il centro in periferia
di Benedetto Meloni e Francesca Uleri
1. Premessa. Aree Interne: una lettura in prospettiva per l’analisi e l’intervento territoriale
Le Aree Interne, le comunità e paesi ad esse connessi, sono state spesso rappresentate (da un “approccio sviluppista unilineare”) in maniera unitaria, in negativo e per differenza. Esistono letture e interpretazioni sull’assenza di sviluppo, sul declino, che si focalizzano sulla rarefazione produttiva e sociale, sul calo delle attività e dell’occupazione, sulla mancanza dei servizi essenziali, abbandono della terra, degrado ambientale, modificazioni del paesaggio, diminuzione della superficie coltivata, del pascolo e delle pratiche boschive, perdita di importanza del patrimonio territoriale (naturale, agrario, architettonico, materiale o immateriale) accumulato nella storia. Le Aree Interne e le comunità di paesi interni in questa rappresentazione dello sviluppo unilineare sono tutto ciò che resta una volta tolte le aree costiere, le pianure fertili, le città; una grande periferia come contraltare dei fenomeni di urbanizzazione e di litoralizzazione della popolazione e delle attività produttive, fenomeno noto ad esempio per la Sardegna come “effetto ciambella” (Bottazzi, 2014). Una metafora che simboleggia per l’Isola il vuoto che si è generato al centro parallelamente all’addensamento demografico nelle città e nelle coste. È l’Italia dei «vuoti» come la definisce il Manifesto per Riabitare l’Italia: «del declino demografico, dello spopolamento e dell’abbandono edilizio, della scomparsa o del degrado di servizi pubblici vitali (dalla scuola alla farmacia, dall’ufficio postale al forno, al presidio ospedaliero)» (Cersosimo, Donzelli 2020: 3).
Una lettura in prospettiva focalizza invece per le Aree Interne la centralità delle specificità e delle risorse territoriali, con attenzione ai sistemi socioeconomici locali al ruolo della nuova imprenditorialità agricola, della multifunzionalità del territorio. È l’approccio della SNAI, del Manifesto per Riabitare l’Italia o ancora del Manifesto di Camaldoli. La SNAI rileva che, sebbene queste aree rappresentino i tre quinti del territorio nazionale e un quarto della popolazione e siano caratterizzate da spopolamento, distanti dai centri di agglomerazione e di servizi, al tempo stesso si è davanti a aree dotate di risorse che mancano alle aree centrali più urbanizzate, con problemi demografici ma fortemente policentriche e con elevato potenziale di attrazione. Le Aree Interne riguardano la parte più estesa del territorio italiano, quella delle colline e delle montagne, tutte quelle realtà essenzialmente rurali che sono state marginalizzate dal processo di sviluppo dell’età contemporanea e che oggi tornano alla ribalta come sistemi locali dotati di specificità, risorsa per il futuro e ambiti di sperimentazione di un nuovo rapporto tra uomo e natura. Un’Italia diffusa, che è presente a tutte le latitudini e si interseca con l’Italia dei “pieni”, tutt’altro che residuale. Caratterizzata da processi di riassetto e adattamento diversificati e non solo da abbandoni.
Ciascun territorio offre risorse e una diversità e specificità per certi versi latenti. Grazie anche al carattere policentrico, sono in grado di offrire una diversità di produzioni uniche, identitarie, di qualità, in grado quindi di rispondere alla forte domanda di specificità che emerge dal cambiamento dei modelli e delle pratiche di consumo. Le Aree Interne vanno pensate e progettate sia come destinatarie di beni collettivi e servizi fondamentali – scuola e salute, diritti di cittadinanza – sia come sistemi capaci di produrre diversità e specificità, di offrire beni agroalimentari, strutture insediative oggi dismesse, beni collettivi, paesaggio, qualità delle acque, energie, biodiversità, cultura e esternalità positive. Si tratta di risorse nascoste, che stanno lì, possono essere estratte, tirate fuori e valorizzate a patto che questa estrazione e valorizzazione sia fatta mobilitando le intelligenze prevalentemente locali, e che non sia imposta, paracadutata o guidata da un attore centrale (Hirschman, 1968).
All’interno di questo ambito di processi di riadattamento un focus specifico centrale riguarda l’agricoltura nelle Aree Interne, in particolare quella multifunzionale. Come osserva Bevilacqua (2014), per secoli l’agricoltura italiana è stata una pratica economica delle “Aree Interne” vale a dire dei territori collinari e montuosi e degli ambiti orografici dominanti della Penisola, sebbene vi fosse anche un’agricoltura fiorente delle pianure e delle valli subappennine. Parlare di agricoltura oggi per le Aree Interne non è un’utopia senza alcun fondamento economico, bensì significa aprirsi a una nuova concezione: una nuova agricoltura multifunzionale e differenziata, riflesso di ruralità eterogenee (Mantino, 2023).
L’agricoltura è il grande nuovo protagonista dello sviluppo territorialmente centrato. A ciò risponde la multifunzionalità aziendale, ovvero l’insieme di contributi che il settore agricolo può apportare al benessere sociale ed economico della collettività e che quest’ultima riconosce come propri dell’agricoltura: produzione di beni alimentari e non, fornitura di servizi di varia natura come la tutela, la gestione e la messa in valore del paesaggio rurale, la protezione dell’ambiente, servizi sociali e culturali, valorizzazione delle peculiarità culturali, forme di solidarietà tra cittadini e produttori.
Alla luce della necessità di leggere le Aree Interne con una lente che tenga conto dei “vuoti” e dei “pieni”, questo contributo focalizza l’attenzione sull’evoluzione del sistema rurale e sulle sue potenzialità di un comune – Meana Sardo – dell’area interna Gennargentu-Mandrolisai (Centro-Sardegna), tra processi di abbandono e ricentralizzazione. Il contributo si connette allo studio “Comunità interne in movimento: Evoluzione del sistema economico sociale della Comunità meanese dal dopoguerra ad oggi; Profilo territoriale del Comune di Meana Sardo con focus sull’evoluzione dello scenario del sistema rurale e paesaggio locale” e si pone in continuità con una ampia progettazione territoriale in corso, come la progettazione SNAI, che ha in quest’area una delle Aree Pilota, l’area Gennargentu-Mandrolisai, e la progettazione del GAL Distretto Rurale BMG (Barbagia-Mandrolisai-Gennargentu), di cui Meana Sardo è parte.
La SNAI, Gennargentu-Mandrolisai articola gli ambiti progettuali tra diritti di cittadinanza, con attenzione ai servizi, e sviluppo locale, con attenzione alle risorse e specificità locali. La connessione tra l’accessibilità da e per il territorio (mobilità), l’innovazione del sistema di istruzione e formativo in una prospettiva di Lifelong Learning, il welfare sanitario di comunità, e contemporaneamente lo sviluppo locale dando priorità ad azioni come il potenziamento e lo sviluppo delle filiere produttive, il recupero di superfici agricole abbandonate e l’inserimento lavorativo di giovani imprenditori, la creazione di una rete territoriale. La progettazione del GAL si interseca con quanto previsto dalla Strategia d’Area, promuovendo azioni per la definizione di un’offerta territoriale integrata nel quadro del turismo sostenibile, principalmente di carattere rurale, e lo sviluppo e innovazione delle filiere e dei sistemi produttivi locali tenendo conto della necessità del lavoro in rete degli operatori soprattutto nella filiera del fiore sardo e dei prodotti lattiero caseari ovicaprini, nella filiera dell’ortofrutta e piante officinali, e infine la filiera del vino che – come si vedrà nelle sezioni a seguire – è oggi di cruciale rilevanza per lo sviluppo dell’economia Meanese.
2. La ricerca e il progetto
La ricerca “Comunità interne in movimento: Evoluzione del sistema economico sociale della Comunità meanese dal dopoguerra ad oggi; Profilo territoriale del Comune di Meana Sardo con focus sull’evoluzione dello scenario del sistema rurale e paesaggio locale si è svolta nel periodo luglio 2022 – febbraio 2023, è stata coordinata dall’Associazione Terras-Laboratorio per lo Sviluppo Locale “Sebastiano Brusco” ed è stata portata avanti in collaborazione con il gruppo di lavoro e progetto Associazione Culturale S’Andala, nonché committente della ricerca.
L’Associazione culturale S’Andala, costituita nel 1991, ha sede a Meana Sardo, è composta da 46 soci. Si muove con la volontà di contribuire ad attivare un dibattito culturale su temi socio-economici d’interesse della comunità meanese. L’associazione si prefigura, come osserva il suo presidente Francesco Podda, finalità di incidere culturalmente nel tessuto della comunità locale per preparare il terreno ove poter far crescere nuove opportunità, stimolando fortemente i giovani.
In una prospettiva ampia di lavoro futuro, in connessione con quanto emerge dai risultati della ricerca che verranno in parte qui presentati, il lavoro di analisi svolto è considerato quale elemento di partenza per costituire una base importante al fine di discutere e co-creare proposte di iniziative e attivazione territoriale sostenibili. La commissione dello studio nasce con la convinzione che un paziente lavoro di analisi e di discussione delle problematiche socio-economiche della comunità e dei suoi punti di forza, possa contribuire in modo determinante ad attivare e far crescere ipotesi di sviluppo possibile.
La ricerca ha avuto quindi l’intento di ricostruire primariamente un profilo dell’evoluzione socio-economica meanese dagli anni ‘50 ad oggi con particolare riferimento all’evoluzione dello scenario rurale, attraverso l’analisi della letteratura rilevante, la mappatura e analisi della progettazione in ambito di sviluppo locale pregressa e in corso, e la conduzione di 18 interviste con attori chiave (es: pastori, viticoltori, amministratori, progettisti territoriali, ecc.). A livello analitico, questo inevitabile interfacciarsi con i mutamenti che interessano la dimensione agro-pastorale è dovuto alla funzione regolatrice che – in particolar modo in queste aree – i sistemi agricoli e pastorali hanno, determinando elementi unici di contesto quali tra i tanti il paesaggio, la cultura gastronomica, il senso d’appartenenza e lo spirito identitario, la ritualità, l’uso degli spazi e gli stili architettonici. Su questa base, la dimensione agro-pastorale rimane sfera chiave per ripensare collettivamente la progettazione dello sviluppo locale in coerenza con specificità, vocazioni territoriali e mutamenti in atto tra dinamiche micro e macro.
3. Lo scenario rurale tra abbandoni contadini e riassestamenti pastorali
Il comune in questione, Meana Sardo, piccolo centro rurale della provincia di Nuoro posto a 588 m s.l.m. nella regione storica della Barbagia di Belvì, si sviluppa con una morfologia prevalentemente collinare e montuosa sul lato sud-orientale del massiccio del Gennargentu. Come molti piccoli centri dell’interno, tra la seconda metà del secolo scorso e i giorni nostri ha registrato profonde trasformazioni, molte delle quali legate imprescindibilmente all’evoluzione del sistema rurale.
Da fine ‘800 agli anni ‘50 del ‘900, nel territorio meanese, l’agricoltura (soprattutto cerealicoltura e sistema vitato) e pastorizia convivevano e rappresentavano due elementi complementari di uno stesso sistema. Nel sistema tradizionale lo stock foraggero spontaneo costituiva solo una parte, anche se la più consistente, dell’alimentazione del bestiame. Il resto derivava dall’apporto dell’agricoltura alla pastorizia, dai prodotti provenienti dalla messa a coltura dei suoli, sia privati che comunali. Le granaglie, soprattutto orzo, ma anche le stoppie, il fogliame della vite e degli orti, i prodotti di scarto (pere, castagne, vinacce) permettevano il sostentamento del bestiame nel periodo cruciale di fine estate, prima delle piogge autunnali. Oltre a questo scambio diretto tra agricoltura e pastorizia, quest’ultima ricavava vantaggi indiretti dalla coltivazione dei suoli. Le operazioni del ciclo agricolo di eliminazione e bruciatura autunnale della macchia mediterranea, del cisto in particolare e dei cardi, e di aratura migliorano la capacità produttiva dei suoli e la qualità delle erbe spontanee. L’aratura e l’estrazione delle radici di erica e di corbezzolo contenevano inoltre la vitalità e l’espansione della macchia mediterranea. La complementarità tra agricoltura e pastorizia era pertanto connessa all’uso delle terre comuni (sia comunali sia private gravate da uso civico) (Meloni 1984).
Il passaggio da una diversificazione produttiva accentuata e da una presenza significativa della pratica agricola a una loro erosione è scandito, a livello comunale, da diversi fenomeni come il venir meno della cerealicoltura, l’indebolimento e espianto del sistema vitato tradizionale, l’affermarsi a livello regionale di un sistema pastorale di tipo stabulare semi-intensivo e, dal 1971, l’annullamento delle rendite terriere promosso con la Legge De Marzi Cipolla che a Meana Sardo porterà a esiti inversi rispetto a quelli attesi, un «processo di accumulazione di capitali da parte di alcuni pastori i quali riuscirono ad acquistare numerose proprietà terriere, dando luogo a un nuovo assetto fondiario che dura tuttora» (Muggianu, 2000: 65).
«[Ho sempre lavorato come contadina] Da quando avevo 12 anni. Ero orfana e mia madrina quando si è sposata mi ha portato in campagna con il marito contadino. Lì ho cominciato pulendo il terreno. [il grano si seminava] in tanti posti […] per due anni [a rotazione], a Monte Longu, Piru, Sarcidano […]. Ora è tutto bosco.
Fino a quanto è andata a seminare il grano?
Fino ai 25 anni, poi mi sono sposata e andavo in campagna anche con mio marito. Ci sono andata fino al ‘74. C’era ancora grano. Abbiamo seminato un terreno grande […]. Dopo il grano però abbiamo seminato orzo e avena e poi piantato per il rimboschimento. A sughero soprattutto».
[Int.4. Contadina - classe 1935]
Andando per gradi in questi processi di cambiamento, guardando alle statistiche si può facilmente mettere in evidenza che a partire dagli anni ‘70 la coltivazione del grano e dell’orzo a livello comunale va scomparendo, così come le leguminose: si passa per il caso del grano (duro, tenero) da 715 ettari del 1929 ai 4,10 degli anni ‘80 e alla scomparsa nel 2000-2010. Ciò non è fenomeno ristretto al solo territorio comunale, è bensì riflesso di una serie di processi che a partire dagli anni ‘70 determinano una profonda trasformazione del sistema economico tradizionale, soprattutto per effetto del restringimento della base demografica [1] e per l’aumentata dipendenza economica dell’Isola dall’esterno. Tra i fattori esogeni, la concorrenza di cereali importati per il consumo umano e la modernizzazione agricola che investe le zone di pianura e di bonifica della regione, mettono in crisi la cerealicoltura tradizionale che si praticava nelle aree centrali.
Di riflesso anche la pastorizia della Sardegna Centrale a cavallo degli anni ‘70 è attraversata da cambiamenti strutturali profondi. L’emigrazione dei contadini sardi, da un lato, che lasciavano i campi e la maggiore stabilità del mercato internazionale dei prodotti lattiero-caseari, anche per effetto della politica economica della CEE, accompagnano questa fase di transizione, portando alla stabilizzazione – nelle aree lasciate vuote dai contadini – di un modello non più transumante ma semi-intensivo, richiedente grosse quantità di foraggio. Il fenomeno dell’intensivizzazione e della persistenza pastorale è coinciso con l’incremento del patrimonio zootecnico ovino ed è stato stimolato dalla crescita dell’industria di trasformazione lattiero-casearia.
La nascita dei primi caseifici industriali con la specializzazione nella produzione del Pecorino Romano è databile nella seconda metà dell’800 quando alcuni imprenditori laziali, in seguito alla crisi della pastorizia abruzzese, spostano in Sardegna le proprie aziende. Già agli inizi del ‘900 si contavano nella regione più di 160 caseifici. Accanto ai grandi caseifici industriali privati si sviluppano anche caseifici cooperativi, organizzati da gruppi di pastori, che attuano strategie isomorfiche, entrando nel business del pecorino romano da esportazione. L’andamento dei caseifici cooperativi è lungo tutto il ‘900 altalenante: nel 1956 si contavano 18 cooperative casearie che svolgevano l’intero ciclo di lavorazione. Negli anni ‘60, anche grazie al Piano Rinascita, i caseifici sociali aumentano, fino ad arrivare a 120 nel 1967. Negli anni a seguire i caseifici cooperativi diminuiscono nuovamente, ma aumenta la loro produttività nei confronti degli industriali: negli anni ‘70 producevano ormai il 40% del Pecorino Romano in Sardegna che spesso rivendevano agli stessi industriali, non avendo contatti diretti con i mercati.
Un profilo monografico su Meana Sardo di Muggianu (2000) evidenzia che – a tal riguardo – nel 1952 venne istituita nel paese la Cooperativa lattiero casearia chiamata Latteria Sociale Cooperativa e nel 1958 venne impiantato il caseificio. La Latteria si costituì con un capitale di 15.000 lire in cui i 15 soci iniziali contribuirono con due quote sociali di 500 lire. Nel 1953 si passò a 27 soci e nel 1957 si raggiunsero gli 82 soci di cui 4 donne.
Dopo il 1960, in seguito all’abbandono dell’agricoltura, i pastori si trovano a utilizzare da soli l’intero patrimonio di terre comuni. Tuttavia, risentono della mancanza dell’agricoltura sia perché non dispongono di prodotti agricoli per il nutrimento del bestiame, sia perché peggiora la produzione dei pascoli in assenza della rotazione. Indicatore di questa situazione è il diffondersi e l’accentuarsi degli incendi come strumento di contenimento della macchia mediterranea nei suoli non più arati e invasi dal cisto. Il Regolamento d’uso che garantiva il rapporto tra agricoltura e pastorizia perde di significato e, con il passare del tempo, i pastori si impadroniscono dei pascoli senza apportarvi miglioramenti fondiari. Si accentua cioè l’appropriazione individuale e si crea una situazione di assenza di regolazione. In questa fase di transizione, l’economia locale perde una delle sue componenti fondamentali, l’agricoltura; viene così meno il rapporto di scambio tradizionalmente esistito tra quest’ultima e la pastorizia, il quale aveva sempre garantito la ricostituzione delle risorse ambientali, oltre che il continuo mantenimento di spazi pascolabili, la produzione di foraggere e il contenimento della macchia mediterranea. Inoltre, la diminuzione dell’attività di trasformazione dei terreni fa aumentare il prelevamento delle risorse spontanee e fa diminuire la quantità costante di prodotti locali integrativi dei pascoli naturali per l’alimentazione animale, con un progressivo deterioramento della qualità e quantità della produzione foraggera spontanea.
Si realizza in questa fase un aggiustamento al minimo del modello che, mediante la persistenza pastorale, mostra una grande capacità di resilienza, ovvero una capacità inattesa di adattarsi in modo flessibile ai mutamenti. Dagli anni ‘70 in poi, l’aumento della domanda e una buona remunerazione del prezzo del latte contribuiscono alla dilatazione della presenza pastorale e all’aumento del numero dei capi nei paesi della Barbagia di Belvì.
«Abbiamo fatto stalle, gli animali stanno meglio, e coltiviamo più terreno, molto di più, 30 ettari all’anno a erbaio, mio padre ne metteva però poco, anche perché l’azienda era più piccola. Io ho comprato più del doppio rispetto agli ettari precedenti. Anche come capi ne ho più del doppio. Nelle zone che ho preso c’ erano rovi, cisto, ho dovuto pulire, fare spietramento».
[Int. 8 - Allevatore-pastore, tuttora in attività]
I pastori, anche attraverso aiuti finanziari esterni, procedono nell’ammodernamento delle strutture di produzione, trasformano l’allevamento da brado a semi-brado, iniziano ad avviare processi di meccanizzazione (soprattutto per la fase della mungitura), e associano all’allevamento la coltivazione degli erbai.
«Dal ‘65 in poi che ho finito le scuole medie al ‘71 che sono partito militare facevo il pastore. Quando sono tornato da militare erano rimaste un po’ di mucche, e ho cambiato un po’ l’attività, ho preso il trattore, perché in quel periodo per lavorare i terreni si usava la coltivazione con il cerino come dico io […] se c’ erano rovi, cisto la cosa più sbrigativa era quella [l’incendio]. […] Avevano creato un deserto, tutta la generazione che mi ha preceduto con quel sistema, il sistema era quello. L’hanno desertificato [il territorio], adesso gli alberi che vede, quando ho iniziato io, lì non ci trovavi un alberello dove sedersi all’ombra».
[Int. 2 - Allevatore-pastore, tuttora in attività]
Attualmente, le aziende ovine stanziali, molte con stalle funzionali, mungitrici elettriche, ricostruiscono su nuove basi quella complementarità tra agricoltura e allevamento che caratterizzava il modello produttivo tradizionale, attraverso una crescita dell’agricoltura di supporto alla zootecnica. A livello comunale l’aumento delle foraggere da avvicendamento ne è la prova emblematica fermo restando la scomparsa della cerealicoltura e il carattere particolarmente contenuto, se non ormai quasi irrisorio, dell’orticoltura. La trasformazione della pratica agro-pastorale con la coltivazione foraggera per l’allevamento zootecnico costituisce l’elemento più interessante di questa evoluzione produttiva (nuovo rapporto agricoltura-allevamento), in quanto permette un adattamento dinamico: essa individua un’integrazione dei pascoli naturali, che garantisce, tramite le rotazioni, il mantenimento degli spazi pascolabili e il tentativo di contenimento della macchia mediterranea comunque in espansione, riproponendo in termini mutati il rapporto tra agricoltura e allevamento, caratteristico del sistema tradizionale.
«Mio padre prima faceva il contadino, poi ha voluto cambiare. Si è preso un po’ di bestiame. Io sono andato da quando avevo 7-8 anni. Di proprietà avevamo poco. Adesso ho ovini e mucche. Non trasformo, conferiamo in cooperativa a Nurri, non ho mai trasformato, non c’ e smercio, non abbiamo neanche la possibilità come posto. Verso l’85 ho fatto la prima stalla, mungitrice, con mio padre, c’era una casetta vecchia, un ovile vecchio prima gli antichi cercavano i punti migliori e abbiamo continuato li, abbiamo fatto un’altra stalla e un ricovero per noi, abbiamo fatto dei capannoni e strutture per gli animali. […] Abbiamo avuto sempre poco terreno e quel poco che abbiamo avuto l’abbiamo sempre migliorato, seminato, a erbaio. Quando ho preso il trattore io l’abbiamo coltivato. […] il latte è più pulito, abbiamo filtri nella mungitrice».
[Int. 11 - Allevatore-pastore, attualmente ancora in attività]
La persistenza pastorale si realizza attraverso il rafforzamento del modello di allevamento semibrado che può oggi rappresentare una risorsa ecologica strategica ed economica, adatta agli ambienti delle Aree Interne.
4. La rilevanza attuale della viticoltura
Negli ultimi vent’anni, ma soprattutto nell’ultimo decennio è andato via via sviluppandosi un nuovo fenomeno nell’agricoltura delle Aree Interne: l’emersione di modello produttivo agro-pastorale multifunzionale dove le attività agricole e pastorali si trasformano, sia attraverso l’aumento dei propri legami con nuovi settori (es: turismo), che attraverso la differenziazione produttiva e la parallela creazione di nuovi canali di commercializzazione annidati per qualità nel convenzionale (nested markets) (Polman et al., 2010) come quelli legati alle certificazioni di qualità (es: DOC, DOCG, ecc.).
Va sottolineato a tal riguardo che Meana Sardo risulta oggi all’interno degli areali di produzione del vino IGT Provincia di Nuoro e Mandrolisai DOP, si assiste dunque a una riscoperta del valore (anche di mercato) di una produzione tipica dopo le traiettorie di crisi della cantina sociale della vicina Sorgono e gli effetti delle sovvenzioni all’espianto.
C’è una rinnovata attenzione alla viticoltura con chiusura di filiera in azienda: data la recente crisi delle tante cantine sociali, compresa quella del Mandrolisai proprio a Sorgono, si nota in generale in tutta l’Isola, la comparsa di piccoli e medi “produttori imbottigliatori”, che partecipano al recente processo di espansione di superfici e produzioni. Anche a Meana si riscontra un incremento delle superfici che, secondo il più recente Rapporto sulla Filiera Vitivinicola regionale (2019) dell’Agenzia Laore Sardegna (Agenzia per l’attuazione dei programmi regionali in campo agricolo e per lo sviluppo rurale), assommano a 165 ettari [2]. Gli ettari attuali dedicati a vigneto sono in aumento netto rispetto a dati di precedente rilevazione, infatti si nota in dieci anni un raddoppio della superficie vitata; dato in netta controtendenza rispetto ai crolli registrati dagli anni 90’, a dimostrazione di un riscoperto interesse economico verso il settore.
La significatività è anche rafforzata dall’approccio conservativo del locale viticoltore che, fortemente legato al valore identitario del suo territorio, mantiene in coltura il tradizionale germoplasma: Muristellu (Bovale sardo), Cannonau, Pascale Monica e altri vitigni minori. Altro elemento di significatività è la persistenza delle tecniche gestionali, basate sulla forma di allevamento in volume ad alberello sardo, con altissima densità di impianto: “libero” nei vigneti più datati e “appoggiato” su una controspalliera nei più recenti) (Dettori, 2020).
«Solo negli ultimi anni la viticoltura si è nuovamente risvegliata anche perché l’attenzione sul vino è cambiata. È finita la produzione grossa e sono sorte tante piccole cantine che hanno valorizzato il vino pensando innanzitutto a farlo bene e a regola d’arte per poi imbottigliarlo e cercare una fetta di mercato. Devo dire che siamo arrivati al punto che tale sensibilità si è talmente rafforzata che si sta arrivando alla definizione di un consorzio di tutela che credo si possa chiudere a settembre con la bollatura del Ministero. Quindi c’è stato quest’excursus che è cominciato con l’agricoltura di mio padre, la caduta dell’agricoltura, la nascita della viticoltura, la caduta delle cantine e successiva resurrezione di queste ultime».
[Int.1. Viticoltore di ritorno con azienda attualmente attiva]
Il rinnovato interesse della comunità locale per le produzioni enoiche è ribadito dalla recente istituzione dell’Albo dei vigneti storici del Mandrolisai per il quale il Comune di Meana Sardo, nel luglio 2019, ha deliberato il “Regolamento per la tutela, la promozione e la valorizzazione dei vigneti storici”. In queste aree si individua così un vantaggio comparato di cui può avvalersi l’azienda per intercettare nuove preferenze di mercato. La viticoltura meanese è definibile conservativa in quanto dominata dai vitigni locali utilizzati nell’uvaggio “Mandrolisai” così come descritto nel disciplinare di Denominazione di Origine Controllata del DOC Mandrolisai (Bovale, Monica e Cannonau) per l’areale specifico. Nel 2020, il Comune di Meana Sardo in collaborazione con il Dipartimento di Agraria dell’Università di Sassari ha predisposto la candidatura dei vigneti meanesi (I “Vigneti Eroici”) al “Registro nazionale dei paesaggi rurali di interesse storico, delle pratiche agricole e delle conoscenze tradizionali”, al fine di preservare un paesaggio rurale frutto della secolare attività dell’uomo, il cui riconoscimento, conservazione e gestione dinamica costituiscono azioni indispensabili non solo al permanere di tale patrimonio ma anche a garantire innovazione e rendita economica.
L’agricoltura e la viticoltura eroica rappresentano una pratica attiva di radicamento dell’uomo al territorio, mezzo attraverso cui si definisce il paesaggio locale come risorsa e prodotto, un’attività di resistenza e affermazione nonostante dinamiche erosive dei tessuti agrari locali e più in generale dell’economia territoriale. Il comparto vitivinicolo dell’area sta vivendo negli ultimi dieci anni uno strategico risveglio per il futuro e per scenari di innovazione. L’innovazione passa anche da strategie giovani di diversificazione e presa di rischio orientandosi su prodotti nuovi (es: vini bianchi), come sottolinea in un’intervista l’attuale sindaco, anch’egli produttore vitivinicolo:
«sono arrivato in agricoltura che avevano 36 anni […], sono stato uno dei primi a produrre vini bianchi, in particolare vermentino, cosa che non è solita nel Mandrolisai, esistono qui le condizioni per fare dei grandi bianchi ma, quando ho iniziato, ancora non c’era la cultura dei bianchi nel nostro territorio. I dati scientifici suggerivano di impiantare anche vigneti a bacca bianca. […] certo poi uno dei vantaggi di fare agricoltura qui è la conoscenza del brand Mandrolisai».
Dopo i disastrosi interventi di espianto delle viti, e le non sempre efficienti gestioni della Cantina Sociale, si va verso un sorgere diffuso di numerose aziende medio-piccole, molto motivate, orientate al mercato, attivate in vari casi da giovani animati da forte spirito imprenditoriale e di attaccamento al territorio. L’intendimento principale dei viticoltori è quello di valorizzare in particolare il vino DOC Mandrolisai: un blend di alta qualità molto apprezzato sul mercato sia nazionale che estero. Circa 50 aziende, distribuite nei paesi facenti parte dell’areale di produzione operano oggi nella produzione di uve e vini DOC. Emerge una nuova e forte sensibilità di orientamento al mercato che ha indotto i viticoltori ad attivarsi con volontà propositiva per la costituzione del Consorzio di Tutela della DOC Mandrolisai, sia per garantire una tutela alla specificità e qualità di questo vino, sia per – poter con più forza ed efficacia – essere presenti sui mercati differenziati. Nuove forme di sviluppo aziendale stanno emergendo in questo comparto. Nuove attività collegate al vino, quali quelle dell’enoturismo (in connessione anche all’appartenenza alla rete Città del Vino), iniziano a definire nuove traiettorie e sbocchi di mercato le cui ricadute e potenzialità si ricollegano a prospettive ampie di sviluppo territoriale.
5. Progettazione in corso e analisi territoriale: connessioni possibili e prospettive di integrazione
In accordo col gruppo di progetto, il lavoro di analisi svolto si può considerare quale strumento per costituire una base per discutere iniziative territoriali sostenibili. Tenuto conto della progettazione in corso, si riportano a seguire alcune azioni di intervento per l’area Gennargentu-Mandrolisai con forti implicazioni specifiche per il livello comunale di Meana Sardo.
5.1. Mappatura breve dei settori produttivi nella Strategia d’Area
Come visto in premessa, attualmente il settore agro-pastorale e il vitivinicolo sono dimensioni chiave della Strategia d’Area SNAI per l’area pilota Gennargentu-Mandrolisai di cui Meana Sardo è parte. Seguendo quanto sottolineato in fase di mappatura e analisi nella Strategia d’Area, il comparto produttivo del territorio presenta attualmente situazioni di criticità, soprattutto dal punto di vista economico di ampliamento dei margini di mercato sovralocali e sviluppo infrastrutturale; allo stesso tempo in termini di risorse, l’elemento centrale di forza che rappresenta la prima potenzialità dell’intera regione è dato da una elevata qualità ambientale e di specificità territoriali. Il territorio dell’area è particolarmente ricco di biodiversità vegetali, sia spontanee (endemismi esclusivi dell’area come Astragalus genargenteus, Carlima macrocephala Ribes sandalioticum) sia coltivate come il vitigno a baca rossa Muristellu. La risorsa ambientale, la grande estensione territoriale correlata alla sua qualità, rappresenta un patrimonio da tutelare, valorizzare e sviluppare per porre le basi di un possibile strada all’interno di un più ampio modello di sviluppo che non tralasci aspetti multipli di base come la cultura e la socialità, l’istruzione, la salute, la mobilità.
L’attività pastorale è presente e diffusa nel comparto ovicaprino. È presente, e significativo, il comparto dell’allevamento bovino che, da diversi anni, ha percorso azioni di costruzione di reti tra produttori. Nel caso specifico del comune di Meana Sardo si rileva attualmente la presenza, in numeri assoluti, di 1.602 bovini, 7.505 ovini, 1.080 caprini, 457 suini. Il comparto ovicaprino vede inoltre la presenza importante della Cooperativa per il conferimento della produzione lattiera.
Per via della geografia del territorio, le attività agricole sono indirizzate alla coltura della vite, che rappresenta uno degli ambiti economici di riferimento dell’area. Per il settore vitivinicolo è rappresentativa la Cantina Sociale del Mandrolisai, alla quale viene conferito il prodotto e che rappresenta una realtà strutturata e organizzata attinente alla produzione e al commercio di carattere sovralocale dei prodotti derivati dall’attività agricola. Ad essa, come abbiamo visto, si affiancano in maniera sempre più puntuale un elevato numero di piccole cantine.
5.2. Interventi volti al potenziamento e sviluppo delle filiere produttive
A partire dalla mappatura di queste potenzialità la Strategia SNAI definisce sul tema agricoltura interventi sul potenziamento e sviluppo delle filiere produttive del territorio, ponendosi in un’ottica di completamento, qualificazione e costruzione di governance di percorsi avviati con altri strumenti di programmazione. Incentivando la risoluzione delle criticità emerse dalle attività di mappatura delle risorse territoriali (scouting), l’azione intende valorizzare la filiera agroalimentare locale come volano per lo sviluppo sostenibile dell’Area, promuovendo le produzioni agroalimentari del territorio e valorizzando e promuovendo sul mercato le imprese.
Sulla filiera zootecnica per il settore Bovino le azioni riguardano lo sviluppo delle tecniche di finissaggio dei bovini dell’area, con conseguente riattivazione e gestione del mattatoio consortile, di proprietà della Comunità Montana e ubicato nel Comune di Meana Sardo, per il quale si propone anche l’avvio di specifiche linee di lavorazione certificate.
Anche da quanto emerge dalle interviste e dal lavoro di analisi nel quadro dello studio qui presentato, il ruolo della Cooperativa lattiero casearia all’interno del settore Agro-pastorale locale è sicuramente un elemento da approfondire. Ciò in considerazione anche del fatto che essa prima della pandemia è stata oggetto di interesse da parte di alcuni tecnici Laore in connessione al progetto nazionale “ANFoSC – Associazione Nazionale Formaggi Sotto il Cielo” che individua in singoli ambiti regionali piccole e medie aziende con formaggi prodotti con il latte di animali allevati al pascolo. Emergeva quindi la necessità di riattivare una connessione con questo gruppo di lavoro e la Cooperativa, al fine di orientarsi a misure di finanziamento regionale come la misura 4.1 del PSR (“sostegno a investimenti nelle aziende agricole”) che supportino un migliore posizionamento in un segmento di mercato di alta qualità.
La filiera vitivinicola, che come già detto rappresenta l’anima del territorio e una delle sue vocazioni più antiche, vedrà l’attuazione di alcune azioni di monitoraggio e analisi del comparto, con la proposizione di una campagna di animazione e confronto con le aziende vitivinicole presenti sul territorio, al fine di rilevare i fabbisogni formativi professionali, esigenze infrastrutturali e problematiche legate alla commercializzazione.
In connessione a ciò, uno degli interventi più importanti sul settore sviluppo locale e agricoltura sarà la creazione del Distretto Agroalimentare Gennargentu Mandrolisai, con l’elaborazione di un piano e strategia d’azione dedicato. Il distretto agroalimentare ha tra le sue finalità quella di realizzare un contratto di rete tra imprese di produzione e trasformazione per la realizzazione di un progetto di cooperazione. Si incentivano anche la ricerca e l’innovazione, specialmente per i nuovi metodi di produzione sostenibili. Le strutture di trasformazione dei prodotti delle filiere saranno incentivate per evitare la delocalizzazione delle fasi di trasformazione dei prodotti, favorendo anche la creazione di consorzi e di reti di trasformatori di filiera e multi-filiera per l’attenuazione dei costi di trasporto. Le attività legate al distretto agroalimentare del Gennargentu Mandrolisai presuppongono un set di attività di promozione, informazione e comunicazione: informazione, per i consumatori sulla tracciabilità dei prodotti e la tracciabilità del progetto; diffusione del prodotto anche all’interno delle mense scolastiche del territorio; campagne promozionali ed eventi per la diffusione pubblicitaria delle filiere.
Sul tema dell’impresa e dello sviluppo locale si prefigura, invece, un’azione che guarda al territorio come destinazione di qualità con la definizione di un Club di Prodotto per l’area Gennargentu Mandrolisai. L’obiettivo della creazione del Club si lega, anche nella programmazione regionale, alla definizione di un’offerta turistica che punta su un’idea ben precisa: la promozione del turismo esperienziale, sperimentando un modo di vivere il territorio lento che permetta l’accrescimento delle relazioni sociali con le comunità del territorio.
5.3. Turismo esperienziale e Progetto Cultura
Importante sul tema del turismo esperienziale sarà la valorizzazione della tratta ferroviaria Mandas-Sorgono che ha a Meana una importante stazione con l’azione SL.TU.01 – In viaggio con Lawrence con attività volte a sviluppare questo importante attrattore. In Mare e Sardegna, David Herbert Lawrence descrive il viaggio intrapreso nel gennaio 1921 con la moglie Frieda nell’interno della Sardegna da Cagliari a Mandas, Sorgono e Nuoro passando per Meana Sardo. Tra i tanti viaggiatori stranieri che hanno dedicato alla Sardegna le pagine dei loro diari, Lawrence fu senz’altro uno tra i più attenti cronisti del Novecento, ha lasciato un particolare profilo dell’Isola e della sua gente, oggi ancora riconoscibile. Il recupero delle ferrovie secondarie costituisce una delle opportunità interessanti di viaggio e percorsi all’interno delle aree interne non facilmente raggiungibili.
Ciò potrebbe favorire inoltre la costituzione di itinerari dedicati all’enogastronomia, al settore vitivinicolo, agli attrattori naturali e culturali. Su questo versante si muove anche l’azione del GAL Distretto Rurale BMG, che nel suo percorso partecipativo per la definizione del Piano d’ Azione, ha individuato, quali ambiti tematici principali della propria strategia di sviluppo, il turismo sostenibile e lo sviluppo e l’innovazione delle filiere dei sistemi produttivi locali. Attualmente propone la “Creazione di itinerari di esperienza a tema” che intende diversificare e arricchire l’offerta turistica delle diverse sub-aree del GAL, proponendo “itinerari di cornice” e “circuiti” accessibili, fruibili ed eco-sostenibili sul territorio, selezionati in ragione del livello di aggregazione territoriale, della loro contiguità̀ o connessione a beni e/o ambienti caratteristici e caratterizzanti, del grado di coinvolgimento degli operatori locali, le associazioni e la comunità.
Focalizzando l’attenzione sulla dimensione comunale e sull’azione progettuale in un breve-medio periodo, in un’ottica di potenziamento e diversificazione della sfera turistica, la linea di attivazione del potenziale territoriale passa anche attraverso la disponibilità di spazi adibiti finalizzati all’utilizzo della comunità e all’accoglienza mediante l’acquisizione e il recupero di case storiche del paese da parte del comune, le quali rappresentano un elemento di capitale territoriale di alto valore storico-culturale.
All’interno di questo quadro, l’Associazione S’Andala è impegnata nel Progetto Cultura che prevede un insieme di iniziative volte a recuperare, conservare e valorizzare il patrimonio storico-archeologico e etnografico, strutturando in modo organico, significativo ed efficace gli elementi rappresentativi della storia della comunità per comunicarli e trasferirli alle nuove generazioni. Si lavora per definire una struttura storica-etnografica e archeologica quale piattaforma di riferimento e supporto, fondamentale nei percorsi turistici, siano essi di natura meramente ambientale e paesaggistici, sia legati alle produzioni tipiche e caratteristiche del territorio.
L’aspetto culturale rappresenta quindi uno snodo di fondo per la valorizzazione delle produzioni, un volano per lo sviluppo di attività di servizio diversificate, si declina nella strutturazione di un percorso museale già ipotizzato, integrato in un’offerta turistica comunale, che comprenda attrattori diversi tra “paese e campagna” tra cui: un’antica casa contadina (Casa Mattana), una casa padronale dedicata alla mostra di strumenti e manufatti dell’arte tessile (Casa Caterina Manca), un edificio polifunzionale del Comune che conserva un antico impianto per la frangitura delle olive (Domo de Molinu), una fonte storica risalente al XVI secolo (Funtana Manna), e un complesso edilizio con fontana e annesso lavatoio nel rione Funtanedda (Casa Mallene Manca e Casa Cogoni), e la chiesa principale risalente al XVI secolo e definita dall’Angius [3] «la più bella che sia nella montagna».
Tra gli attrattori storico-culturali non si può poi non fare riferimento al nuraghe Nolza, uno dei monumenti preistorici di maggiori dimensioni e meglio conservati del Centro-Sardegna, collocato in una posizione strategica, è visitabile agevolmente anche perché dotato di servizi connessi inoltre a laboratori didattico-educativi, visite guidate, ecc.
6. Riflessioni conclusive: la progettazione consapevolmente territorializzata
In termini di approccio territoriale è da ribadire che nel settore turistico (ma non solo), in generale, i fattori di successo che generano attrazione non possono essere ricondotti alle sole capacità delle singole strutture o associazioni promotrici di particolari iniziative o dalle sole capacità aziendali in settori specifici, ma vanno aldilà del contesto dei singoli per interessare l’ambito della complessità territoriale. Ad esempio, tutti gli aspetti legati al paesaggio agricolo e insediativo, al patrimonio culturale e al silenzio (fattore materiale spesso fondamentale per il turista), rappresentano delle costruzioni collettive a cui le singole aziende partecipano. La riproduzione dipende sempre più direttamente dalla capacità del territorio di legittimare in qualche modo le capacità e i valori in particolare anche delle attività e delle aziende dei singoli settori.
Risulta pertanto fondamentale la capacità delle aziende (ma anche attività come le case vacanza o i B&B) di integrarsi nel territorio, all’interno di filiere tematiche congruenti, come i percorsi agro-turistici. Un esempio è rappresentato dalle Strade del vino che si strutturano attorno alla produzione di vini di grande notorietà, frutto di attività individuali, che però riescono progressivamente a integrarsi tematicamente tra di loro a partire da diverse forme sinergiche e differenziate di offerta. La Strada viene pertanto combinata con la rappresentazione di un territorio, un patrimonio culturale storico immediatamente associato al prodotto vino, con una valenza che integra anche altri aspetti. Si genera così un’estensione tematica, che dal vino passa a molteplici prodotti del territorio. Discorso analogo vale anche per i percorsi turistici e agro-turistici, come quelli della pastoralità, che si pongono l’obiettivo di valorizzare il territorio nella sua globalità. Un prodotto, un percorso, collegati ad un territorio ne potenziano l’immagine, così come un territorio, con le sue specificità (ambientali, insediative) si riflette sul prodotto, sul suo valore. Quindi, più in generale, l’azienda multifunzionale svolge un ruolo nella costruzione di un territorio, con le sue identità, la sua storia, come “luogo riconoscibile” dotato di identità e valori propri.
In questo quadro, si sottolinea che nel comune di Meana Sardo, si è notata una tendenza della multifunzionalità orientata al mercato (es: attraverso differenziazione dell’offerta; innovazioni di prodotto; innovazioni di processo, ecc.), elevata nelle aziende vitivinicole, resta carente nelle aziende agro-pastorali. Questa carenza è affiancata però dalla disponibilità aziendale a entrare in sistemi di rete di tipo agro-turistico-esperienziale se opportunamente guidate. Il tessuto territoriale aziendale si presta dunque a linee di integrazione reddituale che connettono il turismo rurale – elemento cruciale della progettazione territoriale in corso – alle produzioni di qualità e al resto del territorio. Resta di base la necessità di accompagnare tale processo con iniziative come la promozione di specifiche formazioni per le aziende e/o per i giovani che ancora non si sono avviati in un percorso lavorativo stabile.
Nuove linee progettuali potrebbero guardare dunque a formazione mirata su temi chiave come auto-imprenditorialità, avviamento e gestione di impresa, strutturazione accompagnata di business-plan, valorizzazione e sviluppo dell’attività agrituristica, marketing e promozione di impresa. In una linea di integrazione, si sottolinea che è proprio la Strategia d’Area a guardare con attenzione al tema della formazione con l’intenzione di avviare un insieme di laboratori esterni (all’attività formativa in aula negli Istituti Scolastici) e attività innovative (visiting) che realizzino una maggiore connessione della scuola con il sistema produttivo del territorio e con le sue potenzialità.
La progettazione territoriale in corso diventa quindi un punto di forza-risorsa per la co-definizione di strategie di sviluppo locale sull’ambito comunale. Questa si somma a elementi di rilievo su cui far leva come la disponibilità di un notevole patrimonio naturale e paesaggistico e di un patrimonio insediativo di alto valore storico-culturale, la presenza diffusa sul territorio degli imprenditori agricoli che presidiano il territorio, la qualità riconosciuta delle produzioni agroalimentari soprattutto del settore vitivinicolo, e la consistenza di altre produzioni tipiche utilizzabili per incrementare il reddito e/o costituire esperienze all’interno di itinerari turistici territoriali (es: produzione pan di sapa). Da considerare poi la riemersione in corso di una viticultura di qualità, e la costituzione sul territorio del consorzio di Tutela del vino Mandrolisai, nonché l’appartenenza di Meana Sardo alla rete Città del Vino, tutto ciò connesso con l’affermazione sul mercato internazionale del vino delle varietà “autoctone” confermata dal recente e significativo ampio riconoscimento alla settima edizione dei premi Vinitaly, 5StarWines di molti produttori del Rosso Mandrolisai, compreso uno ai vertici della classifica.
Completa il quadro di insieme una rete di relazioni sociali solida riflessa in un associazionismo significativo, come quello del gruppo di progetto, che collocano la comunità di Meana Sardo all’interno di uno sforzo collettivo orientato a una trasformazione eco-sociale fondata sulle vocazioni e bisogni territoriali. Particolarmente importante sarà dunque l’intensificazione e l’irrobustimento di questa rete di relazioni orientata a obiettivi collettivamente definiti e intesi. Il substrato associazionistico Meanese è rappresentativo di un sistema di infrastrutture sociali che
«restano dei presidi fondamentali […] spazi all’interno dei quali non si trovano solo servizi, attività, prodotti da comprare, ma in cui è possibile fare socialità, convivenza, attivare degli scambi. Sono posti che funzionano, perché sono resi funzionanti da persone e organizzazioni che sanno riempirli di contenuti, di volontà, di intelligenze. Sono quei fulcri intorno ai quali si costruisce una narrazione che inevitabilmente sarà quella di chi i territori li vive, ne indaga i bisogni, individua delle opportunità» (Zandonai, 2023).
In questa prospettiva, la stessa Associazione Culturale S’Andala attraverso lo sviluppo di una prima analisi esplorativa sullo scenario rurale Meanese, ha voluto produrre evidenze e contenuti per stimolare una discussione tra cittadinanza e Amministrazione locale volta a co-definire una propria narrazione fatta di punti di forza, di debolezza e di proposte di progettazione per far leva sui primi e tentare di superare i secondi, nel tentativo di preparare il terreno ove poter far crescere nuove opportunità. Lo sviluppo locale è fatto da processi mirati come quelli che l’associazione promuove da connettere in rete per radicarli in contesti specifici. È un’espressione di welfare di comunità. Il cambiamento bisogna con tenacia e con forza alimentarlo e tenerlo vivo individuando alcuni fili conduttori: in quest’analisi si è provato a individuarne alcuni possibili. Sarà inoltre cruciale una riflessione chiave più approfondita su chi diventa un nuovo produttore in quest’ area. Utile sarà comprenderne le motivazioni e in generale i driver di insediamento, senza tralasciare le criticità localizzate, al fine di orientare risorse in maniera efficiente per un presidio diretto del territorio.
Concludendo, appare dunque centrale il tema delle nuove soggettività e culture, connesso alle produzioni e alle economie consapevolmente “territorializzate”, come accade nel caso della transizione e rafforzamento della multifunzionalità aziendale. Considerati insieme, questi punti tracciano una linea di sviluppo innovativo e sostenibile, fondamentale per l’attuale dibattito sulla governance delle Aree Interne, senza la cui commistione «non può esistere progetto».
Dialoghi Mediterranei, n. 61, maggio 2023
Note
[1] Concentrando l’attenzione sull’andamento demografico comunale Meanese in una prospettiva storica si nota un aumento della popolazione nei cento anni trascorsi dalla formazione dello stato nazionale, si passa infatti da 1.550 residenti nel 1861 a 2.641 nel 1961. Il movimento demografico tende verso una direzione opposta dal 1961, dove il livello di residenti va verso un progressivo declino raggiungendo nel 2020 1.699 residenti, di cui 845 femmine e 854 maschi.
[2] Alcuni viticoltori riferiscono il dato sottostimato, gli ettari vitati sarebbero infatti circa 200.
[3] Dizionario geografico-storico-statistico-commerciale degli Stati di S. M. il Re di Sardegna.
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Benedetto Meloni, già professore ordinario in Sociologia del Territorio e dell’Ambiente presso l’Università degli Studi di Cagliari, coordina la Scuola di Sviluppo Locale “Sebastiano Brusco” di Seneghe. Per Rosenberg & Sellier ha tra l’altro curato (con D. Farinella), Sviluppo rurale alla prova. Dal territorio alle politiche (2013), Valutare per apprendere. Esperienza Leader 2007-2013 (2016) e pubblicato Emergenza idrica. La gestione integrata del rischio (2006), Aree interne e progetti d’area (2015, 2018) (con P. Pulina) Turismo sostenibile e sistemi rurali Multifunzionalità, reti di impresa e percorsi (2020).
Francesca Uleri, attualmente assegnista di ricerca presso il Gruppo PAG (Pisa Agricultural Economics) dell’Università di Pisa., nel 2020 ha ottenuto un dottorato in Agro-Food System presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Piacenza con una tesi focalizzata sull’analisi dei cambiamenti generati dall’export-boom della quinoa nel sistema di accesso alla terra, organizzazione del lavoro agricolo e livello di sicurezza alimentare nelle comunità produttrici boliviane. Collabora con l’Associazione Terras-Laboratorio per lo Sviluppo Locale «Sebastiano Brusco».
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