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Metref e i racconti di una vita di frontiera
Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2024 @ 01:15 In Cultura,Letture | No Comments
Tra i vari scrittori della letteratura italofona attuale, abbiamo scelto di focalizzare la nostra attenzione sullo scrittore algerino Karim Metref e sulla sua narrativa Tagliato per l’esilio. I motivi di questa scelta sono molti: innanzitutto Karim Metref, oltre ad essere uno scrittore italofono, è un intellettuale che ha dedicato all’interculturalità tutta la sua carriera professionale e personale, sia prima che dopo la sua emigrazione dall’Algeria all’Italia.
Professionale perché il suo lavoro non è semplicemente quello di scrittore ma egli è anche insegnante e educatore. Personale perché le sue idee sulla necessità di una società interculturale lo hanno portato a farsi portavoce in prima persona, non solo nella letteratura ma anche nella vita reale, delle istanze degli emarginati dal sistema, di coloro, cioè, che sono esclusi dai percorsi intellettuali e che proprio per questo, con la loro stessa presenza sono testimoni del bisogno di interazione che avverte la società italiana e di tutto il mondo. La sua opera Tagliato per l’esilio affronta principalmente la tematica dell’esclusione attraverso percorsi concettuali che spaziano dalla dimensione psicologica a quella politica, dai concetti di identità e tradizione a quelli di mescolanza e, appunto, intercultura, dal valore della tradizione all’importanza della proiezione nel futuro.
Biografia, attività professionale e impegno sociale dell’autore
Karim Metref è nato in Cabilia (centro Nord dell’Algeria), nel 1998 si trasferisce in Italia, prima in Liguria poi a Torino, città in cui vive tuttora e in cui lavora come educatore e formatore in educazione alla pace, alla pedagogia interculturale e gestione non violenta dei conflitti. Ha pubblicato Quando la testa ritrova il corpo (Ega, 2003) Caravan to Baghdad (Mangrovie 2006), Tagliato per l’esilio (Mangrovie 2008). Inoltre, scrive anche su varie testate cartacee “Carta”, “Il Manifesto” e cura un blog personale e il sito “Letterranza” [1]. In Algeria è stato insegnante per circa dieci anni, impegnandosi anche nella militanza per i diritti culturali dei Berberi e per l’accesso ai diritti democratici in Algeria. Il giornalismo e la scrittura sono strumenti che hanno sempre veicolato le sue convinzioni politiche e le nuove forme di pedagogia che contribuisce a diffondere come formatore.
La patria di Metref è la Cabilia, regione che si estende a Est di Algeri, lungo la costa mediterranea. E con la terra cabila, la patria di Metref è la lingua, quella variante locale della lingua amazigh., il cabilo con cui ha scritto i suoi primi racconti. É stato un attivista di base del Movimento culturale berbero che dalla primavera berbera del 1980 e per gli anni successivi ha caratterizzato la lotta dei cabili per il riconoscimento della lingua e della cultura e che è stata fucina per la formazione di intellettuali democratici in Algeria [2].
Tagliato per l’esilio: Genere e struttura dell’opera
L’esilio è una condanna che consiste nell’allontanare qualcuno dal proprio paese, allontanamento forzato o fuga volontaria dalla propria terra, separazione, isolamento da qualcuno o qualcosa. Molti sono i modi in cui possiamo declinare la parola esilio. Esilio è essere costretti ad abbandonare la propria terra, la propria casa, i luoghi cari e gli affetti, le tradizioni e la lingua. L’esilio è il confino, sistema della eliminazione fisica e che implica la perdita delle libertà personali, è la lontananza da un luogo amato e rimpianto. La perdita di una persona cara, la sua assenza, la separazione, la rinuncia a qualcosa a cui si teneva, ad uno stato di grazia a cui si è dovuto rinunciare, ad una parte di noi che non ci appartiene più [3]. Esilio è il distacco, l’allontanamento da una società, da un contesto, da un mondo nel quale non ci si riconosce più. A tale proposito Metref chiarisce:
Migrare, partire per scelta o per necessità è per molti versi esiliarsi ma anche poi scontrarsi con la lingua del Paese di arrivo la cui ignoranza contribuisce al sentirsi alieni e alienati ed è per questo che i racconti di Metref catturano l’attenzione con le loro narrazioni della Cabilia algerina filtrate attraverso la lingua italiana perché raccontano anche la storia personale del loro autore, arrivato in Italia da undici anni dopo un passato da insegnante e da personaggio per l’appunto tagliato per l’esilio. A tale proposito l’autore dichiara:
Lo scrittore e giornalista algerino in questa raccolta di piccoli racconti di storie, alcune delle quali vissute in prima persona, affronta il tema dell’esilio inteso non tanto come fuga dalla propria terra bensì come scelta voluta, volontaria e consapevole il cui scopo principale è il confronto con la diversità. Con Tagliato per l’esilio il tema dei migranti offre al lettore uno spazio parallelo per conoscere usanze e costumi di popoli geograficamente vicini ma lontanissimi per il loro modo di vivere e per le dinamiche sociali e regole familiari.
Un esilio prima di tutto all’interno del proprio Paese per chi fa parte di una minoranza, nel caso specifico quella berbera di cui Metref si è sempre eretto a strenuo difensore, un esilio volontario che nasce dalla volontà di partire per conoscere, capire, liberarsi da una strada predefinita, una lontananza che non esclude il legame profondo con la terra in cui è nato ma che arricchisce con l’apporto di altre culture e conoscenze di cui si è appropriato nel tempo, che gli fa scegliere in piena libertà ciò che vuole essere costringendolo però a non avere nessun tipo di vincolo e ad essere pertanto uno “tagliato per l’esilio” [6].
Appartenente all’etnia cabila, una popolazione berbera del nord dell’Algeria, Metref si è speso molto per la tutela delle tradizioni del suo popolo nel vortice dell’Algeria moderna ma riguardo alla sua scelta di usare l’italiano come lingua di scrittura lui afferma:
Tagliato per l’esilio è una raccolta di racconti, brevi storie legate a situazioni reali che con semplicità e concretezza affrontano, dunque, il tema dell’esilio, dell’altrove, della migrazione. L’esilio di cui parla Metref è il disagio profondo che una persona prova quando non si sente nel suo ambiente, nel posto giusto, un esilio che può avvertire anche a casa sua, un senso di non appartenenza ad una comunità.
Nel primo racconto l’autore scrive: «sono nato in esilio sulla terra dei miei avi» [8]. Sta parlando della Cabilia, la cui cultura è stata a lungo occultata dai vari dominatori arabi e francesi. Solo nel 2005 la loro lingua è insegnata nelle scuole, è stata riconosciuta come lingua nazionale, iscritta nella Costituzione. Più tardi verrà ammessa anche come lingua Ufficiale. In cabilo sono stati scritti i primi racconti, altri invece direttamente in italiano con un singolare movimento tra le lingue; è infatti un libro che da una parte riporta in quelle tradizioni e in quel ambiente in mezzo a uomini avvolti nel burnus tessuto dalle loro madri, dall’altra si muove in terra italiana, nelle strade antiche di Genova, nel monolocale di Milano, abitato e popolato da immigrati dei tipi più diversi.
Metref parlando del suo straniamento scrive: «Migrare è lanciarsi a testa bassa nel buio: essere l’estraneo, lo straniero, l’altro…». Il sentimento dello straniamento è presente lungo tutta l’opera e costituisce una parte integrale dell’identità di Metref rimasta sospesa tra due mondi, quello d’origine e quello ospitante. Infatti, leggendo la sua opera si sente lo sconvolgimento dell’abituale percezione della realtà trasmessa dal narratore che vive in un mondo plurale e duale, tra la cultura d’origine e quella ospitante, la lingua araba e quella italiana, lo stato di emigrante e quello di immigrato. Attraverso la sua opera racconta questa sfida che lo costringe ad adattarsi alle diversità culturali, una sfida in cui si mette e mette in discussione i propri confini e i confini dell’altro.
La consapevolezza della complessità del mondo porta l’autore a riflettere sulla propria condizione e sulle molte varianti del concetto di identità per chi ha scelto di partire. A tale proposito Metref scrive: «sono cabilo ma non sono solo cabilo, sono un po’ di tutto quello che mi contamina quotidianamente» [9]. Lungo tutto il racconto è costante l’idea / la poetica della reciprocità, di un tipo di identità frutto di una dinamica relazionale, che consiste principalmente nell’instaurare legami con la diversità, che così spiega:
Nel racconto l’autore evoca anche ricordi familiari soffermandosi così sul valore simbolico del burnus: «oltre all’essere un oggetto molto utile, questo è anche simbolo molto forte dell’onore della maschilità, della famiglia e del legame con gli antenati» [11].
In questi ricordi, dominante in assoluto è la figura del nonno a cui l’autore era fortemente attaccato sin da piccolo:
I racconti sono sette, ambientati in Algeria e nello specifico in quella regione particolare che è la cabila. Tagliato per l’esilio è il titolo del primo racconto ma anche dell’intera raccolta di episodi narrativi, in ciascuno dei quali viene descritto e narrato un aspetto dell’esilio.
Nell’antichità e non solo l’esilio era la condanna a cui era sottoposto chi si macchiava di colpe politiche, l’essere costretti ad abbandonare la propria comunità era una pena terribile. Nei racconti di Metref emerge la concezione che l’esilio sia qualcosa di insito nella storia dell’individuo indipendentemente dalle sue azioni politiche e si accompagna alla disappartenenza di chi non si sente accettato dalla comunità d’origine e allora cerca un altrove dove sperimentare la propria possibilità di esistenza e un nuovo progetto di vita.
Aver usato il termine esilio piuttosto che emarginazione o emigrazione sta ad indicare che comunque quando ci si allontana dalle persone, dal luogo che ti ha visto nascere e crescere si compie sempre uno strappo, essendo l’allontanamento comunque sempre dettato o accompagnato da considerazioni psicologiche individuali.
Il titolo della raccolta è espressione di un tema che si addice a tutti gli altri racconti. Tutti i personaggi delle singole narrazioni per quanto abbiano anche esito positivo sono dei disappartenenti. Il primo racconto narra di una famiglia che progressivamente per la posizione culturale che assume viene sentita diversa fino a quando il protagonista avverte la sua estraneità alla comunità e decide di andare via, anche e contro la possibile disapprovazione della sua stessa famiglia. In “Adieu Paris” il protagonista non ha altro rimedio che allontanarsi dalla cabila per realizzare se stesso e dare uno scopo alla sua vita. In “Anza” la difesa ad oltranza dei diritti dei propri figli fa sì che la protagonista Werdiya diventi una incompresa e non più accettata dalla sua comunità. Mertef scrive a proposito della fine tragica della protagonista
Il messaggio filosofico e umano dell’opera
Alla fine di questo percorso narrativo, il lettore esce avendo partecipato non solo al racconto di una esperienza vissuta ma sentendosi coinvolto dalla stessa emotività dello scrittore che mette in comunicazione mondi diversi, Nord e Sud, Oriente e Occidente. Attraverso la letteratura questi autori possono far nascere un nuovo tipo di scrittore, e nuove esperienze di scrittura dando vita a soggetti che diventano interpreti e portatori di più culture. Lo scrittore magrebino che si muove nell’ottica italiana è un uomo di frontiera che appartiene a più di una cultura e questi romanzi rappresentano meglio di qualsiasi studio storico o sociologico l’avvenire del pianeta [14].
La nascita di questa nuova scrittura comporterà comunque la nascita di un nuovo tipo di letteratura per la quale i conflitti si dilatano, il concetto di patria si trasforma in un’immagine che comprende almeno due Paesi, la scrittura diventa la naturale risposta al bisogno di parlare di sé, di spiegare la propria esistenza agli altri, di tentare un colloquio interculturale con tutta la società civile italiana a partire da una condizione socio-antropologica problematica e difficile ma coinvolgente ed aperta al futuro.
I tempi che viviamo sono davvero difficili e rimane compito degli intellettuali quello di impegnarsi attivamente affinché un nuovo umanesimo possa maturare dall’una all’altra sponda del Mediterraneo, così da portare l’immaginario da una riva ad un altra non soltanto nel senso dell’incontro tra le culture ma pure nel senso della riscoperta di una memoria comune.
Contro il razzismo e l’intolleranza che stanno minando le basi della convivenza civile in Italia gli scrittori della migrazione ci propongono con le loro opere una cultura in cui ci sia spazio per l’altro. Accoglierlo senza paura e confrontarsi con lui equivale a conoscere meglio se stessi. La letteratura migrante serve anche a questo. Primo Levi ha scritto: «L’ibrido è l’uomo nato dopo Auschwitz».
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