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Rappresentazioni inedite di esseri zoomorfi della tradizione orale del Cicolano
Posted By Comitato di Redazione On 1 maggio 2019 @ 02:01 In Cultura,Società | No Comments
di Settimio Adriani, Antonella Ruscitti, Luigi Verzilli [*]
Gli esseri antropomorfi e zoomorfi abbondano nelle culture di ogni tempo e di molte parti del Mondo. Giorgio Pacifici in un suo recente libro sostiene che «La rappresentazione del male nel passato dell’uomo è stata in genere antropomorfa o zoomorfa, il male è stato personificato come un individuo vagamente umano o come animale» (Pacifici, 2015: 103). Durante gli studi delle grandi culture antiche
considerazione di carattere generale che trova pieno riscontro nel catalogo di figure italiane di tale fattispecie, più avanti dettagliato. Alcune forme di Antropozoomorfismo al femminile si sono però affermate in Gran Bretagna, tra le quali sono particolarmente note «La “glaistig” inglese, ad esempio, per metà capra e per metà donna, [che] indulge nell’ematofagia. [E] La “lianaun shee” (amante fatata) delle leggende irlandesi [che] risucchia il sangue dagli organi vitali maschili» (Jerace, 2002: 57). Del medesimo genere è uno strano essere, definito «femmina», delineato ne
Tale vasto insieme di insolite forme, che la scienza ha definitivamente riposto nell’armadio delle leggende, non deve far pensare che i “saperi” correlati all’Antropozoomorfismo fossero afferenti esclusivamente al ceto popolare e meno erudito, anzi:
Non mancano, inoltre, e fin dall’antichità, i punti di contatto tra zoomorfismo e religioni [1], tematica che è stata ampiamente dibattuta tra gli esperti del settore. A tale proposito, e a solo titolo di esempio, si ricorda il paragrafo di uno scritto di Pietro Testa, intitolato «Lo zoomorfismo delle divinità in rapporto alla religione» (Testa, 2018), in cui l’autore mette in relazione dèi ed esseri fantastici.
«Una questione suggestiva, che meriterebbe specifica trattazione e approfondimento, è quella che sui temi del “contrasto” chiama in ballo la fantazoologia. Tale è il caso, ad esempio, della «Anfibologia del pazzo e del savio, del puttaniere e dell’uomo dabbene. [Che Armando Verdiglione definisce:] Impossibile fantazoologia sessuale» (Verdiglione, 1994: 12). In seno alla conflittualità dei ruoli e delle attitudini rientrano appieno alcune simbologie del nord Italia e d’oltremanica, una delle quali coinvolge la triade uomo-cane-lupo: «Un esempio di apparizione, per altro benefica, di uomo-cane ci viene proposta dalla leggenda medioevale, presente in Francia e nella Valle Padana, di San Guinefort, salvatore di fanciulli. [...] Sui carri medioevali emiliani del rituale agreste, la testa del cane, o del lupo, veniva abbinata al corpo del serpente, come sugli stendardi militari dei Daci. Al contrario, invece, per la superstizione inglese, nei cani neri si sarebbero nascosti spiriti malvagi, mentre i cani con la testa umana, “seven wisthless”, sette fischiatori, o Gabriel hounds, segugi di Gabriele, sarebbero stati presaghi di morte» (Jerace, 2002: 57).
In stretto riferimento all’Italia, nel 1991 Silvio Bruno scrisse:
Dell’accattivante Fantazoologia oltre a Silvio Bruno ne parlano anche Folco Quilici (2014), Irene Palladini (2016: 36), Oddone Longo (2013) e Ivana Fogliati (2007: 27). In un’ipotetica competizione di fantaspecie tra Europa e India, è proprio la Fogliati a segnalare per il Paese asiatico il Dhenukasura, un asino dalla forza smisurata; il Kaliya, un serpente con cento teste e fumi tossici che escono dalle narici; il Pralambasura, un mostro dai denti appuntiti e gli occhi di fuoco; l’Aghasura, un serpente terrifico che non chiude mai la bocca; ed infine la Bakasura, un’anatra dalle dimensioni sproporzionate.
Silvio Bruno, invece, fornisce una dettagliata panoramica della collezione di creature zoomorfe, e soltanto alcune volte antropomorfe, che rendono ricco e variegato lo specifico patrimonio culturale immateriale italiano (Bruno, 1991: 127-148):
Anfisbena, è un Sauro anticamente considerato serpente, singolarmente dotato di due teste, una su ogni estremità dal corpo;
Aspio, secondo il folklore del Trentino è un essere dalle sembianze ambigue e derivante dall’incrocio di una salamandra con un pipistrello;
Aspisurdo (nel Cicolano [2] detto Aspusùrdu (Adriani, 2001: 4), è il settimo figlio sordo e cieco di una particolare vipera detta Aspide. Essendo particolarmente velenoso la madre si difende dai morsi mortali del nascituro “partorendolo” sopra un cespuglio, da dove lo lascia cadere senza venirci mai a contatto;
Bezoaro, nome di origine araba, si riteneva che fosse un essere con il potere di curare i malati senza ricorrere alla chirurgia e a ogni altro sistema innaturale, poteva conferire a chi lo deteneva il potere di mutare gli eventi atmosferici;
Biedano, di antica tradizione nel viterbese, era anche chiamato ragno o drago dai popolani meno istruiti;
Bis, tipico del Trentino, veniva descritto con le sembianze di un piccolo drago che abita le cavità di vecchi alberi.
Canett, tipico della cultura piemontese, è la reincarnazione delle anime dei dannati, condannati a scontare i peccati correndo senza sosta per pianure e montagne;
Celimontano, descritto come un orribile mostro era noto ai romani del quartiere Celio già dai primi decenni del XIX secolo, fu addirittura studiato dal famoso accademico Luigi Metaxà e scientificamente classificato come Anguis latrans;
Cianciut, di origine triestina, suggeva il sangue dei dormienti;
Colapesce, diffuso nei paesi mediterranei e nell’Europa occidentale, localmente gli vengono attribuite sembianze differenziate. Una versione scritta lo mette in relazione con un tale Cola, ragazzo siciliano (per altri pugliese) che aveva mani e piedi palmati, e passava gran parte del tempo immerso nelle acque marine;
Dahu, tipico dell’arco alpino occidentale, si caratterizza per avere gli arti di un lato più corti rispetto a quelli dell’altro lato, caratteristica anatomica che lo obbliga a procedere inesorabilmente in un solo senso di marcia e sempre alla stessa quota sui versanti intorno alle montagne.
Farfaro (o Farfo, o Fabaro), un drago noto fina dal V secolo che «commetteva ogni sorte di nequizie»;
Falsineo, il più noto dei draghi italiani, della sua presenza ne fu addirittura informato il «dottissimo Ulisse Aldrovandi» scienziato bolognese che «ne disegnò la figura [ed] ebbe cura di appenderlo in un Museo, dove si può visitare»;
Haselwurm, noto in Alto Adige e in Trentino, chi ha la fortuna di osservarlo, di tenerlo in mano o mangiarlo acquisisce poteri straordinari come diventare invisibile, scoprire tesori nascosti, comprendere ogni lingua, essere immune da ogni malattia, prevedere il futuro, comandare gli eventi atmosferici ecc.;
Iseno hof (o Isenhof), meglio noto come zoccolo di ferro valdostano, simile ad un bue, rispetto al quale è dieci volte più grande e ha lo metallico che lo caratterizza;
Marroca, tipico della Toscana e derivante dall’incrocio di un serpente con una lumaca, veniva invocato come spauracchio per i bambini;
‘Mbriana, tipico delle zone ombrose campane, si manifesta con le sembianze di farfalla, lucertola o ragno e ha il nome in comune con «una bellissima fata o strega benigna»;
Menardo, nei primi anni del secolo scorso fece molto clamore il ritrovamento di alcune ossa enormi e «di foggia insolita» all’interno di una grotta nei pressi di Castelmenardo (Rieti) che «la fantasia popolare assegnò [...] a un mitico e non meglio precisato bestione di qualche tipo scomparso»;
Muglione, essere originario delle sorgenti prossime a Rosia (Siena), metà bue e metà pesce.
Munaciello, vecchio folletto vestito da frate, tipico delle selve e delle grotte pugliesi, calabresi, lucane e campane;
Murbl, drago o serpente alato dell’Alto Adige;
Nepa, legato all’antica tradizione di Nepi, cittadina del viterbese, il termine in etrusco significherebbe serpente;
Orchera, mostro gigantesco piemontese, poteva muoversi sull’acqua e sulla terra, aveva l’attitudine di divorare tutti gli uomini che riusciva ad acciuffare;
Pantesca, fu udito per la prima volta nel 1982 a Pantelleria;
Pasturavacche (nel Cicolano detto ‘Mpastoravàcchi – Adriani, 2001: 4), lunghissimo serpente che immobilizza le vacche al pascolo cingendole alle zampe posteriori per suggerne il latte;
Regolo (o Basilisco, nel Cicolano Régolu [3] – Adriani et al., 2013: 118), serpente terrifico con la testa di gatto, descritto da Plinio il Vecchio in Naturalis Historia;
Sabini, terrificante branco di cani inselvatichiti che durante il XVII secolo scorrazzava nel reatino più interno e montano facendo razzie;
Settepassi, perfido anguide vampiresco che nelle notti di plenilunio esce all’aperto per aggredire e divorare i viandanti;
Silvestro, orribile essere serpentiforme dei monti sabini che emette fumo dalle narici, noto fin dal 200 d.C.;
Splorcia, essere mostruoso piemontese rapitore dei bambini che al tramonto non rientrano in casa;
Tarànto (o Tarantàsio), mostro anfibio con le zampe simili a quelle della Tarantola, vive nel Lago Gerundo (Lodi) ed è noto fin dall’anno Mille.
Per quanto ampia e accurata, questa rassegna non è assolutamente esaustiva, limite già apertamente dichiarato dall’autore.
In generale, le entità della fattispecie in questione appartengono al patrimonio culturale immateriale delle specifiche comunità territoriali che le hanno generate, patrimonio che nella quasi totalità dei casi è tramandato esclusivamente per via orale. Per un’ampia gamma di motivi, essenzialmente correlati alle più o meno recenti dinamiche sociologiche interne alle piccole comunità detentrici, la modalità di trasmissione verbale «di generazione in generazione» si è interrotta, o si sta interrompendo, condizione che pone l’intero patrimonio a rischio di perdita definitiva. Rispetto al trend complessivo non fanno eccezione gli esseri zoomorfi beffardi e terrifici della tradizione del Cicolano. Il grave e incontrastato processo di spopolamento che sta vivendo il territorio è il principale fattore che spinge inesorabilmente in quel verso. In questa situazione non è stato arduo rilevare l’urgenza di correre ai ripari, documentando adeguatamente quanto è stato prodotto nell’ambito delle diverse microrealtà locali. Tutto ciò per evitare che la memoria delle fantaspecie vada incontro all’inesorabile destino dell’oblio nel volgere di poco tempo.
L’attuale massima premura, quindi, consiste nel garantire continuità alle figure zoomorfe popolari del Cicolano (Rieti), più avanti dettagliatamente presentate, perché, come ha scritto Paula Gunn Allen, autrice originaria Pueblo, le culture che si basano sull’oralità sono costantemente «a una generazione dalla scomparsa [ed è sufficiente] il silenzio di una generazione» (Portelli, 2007: 66-69) per farle perdere definitivamente; infausto evento che si sta tentando di scongiurare con la produzione di questa documentazione.
Considerato che le fantaspecie sono componenti delle culture territoriali, questa testimonianza si colloca nello scenario generato dalla Convenzione per la Salvaguardia del Patrimonio Culturale Immateriale e dalla Convenzione Quadro sul Valore dell’Eredità Culturale per la Società. La prima emanata dall’Unesco nel 2003 e ratificata dall’Italia nel 2007, l’altra promulgata dal Consiglio d’Europa nel 2005. L’azione sinergica delle convenzioni ha introdotto una nuova visione del patrimonio culturale, non più rivolta in modo esclusivo agli aspetti materiali delle opere d’arte,
Sulla stringente urgenza di dover documentare ciò che si sta rischiando di perdere è stato articolato il progetto che ha coinvolto la Pro Loco di Fiamignano, la neonata Associazione culturale Il Punto e il Liceo Artistico “Antonio Calcagnadoro” di Rieti, inedita e promettente sinergia che ha prodotto questo lavoro. I ruoli assunti dai componenti del sodalizio, definiti a priori e complementari rispetto all’obiettivo che si intendeva perseguire, sono stati così suddivisi: la Pro Loco ha condotto l’indagine di campo e la raccolta della documentazione disponibile sul tema trattato; all’Associazione Il Punto, che riunisce un gruppo significativo di giovani dell’area indagata, è stato chiesto di fungere da snodo per riallacciare quel fondamentale raccordo tra generazioni che si sta drammaticamente perdendo; ai più volenterosi artisti in erba del “Calcagnadoro” è stato affidato il compito di tratteggiare, per la prima volta, le entità fantastiche del Cicolano qui trattate. A tal fine, come da antica consuetudine, agli studenti sono state narrate le vicende degli esseri zoomorfi della tradizione cicolana, e poi è stato chiesto loro di rappresentarli graficamente così come il racconto glieli ha fatti immaginare e dando libero sfogo alla «forza creativa» auspicata da Padiglione e Broccolini (2018: 37). Tutto ciò nella certezza che le morfologie prodotte non sarebbero state identiche a quelle idealizzate in passato, ma anche nella piena consapevolezza, e condivisione, che le manifestazioni folkloriche non sono e non debbano restare immutabili nel tempo, ma siano invece soggette a una progressiva evoluzione.
Concetto chiaramente esemplificato da Leslie Marmon Silko, un’altra autrice americana indiana Pueblo:
«Oggi la gente pensa che le cerimonie dovrebbero essere eseguite esattamente come si è sempre fatto, e che basta un lapsus perché la cerimonia debba essere interrotta o il disegno di sabbia distrutto. Ma il cambiamento è cominciato già molto tempo fa, quando la gente ha ricevuto in eredità queste cerimonie, non fosse altro che per l’invecchiare del sonaglio di zucca giallo o il restringersi della pelle sull’artiglio d’aquila, o anche solo per come cambiavano le voci di generazione in generazione di cantori» (Portelli, 2007: 66-69).
È questa un’opportunità che garantisce agli appartenenti delle nuove generazioni che vogliano cimentarsi, la possibilità di esprimere la propria singolarità pur conservando viva la tradizione.
Tra le entità zoomorfe cicolane, delle quali qui si presentano le immagini inedite, ci sono gli ‘Mpastoravàcchi, serpenti eccezionalmente lunghi, che pare abbiano l’abitudine di cingere le zampe posteriori delle vacche al pascolo per suggerne il latte;
i Régoli (Adriani et al., 2013: 118; Bruno, 1991: 142), anch’essi serpenti, descritti con una inusuale testa di gatto che li rende terrifici;
i Mazzamorélli, notturni e appartenenti alla «“eredità culturale” [dei] terrori superstiziosi» di Alberto Mario Cirese (1961/62: 74), a causa dell’inquietante consuetudine di abitare le aree prossime ai cimiteri e di trascinare agl’inferi chiunque riescano a catturare;
gli Scopacùli [4], esseri contemporaneamente uccelli e mammiferi, tipici delle aree agricole e forestali, accomunati ai precedenti dalla terrificante attitudine di trascinare agli abissi chiunque riescano ad acciuffare.
Grazie all’inedita galleria di rappresentazioni prodotta dagli studenti del Liceo Artistico “Antonio Calcagnadoro” di Rieti, finalmente gli esseri zoomorfi beffardi e terrifici della tradizione orale del Cicolano prendono forma. In tal modo, analogamente a quanto è positivamente accaduto in altri ambiti territoriali, come è il caso del Dahu nell’arco alpino occidentale [5], anche il Turrinsàccu e i suoi fantastici conterranei sono definitivamente messi a riparo dal rischio di “estinzione mnemonica”.
La nuova condizione consentirà «di attivare in futuro progettualità di valorizzazione e di sviluppo» (Padiglione & Broccolini, 2018: 37) che contribuiscano all’auspicabile rinascita del territorio che li ha concepiti [6], e che oggi è in gravissima e inascoltata sofferenza.
Se fin qui si è argomentato sulle entità zoomorfe del Cicolano, senza essere esaustivi per la vastità della materia [7], un tema che per lo stesso territorio resta inesplorato e merita attenzione è il Fitomorfismo simbolico. In tale ambito sono ampiamente noti l’Albero di maggio, che si celebra in molte aree nazionali e oltre confine, e la Pagliara maje maje, benevola figura molisana descritta intorno alla metà del secolo scorso da Alberto Mario Cirese (1955: 207-224).
Ad essa sembra corrispondere un’analoga entità simbolica recentemente riscoperta nella media Valle del Salto, chiamata Saìnu (Adriani & Morelli, 2018: 216), che si sta ancora studiando ma ha già evidenziato alcune caratteristiche molto interessanti.
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