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Uno svizzero che gestiva capitali a Palermo
Posted By Comitato di Redazione On 1 gennaio 2024 @ 00:59 In Cultura,Società | No Comments
Monumento di Christian Fischer, Cimitero acattolico “degli Inglesi” all’Acquasanta, Palermo (ph. Laura Leto)
di Laura Leto
Quando il lavoro e la quotidianità mi allontanano dalla ricerca sulla storia del Cimitero-Lazzaretto all’Acquasanta, è proprio la stessa a richiamarmi a sé mediante piccole scoperte o incontri fortunati.
Nel marzo del 2022, ho avuto modo di conoscere la ricercatrice Alexandra Cooper, dottoranda dell’University di Leicester, attualmente in Sicilia, la quale si occupa del flusso di denaro britannico confluito nel Regno di Sicilia a partire dal 1816 sino al 1860. Dal momento che la mia ricerca focalizza l’attenzione sugli individui deceduti a Palermo dal 1812 al 1865 ca., si comprenderà che mai circostanza fu più felice.
L’argomento principale delle nostre conversazioni è stato Christian Fischer, di nazionalità svizzera, il quale si è presentato ad entrambe come una figura misteriosa ed eclettica e, sebbene abbia lasciato traccia della sua significativa presenza a Palermo – le sue spoglie sono conservate dal 1858 presso il Cimitero acattolico “degli Inglesi” –, non è stato facile trovare fonti documentarie che ne chiarissero la storia.
L’identità individuale dei soggetti indagati, costituita da molteplici aspetti, quali nazionalità, estrazione sociale, professione svolta e relazioni interpersonali, è da analizzare parallelamente – e talvolta si contrappone – all’identità collettiva che tali immigrati acquisiscono nei processi di rappresentazione da parte della società ospitante e in quelli di auto-rappresentazione della comunità di appartenenza. Nel caso specifico di coloro che vennero seppelliti al Cimitero “degli Inglesi”, si tratta di uomini e donne parte di quella comunità di intellettuali, commercianti, banchieri e imprenditori a conoscenza e soprattutto perfettamente inseriti nell’élite finanziaria e commerciale, non soltanto a livello europeo, ma mondiale.
La comunità svizzera residente a Palermo era principalmente nota grazie alla presenza dei soldati a servizio dell’esercito borbonico. A partire dal 1515 al 1874 la Repubblica svizzera inviò infatti i suoi reggimenti in tutta Europa, in particolare in Francia, Spagna e Italia. Questi erano gestiti dalle famiglie dei maggiori Cantoni svizzeri, come Berna, Friburgo, Solothurn e Lucerna che mediante matrimoni strategici rafforzavano il loro prestigio non soltanto politico, ma anche militare. Ogni reggimento stipulava un vero e proprio contratto con una monarchia straniera, alla quale giuravano assoluta fedeltà. Nel caso della casata borbonica, a Napoli, il primo contratto con Carlo di Borbone venne redatto nel 1731, dopo che gli austriaci lasciarono la Città. La salvaguardia del potere avrebbe garantito loro benessere. Nel Regno delle due Sicilie approdarono inizialmente quattro reggimenti con venticinque generali. Se ne aggiunsero altri quattro nel 1825 [1].
Della rivolta del 1848 il viceconsole William Dickinson (1803-1851) [2] raccontava che, sebbene il contratto non prevedesse che i soldati si mescolassero ai rivoltosi, l’esercito rivoluzionario siciliano era costituito da inglesi, francesi, ma anche da svizzeri per una consistenza di circa duemila unità. Quest’ultimi si imbarcarono armati a Genova sulle navi inglesi per giungere a Palermo [3].Tale condizione denota una certa coesione tra la comunità immigrata e quella ospite e pertanto, quando il governo borbonico prese nuovamente il controllo dell’Isola, il fatto che l’esercito fosse nuovamente costituito da soldati svizzeri suscitò grande sdegno nella popolazione.
Tuttavia i morti furono più di 1200. Queste le parole dell’agente della Confederazione John Conrad Hirzel (1805-1895) [4] che delineava la condizione degli svizzeri a Palermo durante i moti del ‘48: «Temevo che i nostri reggimenti svizzeri venissero sacrificati in modo terribile in una lotta contro un intero popolo che cerca solo i suoi sacri diritti» [5]. Dal momento che gli svizzeri di Sicilia – a differenza di quelli di Napoli – erano a favore delle proteste autonomistiche degli isolani, aggiungeva: «Si rimprovera agli Svizzeri che, essendo la nazione più libera d’Europa, sono gli “strumenti” più fedeli del Tiranno, avendo eseguito i suoi ordini con la massima ferocia» [6], obiettando così alle considerazioni negative dei siciliani (Zichichi 1988: 95-96).
Eppure la presenza svizzera non era costituita soltanto da soldati, ma anche da commercianti e proprietari terrieri di culto protestante, dotati di un proprio consolato, esattamente come per la comunità inglese. Tra questi vi erano i Fischer. Dai siti di genealogia risulta che il capostipite della famiglia, per quanto riguarda la presenza sull’Isola, fosse Giuseppe Fisher, originariamente di professione precettore, il quale intraprese la sua ascesa sociale grazie al matrimonio, avvenuto attorno al 1855, con una delle figlie di Giuseppe Miller (1783-1855), a sua volta figlio di Nicolò Miller (1757-1834) primo siciliano della famiglia, di origine tirolese, immigrato in Sicilia per lo sfruttamento delle miniere d’argento di Fiumedinisi, Messina (Fazio 2021: 485). Giuseppe, anche lui figlio di un immigrato, di professione “trafficante”, si ritrovò così proprietario terriero. Ida Fazio attribuisce un’origine tedesca al ramo della famiglia Fischer di Messina. Tra questi discendenti un noto rappresentante era Maximilian Fisher (1757-1825) vice-console per il Regno delle due Sicilie, seppellito assieme alla consorte inglese Elizabeth (1767-1854) e altri membri della famiglia presso il Cimitero degli Inglesi di Messina [7].
Il passo successivo è stato comprendere i rapporti di parentela che legano tale discendenza a quella della famiglia Fischer di origine svizzera e in particolare al Christian Fischer residente a Palermo. Anche in questo caso la Cooper mi è stata di aiuto nel comprendere che si tratta di due rami diversi.
Sugli Indici Decennali dell’Archivio di Stato di Palermo, Stato Civile della Restaurazione, Morti 1856-1865, si legge: «Fischer Cristiano – Giovanni – Walti Anna – 5 agosto 1858 – a. 57 – Oreto – v. 445 – n. 93». Il Nostro nacque infatti in Svizzera da Johannes Fisher (1759-1828), originario di Seengen (Canton Argovia) e da Anna Wälti (?-1855), di Biglen (Canton Berna). Il matrimonio venne celebrato il 22 marzo del 1792 a Bremgarten bei (Canton Berna) e dalla loro unione nacquero tre figli. Al primogenito Johan Jacob Fischer (1792-?) seguì Christian, nato il 2 aprile del 1801, venne battezzato il 12 aprile dello stesso anno a Berna col nome Melchior Christian. Seguì una bimba: Anna Verena (1804-?) [8].
La data di nascita del Nostro, come quella del decesso, sono incise sul monumento funebre del Cimitero all’Acquasanta, ne riporto di seguito l’epigrafe:
Il monumento è piuttosto imponente sebbene sia abbattuto su un fianco. Si tratta di un cippo in marmo privo di basamento che presenta su ogni faccia visibile una cornice con elementi scolpiti in altorilievo. Sulla principale, vi è lo stemma araldico della famiglia Fischer, costituito da un pesce d’oro posto in banda ed accompagnato in campo blu da una stella a sei punte, sopra un elmo e sotto una medaglia con croce del Real ordine di San Ferdinando. Immediatamente sotto è incisa l’epigrafe. Sul lato opposto è scolpita una falce e sul fianco rivolto al cielo si scorge la clessidra alata, ricorrente allusione alla caducità della vita. Dalla struttura si deduce che dovesse essere accompagnato da ulteriori elementi che probabilmente avrebbero aggiunto ulteriori informazioni all’identificazione.
La croce del monumento rappresenta la medaglia ricevuta con l’onorificenza di Cavaliere Gran-Croce, titolo che il Nostro acquisì nel 1856. Questa era costituita da sei raggi d’oro alternati a gigli d’argento, al centro si trovava San Ferdinando, circondato dal motto fidei et merito su smalto azzurro. Come risulta dall’Almanacco Reale del Regno di Napoli, alla sezione “Cavalieri Gran Croci Esteri”, Cristiano Fisher venne nominato Cavaliere Gran-Croce per la Svizzera. Il titolo era concesso da Ferdinando IV come prova di fedeltà nel corso della sua fuga in Sicilia [10].
Grazie alle interviste rilasciate da alcuni membri della borgata che da ragazzini, alla fine degli anni ‘50, giocavano a pallone all’interno del Cimitero, ho potuto confrontare e talvolta confermare alcune considerazioni sull’originaria struttura.
Il monumento – come molti altri – è esempio della distruzione volontaria operata sul sito nel corso degli anni [12]. Come è visibile dai detriti di altra sepoltura presenti sotto il cippo del monumento, non c’è dubbio che la collocazione attuale sia differente da quella originaria. Inoltre, in corrispondenza del punto indicato da chi ha offerto tale testimonianza vi è un basamento che corrisponderebbe con la posizione suggerita, in sintonia con la tipologia di composizioni architettoniche che risiedono in quella specifica porzione di Cimitero [13].
Alle informazioni sopra riportate si aggiunge l’Atto di morte, conservato presso l’Archivio di Stato di Palermo. Sul documento si legge:
Si confermano l’identità dei genitori e il luogo di nascita, si aggiunge la residenza palermitana: Fisher abitava in via dei Porrazzi [15], ma la causa del decesso è al momento ignota. Viene definito “negoziante”, termine piuttosto ambiguo che solitamente faceva riferimento a quelle figure di commercianti-imprenditori protagonisti della Palermo ottocentesca. In questo caso il Nostro dedicò la sua esistenza all’attività di agente-banchiere, acquisendo un ruolo centrale nelle attività finanziarie della Tesoreria del Regno. L’amministrazione in Sicilia venne affidata, a partire dal 1849, al luogotenente generale Carlo Filangeri e al messinese Giovanni Cassisi, una pesante eredità data la crisi che si stava vivendo e l’assenza di ogni forma di attività creditizia locale. L’unica risorsa erano i banchieri privati, i soli disposti a fornire le somme necessarie. Come riferitomi dalla Cooper, il Nostro viene menzionato nel carteggio dei due diplomatici in qualità di agente dei Rothschild – facoltosa famiglia ebrea di origine austriaca – nelle trattative di prestito/credito con i Borbone [16]. Nel marzo del 1821 Carl Mayer Rothschild giungeva per la prima volta a Napoli presso il Ministro delle finanze Ruffo, al fine di provvedere alle esigenze finanziarie dell’esercito della Santa Alleanza – sottoscritto da Austria, Russia e Prussia nel 1815 – inviato per restaurare la monarchia borbonica minacciata dai moti carbonari. L’attività della sua ‘casa bancaria’[17] era fortemente legata a quelle del governo che aveva necessità di continuo supporto e alle finanze pubbliche, non fece che espandersi per quarantacinque anni (Schisani 2015: 9-27).
Il Nostro venne trasferito dai fratelli Rothschild da Parigi a Napoli e più tardi a Palermo, dove diresse gli affari della propria casa bancaria. Come risulta infatti dall’Almanacco del mercante e del banchiere, il Nostro possedeva una propria banca che aveva sede in Piazza Marina, la quale era probabilmente gestita assieme ad un socio che ne proseguì l’attività dopo la sua morte [18].
In Città il banchiere si trovò a svolgere non soltanto un’attività finanziaria ma anche diplomatica, trovandosi a contatto con i vertici delle comunità straniere presenti nell’Isola. Intratteneva rapporti anche con Ignazio e Vincenzo Florio, corrispondenti della Camera di commercio di Napoli dei Meuricoffre, altra famiglia di banchieri svizzeri.
Alle fonti si aggiunge lo storico-archivista Giuffrida che nella preziosa pubblicazione sulla potente Famiglia, cita Fischer come agente a Palermo dove esercitava – cito testualmente – un vero e proprio monopolio sulle operazioni di borsa, Cassisi affermava che aveva un «bel far le viste di travagliare al ribasso ma queste [erano] le solite mene della casa» [19].
Le attività lavorative non lasciarono – a quanto pare – spazio ad una eventuale vita coniugale, ma Fischer trovava probabilmente ristoro nella sua passione per la numismatica. La sua figura di collezionista è nota sia a livello nazionale che internazionale, curando persino una pubblicazione che ambiva a censire gli esemplari più significativi di monete greche e romane. L’opera venne ultimata dal Cavaliere Don Francesco Landolina Paternò dei Baroni di Rigilifi, archeologo e numismatico [20].
«Dopo la precoce ed amara perdita del mio amato fratello Ludovico che meco rimpiangeranno i molti che prezzarono le sue modeste virtù, il suo non comune ingegno, l’infatigabile amore per tutto che concerne i prodotti della nostra Sicilia, rifuggiva l’animo mio dal rivedere e studiare quei medesimi cimelii sui quali per lunghe notti insieme vegliammo onde sì presto fu logoro nella organizzazione che egli sortiva dalla natura. Se non che tratto dalle ripetute istanze di un mio diletto amico, nè sapendo ricusarmi a far cosa richiesta dal lealissimo signor Hirzel, tornai solo per la seconda volta a rivedere il medagliere del signor Chr[istian]. Fischer, pure nel fiore degli anni passato alla seconda vita, che da lui stesso come per grazia singolare, nel 1852 al mio Ludovico ed a me era stato dischiuso» (Landolina Paternò 1863: 5).
Il Cavaliere Landolina riferisce che il fratello Ludovico aveva esaminato la collezione del Nostro che constava di circa 5700 pezzi, sottolineandone la rarità: la più ampia di tutte quelle presenti a Palermo, Si trattava di monete siciliane, raccolte dal 1833 al 1856. Anche Antonino Salinas ebbe occasione di ammirarle e studiarle presso la casa di John Conrad Hirzel che – in mancanza di eredi – custodì per diverso tempo il “tesoretto” (Salinas 1867: 14). Hirzel è citato tra Membri onorari e corrispondenti della Società antiquaria di Zurigo, nel 1854, in qualità di console elvetico di Palermo [21]. I due connazionali condividevano evidentemente passioni e amicizia e come suggeritomi dalla Cooper, è molto probabile che lo stesso Hirzel abbia provveduto alla sepoltura di Fisher.
A proposito della collezione numismatica si segnala ch, su una pubblicazione berlinese del settore, Christian Fischer è protagonista di un dibattito sull’attribuzione del luogo di origine di una moneta della quale possedeva due esemplari, erroneamente collegata a Naxos. Il Nostro suggerì la città siciliana di Nakone (Νακώνη) che doveva trovarsi sulla costa settentrionale, a est di Palermo, come riportato dall’iscrizione ΝΑΚΩΝΑΙΩΝ sul verso del reperto [22].
Nel 1866 il numismatico svizzero Friedrich Imhoof-Blumer (1838 – 1920) acquistò metà delle monete di Fisher per 2000 fiorini, orientando significativamente il proprio interesse verso i reperti greci e romani. Dopo tre anni, il Prof. Conze zu Halle an der Saale le acquisì per il Gabinetto numismatico di Berlino che nel 1900 si arricchì di altri esemplari.
Anche questa volta la sinergia di professionalità volte al recupero della storia delle personalità straniere che hanno reso grande la nostra Città è sfociata nella scoperta di un altro ospite del Cimitero “degli Inglesi” del quale non si conosceva altro che una fredda pietra.
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