- Dialoghi Mediterranei - https://www.istitutoeuroarabo.it/DM -
Dialogo con Gavino
Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2024 @ 02:35 In Cultura,Letture | No Comments
di Costantino Cossu
Badde ‘e frustana è una distesa di sterpi. Nel luogo in cui Abramo Ledda, padre padrone, iniziò il figlio alla vita del pastore, la siccità affonda il suo morso. Nessuno coltiva più questa terra. Sulle zolle, in un pomeriggio primaverile di caldo agostano, crescono erbacce. I cardi selvatici si protendono come spire acuminate. Le foglie delle querce sono aggredite dai bachi, che la mancanza d’acqua ha moltiplicato a migliaia. Tutto è giallo.
Quando dialoghiamo, seduti su due sassi coperti di muschio ai piedi di una quercia, Gavino Ledda è tornato a Siligo da poco, una decina di giorni, dal Salone del libro di Torino. Mondadori ha scelto la fiera piemontese per presentare la riedizione, nella collana Oscar Moderni Cult, di Padre padrone, il libro tradotto in mezzo mondo (in quaranta lingue) che a Gavino ha dato la fama. Il romanzo vide la luce nel 1975. Il prossimo anno, quindi, cadono, ad aprile, i cinquant’anni dalla sua uscita. E Mondadori scommette su Ledda decidendo di ripubblicare, dopo Padre padrone, altri tre libri dell’autore di Siligo. Il prossimo anno uscirà la riedizione di Lingua di falce. A seguire, Aurum Tellus e I cimenti dell’Agnello.
Nel 1975 Feltrinelli affidò Padre padrone al giudizio dei lettori inserendolo nella collana “Franchi narratori”, ideata e curata da due editor di straordinario valore: Nanni Balestrini e Aldo Tagliaferri. «In quel periodo – racconta quest’ultimo nel libro Quando la penna esplode di vita (Oblique Editore, 2010) in cui Flavia Vadrucci fa la storia della collana – avevamo un gettito continuo di manoscritti e di autori, o presunti autori, che arrivavano in casa editrice con delle proposte, e io ero convinto che qualcosa di buono ci fosse. L’idea della collana nacque anche per ospitarli. Io e Balestrini ne parlammo direttamente con Feltrinelli e lui fu subito entusiasta. “Fatela subito – ci disse – altrimenti ci penserà qualcun altro”».
Nell’incipit della quarta di copertina che accompagnava ogni uscita si leggeva: «La collana “Franchi narratori” raccoglie testi, “irregolari” rispetto ai parametri sia della letteratura pura sia del semplice documentarismo, in cui si raccontano esperienze direttamente vissute dagli autori stessi, e che rappresentano “spaccati” di problematiche profondamente vincolate alla realtà storico-sociale della situazione culturale di oggi; testi quindi esemplari, che spesso costituiscono, in senso lato, delle testimonianze di una antropologia “in fieri”, di una realtà troppo viva, attuale, complessa, per essere ingabbiata in già scontati moduli editoriali». Tra i primi titoli, L’invasione impossibile di Sante Notarnicola e Pelle di leopardo: diario vietnamita di un corrispondente di guerra di Tiziano Terzani.
Nessuno dei testi ospitati nella collana sino al 1983 (anno in cui l’iniziativa termina) ha avuto il successo di Padre padrone. La storia del bambino che, strappato a sei anni alla scuola, impara e leggere e a scrivere solo durante il servizio militare e che dopo essersi laureato in Glottologia alla Sapienza di Roma entra nell’Accademia della Crusca e diventa assistente nel corso di Linguistica dell’Università di Cagliari, cattura il pubblico. L’interesse cresce ancora di più, in Italia e fuori dei confini nazionali, quando nel 1977 il film che i fratelli Taviani traggono dal romanzo di Ledda vince la Palma d’oro al Festival del cinema di Cannes.
Siamo a metà degli anni Settanta, l’eco delle contestazioni studentesche e operaie del biennio 1968-69 è ancora vivo. I padri vanno uccisi, contro il loro autoritarismo bisogna ribellarsi per costruire una nuova civiltà, un mondo in cui ogni vincolo di servaggio sia cancellato. Il potere esercitato dai padri all’interno della famiglia patriarcale è una figura premoderna dei rapporti di dominio che fondano l’ordine instaurato dalle rivoluzioni borghesi. Un ordine da abbattere. È lo spirito del tempo, che il libro di Ledda intercetta, in quel frangente storico, come pochi altri. Soprattutto da questo il successo, in Italia e nel mondo.
Eppure Padre padrone non è questo. Non è solo questo. Per capirlo bisogna ascoltare Ledda, che spiega:
La scrittura come “esperienza di conquista della parola”. Facile richiamare, tra le parentele letterarie solo nell’ambito del Novecento italiano, il lavoro sulla parola, sull’essenzialità della parola, di Giuseppe Ungaretti, e Andrea Zanzotto, che di fronte allo scacco della lingua, divenuta sede della più assoluta inautenticità, indica un percorso di verbalizzazione altra che attinge, come in Ledda, a un fondo biologico e antropologico. Nessuna impossibile restaurazione dell’aura poetica. Un tenersi saldo, invece, a un’ancestrale dimensione tellurica dell’espressione, in cui l’autore di Padre padrone va molto più indietro rispetto a ogni lascito novecentesco.
Massimo Onofri, ordinario di Letterature comparate all’Università di Sassari, attento alla Sardegna e ai suoi scrittori, curerà per gli Oscar Mondadori Cult la riedizione dei I cimenti dell’Agnello (prima edizione Scheiwiller, 1991). È uno dei testi più luminosi di Ledda, di cui Onofri scrive: «In quest’opera, che mette radicalmente in discussione ogni antropocentrismo, il mondo contemplato dallo straziato e inerme punto di vista dell’agnello consente all’autore di varcare frontiere psicologiche e linguistiche che nessuno scrittore ha mai oltrepassato». E che il canto di Ledda superi davvero molti confini lo sostiene anche Carlo Ossola (accademico dei Lincei e docente di Letteratura italiana al Collège de France di Parigi), che nell’introduzione alla riedizione mondadoriana di Padre padrone scrive: «Già in quest’opera di esordio affiora un’ansia tellurica, che si interroga sulla “rinascita” in un mondo più equo e libero».
Ansia tellurica evidente anche nell’altro titolo di Ledda che ora, grazie agli Oscar Mondadori, sarà possibile rileggere: Aurum Tellus (prima edizione Scheiwiller, 1991). Sempre nell’introduzione alla riedizione di Padre padrone, Ossola richiama uno scritto appartenente alla fase preparatoria di Aurum Tellus, intitolato Il mare dell’impossibile. Ledda vi appunta: «Impersonalità e universalità. Scrittura e aratura e semina di natura dove l’evento eziologico, l’àition, è fermento che diventa una galassia e nell’inno è canto all’impossibile». Canto all’impossibile, dunque. Canto oltre “le frontiere psicologiche e linguistiche”. Canto prezioso perché, oggi, rarissimo.
Quando andiamo via da Badde ‘e frustana, Gavino Ledda mi chiede di fotografarlo mettendo sullo sfondo dell’inquadratura una roccia alta sulle pendici di Monte Santu, la rupe che domina i pascoli dell’infanzia.
_____________________________________________________________
______________________________________________________________
Article printed from Dialoghi Mediterranei: https://www.istitutoeuroarabo.it/DM
URL to article: https://www.istitutoeuroarabo.it/DM/dialogo-con-gavino/
Click here to print.
Copyright © 2013-2020 Dialoghi Mediterranei. All rights reserved.