi con Penelope, racconta…: «Non è forse l’Odissea il mito di ogni viaggio?», conclude Calvino [25].
Nel considerare come sempre penetranti e cognitive le sue analisi, mi chiedo: tenuto conto delle fasi di stratificazioni narrative successive che hanno strutturato il testo e delle loro fasi storiche, non si manifesta forse nel «viaggio fra i tanti luoghi che tracciano un percorso verso la meta del ritorno, del ricongiungimento, un percorso dai tanti scenari e sipari che si dischiudono su mondi e sentimenti diversi, magia e aldilà, corti regali e lavori umili; l’intervento degli dèi e il versatile ingegno del protagonista; la curiositas e la furbizia; la sofferenza e la gioia; la ferocia e la vendetta; e l’eros»? [26]
Cioè una rete di mondi possibili, una raggiera di condizioni umane, una visione del mondo tra quel mondo – gli interventi degli dèi, magie e mostri – e questo mondo. Un’evidente molteplicità, d’altra parte che l’Odissea abbia superato i confini dell’epica verso il romanzo è ampiamente dimostrato [27].
Le metamorfosi e la molteplicità in Ovidio e Dante
Calvino nel suo capitolo dedicato alla molteplicità coglie una differenza di fondo fra la letteratura medievale e i “libri moderni”:
Incontestabile, va da sé, la differenza colta da Calvino. Solo che, a mio avviso, il riferimento a una generica “letteratura medievale” risulta generalizzazione un po’ troppo astratta: per proporre solo qualche esempio, non paragonabili sono il canto provenzale dell’“amor di lontano” con la produzione dei trovatori licenziosi, o i romanzi di Chrétien de Troyes con i fabliaux, la parte del Roman de la rose dovuta a Guillaume de Lorris e quella di Jean de Meun [29]. E, come di seguito si rileverà, anche nella Commedia dantesca è dato riscontrare aspetti non trascurabili di una tensione narrativa più articolata.
Qualche spunto in questa direzione può venire da una pur in questa sede sintetica comparazione fra le metamorfosi ovidiane e quelle dantesche. Per Calvino, Ovidio è poeta della leggerezza che presenta, così Lucrezio, ma in modo diverso, un «un modello d’un sistema d’infinite relazioni di tutto con tutto»[30], per il quale «tutto può trasformarsi in nuove forme», cercando «la resurrezione in altre vite secondo Pitagora» [31].
Già nel 2016 [32] ho avuto modo di proporre una comparazione fra le metamorfosi ovidiane e quelle dantesche, chiedendomi, «detto della netta differenza di senso» fra esse, «quali altri scarti fra esse si manifestino, privilegiando non il livello stilistico, peraltro già ben analizzato da diversi commentatori, ma quello cronotopico, cioè le modalità di rappresentazione del tempo-spazio che è dato cogliere in Ovidio e Dante. Un livello critico che può portare al cuore dell’interpretazione arricchendola forse di nuovi tasselli» [33].
Dopo un contributo dedicato alla comparazione fra il Narciso ovidiano (Metamorfosi, III, vv. 339-510) e il Lai de Narcisse francese medievale [34], ho esteso la comparazione fra un’altra metamorfosi ovidiana e la sua riscrittura in Dante: da una parte il racconto ovidiano di Salmàcide ed Ermafrodito (Met.IV, vv. 271-388), dall’altra quello dantesco del mostruoso connubio fra Cianfa Donati e Agnello Brunelleschi (If., XXV, vv. 49-73).
Nel primo,
Nel secondo,
Ma nella Commedia dantesca c’è altro da cogliere che può ricondurre alla categoria della molteplicità. Si tenga infatti ben presente che Dante è auctor che nel poema è anche agens, personaggio, «ma personaggio-poeta, “uomo di scienza e in qualche modo di azione”», come sottolinea Contini [37]. Due poli che riconducono, come ben noto, al doppio “io” della Commedia: «l’Io trascendentale, l’uomo in generale, soggetto del vivere e dell’agire […] e l’io storico, titolare di un’esperienza determinata» [38]. Una costruzione sistematica e teologicamente orientata, come rilevato da Calvino, nella quale tuttavia
In altri termini, non possiamo non rilevare una molteplicità, in quanto rete di casi umani, di vicende storiche, di sentimenti, che ha attraversato e attraversa il mondo orientata verso l’indicazione che può portare alla salvezza, come si addice a un poema sacro che, come rilevato ancora da Contini, «non cessa di essere un libro storico per il fatto di contenere la rivelazione di verità universali» [40].
Il sistema cronotopico della molteplicità nel “Decameron” di Giovanni Boccaccio
Riprendo qui una tematica che ho trattato in un recente saggio in corso di stampa per la rivista «Critica del testo» [41], relativa al sistema cronotopico nel Decameron. Perché sistema cronotopico e quale quello che si manifesta nella grande opera di Boccaccio? Non si può infatti fare riferimento per il Decameron a «uno spazio-tempo uniforme e continuo», come definito da Amedeo Quondam nella pur apprezzabile Introduzione all’edizione del testo del 2013 [42].
Se infatti è corretto cogliere nel testo un sistema narrativo compatto e un’architettura unitaria che include Proemio, Introduzione alle Giornate, novelle narrate e Conclusione dell’autore, quindi anche dalla cosiddetta cornice alle novelle stesse [43], non altrettanto fare appunto riferimento a uno spazio-tempo uniforme e continuo. Ciò che costituisce un cronotopo è il tempo-spazio di cui un testo si impadronisce (il tempo-spazio nel testo) e il modo in cui è ri-creato (il tempo-spazio del testo [44].
In un testo possono altresì interagire cronotopi diversi e costituire il sistema cronotopico del testo. Un insieme organico del quale va individuato l’asse portante.
Or non v’è dubbio che nel Decameron si manifesti, come sostenuto dalla migliore critica [45], una varietà relativa non solo alla materia narrativa, ma anche all’escursione stilistica. Ma è da ritenere che la categoria della varietà o della moltitudine delle cose sia solo un aspetto di altra categoria segnata non tanto e non solo da un carattere quantitativo, ma da altro carattere che è qualitativo.
Occorre pertanto fare riferimento a un sistema cronotopico, come già precisato l’insieme dei cronotopi che si manifestano nelle diverse novelle e nelle altre parti dell’opera, e coglierne il carattere portante che, a mio avviso, si profila essere quello di un sistema cronotopico della molteplicità, della molteplicità come definita da Calvino, cioè «come enciclopedia, come metodo di conoscenza, e soprattutto come rete di connessione fra i fatti, tra le persone, tra le cose del mondo», quell’«antica ambizione di rappresentare la molteplicità delle relazioni in atto e potenziali».
Dai sondaggi che ho effettuato, analizzando sei novelle molto esemplificative [46], si intrecciano
La brigata di novellatrici e novellatori decide infine di far rientro a Firenze, pur ancora infestata dal morbo della peste. Come spiegarlo? Commenta Enrico Fenzi:
Una grande lezione quella trasmessaci da Calvino, in un nuovo millennio che ci sta adesso immergendo nel dramma di guerre e catastrofi naturali causate in buona parte dall’uomo, nella violenza contro l’Altro e il Diverso, genti di altre etnie e la donna.
Che sia la sua lezione, a partire dalle nuove generazioni, lievito per sviluppare una rete di relazioni improntate al rispetto reciproco, alla convivenza pacifica. È troppo pretenderlo con il nuovo anno? In ogni caso è l’augurio che è doveroso scambiarci ed estendere a tutte/i.
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