di Margherita Favara
Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft
Una prima forma di movimento femminista può essere attribuita a Olympe de Gouges, scrittrice e drammaturga francese che diede un contributo considerevole alle rivendicazioni di emancipazione femminile durante la Rivoluzione Francese del 1789. Di fatti, la mobilitazione in favore dell’emancipazione ebbe inizio già con la partecipazione delle donne alle istanze di uguaglianza, sostenute nella rivoluzione.
Con la convocazione degli Stati Generali, le donne francesi – dalle aristocratiche alle religiose, sino a quelle appartenenti agli strati sociali più poveri – fecero sentire la propria voce in una fase storica caratterizzata da forti mutamenti sociali, in convergenza alle rivendicazioni dell’autonomia e dell’eguaglianza giuridica.
Così, in risposta alla Déclaration des Droits de l’Homme e du Citoyen del 26 agosto 1789, Olympe De Gouges scrisse la Déclaration des Droits de la Femme et de la Citoyenne pubblicata nel 1791. La femminista sosteneva l’importanza dell’uguaglianza sociale, economica e di voto tra uomini e donne. In particolare nell’articolo 1 Olympe de Gouges esprime le sue idee politiche sulla condizione femminile: «la femme naît libre et demeure égale l’homme en droits. Les distinctions sociales ne peuvent être fondées que sur l’utilité commune» (De Gouges 1789).
Date queste premesse, è naturale che le posizioni di de Gouges, assolutamente moderne ed anticipatrici delle attuali istanze sull’emancipazione, per quei tempi, fossero assolutamente in contrapposizione e critiche di una tradizione sociale che, anche dopo la Rivoluzione francese, rimase immutata, così che, alla fine, la grande femminista francese venne ghigliottinata nel 1793 e proprio a causa delle sue idee così libertarie.
Un’altra importante antesignana del femminismo, è stata l’inglese Mary Wollstonecraft (1759-1797), il cui pensiero è di grande rilievo per le sue idee di uguaglianza e per la critica nei confronti della cultura patriarcale. È nota soprattutto per l’opera A Vindication of the Rights of Woman del 1792 (Wollstonecraft 1792), pietra miliare del femminismo: l’autrice individuava, nel modello educativo proposto alle donne, la causa dell’infelicità e dell’insoddisfazione sociale ed esistenziale femminile. Secondo Wollstonecraft, l’oppressione della donna non dipendeva dalla sua natura, ma dall’educazione patriarcale, che riceveva secondo i principi culturali dell’inferiorità e della subalternità sociale. Proprio nell’espressione “diritto di rivendicazione”, emerge tutta la rilevanza della concezione politica enunciata da Mary Wollstonecraft giacché, secondo la pensatrice, le leggi e i costumi non possono in alcun modo concedere solo ad alcuni uomini i diritti naturali, privando invece altri di tali diritti (Vantin 2019: 134). In tali termini, il pensiero intellettuale, filosofico e politico della Wollstonecraft, in linea con gli ideali dell’Illuminismo, risulta essere convergente ad una critica radicale della società dell’epoca, nelle sue caratteristiche classiche e tradizionali, colpevoli di bloccare il progresso e, quindi, anche l’educazione e l’istruzione, fondamentali per lo sviluppo sociale.
Per questo motivo, Wollstonecraft si appella alla ragione «considerata quale reale parametro della stessa virtù e come elemento profondamente caratterizzante l’essere umano in quanto tale» (Loche 1991: 252). La fiducia nel futuro e nel progresso della società conduce Wollstonecraft a riflettere sull’importanza di un nuovo modello di educazione capace di spingere, sia gli uomini che le donne, a diventare indipendenti e ad essere in grado di ragionare, con la possibilità che, attraverso l’educazione, essi possano migliorarsi, perfezionarsi e realizzarsi pienamente (Loche 1991: 252). Secondo lei, le donne come gli uomini, potevano sviluppare analoghe capacità razionali ed intervenire nella società: ciò che rendeva le donne mancanti di tale “abilità” era proprio il modo in cui esse venivano educate sin dall’infanzia (Botti 2012: 26).
Il movimento femminista: transizione ed evoluzione
Anche se i tempi per auspicare una effettiva emancipazione femminile, in realtà erano ancora troppo precoci, con la rivoluzione francese, in Europa, si innescò il “germe” di un nuovo cambiamento, oltre che sociale e politico, anche delle coscienze. In particolar modo, le discussioni in ambito femminista – le quali presero corpo dal pensiero di Olympe de Gouges e Mary Wollstonecraft – iniziano a sollevare, da una parte riflessioni sulla concezione dualista e sulla differenza, dall’altra, sull’uguaglianza politica tra donne e uomini.
In tal modo, anche se, nel periodo napoleonico, il movimento femminista subì un violento arresto, a causa dell’adozione del codice napoleonico che limitò sensibilmente la libertà delle donne, specie per quelle coniugate, obbligate all’obbedienza al marito, di fatto, le rivendicazioni per la emancipazione ripresero con una maggiore incisività e determinazione, già dalla seconda metà del XIX secolo, periodo storico che, da una prospettiva di genere, può essere, senza alcun dubbio, definito il secolo della “rivoluzione femminile”.
Si assiste infatti, ad una presa di coscienza delle donne appartenenti alla classe medio-alta, le quali iniziano ad unire le loro voci, per aver riconosciuto lo status giuridico che si deve ad ogni essere umano. A questo proposito, i contributi di Harriet Taylor e John Stuart Mill sono stati fondamentali, poiché finalizzati all’obiettivo dell’emancipazione. In una fase storica caratterizzata dalle trasformazioni sociali, economiche e tecniche, in quel momento in atto nella società europea, il pensiero di questi due autori introduce, chiaramente, una modernità sostanziale che tende a determinare il liberalismo moderno con una impronta femminista. Da una parte Harriet Taylor, filosofa inglese e scrittrice del saggio The Enfranchisement of Women del 1851 (Taylor 1851); dall’altra, John Stuart Mill, filosofo, economista, esponente dell’utilitarismo e autore di The Subjection of Women del 1869 (Mill 1869), furono legati da un profondo sodalizio intellettuale e sentimentale, influenzandosi vicendevolmente nelle loro idee politiche: entrambi infatti, erano sostenitori dell’uguaglianza tra i sessi e di una rivendicazione dei diritti politici delle donne.
Il First Wave Feminism e Seneca Falls
Nella direzione dell’emancipazione giuridica e politica, si poneva il femminismo di “prima ondata”; dapprima, correlato alle idee sull’abolizionismo [1], venne guidato principalmente, da donne appartenenti alla classe medio-borghese [2], con un pensiero culturalmente aperto ai valori della democrazia.
La reazione contro il maschilismo, saldamente ancorato al tessuto culturale dell’epoca, comunque subì le contrapposizioni di un movimento, il cui obiettivo era quello di determinare il “superamento”, travalicando il “vecchio” sistema sociale imposto dal pensiero classico, che identificava la donna come soggetto fragile sessualmente e intellettualmente, tale da non essere in grado di partecipare alla “vita” pubblica. In tal modo, le donne iniziarono a protestare contro una società, in cui esse erano senza diritti e senza difese; in particolare, la critica sul matrimonio e la maternità diventò funzionale alla protesta femminista, perché individuati quali doveri esclusivamente al ‘femminile’. Queste tematiche vennero riprese dal movimento delle donne riunito negli Stati Uniti, a Seneca Falls nel luglio 1848, ad opera di Elizabeth Cady Stanton, promotrice della Women’s Rights Convention.
Elizabeth e le sue compagne di lotta, tra cui Lucrezia Mott, Martha C. Wright e Mary Ann Mc Clintock, organizzarono la prima convenzione sui diritti delle donne, conosciuta col nome di Convenzione di Seneca Falls: fu la prima assemblea di rivendicazione dei diritti femminili e la prima occasione in cui le donne rivendicarono ufficialmente il loro diritto di voto. Durante il First Wave Feminism (“prima ondata femminista”), ossia, la corrente di pensiero letteraria, storica e filosofica, sorta in Gran Bretagna e negli Stati Uniti tra il 1850 e la fine della prima guerra mondiale (Cavarero, Restaino 2002), il movimento delle donne iniziò a dirigere le sue attenzioni sul tema dell’uguaglianza giuridica ed economica, oltre che sulla questione del suffragio elettorale.
Il movimento delle suffragette: Millicent Garrett Fawcett
Il movimento delle attiviste per il suffragio femminile nasce ufficialmente nel Regno Unito nel 1869, grazie al coraggio di donne che pagarono con il carcere e la tortura la lotta per migliorare le loro condizioni di vita e la loro dignità. Queste donne, che per prime si sono battute per l’emancipazione femminile, sono passate alla storia con il nome di “suffragette”, termine usato, per la prima volta nel 1906, dal giornalista Charles E. Hands, in un articolo pubblicato sul giornale britannico Daily Mail.
Nel suo articolo, Hands derideva le suffragette e lo faceva adoperando il diminutivo “ette”, che serviva a denigrare le azioni di queste donne. Le stesse donne che intendeva ridicolizzare decisero comunque di adoperare il termine suffragette indurendo la “g” e amplificando il suono nella lingua inglese, così, da mettere ancora più in evidenza l’accento sulle loro azioni, con la frase: to get the suffrage [3], il cui significato implicava, non solo che le suffragette volevano il voto, ma che intendevano ottenerlo “ad ogni costo”.
In tale scenario si colloca la figura di Millicent Garrett Fawcett (Fawcett 1920), intellettuale, scrittrice, politica e attivista. Fawcett si interessò alle cause sociali e alle lotte per i diritti delle donne, dopo aver partecipato nel 1865 ad alcune conferenze pubbliche di John Stuart Mill. Ciò condusse la suffragetta prima alla fondazione della Kensington Society e successivamente ad assumere l’incarico di segretaria della London Society for Suffrage. All’epoca, prese le distanze dall’attività militante di un’altra suffragetta, molto attiva in quel periodo: Emmeline Pankhrust. In quest’ottica, la linea politica di Millicent Fawcett – il cui pensiero si esprimeva nella pacatezza e nella ponderazione delle argomentazioni sostenute – venne affermata, da lei stessa, con queste parole:
«I could not support a revolutionary movement, especially as it was ruled autocratically, at first, by a small group of four persons, and latterly by one person only […] In 1908, this despotism decreed that the policy of suffering violence, but using none, was to be abandoned. After that, I had no doubt whatever that what was right for me and the NUWSS was to keep strictly to our principle of supporting our movement only by argument, based on common sense and experience and not by personal violence or lawbreaking of any kind» (Fawcett 1920: 185).
Inoltre, Fawcett può essere considerata una pioniera di alcune battaglie, che per la loro caratteristica erano, certamente, intrise di una grande modernità per i tempi, come la condanna degli abusi sui minori, l’aumento dell’età per il consenso matrimoniale, la prevenzione dei matrimoni precoci, la criminalizzazione dell’incesto e della crudeltà verso i bambini all’interno delle famiglie, la fine dell’esclusione delle donne dalle aule di un tribunale, per quanto riguardava i casi relativi a reati sessuali o di prostituzione. Fawcett, peraltro, concentrò gran parte delle sue energie per fornire alle donne l’istruzione superiore e, per tale ragione, contribuì a fondare il Newnham College di Cambridge. Di notevole rilievo, fu anche la sua attività militante nella National Union of Women’s Suffrage, organizzazione volta all’estensione del diritto di voto alle donne. A questo scopo, l’organizzazione svolse opera di proselitismo per convincere gli uomini, i soli che, legalmente, potessero concedere tale diritto. Millicent Fawcett fu anche leader della National Union of Women’s Suffrage Societies (NUWSS) e, grazie al suo impegno, milioni di donne inglesi sopra i 30 anni otterranno il diritto di voto nel 1918. Tuttavia, nonostante l’impegno profuso per l’estensione del suffragio elettorale alle donne, il riconoscimento venne ostacolato dall’ostilità politica del Parlamento e, non di rado, vi furono contrasti con la Women’s Social and Political Union (WSPU) di Emmeline Pankhurst.
La differenza tra le due organizzazioni, pur appartenenti entrambe al movimento suffragista, consisteva infatti nell’attività violenta della militanza della WSPU, per la quale, al fine di impattare concretamente nell’opinione pubblica, era necessario provocare azioni decise e puntare quindi alla visibilità. Perciò, la distanza tra il movimento di Fawcett e quello di Emmeline Pankhrust, rimase inalterata ed anzi si acuì con lo scoppio del primo conflitto mondiale, laddove le ragioni che condussero ad un allontanamento definitivo tra le due leaders furono le opposte idee sulla guerra: da una parte la Women’s Social and Political Union di Pankhurst, orientata verso idee belliche; dall’altra, la National Union of Women’s Suffrage Societies di Fawcett, con aspirazioni pacifiste.
Emmeline e Sylvia Pankhrust: la battaglia per l’emancipazione
Come si evince dall’autobiografia di Emmeline Pankhurst (Pankhurst 2015), la sua infanzia coincide con il primo periodo di formazione della militanza, legata al tipo di educazione ricevuta in famiglia [4]. Nata Goulden, prese il cognome Pankhrust dal marito Richard e dopo la sua morte Emmeline ricevette la proposta di candidarsi per il consiglio didattico di Manchester; in questo ambiente, insensibile alle proteste di riforma avanzate dai movimenti liberali, prese coscienza dell’ingiustizia di trattamento tra uomini e donne: «mi fu presto chiaro che gli uomini considerano le donne come una categoria di serve della comunità» (Pankhrust 2015: 31).
Nonostante i cambiamenti sociali e politici messi in atto dalla rivoluzione industriale, le donne continuavano a rivestire un ruolo subalterno all’interno della società edoardiana: erano escluse dal diritto di voto, alla pari dei malati mentali e dei criminali. In questo contesto Emmeline Goulden Pankhurst, assieme alle figlie – in particolare Christabel, Sylvia e Adela – diede vita, nell’ottobre del 1903, ad una organizzazione formata da donne unite da un unico scopo: ottenere il diritto di voto. Nacque così la Women’s Social and Political Union (WSPU), il cui motto era: Deeds, not words (“fatti non parole”) a cui se ne aggiungeva un altro: Give Women Vote (“dare il voto alle donne”). La WSPU era decisa a costringere i partiti politici a non poter più ignorare le loro voci; pertanto, si organizzarono incontri pubblici, petizioni, lettere, articoli e riviste a favore del suffragio, anche se ogni sforzo rimase inascoltato.
Intanto, nel 1905, i candidati del partito liberale che volevano approfittare dell’elezione generale per andare al potere, iniziarono a muoversi dispensando promesse di riforme in tutti i campi, suffragio compreso. Il movimento si rivolse quindi, anche se inutilmente, ai candidati liberali, ai quali fu chiesto di appoggiare la battaglia per l’estensione del suffragio femminile. Fu così che le attiviste, guidate dalla determinazione di Emmeline Pankhrust, decisero di dare inizio ad una campagna senza precedenti. Infatti, approfittando del giorno di apertura del Parlamento londinese, centinaia di attiviste parteciparono al primo grande corteo per il suffragio e attesero che i liberali discutessero sul diritto di voto alle donne; nonostante le promesse fatte, nessuno si schierò in favore del suffragio.
Questo momento, segnato dall’insuccesso, che per alcuni rappresentò una vera e propria sconfitta per il movimento suffragista femminile, invece per Emmeline assunse un altro significato, ossia il risveglio delle coscienze. Nella sua autobiografia, Emmeline racconta come la sua protesta rivendicazionista «contribuì a rendere il suffragio femminile una notizia; prima non era mai stato così» (Pankhrust 2015: 42). In tali termini, la forza e la dedizione con cui le militanti si dedicavano alla causa, riuscì a “penetrare” nelle coscienze e nell’opinione pubblica, tanto che nel 1907, duecento membri del Parlamento costituirono un comitato pro-suffragio che, ogni anno, proponeva leggi in favore del diritto di voto alle donne.
Con gli anni, tuttavia, la continua assenza di risposte concrete da parte della politica e le reazioni sempre più aggressive della polizia, condussero il movimento a sfidare il potere attraverso azioni esasperate e, a volte, anche violente: lanci di sassi alle finestre degli uffici governativi, ai treni, alle auto su cui viaggiavano i parlamentari, alle loro case; ma mentre per gli uomini tali atti erano tollerati perché considerati «sincera espressione politica» (Pankhurst 2015: 85), per le attiviste erano atti altamente deprecabili e quindi puniti con l’arresto, laddove essere arrestate per le attiviste significava carcere duro, alimentazione forzata, violenze.
Sylvia Pankhrust, figlia di Emmeline, nella prima parte della sua esistenza fu una militante che seguì le orme materne. Entrò nella Women’s Social and Political Union e ne diventò la WSPU’s first honorary secretary, dopo che la sorella Christabel dovette rifugiarsi in Francia. Partecipò alle innumerevoli iniziative e proteste, messe in atto dalla WSPU e subì più volte, come tante altre attiviste, la dura esperienza della reclusione, che lei stessa desiderò fortemente e a cui non volle sottrarsi, a testimonianza della sua militanza a favore del suffragio femminile (Connelly 2013). In una di queste esperienze di prigionia, Sylvia, essendo arrivata allo stremo delle forze, beneficiò del Cat and Mouse Act [5], venendo rilasciata per il periodo necessario alla ripresa fisica, per poi ritornare alla dura vita del carcere e continuare a scontare il periodo di pena.
Come la madre, Sylvia era profondamente convinta del diritto di ciascun individuo all’uguaglianza economica, sociale e giuridica ed era del parere che le donne delle classi inferiori non sarebbero mai state liberate, fino a quando non fossero state portate fuori dalla povertà; per cui, dopo essersi schierata dalla parte delle donne, abbracciò pure la causa dei diritti delle classi subalterne.
Ad un certo punto, cambiò qualcosa all’interno dei rapporti familiari, con evidenti influssi all’interno del movimento. Infatti, nel momento in cui la lotta suffragista del WSPU, iniziò a sostenere atti violenti di agitazione più energici e spettacolari, come ad esempio le sassate alle finestre degli uffici governativi o gli incendi dolosi, Sylvia, la quale aveva un sentimento pacifista, non condivise questa linea di azione e così finì per allontanarsi dalle azioni della WSPU, anche perché dal 1909, proprio per le sue posizioni, iniziò ad essere relegata ai margini del movimento.
Successivamente, la suffragetta fondò la East London Federation of the Suffrage; così, Sylvia e sua madre Emmeline si trovarono su due fronti opposti e contrastanti, soprattutto in relazione agli ideali che dovevano connotare il primo conflitto mondiale, in quanto Sylvia era orientata per lo più su idee pacifiste, a differenza di Emmeline, favorevole alla guerra, sostenitrice dell’intervento bellico e ammirata per questo dal governo britannico.
Nancy Astor: suffragismo e attività politica
Nancy Witcher Langhorne nacque in Virginia, da una famiglia alto-borghese. Fu una donna di grande fascino e intelligenza che si inserì facilmente nell’aristocrazia britannica, sposò il politico e Visconte Waldorf Astor – di cui prese il cognome – indirizzandolo verso riforme di carattere sociale e prendendo parte lei stessa alla vita politica del marito, tanto che nel 1918 si autocandidò tra le file del partito conservatore. La campagna elettorale di Lady Nancy Astor fu, quindi, appoggiata da numerosi circoli femminili e, grazie alla promulgazione del Representation of the People Act del 1918, che concedeva il diritto di voto alle donne di età superiore ai trenta anni, il bacino elettorale inglese aumentò di circa otto milioni di voti.
Nella circoscrizione di Plymouth Sutton, le elettrici erano superiori agli elettori di sesso maschile e fu proprio a queste donne che la Astor si rivolse per vincere le elezioni (Musolf 1999). Con il sostegno del marito, peraltro, affrontò la campagna elettorale con uno stile aggressivo, riuscendo a prevalere contro il suo avversario liberale, Isaac Foot. Con queste parole, Lady Astor motivò l’elettorato femminile a votare per lei: «if you want an MP who will be a repetition of the 600 others MP, don’t vote for me. If you want a lawyer or if you want a pacifist, don’t elect me. If you can’t get a fighting man, take a fighting woman» (Wearing 2005: XIII).
Il 28 novembre 1919, il risultato elettorale per Nancy Astor ebbe esito positivo e fu così che assunse l’incarico di parlamentare, il primo dicembre dello stesso anno. La sua elezione rappresentò una svolta radicale nella storia politica del movimento suffragista. Infatti, Lady Astor fu la prima donna a far parte della Camera dei Comuni e senza poche difficoltà; da un lato, lei dovette fare ricorso a tutta la sua intelligenza e alla sua determinazione per cercare di imporsi in un Parlamento ostile, sessista e misogino; dall’altro, nonostante la caratterizzazione sociale dei suoi interventi a favore delle donne, – in particolare per quelle divorziate –, della tutela dell’infanzia, della parità salariale e dell’istruzione, venne accusata di essere fortemente legata e influenzata dall’ambiente aristocratico, da cui lei proveniva. Nonostante tali ambiguità, resta indubbia, per tutte le donne, l’importanza della sua elezione al Parlamento inglese. Grazie alla sua forza, alle sue convinzioni e determinazione, Astor fu la prima a tracciare un “solco” profondo nella storia del suffragismo britannico.
Conclusioni
Il ciclo storico tra ‘800 e ‘900, certamente, si è rivelato come uno dei periodi più importanti, dal punto di vista della rivendicazione dei diritti e, in un certo senso, si potrebbe definire come una vera e propria “rivoluzione” delle donne; da un lato, le battaglie per il suffragio universale, dall’altro lato, le rivendicazioni pubbliche dei diritti spettanti ad ogni persona in quanto essere umano, hanno indubbiamente determinato i primi sconvolgimenti in una società tradizionalmente maschilista, provocando rivolgimenti, più o meno intensi, nella tradizionale concezione del principio di uguaglianza che escludeva le donne dalle possibilità politiche e giuridiche concesse agli uomini.
Grazie alla battaglia per il suffragio, in convergenza ad azioni di forte impatto e dunque, visibili sul piano pubblico, le donne sono riuscite ad emergere dalla condizione di marginalità in cui il dominio maschile le aveva relegate, appropriandosi della facoltà di poter esprimere liberamente se stesse, rivendicando con forza ed orgoglio la loro soggettività, il diritto di voto, di istruzione e l’uguaglianza di genere.
Del resto, il diritto di voto, ossia il suffragio universale, è stato uno dei cavalli di battaglia del movimento, in particolare nel periodo che intercorre tra ‘800 e ‘900 e contestualmente alla richiesta di voto, peraltro, sono emerse tutte le altre rivendicazioni, da quelle relative alla parità salariale, alla tutela delle donne lavoratrici, al diritto all’istruzione senza preclusioni o limiti, sino all’accesso alla cultura e alla giustizia sociale, aspetti significativi per la loro rilevanza sociale e che in più sono caratterizzati da una grande attualità, rispetto a temi discussi ancora oggi.
Dialoghi Mediterranei, n. 54, marzo 2022
Note
[1] In merito alla relazione tra movimento femminista e abolizionismo, mi sia permesso, il rimando a Sarah Moore Grimké (Grimké 1838).
[2] A differenza della “seconda ondata” che invece, si caratterizzava per la partecipazione delle donne di colore alle lotte per la rivendicazione.
[3] “Ottenere il suffragio” (traduzione mia).
[4] Aveva solo quattordici anni quando la madre la portò alla prima riunione di suffragio femminile.
[5] Il Cat and Mouse Act del 1913, era un atto con il quale il governo cercava di affrontare il problema della reclusione delle suffragette in carcere, le quali scioperavano privandosi del cibo e dell’acqua. In tal modo, si risolveva la crisi con il temporaneo rilascio per la cattiva condizione di salute.
Riferimenti bibliografici
Botti Caterina, Prospettive femministe. Morale, bioetica e vita quotidiana, Espress, Torino 2012.
Cavarero Adriana, Restaino Franco, Le filosofie femministe, Mondadori, Milano 2002.
Connelly Katherine, Sylvia Pankhrust. Suffragette, Socialist and Scourge of Empire, Pluto Press, London 2013.
De Gouges Olympe, Déclaration des Droits de la Femme et de la Citoyenne, Paris 1791, “Femme réveille-toi!” Déclaration des Droits de la Femme et de la Citoyenne, M. Reid (éd), Gallimard, Paris 2014 (nouvelle édition).
Fawcett Garrett Millicent, The Women’s Victory and After. Personal Reminiscences. 1911-1918, Cambridge University Press, New York 1920.
Grimké Moore Sarah, Letters on the Equality of the sexes and the Conditions of Woman, Isaac Knapp, Boston 1838.
Loche Annamaria, Mary Wollstonecraft e i diritti delle donne, in «Annali della Facoltà di Lettere e Filosofia» (Università di Cagliari), 1991: XII-XLIX.
Mill Stuart John, The Subjection of Women, Longmans, Green Reader and Dyer, London 1869.
Musolf Karen, From Plymouth to Parliament: A Rethorical History of Nancy Astor’s 1919 Campaign, St. Martin’s Press, New York 1999.
Pankhrust Goulden Emmeline, Suffragette. La mia storia, G. Testani (a cura di), Castelvecchi, Roma 2015, traduzione italiana di My own story (1914).
Taylor Harriet, The Enfranchisement of Women, in «Westminster Review», 1851.
Vantin Serena, La teoria dei diritti in Mary Wollstonecraft, in «Governare la paura», aprile, 2019, ISSN 1974-4935.
Wearing J. P., Bernard Shaw and Nancy Astor: Selected Correspondence of Bernard Shaw, University of Toronto Press, Toronto 2005.
Wollstonecraft Mary, A Vindication of the Rights of Woman, by Peter Edes for Thomas and Andrews, Boston 1792.
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Margherita Favara, laureata in Lingue e Culture Moderne presso l’Università “Kore” (Enna), sta conseguendo una laurea magistrale in Lingue per la Comunicazione Interculturale, nello stesso Ateneo. I suoi interessi di ricerca vertono sul femminismo, storia del suffragismo nonché sugli studi di genere. Ha partecipato alla conferenza “Modele pentru un dialog continuu/Models for a continuous dialogue”, organizzata dall’Università “Vasile Alecsandri din Bacău – Facultatea de Litere” (Romania), con una relazione dal titolo “The Awakening of Feminist Consciousness in Edwardian England”.
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