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Giovanna Marini. Canti di lotta alla Pantanella occupata (1971)
Posted By Comitato di Redazione On 1 settembre 2024 @ 02:59 In Cultura,Società | No Comments
CIP
di Roberta Tucci
Nel numero 68 di “Dialoghi Mediterranei” del 1° luglio 2024, il bell’articolo di Ignazio Macchiarella Giovanna Marini. Un singolare percorso fra timbri e colori delle voci tradizionali restituisce egregiamente la figura “poliedrica” di Giovanna in tutta la sua complessità e unicità, mettendo in luce la ricerca musicale e la sperimentazione compositiva ed esecutiva che la musicista ha effettuato nel corso della sua lunga carriera, soprattutto intorno alla vocalità, a partire dalle forme cantate e dagli stili esecutivi che caratterizzano in modo peculiare le musiche di tradizione orale italiane.
A conferma di quanto scrive Macchiarella, mi sembra rilevante segnalare anche il film di Renato Morelli Giovanna Marini. Le vie del canto, pubblicato su YouTube (https://www.youtube.com/watch?v=2f5vzJdl8ZY), in cui le riprese di un concerto di Giovanna, con il suo eccellente quartetto vocale (Patrizia Bovi, Francesca Breschi, Patrizia Nasini), tenuto nei primi anni Novanta in un luogo non indicato, si alternano a sue significative, contestuali, riflessioni, come la seguente riferita al Miserere di Santu Lussurgiu:
La capacità di lavorare così minutamente e dettagliatamente su alcune forme e alcuni stilemi musicali di tradizione orale, non per ri-produrli, ma per produrre modalità esecutive da essi orientate, ha impegnato la Marini in un lungo percorso di sperimentazione e di accresciuta consapevolezza.
Come ricorda Macchiarella, Giovanna si è accostata al mondo della cosiddetta musica popolare nei primi anni Sessanta attraverso la collaborazione con il Nuovo Canzoniere Italiano, in seguito estesa ai molti, diversi e sfaccettati ambienti compresi sotto la generica definizione di Folk Music Revival (Plastino 2016): tutti contesti in cui lei ha operato mantenendo un suo personale approccio, distante dalla mera, pedissequa riesecuzione di canti divenuti noti o perché raccolti sul campo, secondo modalità e finalità diversificate, oppure perché già nel repertorio di altri folk singers. Non a caso Giovanna è stata sin dall’inizio attratta dallo stile esecutivo di Giovanna Daffini, una personalità complessa, la cui peculiare vocalità era contrassegnata da un condensato di mondi ‘spuri’, dai cantastorie del Nord Italia, alla tradizione ottocentesca dei canti sociali e politici, alla vocalità delle mondine, ai repertori da operetta ecc. Alla Daffini Giovanna Marini si è ispirata, non certo per imitarla, quanto piuttosto per l’esigenza di costruire un suono vocale che fosse distante tanto della tradizione colta da cui lei stessa proveniva, quanto delle stereotipie della folk music, la quale peraltro sembrava interessata più agli aspetti verbali che non a quelli musicali, più a ripetere che non a costruire forme espressive, almeno nel suo periodo iniziale.
Ma della magmatica etichetta del Folk Music Revival, come è noto, faceva parte anche il variegato mondo del canto sociale e politico, che veniva abitualmente accostato, o intrecciato, al cosiddetto canto popolare sulla base di una comune presunta, vocazione ‘alternativa’, o ‘contestativa’ (Giannattasio 2010). L’accostamento era naturalmente forzato: i canti politici, di tradizione anarchica, socialista e comunista, erano molto diversi, per creazione, trasmissione e fruizione dai repertori ‘popolari’ di tradizione orale. Erano canti scritti, in parte frutto di autori noti, sia dei testi che delle musiche; in parte sovrapposti a materiali pre-esistenti – arie di opere, motivi di stampo ottocentesco – con nuovi contenuti verbali: basti pensare all’Inno del Primo Maggio, con i versi di Pietro Gori, sull’aria del coro del Nabucco di Verdi; oppure alla Ballata per l’anarchico Pinelli, sull’aria della canzone Il feroce monarchico Bava. Erano anche creazioni di autori contemporanei scaturite da eventi (ricordo, ad esempio, Per i morti di Reggio Emilia di Fausto Amodei). Avevano dei titoli, più o meno convenzionali, che li rendevano immediatamente riconoscibili e assimilabili a un’idea di rivolta, di protesta. Costituivano pertanto un repertorio ben individuabile, sebbene molto vario al suo interno: nonostante le non poche intersezioni di confine, si può dire che in questi canti le parole assumessero valore centrale, mentre i contenuti musicali fossero piuttosto funzionali a facilitarne le esecuzioni corali nei contesti di mobilitazione. Sicuramente nel Folk Music Revival italiano la figura che più ha fatto da ponte tra il ‘folk’ e la canzone politica è stata proprio Giovanna Daffini, che ha applicato il suo particolare stile esecutivo tanto alle forme contadine quanto alle arie ottocentesche di contenuto anarchico-socialista.
Tra la fine degli anni Sessanta e l’inizio degli anni Settanta, con l’autunno caldo, le occupazioni, le manifestazioni di operai e studenti, i canti politici hanno cominciato a venire eseguiti non più solo sulle pedane dei folk club o sui palcoscenici delle feste di piazza, ma anche nei reali contesti dello scontro: soprattutto le lotte operaie nelle fabbriche, contro le chiusure e i licenziamenti, per l’adeguamento dei salari, per il miglioramento delle condizioni del lavoro, per la parità fra operai e impiegati, per i diritti sindacali. In questi terreni Giovanna Marini è sempre stata presente a sostenere chi stava resistendo, come una ‘compagna’ che partecipava alle rivendicazioni perché ne condivideva i motivi di fondo: lo faceva con la sua voce, con la sua chitarra, con il suo corpo, con quel suo particolare modo coinvolto e coinvolgente di stare sul palco, che creava immediatamente empatia e motivazione.
Un significativo esempio è dato dal video Giovanna Marini all’occupazione del pastificio Pantanella (1971), pubblicato su YouTube (https://www.youtube.com/watch?v=bVyD7BatGJY). Si tratta di un filmato della durata complessiva di circa 19 minuti, in b/n, apparentemente anonimo, tratto da una puntata del 1971 del programma televisivo della Rai “Turno C. Attualità e problemi del lavoro” a cura di Aldo Forbice e di Giuseppe Momoli. Purtroppo l’intera puntata del 1971 non è disponibile on line, ma la collocazione di questo breve filmato in una trasmissione di “Turno C” appare significativa, perché il programma, nato nel 1970, riguardava i temi del lavoro visti dall’interno dei diversi contesti e rifletteva, con attenzione e aperture, il periodo di lotte, soprattutto operaie, che ha caratterizzato quegli anni. Non è un caso se una successiva puntata del 1972 sia stata interamente dedicata alla Canzone operaia e affidata alla cura da Luigi Lombardi Satriani e Paolo Luciani.
Il filmato Giovanna Marini all’occupazione del pastificio Pantanella, che è stato poi inserito nella puntata 61 della trasmissione Rai Soggetto Donna – Voci di donne, spostando però l’attenzione dal contesto delle lotte operaie al dibattito sulle donne, è privo di alcuna documentazione contestuale di accompagnamento. Si compone di due parti fra loro legate da un’unica cronologia e un unico tema, sebbene le riprese siano state effettuate in due diversi luoghi.
La prima parte, breve (poco più di tre minuti), è girata in una classe femminile di una non identificata scuola media romana, dove Giovanna, trentaquattrenne, tiene una lezione, forse parte di un corso. Ricordando alle studentesse che le canzoni del «nostro bagaglio di tradizioni […] sono cose vive, non sono reperti archeologici», le invita a cantare la canzone di Sacco e Vanzetti: «cantiamo la canzone di Sacco e Vanzetti, che voi già conoscete». Si tratta di un testo di cantastorie (Settimelli-Falavolti 1972: 102-103) ed è un esempio di riutilizzo di una precedente melodia, associata al canto anarchico noto come Le ultime ore e la decapitazione di Sante Caserio. Faceva parte del repertorio di Giovanna Daffini, che l’aveva incisa nel disco Canti anarchici 3 (I Dischi del Sole), nel suo inconfondibile stile: ispirandosi a tale stile Giovanna Marini la esegue insieme alle studentesse, dopo averne spiegato il contenuto.
La seconda parte del video dura poco più di 16 minuti. Inizia con un taglio di montaggio che tronca la ripresa nella scuola e introduce all’interno del pastificio Pantanella, una fabbrica sulla via Casilina a Roma, sede di una prolungata occupazione da parte degli operai e poi degli immigrati stranieri, fra il 1970 e il 1971, mirata a evitarne la chiusura che purtroppo poi è ugualmente avvenuta.
Dentro un capannone industriale della fabbrica si vede un palco improvvisato, una pedana, un grande fondale con la scritta Pantanella/ fabbrica/ occupata; lungo le pareti laterali molti cartelli scritti a mano: i 400 lavoratori della Pantanella dicono no alla chiusura; 400 lavoratori licenziati; difendiamo il lavoro; il governo non ci abbandoni; no alla chiusura sì al lavoro; basta con i rinvii; operai impiegati uniti nella lotta; la Pantanella non chiuderà. Sulla pedana Giovanna, con la sua chitarra, tiene un concerto per gli operai, seduti in una platea improvvisata.
La sua esecuzione è partecipe, generosa, forte, crescente e incalzante. La scaletta è ricca: se per le adolescenti della scuola ha scelto un brano ‘classico’, adatto a sedimentare radici e sentimenti, per gli operai va oltre e seleziona canti di diversa afferenza e collocazione, con un ampio ventaglio di temi, di forme e di cronologie e con uno spazio per l’improvvisazione e la partecipazione del pubblico. Alcuni di questi brani avevano fatto parte del suo precedente spettacolo L’aria concessa è poca (1970).
Come sempre, la Marini alterna le esecuzioni cantate con spiegazioni, riflessioni, commenti. Sia quando canta che quando parla, la sua espressività è sempre appassionante e comunicativa. Scandisce bene le parole: vuole farsi sentire e vuole farsi capire. Forza la voce e forza la mano sulle corde della chitarra quando vuole sottolineare, far crescere il clima. Questa sua capacità performativa non è mestiere, ma è reale solidarietà, condivisione, comunione di intenti. E come tale viene percepita dal pubblico dei lavoratori che stanno portando avanti l’occupazione da molti mesi e hanno bisogno del conforto e della solidarietà dei compagni.
Giovanna comincia con delle ottave eseguite nello stile dei poeti a braccio dell’Italia centrale. Vettori (1974: 192, 402) nomina questo testo Rime dell’alto Lazio, precisando che sono state “raccolte da Giovanna Marini”.
Spiega cosa c’è dietro alle sue esecuzioni:
Quindi presenta il brano che sta per eseguire:
Si tratta di un canto convenzionalmente considerato parte del repertorio anarchico, noto come L’uguaglianza (Settimelli-Falavolti 1972: 39-41; vedi anche Vettori 1974: 89-90). Giovanna lo esegue invitando il pubblico operaio a cantare con lei il refrain, facile da ripetere per l’estrema semplicità della linea melodica.
Passa poi a un diverso registro e annuncia
Il brano, di Gianni Nebbiosi, affronta la questione della malattia mentale e della violenza della psichiatria ufficiale: un tema in discussione in quel periodo storico. Giovanna, in un’intenzionale forzatura relazionale, collega il disagio mentale espresso nel canto alla condizione alienante e usurante del lavoro operaio alla linea di montaggio.
La canzone sarà poi pubblicata nel disco E ti chiamaron matta (I Dischi del Sole), eseguita da Gianni Nebbiosi insieme a Giovanna Marini (Vettori 1974: 269-270, 429).
Giovanna riprende a parlare e presenta l’ultimo brano del concerto. Anche questo è un canto del repertorio di Giovanna Daffini, che l’ha inciso nel disco Amore mio non piangere (I Dischi del Sole) (Vettori 1974: 262-263, 427-428). È costituito da brevi strofe, intervallate da un ritornello molto orecchiabile che si presta a venire cantato coralmente.
«Questa la cantava la Giovanna Daffini, un nome che non avrete mai sentito perché non cantava le cose commerciali, era una mondina che ha fatto tutte queste canzoni, una più bella e una più importante dell’altra».
[cantano. Giovanna ora inserisce le nuove strofe, con una accelerazione esecutiva che coinvolge emotivamente la platea degli operai, i quali cantano insieme alzando le voci]
“Da Massafra, vicino a Taranto ci sta l’Italsider. Gli operai dell’Italsider vi mandano a dire”:
“Dalla Snia di Colleferro”:
“Dalla Lebole, quando hanno occupato la fabbrica al padrone gli hanno cantato così”:
“Da una fabbrica tessile in Lucania dove assumono le ragazze e poi le licenziano subito per non pagargli i sussidi”:
“Da Porto Marghera ci mandano a dire”:
[qui alza il volume, spinge la voce e forza la postura]
Alla fine gli applausi sono incontenibili, gli operai visibilmente commossi. Qui la semplicità dei motivi musicali, che determina anche la loro facile cantabilità, trova senso e i canti di lotta acquistano la loro piena funzione: le strofe improvvisate, che possono apparire sconnesse, ingenue, sgrammaticate, rimarcano la presenza di soggetti attivi che vogliono essere visibili e che sentono di doversi connettere fra di loro per poter avere un peso politico.
Con il suo cantare a voce spiegata, in un crescendo continuo di intensità, e con le sue parole chiare, Giovanna non opera solo sostegno ma fa anche formazione. Nel concerto per gli operai non ci mette solo le cose ‘facili’, ma ci mette anche quelle meno immediatamente fruibili, come le ottave da poeta a braccio o la canzone sul disagio mentale di Nebbiosi; ci mette il collegamento con la tradizione anarchica, con le mondine e ci mette la possibilità di riutilizzare questi materiali in modo creativo.
Il concerto alla Pantanella occupata riflette bene il clima che si è determinato nei primi anni Settanta: anni in cui l’impegno politico per una società più giusta, contro lo sfruttamento degli esseri umani, per la parità dei diritti civili, si è sposato a una sconfinata creatività e libertà orientate su mille rivoli e incorporate nella vita stessa delle persone. Giovanna Marini ha vissuto e interpretato questa stagione in un percorso esistenziale coerente e questo video lo testimonia.
Al termine del filmato le immagini la seguono mentre esce dalla fabbrica, con la sua chitarra, senza accompagnatori né codazzi, monta sulla sua utilitaria e va via, tranquillamente. Così abbiamo sempre visto Giovanna nelle sue performance pubbliche: arrivare con la chitarra – prima a mano poi in spalla – e al termine andare via con la chitarra, tranquillamente. Distante da presunzioni, superiorità, orpelli: non ne aveva bisogno. Giovanna ha mantenuto questo suo impegno sempre, anche nell’attività di insegnamento, condotta con grande efficacia e creatività, soprattutto presso la Scuola Popolare di Musica di Testaccio a Roma, con cui ha collaborato sin dall’inizio. Nel suo sito (https://www.giovannamarini.it) se ne trovano stabili tracce: l’insegnamento di “Estetica del Canto Contadino”, tutti i martedì; la lezione di canti politici e sociali, un martedì al mese. Nella Scuola Giovanna ha anche fondato e diretto il coro Inni e Canti di Lotta, che ogni anno partecipa ai festeggiamenti dell’ANPI per il 25 aprile.
Ha saputo coniugare la sua doppia anima, quella della ricercata compositrice-esecutrice e quella della coerente militante, senza ambiguità, evitando confusioni e soprattutto mai rinunciando a spiegare, a precisare, a farsi capire, in quel suo modo affabulatorio e accattivante che tutti ricordiamo: limpido, come limpida è stata la sua intera esistenza.
Il breve filmato alla Pantanella, dove Giovanna, senza alcun artificio, riesce a galvanizzare una platea di operai in lotta, infondendo loro coraggio e determinazione, ci dice di lei molto di più di tante parole.
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