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I Castagneti dell’Alto Mugello. Sentinelle di cambiamenti climatici, storici, economici
Posted By Comitato di Redazione On 1 settembre 2024 @ 01:43 In Cultura,Società | No Comments
di Viola Arinci
Da anni in Italia, soprattutto nel periodo estivo, ampie aree boschive bruciano a causa di incendi di vasta portata, talvolta di natura dolosa. Agevolato da una serie di condizioni metereologiche, fisiche e antropiche, il fuoco arriva a divampare con grande rapidità e a distruggere interi ettari di bosco. Nel periodo compreso tra gennaio e luglio 2022, ad esempio, il territorio della Toscana è stato interessato da 591 incendi boschivi, e gli ettari di superficie boscata percorsi dal fuoco, raggiungendo quasi i 2300, sono più che raddoppiati rispetto alla media degli anni 2015-2021 [1], tanto che nella stampa locale, nel linguaggio istituzionale e nei discorsi comuni si usa regolarmente la parola “disastro”. Spesso i “disastri” sono descritti come eventi solo parzialmente prevedibili, perché scollegati da una più ampia memoria storica del territorio e delle catastrofi (Falconieri, Dall’Ò, Gugg 2022), eventi improvvisi, impattanti, che si consumano in pochi attimi ma che cambiano in modo irreversibile il territorio e la vita degli esseri umani e non-umani che vi abitano.
Ambiente boschivo ricco di “brocca”, ovvero rami secchi abbandonati perché non commercializzabili, località Moscheta
L’antropologia come scienza sociale può sicuramente offrire approcci, prima ancora che conoscenze, utili per riflettere sul “disastro naturale” e sul continuum di cause e conseguenze che lo riguardano, permettendo di individuare “mappe dense” di attori, umani e non-umani, che abitano insieme il territorio e, insieme ad esso, fanno parte del “disastro” dai primi momenti della sua configurazione: essi possono infatti determinarne entità, caratteristiche, risposte; gli attribuiscono significati e si adoperano per ri-costruire spazi e modalità di vita nello spazio e nel tempo post-disastro. In tal senso, ogni disastro è un processo:
«una catena di eventi ed effetti generata da una relazione di lunga durata tra l’uomo e l’ecosistema, lungo le linee di frattura del corpo politico e sociale, e che, dunque, non termina con la conclusione del fenomeno fisico, ma può estendersi indeterminatamente e infiltrarsi nella vita quotidiana» (Gugg, 2021).
Se pensiamo il disastro come un nodo intermedio, per quanto problematico, parte di una lunga catena di eventi frutto della relazione e di veri e propri “intrecci” inter-specie su un determinato territorio, che si dipanano nella profondità storica e con tutta la portata politica del modo in cui si costituiscono, possiamo sicuramente arricchire lo sguardo sul tema, sottoponendolo a riflessioni che connettono e fanno dialogare diverse discipline, approcci e campi di ricerca. L’antropologia che si occupa dei “disastri” e della loro analisi ha colto come le «vere cause» delle catastrofi non vadano ricercate fuori dalla società ma al suo interno;
Seccatoio restaurato, edificio adibito all’essiccazione delle castagne per la produzione di farina, località Moscheta
Alla luce di questo quadro introduttivo e teorico, possiamo analizzare le numerose trasformazioni avvenute in un’area boschiva nell’Appennino Tosco-Emiliano, in provincia di Firenze, attingendo tanto a fonti storiche sulla trasformazione del paesaggio appenninico, tanto a quelle prettamente tecniche sui cambiamenti di lungo periodo della vegetazione boschiva, e alle fonti di conoscenza locali ed emiche di persone che da molti anni attraversano e abitano il territorio. In particolare, tenere un approccio qualitativo di ascolto e restituzione etnografica permette di comprendere il dialogo e il reciproco ascolto inter-specie, denso di tutte le componenti umane e non-umane, che spesso si ritrova ad anticipare aspetti e segnali di crisi e di cambiamento, anche climatico, che possono sfuggire alla sola percezione umana: delle vere e proprie “sentinelle” (Lakoff e Keck, 2013; Dall’Ò 2022).
Qui i castagneti e le porzioni di bosco adiacenti, analizzati nelle loro trasformazioni, possono essere considerati sentinelle non-umane del cambiamento ecologico e climatico, ed hanno bisogno di decodificatori che le inquadrino come tali.
G., un ragazzo di Firenzuola che gestisce il castagneto della famiglia, e D., un signore che vive nella frazione di Giogarello e che si occupa dei castagneti in suo possesso fin da quando era giovane, che conoscono il castagneto e i boschi e li attraversano da molto tempo sono in grado non solo di osservare i cambiamenti che si stratificano negli anni, ma di significarli alla luce di una analisi più ampia, che tiene conto della complessità e del contesto economico, storico, politico entro cui si realizzano. La costruzione del paesaggio-bosco e dei castagneti come sentinelle si compone, quindi, di vari livelli di indagine stratificati. Dal punto di vista storico, il paesaggio appenninico è stato interessato da vasti cambiamenti negli ultimi duecento anni, la cui portata si è però intensificata nel secondo dopoguerra. Storicamente, in Italia, l’avvento dell’industrializzazione prima, e l’offerta di lavoro qualificato poi, ha offerto a molti la possibilità di trovare impiego nelle città, abbandonando di conseguenza le aree montane e quelle rurali.
In Mugello, piccoli campi, ricavati nel mezzo dei boschi, sono stati i primi ad essere abbandonati. Specie arboree e arbustive hanno colonizzato i terreni in modo incontrollato, e spesso sono i rovi a ricoprire il terreno. Questa massa di vegetazione è diventata un enorme bacino di combustibile che, unito alla siccità dei terreni e alla secchezza dei fusti degli alberi, rende molto più agevole la propagazione del fuoco, ostacolando inoltre la possibilità di raggiungere il bosco per spegnere eventuali incendi [2].
La vegetazione boschiva nelle sue trasformazioni strettamente biologiche e di diffusione nel territorio è quindi sentinella di un cambiamento storico, culturale, politico a livello locale e di un cambiamento a livello globale, che in questa sede è stato considerato nei suoi aspetti più strettamente biologici e climatici: svela come l’intreccio di abbandono delle zone montane, conseguente allo spopolamento e a tutte le dinamiche storico-politico-sociali che lo hanno determinato, e dinamiche più ampie a livello globale come l’aumento della temperatura media mondiale e la diminuzione delle precipitazioni annuali, possa aumentare l’incidenza di grandi incendi, dalla portata “disastrosa”. In questa prospettiva, gli interlocutori e le interlocutrici che abitano o vivono il territorio, secondo diverse modalità ed interazioni, offrono un punto di vista che permette di tenere insieme tutti gli aspetti considerati, nella loro reciproca rilevanza e relazione: analizzare a livello micro la complessità e la profondità delle dinamiche che attraversano lo spazio di analisi permette di connettere saperi, pratiche, metodologie, per ri-pensare il nostro rapporto con l’ambiente, e immaginare percorsi e direzioni alternativi.
Per capire la connessione tra aumento delle temperature, abbandono delle montagne e incendi, le parole di D., un uomo che lavora nel castagneto da quando è appena un bambino, sono illuminanti:
Aumento delle temperature, leggi di mercato e conseguente abbandono delle zone di montagna non possono quindi che esser considerati co-fattori che si legano e che determinano il verificarsi di disastri.
Un giovane agricoltore di Fiorenzuola osserva come l’aumento delle temperature a livello globale unito alle dinamiche di mercato competitive porti ad un ulteriore abbandono dei frutteti nei territori di montagna, creando un effetto a catena di eventi disastrosi:
Le persone che hanno riportato le loro esperienze dirette del cambiamento dei castagneti e dei successivi incendi sono in relazione con il bosco e lo sono da molto tempo. Questa relazione si è articolata secondo tempi e modi diversi, e ci hanno permesso di svelare tante chiavi di lettura per osservare il bosco da diverse prospettive, tutte indissolubilmente intrecciate tra loro e “dense” di informazioni. Parlare delle persone che sono in relazione con il bosco, e parlare dei boschi, in una prospettiva inter-specie, significa considerarli e ascoltarli come co-produttori di significati, specie compagne (Haraway, 2008) che possono essere realmente conosciute solo nel loro divenire insieme.
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