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«Che miserie!» avrebbe detto Pirandello
Posted By Comitato di Redazione On 1 maggio 2023 @ 00:49 In Cultura,Politica | No Comments
All’inizio del ‘900 Luigi Pirandello, in occasione di un’ordinanza del sindaco di Roma avversa all’uso delle parole straniere nelle insegne dei negozi, intervenne con un articolo, antipurista, ironico già nel titolo, Un trionfo nazionale, apparso sulla «Gazzetta del popolo» del 26.I.1906 (riedito col titolo Per l’ordinanza d’un sindaco nel 1908, rist. nei suoi Saggi e interventi, Mondadori 2006: 713-17, 1565-67).
Pirandello fa riferimento in particolare a termini quali chauffeur (il miglioriniano autista risalendo al 1932), frack («marsina»), pardessus («soprabito»), passe-partout (dei quadri «sopraffondo»), salon («barbiere, barbieria»), tout-de-même («vestiario completo»), vient-de-paraître (‘novità libraria’), bijouterie («bigiotteria»), chemiserie. Il tono di Pirandello è di pungente ironia verso l’ordinanza. Nella brillante chiusura dell’articolo, a proposito di chemiserie («camiceria»), con ironico gioco dichiara infatti di non voler affatto sostituire tale termine.
È quello che ci è subito venuto in mente quando i mass media hanno puntato i riflettori sulla proposta di legge (A.C. n. 734) di 23 deputati, risalente peraltro al 23 dicembre 2022 (ma identica a quella presentata da 31 deputati il 31 maggio 2018, A.C. n. 678), primo firmatario sempre il vicepresidente della Camera, Fabio Rampelli, di Fratelli d’Italia, che riguarda le “Disposizioni per la tutela della promozione della lingua italiana e istituzione del Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana” (“Istituzione del Consiglio superiore della lingua italiana” nel titolo del 2018), costituita da 8 articoli.
Il “clou” della proposta è costituito dall’art. 8 che prevede “Sanzioni”, ovvero:
Il testo della proposta è preceduto da un commento sulla legge, che lascia come vedremo non poco perplessi. Da tener ancora presente che entrambe le proposte del 2022 e del 2018 riprendevano “perfezionandola” la proposta di legge n. 2689 del 15 settembre 2009, promossa da 52 deputati, primo firmatario Frasinetti, intitolata “Istituzione del Consiglio superiore della lingua italiana”, costituita da 4 artt.: Art. 1 “Istituzione e composizione del Consiglio superiore della lingua italiana” (con 7 cpv); Art. 2 “Finalità e competenze del CSLI” (in 5 cpv, e ulteriori suddivisioni), con indicazioni analoghe a quelle delle successive proposte di legge del 2018 e 2022. Il tutto preceduto da un commento non poco contestabile, ma con rinvii a linguisti noti come Claude Hagège e Giovanni Nencioni 1999. Da rilevare altresì che l’art. 4 riguardava la “Copertura finanziaria” prevista come «spesa annua di 1 milione di euro a decorrere dall’anno 2009», sostituita nelle proposte del 2018 e 2022 dalle sanzioni pecuniarie.
Gli otto articoli della proposta del 2022 in prevalenza si soffermano su quello che si può definire il problema della “macrofedeltà linguistica”, peraltro condivisibile, ovvero sull’obbligo dell’uso della lingua italiana non sostituibile da nessun’altra lingua, in particolare dall’anglo-americano che non viene qui mai menzionato, così:
Art. 2. “Utilizzo della lingua italiana nella fruizione di beni e di servizi”;
Art. 3. “Utilizzo della lingua italiana nell’informazione e nella comunicazione”;
Art. 4. “Utilizzo della lingua italiana negli enti pubblici e privati”;
Art. 5. “Utilizzo della lingua italiana nei contratti di lavoro”; o
Art. 6. “Utilizzo della lingua italiana nelle scuole e nelle università”.
Una esagerazione invece è il comma 2 dell’art. 3, vista anche la sanzione di 5.000/100.000 euro:
L’art. 7 prevede poi un “Comitato per la tutela, la promozione e la valorizzazione della lingua italiana” che, come indicato al comma 5 in 6 punti (a-f), svolga compiti diversi, senza però poter disporre di fondi da investire, ovvero tutti “a costo zero”. En passant, il Comitato prevede la presenza di «un rappresentante dell’Accademia della Crusca», che ha peraltro lamentato per bocca del suo presidente Claudio Marazzini la mancata previa consultazione.
Alcuni compiti sono decisamente banali e generici. Così: «a) la conoscenza delle strutture grammaticali e lessicali della lingua italiana»; «c) l’insegnamento della lingua italiana nelle scuole di ogni ordine e grado e nelle università». Altri sono estremamente problematici, così «b) l’uso corretto della lingua italiana e della sua pronunzia nelle scuole, nei mezzi di comunicazione, nel commercio e nella pubblicità». Cosa sia l’uso “corretto” dell’italiano e “della sua pronunzia” è una questione estremamente complessa, legata alla variazione sociolinguistica dell’italiano, posta qui in maniera a dir poco semplicistica.
Più comprensibile è il compito di «promuove[re]» «e) nell’ambito delle amministrazioni pubbliche, forme di espressione linguistica semplici, efficaci e immediatamente comprensibili, al fine di agevolare e di rendere chiara la comunicazione con i cittadini anche attraverso strumenti informatici». Ciò sembrerebbe una ripresa della politica del Codice di stile delle comunicazioni scritte ad uso delle amministrazioni pubbliche, promosso dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, nel 1993, Sabino Cassese essendo ministro della Funzione pubblica, e Tullio De Mauro l’ispiratore. In questo caso, bisognerebbe riprendere corsi di formazione degli amministrativi a tale fine.
Anche il problema «f) [del] l’insegnamento della lingua italiana all’estero, d’intesa con la Commissione nazionale per la promozione della cultura italiana all’estero, di cui all’articolo 4 della legge 22 dicembre 1990, n. 401», è certamente importante. Ma con quali fondi a disposizione della Commissione non è detto.
Nel commento che precede gli artt. della legge si ricordava che la Svizzera «Nel progetto sulla cultura 2016-2020 ha stanziato fondi per rafforzare la presenza della lingua e della cultura italiane nell’insegnamento e nella formazione bilingue, anche attraverso una serie di manifestazioni culturali».
Invece, il punto che prevede «d) l’arricchimento della lingua italiana allo scopo primario di mettere a disposizione dei cittadini termini idonei a esprimere tutte le nozioni del mondo contemporaneo, favorendo la presenza della lingua italiana nelle nuove tecnologie dell’informazione e della comunicazione», ‘olezza’ di neo-purismo, data l’implicita esclusione dei prestiti di altre lingue, soprattutto l’anglo-americano portatore di un innegabile prestigio culturale e scientifico mondiale. Così come di neo-purismo e di logicismo alla Tappolet ‘puzza’ nell’art. 4 comma 2 il riferimento a «Le sigle e le denominazioni delle funzioni ricoperte nelle aziende che operano nel territorio nazionale [che] devono essere in lingua italiana», mentre «È ammesso l’uso di sigle e di denominazioni in lingua straniera in assenza di un corrispettivo in lingua italiana».
Il “livore” neo-puristico è invece lampante, come anticipato, nel commento relativo alla legge. Infatti in termini ‘terroristici’ si dichiara che:
Nel commento a pag. 2 della precedente proposta di legge del 2018, la formulazione era ancora più radicale:
E poi:
Insomma, il naturale contatto interlinguistico con conseguente arricchimento è del tutto ignorato, anzi combattuto.
Ora, la posizione sopra espressa sulla difesa della lingua italiana e nei riguardi dell’anglo-americano non può non richiamare La politica linguistica del fascismo (titolo di un famoso testo di Gabriella Klein, il Mulino 1986); o Le parole proibite. Purismo di stato e regolamentazione della pubblicità in Italia (1812-1945) di Sergio Raffaelli (il Mulino 1983), o ancora Le parole straniere sostituite dall’Accademia d’Italia (1941-1943) di Alberto Raffaelli (Aracne 2010), per ricordare solo alcuni nomi.
La posizione presente in questa proposta di legge del dic. 2022, ci sembra però “più realista del re”, perché le normative fasciste non prevedevano sanzioni pecuniarie. Il che ha fatto scrivere a Guia Soncini nella rubrica “L’avvelenata” de “Linkiesta.it” (3 aprile): «Non sarà che con le multe per l’utilizzo delle terminologie forestiere ripianiamo il debito pubblico in un fine settimana?».
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