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Dialoghi tra arte e letteratura nello sguardo di un grande maestro della critica
Posted By Comitato di Redazione On 1 novembre 2023 @ 00:55 In Cultura,Letture | No Comments
Maestri, Amici. Arte e artisti del Novecento è il volume che raccoglie scritti sull’arte dal 1997 al 2020 di Giuseppe Appella, appena pubblicato da Silvana Editoriale. È un libro importante per rintracciare una ‘veritiera’ storia dell’arte del Novecento, che ha sì il suo baricentro a Roma, ma che è anche internazionale. Giuseppe Appella è testimone ineludibile e protagonista fondamentale della critica d’arte del Novecento e della contemporaneità. Il suo è uno studio della storia dell’arte contemporanea vissuto in prima persona, come critico militante a contatto con artisti, letterati e poeti che sono maestri e amici. Una storia dell’arte che è di grande rigore filologico, veritiera perché sorretta da fatti e documenti e dalla frequentazione e conoscenza diretta con gli artisti.
Intellettuale e studioso fuori dall’ortodossia di molti curatori di oggi, preoccupati di essere in linea con le indicazioni del sistema dell’arte, Appella è maestro animato da uno spirito libero, ha seguito le sue passioni frequentando gli artisti e gli scrittori che ha amato senza preoccuparsi di essere in linea o fuori campo. Ne scaturisce una storia dell’arte vissuta, nuova, inedita, con un’attenta filologia scandita dai fatti e vagliata dalla conoscenza, sperimentata e verificata sul posto avendo partecipato in prima persona al dibattito culturale che vede insieme gli artisti, i poeti e gli editori.
Il libro è suddiviso in cinque capitoli. Il primo si apre con Antonietta Raphael «dalla quale poi – come scrive Appella – muove l’interesse mai interrotto per Scipione e Mafai e per i pittori che guardavano con rispetto alla Scuola Romana». A questi, Roberto Melli, Luigi Bartolini, Fausto Pirandello, Mino Maccari, Franco Gentilini, Afro Basaldella, Giulio Turcato, Toti Scialoia e altri è dedicato il secondo capitolo, e di questi sottolinea gli stili e i peculiari elementi espressivi.
Nel terzo capitolo sono raccontati gli incontri americani ed europei, frutto di lunghi viaggi: Hans Hartung, Roberto Sebastian Matta, David Hare, Stanislav Kolibar, Ibram Lassaw, Kengiro Azuma, Assadour, sottolineando il loro legame con l’Italia e con la passione per la grafica e la scultura, passione che porterà Giuseppe Appella «ad affondare le mani – come lui stesso scrive nella prefazione – nei documenti di un secolo ancora in buona parte da scoprire, utili per raccontare, attraverso monografie, mostre retrospettive o cataloghi generali», la storia di Duilio Cambellotti, Arturo Martini, Fausto Melotti, Alberto Viani, Dino e Mirko Basaldella, Pericle Fazzini, Leoncillo, Andrea Cascella, Pietro Consagra ecc. Autori, tra i tanti, di cui si parla nel quarto capitolo.
Il quinto capitolo tratta del tema fondamentale del rapporto tra parola e segno, tra letteratura, poesia e arte, rapporto che diventa concreto attraverso il libro d’artista. Emergono, quindi, le importanti relazioni di Libero De Libero con la Galleria della Cometa, il legame di Leo Longanesi con Il Selvaggio, le raffinate edizioni di Vanni Scheiwiller, le collezioni del poeta Tito Balestra, il rapporto di Forma 1 con il libro d’arte e il potente legame di Pasolini con l’immagine.
Come possiamo capire è una storia dell’arte trasversale e poliedrica che contempla un interscambio tra pittura, scultura e letteratura e focalizza l’attenzione sull’importanza del libro d’artista nella storia del Novecento, dove la relazione biunivoca tra parola e immagine approda ad una visione totale della cultura.
Il volume vuole essere un omaggio ai maestri ed amici che hanno avuto un ruolo fondante per l’avventura critica di Appella, vicenda che si è strutturata attraverso la frequentazione dei loro studi per conoscerne gli aspetti umani ed esistenziali, con un’attenzione alla fisicità dell’opera e all’alchimia dei materiali, elementi che sono alla base della fenomenologia creativa. Una storia dell’arte fuori schema, fuori dall’ordinario, che sarebbe di notevole apporto negli istituti universitari e nelle accademie in quanto rompe la pelle omologante di un certo conformismo critico e di certa opacità dello sguardo che tutto appiattisce; invita invece all’avventura del vedere con attenzione filologica e compenetrazione critica per indagare la complessità delle sedimentazioni dell’opera.
Nella prima parte del volume Appella volge l’attenzione ad Antonietta Raphael, Mario Mafai e Scipione, ai quali si aggiungono figure come Melli, Mazzacurati, De Libero, Sinisgalli, contribuendo alla ricostruzione di quel particolare clima che caratterizza ed identifica l’aura visionaria che, negli anni fra le due guerre, prende il nome di Scuola di via Cavour o Scuola Romana. Sono autori che oggi, dopo la scomparsa del critico Maurizio Fagiolo dell’Arco e della gallerista Netta Vespignani, che ne avevano creato l’archivio, sono inspiegabilmente trascurati se non addirittura dimenticati dai nuovi curatori e critici della scena italiana.
Autori che trovano una loro singolare autonomia poetica all’interno della figurazione senza aderire al Novecentismo, al Ritorno all’ordine o al Realismo magico di Bontempelli, ma neppure al Realismo espressionista del Gruppo Corrente. Sono autori che caratterizzano e costituiscono il cuore essenziale della cultura artistica di quegli anni con una particolare sensibilità cromatica che ha struggenti accordi tonali in Mafai ed una visionarietà felice che trasmette gioia ed inarrestabile fervore di vita nei lavori di Antonietta Raphael. Nel secondo capitolo, fra gli autori di cui Appella si occupa tracciandone sorprendenti e incisivi ritratti, trovo molto significativo il saggio su Luigi Bartolini: un testo veramente chiarificatore e fondamentale per comprendere la personalità complessa, errante e mutevole che caratterizza l’opera di questo straordinario artista che transita dall’incisione all’acquaforte e puntasecca alla pittura, alla letteratura, alla poesia. Così scrive Appella:
Sempre nel secondo capitolo vorrei ricordare anche il saggio su Fausto Pirandello, figura complessa, tormentata e di difficile classificazione nelle correnti e movimenti del Novecento e che Appella coglie e analizza con puntuale rigore filologico e scavo psicologico. «Se qualcuno voleva far rientrare Pirandello nell’ambito della cosiddetta Scuola Romana – scrive Appella – viene subito sconfessato: distinte sono le partenze, dissimili gli esiti, altro il linguaggio. Pirandello cammina parallelo, non insieme». Sì che c’è qualche affinità con il tonalismo di Mafai, ma la composizione è sottoposta ad uno scavo strutturale e plastico e ad un’organizzazione mentale dello spazio che non rinuncia all’evocazione oggettiva delle cose. Scrive Appella:
Accanto a queste preziose osservazioni sulla struttura della pittura di Fausto Pirandello, Appella pone note sul suo metodo di lavoro definito cézanniano:
Il legame profondo tra poesia e pittura, tra suono e immagine, la corrispondenza tra suono e colore, tra parola e figura costituisce il nucleo centrale dell’ultima parte di questo volume. Appella fa comprendere come sia proprio dei poeti di entrare nel mondo degli artisti e di saper vedere per rivelare all’immagine e alla pittura quei significati che altrimenti resterebbero latenti, invisibili: Baudelaire e Bernard, Satie e Braque, Montale e De Pisis, Artaud e Picasso, Ungaretti e Fautrier, Bontempelli e Martini, Palazzeschi e Magnelli, solo per citare alcuni esempi. I pittori invece danno ai poeti attraverso i colori e i segni l’input per far nascere la parola.
I due mondi espressivi camminano, così, parallelamente, tanto che spesso i poeti cedono alla tentazione della grafica e della pittura (Sinisgalli, Pasolini) e i pittori si fanno tentare dalla suggestione della poesia o della scrittura (Joseph Stella, Toti Scialoia, Carlo Levi). Risalta, fra gli autori che frequentano questo mondo ibrido fra pittura e parola, il poeta Leonardo Sinisgalli che, dice Appella, oltre alla suggestione del disegno e della pittura è tentato dalla matematica e dalle intuizioni di Einstein, «tanto da voler creare un’architettura intellettuale, uno stile che sia un’equivalenza di quel sistema o della teoria della relatività. Si scontra, per tutta la vita, e Furor mathematicus ne è l’esempio più alto, con la sensazione che la letteratura non riesca a dare voce all’ineffabile della formula matematica, alla geometria che irradia tensioni e linee di forza. Divide all’infinito la materia dei suoi versi, ne disfa i principi conosciuti per rintracciare l’elemento ultimo, la sostanza non scomponibile, l’origine dell’universo».
È, dunque, questo di Giuseppe Appella un affascinante volume di storia dell’arte vissuta e la navigazione fra le sue pagine è resa più facile dall’indice dei nomi che costituisce un preziosissimo strumento di guida.
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