di Alfredo Bussi
Nessuno è chiamato a scegliere tra l’essere in Europa e essere nel Mediterraneo, poiché l’ Europa intera è nel Mediterraneo. Aldo MoroNegli ultimi anni, all’interno della promo- zione territoriale marchigiana, è emersa una tendenza di forte recupero del concetto di “mediterraneità” che ha trovato consonanza con i valori di una regione senza eccessi, fondamentalmente equilibrata nelle sue espressioni. La “medietà” era un concetto filosofico che riassumeva l’ idea di una classicità apollinea quale è giunta a noi attraverso tanta esegesi. Fu Aristotele a dare il massimo valore al “giusto mezzo” corrispondente alla virtù delle opere umane «onde siamo soliti dire delle buone opere che non c’è nulla da togliere né da aggiungere in quanto l’ eccesso e il difetto rovinano ciò che sta bene mentre la medietà lo salva». Questa medietà ben si accorda con il carattere marchigiano ma prima ancora si accorda col suo essere un luogo fisico, un punto geografico che è terra tra le terre. La sua collocazione è già una medietà, nel centro dell’Italia innanzitutto, tra l’Europa e l’Africa, tra l’Europa e il Medio Oriente e tutto questo si chiama Mediterraneo, “in mezzo alla terra”.
Grottammare, perla della Riviera delle Palme, in provincia di Ascoli Piceno, è diventato il luogo simbolo di questo recupero ideale (cioè “normativo”, secondo la lezione di Kant) della mediterraneità. Infatti il piccolo paese marchigiano è attraverso dal 43° parallelo dell’ emisfero boreale e famoso è il suo “dream point” segnalato sul lungomare. Convenzioni internazionali che tracciano linee sui territori, in questo caso una linea che segna l’inizio del clima mediterraneo e l’inizio “teorico” di una cultura sempre più valorizzata dalla promozione territoriale ma in crisi a livello ideologico e sociale.
Abbiamo tutti necessità di concetti sovraordinati che ci permettano di inquadrare astrattamente la realtà, abbiamo tutti bisogno di coordinate per conoscere la nostra posizione. L’attualità eurocentrica ha deviato sul terreno utilitaristico quelle che erano esigenze comunitarie ideali dei padri fondatori europeisti. Non possiamo nemmeno più trovare contatti ideologici tra il pensiero sociale europeo degli anni del dopoguerra e quello odierno della politica economico-finanziaria comunitaria. E quelle coordinate ideali si sono allontanate dalla nostra visione in un orizzonte sfocato facendoci tornare in noi stessi, al punto di origine delle cose per ritrovare nuove possibilità, nuovi orizzonti. Riscopriamo così ciò che siamo, ciò che il tempo non ha cancellato, una occasione di ripensamento della realtà attraverso l’essere.
Nella società attuale nessuno può permettersi una qualche forma di isolamento da contesti più ampi, con il risultato però che siamo condizionati dagli atteggiamenti dominanti, dalla cultura dell’epoca di cui subiamo tutta l’influenza. Ed è per questo che dobbiamo capire in quale contesto internazionale voler essere, quali caratte- ristiche vogliamo difendere, quali eliminare.
A volte, di fronte ai mutamenti collettivi, le tradizioni riemergono da un sottofondo che credevamo perduto, di fronte a un’Europa che stentiamo a riconoscere, pur sentendoci parte integrante, proviamo a ricercare la nostra precipuità, la nostra vocazione per ridare senso all’essere europei e forse indicare nuove prospettive.
Sempre nell’ottica di un recupero della mediterraneità, i promotori territoriali marchigiani si sono concentrati, ultimamente, su un aspetto concreto del vivere: l’enogastronomia. Infatti, attualmente, Fermo è sede del più importante centro studi sulla “dieta mediterranea” del centro Italia. Si è individuato nello stile alimentare quella medietà rappresentativa di una cultura, come carattere spontaneo di un territorio, senza dimenticare le coordinate psicologiche di questo luogo geografico che chiamiamo Marche e parlano, reiteratamente, di mediterraneità. Dunque, l’enogastronomia intesa come occasione per un ripensamento delle tradizioni all’interno dei mutati stili di vita ma soprattutto una riscoperta dell’identità marchigiana in rapporto al contesto culturale nel quale si esprime, punto di partenza di un ineguagliabile percorso di intelligenza, creatività, gusto della bellezza, socialità.
Le Marche sono profondamente mediterranee perché possiedono la cultura della sobrietà, della semplicità, della sacralità, a partire dalla enogastronomia. Questa ricchezza non la troviamo nelle nuove tendenze creative perché è un valore che si rinnova solo attraverso il rispetto della tradizione, offerta nell’attualità come materia viva, come un pane caldo appena sfornato. Un vecchio detto affermava che “il pane di ieri è buono domani”, semplice verità interpretabile nel suo valore simbolico di rispetto per ciò che merita attenzione, mantenimento nel tempo del valore. E, a un livello sociale, le Marche hanno sempre conservato “il pane di ieri” come preservazione delle tradizioni, unica possibilità di riconoscimento identitario.
L’enogastronomia è anche l’occasione di un ripensamento attraverso la convivialità perché “mediterraneità” è mescolanza di prodotti, cibi, sapori, colori, punto privilegiato di incontro e di relazione, una pluralità di punti di vista, un crogiuolo di esperienze e di saperi, di fusione di storie e tradizioni. Pluralità di identità che si confrontano su una base comune, un bacino che bagna popoli diversi ma uniti da esperienze e reciproca conoscenza, una condivisione storica.
Compartecipazione culturale innanzitutto, bacino inconscio di classicità e medio-orientalità, di contraddizioni e speranze in un vissuto quotidiano che si esprime nelle forme semplici degli stili di vita. Ed è proprio l’enogastronomia l’espressione più diretta delle scelte comuni dei popoli mediterranei, stili che non passano inosservati al mondo sino ad elevare a “exemplum” alimentare ciò che per quei popoli è consuetudine, la “dieta mediterranea”. L’utilizzo dell’olio di oliva, il consumo di verdure e pesce fresco, l’importanza della frutta, i carboidrati complessi, l’impiego dei legumi quale fonte di proteine diventano “idée-force” di una cultura alimentare ricca di gusto e salute. Così come il recupero dell’agricoltura locale contrapposta all’industria alimentare, tutto con l’obiettivo di salvaguardare la salute del consumatore da un lato e il profilo di sostenibilità sociale e ambientale dall’altro.
Ma il punto di osservazione sintetico che consente di porre la “dieta mediterranea” nella giusta prospettiva riguarda la sempre più pressante richiesta di attenzione al patrimonio culturale legato all’alimentazione, attraverso una domanda di autentica naturalità. Oltre a ciò, dato che dietro alla materialità delle cose vi è sempre l’idealità delle stesse, a ben vedere l’interesse per l’alimentazione mediterranea è un recupero di uno “stile psicologico” che la società occidentale vuole ritrovare attraverso le nostre “terre di mezzo” e, forse, osservandoci, recuperare una voglia di vivere che il mondo sta perdendo, anche vivendo direttamente la nostra “fisicità” territoriale, la strada, la piazza, il mercato, il luogo di culto, l’osteria, il caffè , tutti elementi centrali della nostra cultura, luoghi di incontro, di contatto, di scambio, non solo fra persone, ma anche fra idee, culture, modi di vivere e di pensare. Luoghi vissuti che rappresentano una parte essenziale della storia degli individui e delle società del Mediterraneo, anche nell’immaginario collettivo.
Se esiste una “mediterranean way of life” noi marchigiani ne siamo parte integrante a beneficio dell’esperienza di viaggio di chi si accosta ai tempi e ai modi esistenziali all’interno di una tradizione, di un mare, ma soprattutto delle terre che su di esso si affacciano. Il recupero della mediter- raneità è, come dicevamo, “normativo”, indica una strada da percorrere, un ideale da perseguire, perché i cambiamenti avvenuti in Italia negli ultimi decenni hanno influito sulle caratteristiche storiche e hanno modificato le abitudini e gli stili, europeizzando le consuetudini. Spetta a noi pertanto ristabilire le priorità che ci caratterizzano e mantenerle all’interno di un vissuto per poterle poi proporle nella loro reale consistenza.
Ma ancor più dobbiamo ristabilire le giuste relazioni tra i popoli del bacino del Mediterraneo, perché la relazione tra questi territori necessita di uno sforzo collettivo di recupero per costruire quei valori di civiltà, di tolleranza e di dialogo necessari a questa area del Mondo, uno dei contesti socio-ambientali culturalmente più straordinari nella storia dell’umanità.
Sotto questa prospettiva, le Marche si pongono come ripensamento di una collocazione europea dei territori, ripartendo da una profonda riconsiderazione della “territorialità” che altro non è che recupero della identità. Questo termine così fortemente sentito nelle Marche, “territorio”, è un termine che fin dall’antichità ha espresso alcuni tra i valori fondanti di una comunità, quali l’identità e il senso di appartenenza. Ci si riferisce dunque ad un aspetto di significato che va oltre la materia e le convenienze economiche e si spinge fino alle caratteristiche intrinseche di un gruppo sociale. Identità è il concetto che immediatamente ne consegue, un insieme di caratteristiche che la distinguono da altre entità. Il concetto di identità riguarda la maniera in cui la persona considera se stesso come parte di determinati gruppi sociali, quindi un senso di appartenenza, ossia un sentirsi parte di un gruppo, col quale condividere usanze, modi di pensare e atteggiamenti. Questo perché alla base del concetto di appartenenza si trova un senso di identificazione che consente alla persona di riconoscersi come membro di un gruppo.
Non possiamo, pertanto, permetterci di essere inglobati in una massificazione europea dell’identità, dobbiamo invece inserirci nel contesto sovranazionale attraverso quella “entità” che noi marchigiani sentiamo mediterranea e tale deve rimanere se vogliamo essere rappresentativi, emblematici.
Dialoghi Mediterranei, n.28, novembre 2017
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Alfredo Bussi, vice presidente della “Associazione Culturale Kairòs”, è docente di “Comunicazione e immagine turistica” negli istituti professionali del turismo. Si occupa principalmente di progettazione e organizzazione di eventi a carattere promozionale dedicati alla cultura, all’arte e all’enogastronomia territoriale. È autore del libro Come queste Marche. Idealismo della marchigianità, pubblicato nel 2016 per le Edizioni Leardini.
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