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Vite parallele nel dramma e nella scrittura
Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2021 @ 02:27 In Cultura,Letture | No Comments
Subito salta agli occhi, leggendo della travagliata vita di Edith Bruck (Il pane perduto, La Nave di Teseo, 2021), un punto di assonanza con Margarete Buber-Neumann [1], al di là delle evidenti differenze: due donne, una tedesca, Margarete, l’altra ungherese, Edith, finite entrambe in campi nazisti. Edith da bambina, Margarete da giovane donna. Edith in quanto ebrea, Margarete, che pure ha ascendenze ebree, in quanto compagna di Neumann. Ma quale è allora l’assonanza, se c’è?
Non si è conosciute con il proprio cognome
In primo luogo, e balza agli occhi, il fatto che entrambe non saranno conosciute con il proprio nome ma con quello di un marito (Edith Bruck) o dei mariti (Margarete Buber-Neumann). Uno strano destino, dovuto forse anche alla difficoltà del cognome originale, nel caso di Edith. Margarete, nasce Thūring; Edith, Steinschreibel. Ma questa non può essere stata l’unica ragione.
Affinità e diversità: Margarete ha sposato un Buber da giovane. Da lui nasceranno le sue due figlie; il secondo marito, amato con maggiore consapevolezza, da lei già più adulta, le verrà poi sottratto dalla volontà di Stalin. Edith adotta invece il cognome di un suo coniuge (il terzo) che è stato tale brevemente e su carta, sposato per convenienza, data la normativa israeliana, per evitare il servizio militare e presto scomparso dal suo orizzonte.
Ambedue scriveranno. Margarete però non si considera una scrittrice ma, più modestamente, una giornalista. Nel campo di Ravensbrūck ha però conosciuto Milena, la Milena Jesenská amata da Kafka, la destinataria delle sue lettere. E Milena l’ha convinta a vincere le sue esitazioni, dovute soprattutto a modestia: Scriveranno insieme del campo di Ravensbrūck, di quello che ha voluto dire per loro, dei mutamenti intercorsi – a un certo punto si verrà condotti a morte anche lì, non più solo altrove, grazie a treni che da lì partono. Milena però non potrà farlo: muore nel campo. Non ce la fa a sopravvivere. E la sua amica Margarete decide quindi che dovrà procedere lei a raccontare cosa ha voluto dire vivere per anni sotto i nazisti, costrette in una struttura coercitiva, obbligate a una vita di difficoltà e soprusi, a duri lavori, costrette alla fame se non all’inedia. Lei scriverà, una volta rientrata a casa [2], della vita nel gulag e nel campo nazista di Ravensbrūck. Scriverà anche dell’amica Milena [3]. Scriverà del periodo trascorso in Siberia [4]. Forse la scrittura aiuta il superamento dei fatti, dei traumi subiti.
Edith Bruck invece fin da bambina intende scrivere. Ha in mente tutto quello che vuole mettere su carta e non rinuncerà mai a farlo, nonostante le difficoltà della sua vita, nonostante il primo giovane marito sia duramente contrario. Scrivere per lei è una irrinunciabile priorità. Da quando starà in Italia, scriverà in italiano.
Quindi, due scrittrici: ma la più giovane appare, in questo senso, più determinata, più consapevole. L’altra lo sarà, ma non si reputa, almeno inizialmente e per quanto ne sappiamo, una vera e propria scrittrice: è giocata da una certa modestia di fondo.
Probabilmente entrambe saranno aiutate, nella vita successiva al periodo nei campi di concentramento, dalla scrittura, anche se non sempre scrivere basta: di Edith sappiamo che ha passato la vita tra forti dolori fisici, certamente legati a quanto le era occorso. Di Margarete non sappiamo abbastanza: il suo fisico era tremendamente provato ai tempi della prigionia, prima in Siberia, poi in Germania. Certamente il suo viaggio di ritorno è stato duro e faticoso, tanto che lei è giunta a casa nonostante grandi difficoltà nel muoversi, nel camminare, nel pedalare. Ma non sappiamo molto dei tempi successivi, al contrario di quanto avvenuto con Edith.
Entrambe vengono da famiglie piuttosto tradizionali, in cui ci sono entrambi i genitori e vari altri figli oltre a loro. Ci si attende dai figli che studino o che vadano a lavorare, nella famiglia di Edith: e infatti i più grandi sono nella città di Budapest, dove è più facile trovare lavoro.
Anche il padre di Margarete vorrebbe impegno nello studio o un discreto lavoro: ma le figlie sono, al riguardo, un po’ ribelli. Aiutate in questo da un maggiore benessere economico e da una madre indulgente verso i loro desideri. Diverranno socialiste: una scelta detestata dal padre.
In casa di Edith c’è invece pochissimo denaro, bisogna fare i conti con le quotidiane difficoltà economiche.
Differenze sociali
Ci sono certamente evidenti, forti differenze di ceto: la famiglia di Margarete è ascesa alla media borghesia, il padre guadagna abbastanza bene. Ha tendenze autoritarie, mitigate dalla moglie, più intesa a comprendere i figli, i loro desideri e comportamenti.
Il padre di Edith è più modesto in termini di riuscita sociale, la famiglia sopravvive con difficoltà. Il peso di una famiglia numerosa si fa sentire [5], condiziona la loro vita sia prima della cattività, sia subito dopo: almeno una delle sue sorelle è risoluta a sfuggire alla povertà, si impegnerà con durezza in questo senso e il suo atteggiamento peserà sulla giovane Edith da poco uscita dalla prigionia.
Il legame con la madre
In entrambi i casi mi sembra si possa dire che le due, Margarete e Edith, hanno un più stretto legame con la madre che non con il padre. Margarete anzi con il padre non si trova affatto bene, e lui è critico verso questa figlia scriteriata, anche se sarà pronto a soccorrerla quando si troverà in difficoltà con il marito e i suoceri Buber.
Edith porta con sé il ricordo dei genitori, ma soprattutto della mamma, dei suoi discorsi sulla terra di Palestina, terra di latte e miele. Un bacio della mamma è considerato un raro, significativo premio.
Sorelle, fratelli
Margarete ha alcune sorelle: una in particolare, Babette, le è più vicina delle altre, dei fratelli. Forse anche perché ha sposato un uomo interessante, Willi Mūnzenberg, uno dei fondatori del Comintern. Che tuttavia negli anni ’30 entrerà in conflitto con Stalin. I due sono certamente vicini ideologicamente, un punto di appoggio per Margarete. Sono presenti nei momenti di maggiore difficoltà. Alla liberazione Willi però non riuscirà a tornare a casa: probabilmente, verrà ucciso durante la fuga dalla Francia occupata dai nazisti: si ipotizza, da qualche agente di Stalin. Un destino che una volta di più sembra avvicinare le due sorelle.
Diversa la situazione di Edith, che da prigioniera sta con la propria sorella Eliz [6], che ha cinque anni più di lei e che cerca di aiutarla, di darle buoni consigli, di prendersene cura per quanto possibile. Insieme passano nel campo di Dachau; poi otto giorni di viaggio e giungono a Christianstadt. Ci stanno per cinque settimane, poi ancora in viaggio, nella neve e nel gelo, con scarso cibo. Eliz l’aiuta a camminare, ad andare avanti anche quando lei non sente più le gambe, è debolissima a causa anche di una protratta diarrea. Dopo cinque settimane – la cifra si ripete – sono a Bergen Belsen. Poi, a Celle, a 30 km. da Bergen Belsen. La ragazzina si innamora, la sorella più grande veglia su di lei, la esorta a fare attenzione: lei, di 18 anni, non ha mai baciato un uomo.
Passano i giorni, i mesi. Dopo cinque mesi dalla loro liberazione a fine 1945 le due sorelle giungono a Budapest. Vanno prima all’AJDC, dove vengono dati loro un certificato e un po’ di denaro. Poi corrono a cercare la sorella Margo. Margo è ormai vedova, con un bimbo, Tomika. Lei chiede notizie della madre: loro speravano di trovarla là o di avere notizie da Margo, anche se subito una sorvegliante aveva detto alla piccola Edith che sua madre era il fumo che vedeva andare verso l’alto, e che forse era diventata sapone. Budapest è piena di russi, su cui circolano storie tremende.
Le due vanno a Debrecen a trovare la sorella Leila: che sembra però distante e fredda. Finalmente tornano dal lavoro il fratello Peter e il marito di Leila, un commerciante che fa traffici di sale e farina con la Romania. Ma vivere lì è psicologicamente difficile, le due sorelle reduci dai campi temono di essere di peso: torneranno nel paese di origine, nella vecchia casa: Leila aveva detto che con il loro ritorno le sorelle le avevano tolto dieci anni di vita.
Peter si sposa, accoglie Edith e Eliz per qualche tempo: ma Eliz va via presto, va a Budapest e si imbarca per Israele. Il fratello vorrebbe che Edith sposasse un vecchio amico del padre, che si sistemasse; lei odia l’idea. Decide di andare da Margo in Romania: Margo si è risposata ma non sembra felice. Durante il viaggio è costretta ad attendere al confine, alloggia presso una famiglia che le porterà via i gioielli affidati a lei dal fratello. Poi giunge Tibi, cognato di Margo, e si parte per Praga.
Relazioni con uomini
Margarete vive due amori; il primo, per il giovane Rafael Buber, figlio del noto filosofo Martin Buber, rianimatore del cassidismo. Da Rafael, sposato non appena raggiunta la maggiore età, avrà due figlie, una delle quali nata prima del matrimonio. Ma Rafael, che sembrava critico verso il padre, ideologicamente vicino a Margaret, è ormai cresciuto, si lascia alle spalle le idee giovanili, rientra in famiglia: il rapporto con Margarete si esaurisce e si inasprisce, i Buber le impediranno di vedere le figlie, a lungo. Poi, il suo secondo grande amore, Neumann. Che finirà però con l’essere arrestato e portato in un ignoto carcere russo, ucciso a causa delle sue divergenze con Stalin, che all’epoca ipotizzava accordi con Hitler e non apprezzava tutto ciò che Neumann aveva fatto per contrastarne l’ascesa. Margarete rimarrà sola. Sola in un Paese che non è il suo, tra gente che poco per volta evita di avere rapporti con lei, per paura delle possibili conseguenze. Ma è una donna, non è più una ragazzina. Ha fatto le sue esperienze, vivrà con una certa consapevolezza i suoi anni in un lager russo, in Siberia prima; e poi, a Ravensbrūck. Rientrata a casa, scriverà e racconterà di Milena e di Ravensbrūck, testimonierà in merito, quando necessario.
Campo di concentramento di Ravensbrūck
Edith è invece una ragazzina, certamente rimasta molto colpita da quanto le è successo, non in grado di elaborare bene il lutto per la perdita di padre e madre. Si innamora facilmente, in genere di ragazzi che si rivelano quasi subito sbagliati. Pensa di amare Tibi, il cognato di sua sorella. Lui tiene in realtà alla propria vita, non intende affatto cambiarla per lei. Matrimonio? Non è il caso, forse più avanti. Intanto i due stanno insieme, la ragazzina resta incinta. Perde il figlio. Tibi non ha alcuna intenzione di sposarla. Le sorelle si preoccupano per Edith, la mandano per qualche mese in un kibbuz: lei studia inglese, scrive qualche poesia, legge. Poi il ritorno a casa da Margo. Una casa piccola, dove manca lo spazio: lei dovrà ancora dormire in camera con Tibi. E si arriva a un incidente: lui e un amico maneggiano una pistola. Parte un colpo, Edith è ferita. Starà 15 giorni in ospedale, ne uscirà con una prognosi di tre mesi. Tutta la città parla di questo scandalo. Eppure Milan, con cui avrebbe dovuto uscire la sera in cui era stata ferita, la va a trovare, le porta fiori e dolci, le dice di amarla. Vorrebbe sposarla. Lei ha solo 16 anni, si reputa troppo giovane. Soprattutto, non ne è innamorata. Ma poi cede alle pressioni generali. C’è stato un problema con suo cognato, accusato di traffici, ricercato dalla polizia, fuggito in Germania. Lei, Milan, Margo preparano il matrimonio e la fuga.
Edith descrive il matrimonio, il cibo, il vestito bianco avuto in prestito, il ritardo del rabbino, la difficoltà di stare in tanti sotto il baldacchino, Milan che dopo aver bevuto dovrebbe rompere il bicchiere e a lungo non ci riesce [7].
Ancora pochi giorni, poi la fuga, le difficoltà al confine, l’ingresso in Germania, l’arrivo nel campo di Gerestriet: dove ci si prepara ad andare in Palestina. Poi Margo e figli partono. Gli altri, tra cui Edith, attendono. E non si capisce perché debbano tanto attendere: due mesi. Poi, finalmente, la partenza: è ormai la fine di agosto del 1948.
Voci sulla condotta poco saggia della ragazza si sono intanto sparse un po’ ovunque, sono arrivate fino in Palestina. Il matrimonio con Milan non regge. Lei vivrà un ulteriore, negativo tentativo con un ragazzo conosciuto durante il viaggio verso la nuova terra, Gabi. Con lui c’è, stando agli scritti della Bruck, un forte accordo sessuale. Lui però è geloso, anche perché spesso la deve lasciare, visto che lavora su una nave ed è assente. A un certo punto, la picchia. Più volte. Quindi, un ulteriore divorzio e poi, per motivi pratici, ancora un matrimonio, pro forma, con quel Bruck da cui lei prenderà il cognome. Questa volta i coniugi staranno insieme una mezza giornata in tutto, seduti a chiacchierare su una panchina.
Le traumatiche vicende vissute da ragazzina hanno certamente pesato a lungo, fortemente, su di lei, sui suoi comportamenti, sulle scelte amorose sbagliate, oltre che sulla sua salute duramente compromessa [8].
Margarete è più matura quando le cose volgono al peggio, saprà adattarsi quanto basta per sopravvivere, ma senza venire meno ai suoi tratti caratteriali di fondo, di serietà e impegno verso chi è in difficoltà, alle scelte politiche che l’avevano vista in un’area comunista o socialista: comunque, di sinistra.
Il lavoro
Entrambe, la Buber-Neumann e la Bruck, sono state grandi lavoratrici. Margarete, interessata alle possibili novità pedagogiche, ha seguito dei corsi per diventare maestra di scuola materna; si accosta poi all’Istituto Lichtenberg, vicino Berlino: il direttore, Karl Wilker, è un noto riformatore, pedagogo e medico. Entra poi in contatto con l’organizzazione KiHi, intesa al soccorso di bambini bisognosi. Si dedicherà quindi al lavoro da giornalista nella redazione della ‘Internationale Pressrkorrespondenz’: lì si dà molto spazio a quel che accade a Mosca. Margarete è spinta a lavorare anche dal desiderio di affrancarsi dal sostegno economico del padre.
Edith, spinta dalle circostanze, dalla necessità e dalla sua stessa natura a fare, a tentare diverse attività, dal lavoro in un bar alla pulizia di edifici e case, dalla danza alla recitazione e poi al cinema, senza mai dimenticare la scrittura, mostra una personalità decisamente più poliedrica.
Enormi diversità, quindi, tra la storia di Margarete e quella di Edith. Eppure ci sono varie assonanze. Una è certamente quella della narrazione.
Entrambe hanno passato larga parte del proprio tempo raccontando, per scritto e a voce, quello che erano i campi, il comportamento dei tedeschi, i tentativi di sopravvivenza dei prigionieri. Il dolore e la morte di tanti. Non si tratta di testimonianze indolori. Entrambe hanno molto sofferto e soffrono durante gli anni di prigionia e poi nei lunghi, restanti anni di vita. Margarete di questo accenna soltanto. Edith, invece, è consapevole della matrice remota dei suoi malesseri fisici e non trova sbagliato parlarne. In questo caso, la narrazione suscita ricordi e quindi affanni, dolori. Ma forse anche prelude al superamento del dolore, forse aiuta la protagonista nella sopravvivenza [9]
E poi, mentre sto finendo di leggere, ecco che mi imbatto in un’altra importante, significativa vicinanza: entrambe queste donne rifiutano l’odio verso chi ha reso la loro vita così difficile.
Il libro Il pane perduto si chiude con una Lettera a Dio. Questa termina ricordando i tre più frequenti interrogativi che vengono in genere posti all’autrice: se crede in Dio, se perdona il Male e se odia i suoi aguzzini:
«Alla prima domanda arrossisco come se mi chiedessero di denudarmi, alla seconda spiego che un ebreo può perdonare solo per se stesso, ma non ne sono capace perché penso agli altri annientati che non perdonerebbero me. Solo alla terza ho una risposta certa: pietà sì, verso chiunque, odio mai, per cui sono salva, orfana, libera e per questo Ti ringrazio, nella Bibbia Hashem, nella preghiera Adonai, nel quotidiano Dio» [10].
Questo mi sembra un punto di riscontro importante: al di là di tutto quello che è loro capitato, che hanno subìto, al di là delle loro vite sconvolte, della salute compromessa, Edith Bruck così come Margarete Buber-Neumann e tante altre sono state capaci di respingere la forte tentazione dell’odio. E molti uomini hanno fatto scelte analoghe. Un tratto, questo, che mi sembra da sottolineare nella sua positività ed esemplarità. Un fatto da ricordare perché sia di esempio in una società sempre più lacerata da ingiustizie sociali, da sperequazioni, da discriminazioni e detestazioni tra coloro che hanno molto e altri che hanno molto poco.
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