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Valorizzazione del patrimonio industriale nelle imprese. Il Museo Birra Peroni
Posted By Comitato di Redazione On 1 luglio 2024 @ 03:01 In Cultura,Società | No Comments
CIP
di Raffaela Gerace [*]
Introduzione
I musei d’impresa, oggi, sono un fenomeno in crescita. Sul sito di Museimpresa, Associazione Italiana di Archivi e Musei d’Impresa, nata nel 2001 che «si impegna per aggregare nuovi soggetti della cultura d’impresa, incidere sui processi di formazione, salvaguardare la memoria dell’industria italiana e valorizzare le testimonianze d’una straordinaria capacità manifatturiera che è motore di sviluppo sostenibile e cardine d’una diffusa cultura economica, sociale e civile» [1] leggiamo: «Nel corso del 2023 si sono uniti alla rete di Museimpresa diciannove nuove realtà […]» [2]; il numero degli associati è passato dai cento iscritti del 2021 «Sale così a 100 il numero totale degli associati […] per Museimpresa che apre il 2021 confermando la sua presenza in 16 regioni italiane […]» [3] agli oltre centotrenta odierni.
Fino agli anni Sessanta, però, lo scenario era diverso; l’oggetto industriale, ha dovuto faticare, per ritagliarsi un posto nelle istituzioni museali italiane, al pari di oggetti di valore artistico ed archeologico. «In Italia, il primo museo d’impresa – Il Museo del Merletto Jesurum (Gilodi, 2002) – risulta essere stato istituito nel 1906, ma l’interesse diffuso per queste realtà non si registra prima degli anni sessanta» (Castellani, 2020: 30-31).
Dalla fine del XVIII, si verifica una graduale meccanizzazione del lavoro, nuove scoperte in ambito scientifico e l’utilizzo di nuove tecnologie alimentano il progresso in ogni campo, da quello agricolo a quello tessile, dei trasporti e così via. Amari, descrive, il periodo compreso tra la metà del XIX secolo e il 1900, come
In Inghilterra e in altri Paesi d’Europa, dove il processo d’industrializzazione era partito prima che in Italia, si registra una collaborazione fra ambito artistico-museale e industriale, già da metà Ottocento. Nel 1861, a conclusione della prima Esposizione Universale di Londra, vetrina del progresso in fieri e occasione di confronto dell’impiego di nuove tecnologie in diverse culture, sorge quello che si può considerare il primo museo industriale, l’odierno Victoria and Albert Museum, «con dichiarati scopi commerciali ed educativi. Conteneva ogni tipo di repertori e di possibili modelli in uso nelle arti decorative, volendo offrire alle maestranze spunti pratici per l’attività professionale» (Amari, 2001:165).
All’inizio del Novecento, in Germania, nasce il Bauhaus, dalla fusione di scuole di arti applicate con l’Accademia di arte di Weimar, con l’obiettivo di rendere completa la figura dell’artista, attraverso l’insegnamento della produzione. Così, mentre fuori dall’Italia «si cominciava a riconoscere una dignità estetica agli oggetti industriali, ove fosse identificabile una dimensione progettuale e si dava loro ospitalità all’interno dei musei d’arte decorativa […]» (Amari 2001:617), nel nostro Paese, il Regio Museo artistico industriale di Roma, sorto nel 1913, dopo la guerra era stato chiuso, come anche il Civico Museo di arte applicata all’industria di Torino e quello di Napoli. Secondo il critico d’arte Longhi «Il fine dei musei è di cultura estetica e non didattico, contemplativo e non pedagogico». Con questa affermazione Longhi offriva la motivazione per far scomparire tutti i musei industriali, nati nel nostro Paese contemporaneamente al primo processo di industrializzazione (Amari 2001: 664).
Fino agli anni Sessanta, in Italia, l’oggetto industriale non era stato preso in considerazione dalle istituzioni museali, avvezze esclusivamente alla valorizzazione di oggetti artistici con valenza estetica, e archeologici, d’interesse storico. «Per la nostra cultura non era considerato filologicamente corretto mettere in mostra oggetti di disegno industriale in luoghi consacrati alle opere d’arte, come invece avveniva in quegli anni negli Stati Uniti» (Amari 2001: 654).
Tra gli anni Cinquanta e gli anni Sessanta, la tv entra nella casa di un numero sempre maggiore di italiani [4] , l’avvento dei primi caroselli favorisce la commercializzazione dei prodotti industriali, le automobili e i mezzi di trasporto consentono spostamenti più veloci, i beni di largo consumo, sono accessibili a fasce sempre più larghe di popolazione. «Nel 1961, stando alle statistiche nazionali, l’Italia non era più un Paese agricolo: industria e terziario […] sul totale degli occupati avevano entrambi superato il primo settore, portando evidentemente con sé nuovi modelli sociali […]» (Balestracci, 2020: 40). Nasce in questo frangente il design italiano che vedrà con il “Made in Italy”
All’inizio degli anni Settanta, prendeva forma una nuova museologia, che iniziava a valorizzare lo sviluppo, anche in ambito culturale, non più solo in quello economico, come era avvenuto fino ad allora. Di questo fenomeno parla Hugues De Varine in Uno strumento per lo sviluppo: il museo. Secondo De Varine, in questo periodo, compare, in ambito museale, il concetto di un museo al servizio dello sviluppo.
Durante la conferenza ICOM tenutasi in Quebec del 1992, viene chiarito che la nuova museologia «assume forme diverse secondo i Paesi e gli ambiti, è essenzialmente un movimento di museologi che cercano di adattare nel modo migliore il museo al proprio tempo e ai bisogni delle popolazioni» (ibidem: 102), così, il museo, diventa un mezzo a carattere trasversale, che può essere utilizzato, in base alle esigenze di sviluppo di una determinata comunità. Questi avvenimenti possono essere considerati, simbolicamente, l’inizio di un nuovo modo di considerare il ruolo del museo, come mezzo per lo sviluppo, tema, fino ad allora, ritenuto esclusivo dell’ambito economico, e non culturale.
È nel clima culturale, fin qui delineato, che, dagli anni Sessanta, in Italia «le imprese italiane iniziano ad avvertire l’importanza della conservazione e della testimonianza della loro memoria attraverso il racconto delle vicende proprie, della comunità e dei territori di appartenenza» (Castellani, 2020:30). Come sottolinea Monica Amari, «Non si può fare a meno di rilevare come la conservazione della memoria della produzione industriale italiana sia stata resa possibile soprattutto grazie all’iniziativa di aziende private». (Amari 2001: 688). Le imprese hanno creato collezioni, archivi e musei, per «lasciare memoria della propria attività. […]. La storia della conservazione industriale del nostro Paese dovrà essere riletta prendendo come riferimento le principali collezioni aziendali» (Amari 2001: 688). È in questo contesto che nascono i musei d’impresa in Italia.
Il Museo Birra Peroni di Roma
Il 1996, è un importante anniversario per Birra Peroni: festeggia 150 anni di vita. Nel 1995 viene pubblicata la monografia dell’azienda Birra Peroni.1846-1996. Centocinquant’anni di birra nella vita italiana scritta da Daniela Brignone, Curatrice Archivio storico e Museo – Affari Istituzionali. Come afferma Enrico Galasso, Amministratore Delegato di Birra Peroni:
Con questo spirito, nello stesso anno, nasce a Roma, l’Archivio storico, nel 2001 apre il Museo Birra Peroni, entrambi associati a Museimpresa, e nel 2021 l’Archivio storico e Museo online. In questo luogo, attraverso la storia e l’attualità dell’azienda, vengono narrate anche le trasformazioni sociali del nostro Paese, da inizio Novecento ad oggi. «I musei e gli archivi d’impresa sono veicoli di sintesi tra storia e innovazione, permettono di documentare e trasmettere quanto le imprese hanno fatto e continuano a fare per la crescita economica, sociale, civile del Paese» (Castellani, 2020:99).
L’Archivio e il Museo si trovano nel quartiere Tor Sapienza di Roma, presso la sede dell’Azienda, vicino allo stabilimento produttivo, ed occupano, complessivamente, una superfice di 500 metri quadri. L’ Archivio consta di 500 metri lineari, in cui «oltre alla documentazione cartacea, la storia dell’Azienda è raccontata da video «1400 pellicole, […] fotografie (10.000 immagini […] confezioni e materiali per il punto vendita, macchinari ed attrezzi. Una biblioteca di oltre 1.000 testi completa l’offerta culturale dell’Archivio Storico Birra Peroni» [5].
Il percorso inizia, e si conclude, nella sala allestita [6] con oggetti iconici dei brands Peroni e Nastro Azzurro, oggi Peroni Nastro Azzurro: la Vespa e la moto Honda con la firma di Valentino Rossi e una serie di casse vintage, addossate alla parete, che, in passato contenevano le bottiglie Peroni e di altri brand. Le casse Peroni rappresentano la storia delle origini dell’Azienda, sono in legno, plastica e cartone, con diversi loghi mutati nel tempo. La Vespa e la moto Honda, oltre ad essere testimonianze, con le loro linee, del design Made in Italy, sono segni dell’italianità all’estero e del connubio di Birra Peroni col mondo delle due ruote; dal 1995, Nastro Azzurro si avvicina al mondo del motociclismo in supporto al team Aprilia e ai piloti Valentino Rossi e Loris Capirossi. Il brand rimane legato a Valentino Rossi, con campagne a favore del consumo responsabile di alcool, fino al 2004, quando viene lanciata la campagna di comunicazione: “C’è più gusto ad essere italiani “, che, nel 2005, diventa il tema di brevi filmati girati con stranieri che esprimono l’amore per l’Italia e Nastro Azzurro; il ricordo è ancora vivo nella mente delle persone, sia in Italia che all’estero. Per fare un esempio, a novembre 2023, ho chiesto ad un collega australiano, sulla trentina, che ho guidato nella visita al museo, se conoscesse l’Honda esposta, e, lui ha subito esclamato: “The Doctor”, soprannome con cui è conosciuto Valentino Rossi.
Sulle casse, è adagiato il Libro degli ospiti, sul quale i visitatori possono lasciare un commento o una semplice firma, prima di andare via. Sfogliandone le pagine, possiamo trovare firme e frasi in italiano, ma anche in altre lingue, come l’inglese o gli ideogrammi giapponesi; il libro diventa, così, un muto testimone dell’internazionalità di Birra Peroni.
Il Museo si articola in tre sezioni, attraverso le quali si narra la storia dell’Azienda dalla sua nascita ad oggi, e se ne mettono in risalto le connessioni con la storia del territorio italiano. La sezione rossa, blu e nera, hanno come tema, rispettivamente, la produzione industriale, l’evoluzione commerciale e quella della comunicazione di Birra Peroni, dalle sue origini ad oggi.
Nella sezione rossa le pareti sono ricoperte da immagini fotografiche di inizio secolo, in bianco e nero, quasi a misura d’uomo, sulle quali sono apposte didascalie esplicative. Entrando, subito a sinistra, è riposto, su un leggìo, un documento recante la firma del suo fondatore, che attesta l’attività dell’azienda nel 1846; Birra Peroni nasce, infatti, in quell’anno, a Vigevano, comune in cui si trasferisce la famiglia Peroni, da Galliate, dove produceva pasta. La prima immagine in cui ci imbattiamo, entrando nella sala, è quella dell’ultima sede dell’Azienda, precedente a quella attuale e ubicata in Piazza Principe di Napoli, che, già nel cambio di nome, suggerisce il passaggio del tempo, sulla didascalia infatti leggiamo: “Stabilimento Peroni in piazza Principe di Napoli, oggi piazza Alessandria, 1910 circa” [7].
La prima fabbrica romana, sita in via dei Due Macelli 74, risale al 1864. Conseguentemente all’incremento di lavoro e all’aumento dei dipendenti, l’Azienda cambia varie sedi, seguendo lo sviluppo urbanistico della Capitale «nel 1871, in piazza San Pietro […] 3.200 metri quadrati e una trentina di lavoratori, tra operai e impiegati. L’azienda trascorre qui 25 anni. È nel 1896 che i figli del fondatore trasferiscono la ditta in una fabbrica vicina al Colosseo, in via del Cardello» [8]. La sede del 1901 è importante perché indica il luogo della fusione della Fabbrica di Ghiaccio con La Fabbrica di birra Peroni, una delle prime intuizioni strategiche dell’azienda: ciò permetteva di competere con le birre importate. All’epoca, il ghiaccio, giocava un ruolo fondamentale nella produzione della birra a bassa fermentazione, genere che si stava diffondendo in Europa e in Italia; come indica il nome stesso, con questo metodo, la birra veniva fatta riposare a basse temperature, cosa usuale nei Paesi di Baviera, o comunque con clima freddo, e meno diffusa in Italia. Se consideriamo che nel 1900 non esistevano i sistemi di refrigerazione a cui siamo abituati oggi, possiamo capire la portata delle conseguenze che avrebbe innescato la fusione delle due Fabbriche.
Fra le immagini presenti sulle pareti, ci sono quelle che testimoniano l’espansione dell’Azienda in Italia nel secolo scorso, partita con l’avvio dello Stabilimento di Bari nel 1924 e l’acquisizione di vari birrifici fra cui, Raffo di Taranto e Itala Pilsen di Padova che, insieme a Wuhrer di Brescia, acquisita nel 1988, fanno ancora parte di Birra Peroni.
Dalla selezione degli oggetti esposti in un museo, possiamo risalire al contesto sociale che li contiene. Come indica Ricci a tal proposito, in un museo demoantropologico, gli oggetti
Attraverso l’accostamento alle immagini fotografiche di oggetti d’ufficio come timbri, registri, macchine da scrivere e simili, è ricostruito l’ambiente di lavoro degli uffici Wuhrer negli anni Venti.[10]
Un altro tema affrontato, è lo spirito di famiglia che regna fra i soci dell’Azienda e i dipendenti, riscontrabile attraverso immagini di attività extralavorative
Sulla parete troviamo esposte immagini che esemplificano questo spirito tramite attività come “La gita del dopolavoro di Bari, a Napoli, del 1937” [11] e la “Consegna dei regali ai figli dei dipendenti di Napoli per “La Befana fascista” del 1938”. Altre immagini attestano il legame di Birra Peroni con il territorio, attraverso la sponsorizzazione di eventi sportivi e locali, come la “Gara dei camerieri nelle strade di Napoli” degli anni Trenta [12], la “Benedizione delle macchine per S. Nicola patrono di Bari, 1967”, “I regali Peroni per la Befana del vigili, in Piazza Venezia a Roma, 1964” e attività come “Donne e bambini in visita agli stabilimenti Peroni, anni Sessanta”[13]. La proiezione del filmato Lo sport aziendale. Peroni-Finsider 8 a 2, partita di pallone fra azionisti, membri della famiglia Peroni, impiegati e operai, testimonia il rapporto amichevole fra soci e dipendenti.
La parete si conclude con immagini, didascalie e teche contenenti dépliant e libri, attestanti la formazione del personale interno, l’avanguardia tecnologica adottata da Birra Peroni fino al 1950 e le visite in fabbrica con “Ospiti presso lo Stabilimento Peroni negli anni Trenta” [14].
Nei primi decenni del secolo i braumeister erano di nazionalità tedesca, ma durante la guerra furono espulsi insieme alla manodopera austriaca; si inizia, così, a porre più attenzione allo sviluppo delle competenze del personale italiano sia ai membri della famiglia Peroni. «Uno dei figli di Cesare Peroni, Franco […] come già era accaduto a Francesco, figlio di Giovanni, verrà inviato presso la tedesca Fakultat fur Brauwesen di Weihenstephan, la più antica Università birraria del mondo» [15].
Durante la guerra, la requisizione da parte delle autorità militari, di due terzi dei cavalli, all’epoca principale mezzo di trasporto, aumenta la difficoltà nelle consegne e negli spostamenti. Fra i documenti esposti nel museo, troviamo un precetto del Ministero della Guerra relativo alla requisizione: «I cavalli della società Birra Peroni vennero precettati dal Ministero della guerra, non appena l’Italia prese parte al conflitto bellico: l’anziana cavalla Mina, tuttavia non superò gli esami di maturità» (Brignone, 1995: 91) [16].
All’indomani del primo conflitto mondiale, il regime cercava di «privilegiare lo sviluppo delle industrie nazionali e promuoveva la coltivazione di orzo e la maltazione in Italia» (Brignone,1995:85). La “nazionalizzazione” dell’industria birraria italiana con la « coltivazione di orzo distico, utile alla fabbricazione della birra e nello sviluppo dell’industria maltaria»“(Brignone, 1995 : 119), favorisce, sotto il regime fascista, la ripresa di Birra Peroni [17].
Nel 1938 nasce la malteria SAPLO (società anonima produzione e lavorazione dell’orzo): «Birra Peroni attualmente collabora con oltre 1.500 agricoltori per la produzione di orzo distico da birra. L’orzo viene prodotto in diverse regioni tra cui: Marche, Abruzzo, Molise, Puglia, Umbria, Toscana, Lazio, Campania, Sardegna e Friuli Venezia Giulia» [18]. In uno spazio della sala, sono ricreati gli ambienti di lavoro del processo produttivo di inizio Novecento: il magazzino di stoccaggio è arricchito dall’esposizione delle materie prime, come l’orzo [19] e della pulitrice del malto in legno, risalente agli anni Trenta, da foto del reparto degli anni Venti e da didascalie relative agli ingredienti impiegati nella produzione della birra.
Il laboratorio del bottaio, è proveniente dallo stabilimento di Bari, dove è rimasto in funzione fino agli anni Sessanta [20]. In una sequenza del filmato La fabbrica di Napoli 1925, che illustra il lavoro degli anni Venti, si vede una riempitrice in funzione e gli operai che sistemano le bottiglie di birra nelle cassette metalliche; la scena diventa funzionale agli oggetti e alle immagini che troviamo nella sala successiva, dove è ricostruito il reparto di confezionamento e spillatura, con utensili del reparto imbottigliamento, fra cui le cassette metalliche che si vedono nel video e una riempitrice originale proveniente dallo stabilimento Wuhrer di Brescia [21]. Dietro la riempitrice, si scorge uno scatto del fotografo Vasari che risale al 1920 [22], «nello stabilimento di Roma la chiusura del tappo meccanico era effettuata manualmente dal personale femminile» (Brignone, 1995:104). Attraverso questo esempio, veniamo a conoscenza di un mestiere scomparso, sostituito dall’efficienza delle macchine e dall’impiego di una nuova tecnologia per chiudere le bottiglie, con tappo a corona[23]. Un’immagine del nuovo stabilimento di Napoli del 1953 [24], conclude la sezione. Questo, segna, simbolicamente, il passaggio da un’architettura e organizzazione ispirata al modello tedesco tradizionale, rappresentata dallo stabilimento di inizio secolo a piazza Alessandria, a quella del modello americano, più moderno ed efficiente, degli anni Cinquanta, su cui si basano i successivi stabilimenti di Bari, Padova e Roma:
A seguire, nella sezione blu, viene narrata l’evoluzione commerciale. Su una parete troviamo esposta l’evoluzione delle bottiglie, partendo da quella con tappo meccanico, sostituito nel 1939 dal tappo a corona. «Il celebre tappo metallico della birra Peroni: affisso alla porta di bar, osterie, segno distintivo per lo stesso esercente. Il tappo “corona” era infatti per il consumatore, la garanzia del sigillo della bottiglia, avvenuto sotto il controllo della Birra Peroni» (Brignone 1995:156). L’esposizione, documenta l’evoluzione del packaging, e, nello stesso tempo, l’acquisizione dei birrifici nel tempo «La bottiglia con tappo meccanico e marchio impresso a caldo sul vetro, testimonianza della crescita del numero degli stabilimenti Peroni dagli anni venti alla fine degli anni trenta» (Brignone, 1995: 126) [25].
In questi esempi, possiamo scorgere le innovazioni tecnologiche e la trasformazione dei mestieri che contribuivano al cambiamento sociale. Un altro allestimento, è paradigmatico dell’evoluzione dei mezzi di trasporto [26]: il carro trainato dai cavalli utilizzato per consegnare la birra a inizio secolo, viene man mano sostituito da automezzi negli anni Venti, dall’ape negli anni Cinquanta, fino al camion degli anni Sessanta e il bilico degli anni Novanta; un altro ancora, rimanda al cambiamento delle abitudini degli italiani: un bar degli anni Cinquanta «il luogo simbolo della socialità italiana» come indica la voce narrante del Museo online «con lo storico distributore frigorifero di bottiglie […] Allo stesso periodo risale l’avvento della distribuzione moderna con il primo supermercato aperto a Milano nel 1957» [27]. Ancora una volta, al racconto dell’evoluzione aziendale, è legata la trasformazione degli usi sociali; l’apertura dei supermercati è indice di un mutamento dello stile di vita degli italiani, i quali iniziano a rivolgersi, sempre più, a beni di largo consumo.
L’ ultima sezione, quella nera, narra l’evoluzione della comunicazione. Dietro la trasformazione del messaggio pubblicitario, è possibile cogliere i pubblici diversi a cui, di volta in volta, si riferisce. Dall’immagine del 1910 ca, che può considerarsi una prima forma di pubblicità, il ciociaretto, ragazzino con le cioce ai piedi che beve birra per strada, considerata un prodotto rurale, si passa, negli anni Venti, a quella del cameriere [28], associata al consumo al tavolo del bar e dei ristoranti, rivolta a gente elegante e benestante. Nella società di oggi sarebbe impensabile associare una bevanda alcolica ad un minorenne. Proseguendo, troviamo l’iconica Bionda [29], riprodotta nelle immagini sulla parete e nel televisore d’epoca, che trasmette i caroselli degli anni Sessanta, con i vari slogan, fra cui “Chiamami Peroni sarò la tua Birra”. La Bionda tra contestazioni del movimento femminista, e acclamazioni, rappresenta l’evoluzione della donna fino agli anni 2000. Il lancio della campagna «in cui la bionda Solvi Stubing veniva identificata con la birra. Era l’apoteosi della donna oggetto e non mancarono le polemiche» (Brignone,1995:185). La comunicazione si evolve nel tempo, fino ad arrivare al messaggio odierno, ben diverso dai precedenti “Se ci unisce è Peroni” che rimanda alle sponsorizzazioni di calcio, di rugby e ai valori che uniscono; è anch’esso indice, insieme agli oggetti del museo, della mutevolezza della società nel tempo.
Oltre che per visite guidate, il museo viene utilizzato per altre attività. Sotto, riporto una parte dell’intervista fatta a Daniela Brignone, a Marzo 2024, in cui parla delle iniziative legate al museo, e, dove è rintracciabile, il ruolo del museo come luogo di comunicazione, ma anche come dispositivo di scambio, fra azienda e territorio: Andrea Quintiliani, nel saggio Il museo d’impresa: rassegna della letteratura del 2015, afferma:
Il Museo Birra Peroni come si colloca rispetto a quest’affermazione? È stato pensato per raccontare la storia di una collettività, non di singole persone. Fino a tre anni fa le attività vertevano principalmente su lavori prevalentemente culturali, legati alla storia e alle connessioni con i territori. Fra le altre ricordiamo: Il Walkabout del 2018, passeggiata a due voci, che racconta la storia di Birra Peroni attraversando un percorso che parte dalla storica sede, ormai destinata ad altri usi, sita a Piazza Alessandria, ed arriva presso quella che è stata un’altra storica sede, anch’essa oggi destinata ad altro uso, in via dei due Macelli, allestita per l’occasione con pezzi del museo. La Mostra “Acqua e Birra per Roma Capitale” nel 2018; l’Archivio Storico Birra Peroni in collaborazione con l’Archivio di Stato di Roma, danno vita alla mostra, durante la quale si evidenzia il legame storico fra birra e acqua, e il rapporto delle loro storie con l’evoluzione demografica e urbana della città.
Nel 2014 il museo partecipa ad una mostra di nicchia svoltasi a Viterbo, Caffeina, con un’esposizione della storia del prodotto, occasione per comunicare qualcosa di strategico. Nel 2020 è stato pubblicato il libro Lo sguardo degli altri, in cui la storia dell’Azienda viene ripercorsa attraverso immagini dell’Archivio Storico Birra Peroni a cui si affiancano gli scatti di cinque giovani fotografi dell’Istituto Europeo di Design. L’obiettivo è quello di creare reputazione sostenendo il business.
Dal periodo post pandemico, le attività del museo sono orientate su tematiche coerenti con le nostre 4 P: Planet, People, Portfolio e Profit. Il museo è un luogo utilizzato per la comunicazione e per il perseguimento degli obiettivi strategici aziendali, come la Diversity & Inclusion, per esempio nel progetto Pari e Dispari realizzato con Scuola Holden, all’interno del quale abbiamo parlato di donne e lavoro, donne e sport, donne e comunicazione, oppure in occasione dell’intervista a Milena Bertolini, allenatrice della nazionale femminile.
L’Heritage segue le nostre quattro P, nell’ambito del Portfolio supporta i brand nelle loro celebrazioni o nei momenti di trasformazione, in cui l’aggancio all’Heritage ha un valore aggiunto, per esempio, con Peroni Nastro Azzurro, a novembre 2023: in occasione della settimana della cultura di Museimpresa, è stato creato un evento online presso il Museo Birra Peroni, che racconta la storia di Peroni Nastro Azzurro su Google Arts & Culture. e, durante il quale, svolgo l’intervista con Claudio Costa, Head of Brewing Birra Peroni e Marina Manfredi, Peroni Family Brand Directory Birra Peroni. Di recente abbiamo fatto due mostre per il lancio nazionale di Raffo e, tutto il materiale storico che ho fornito, verrà utilizzato per il nuovo sito del brand, di ampiezza nazionale.
Oggi si parla molto di sostenibilità, nell’attuale definizione di Museo dell’ICOM leggiamo «Il museo è un’istituzione permanente senza scopo di lucro e al servizio della società, che compie ricerche, colleziona, conserva, interpreta ed espone il patrimonio culturale, materiale e immateriale. Aperti al pubblico, accessibili e inclusivi, i musei promuovono la diversità e la sostenibilità».
È in corso qualche attività del museo legata a questa sfera o pensi che si possa realizzare?
«Sì, l’attività Heritage verrà inserita nel bilancio di sostenibilità, parleremo di museo, in ambito sostenibilità, nell’accezione di rapporto e supporto alle comunità, raccontando in che modo interagiamo con comunità scolastiche, stakeholder, comunità universitarie, attività commerciali, master, eccetera».
L’offerta dei musei d’impresa, nel tempo, si è sempre più arricchita. Cliccando sul link di diverse aziende, è facile vedere proposta la possibilità di visitare il museo, in abbinamento allo stabilimento produttivo e/o ad altre eventuali esperienze [30]. «L’interesse per ciò che in Italia comincia a essere definito Turismo Industriale ovvero il collegamento tra diverse strutture espositive aziendali (musei, collezioni) siti archeologici e reparti produttivi manifestato dal 6% delle aziende interpellate, ha portato in questi anni alla proposta di itinerari di visita più complessi «(Amari:2001:1001). Nell’ambito di questo fenomeno, Amari, colloca l’attività di factory tour:
In Birra Peroni, organizziamo per gli stakeholder, visite guidate e factory tour [31], con giro dello stabilimento produttivo, visita al museo, con la curatrice [32] o una guida specializzata, e degustazione con prova spillatura presso la sala birreria; il fine di quest’attività, è di ripercorrere le fasi salienti che consentano di conoscere il prodotto e spillare una buona birra, come è consono ad un perfetto mastro birraio.
visita al Museo Birra Peroni durante il factory tour di Marzo 2024 con la curatrice Daniela Brignone
Conclusioni
Negli ultimi due anni, in collaborazione con i colleghi dei rispettivi dipartimenti, ho organizzato e coordinato alcuni factory tour, raccogliendo i feedback dei partecipanti alla fine dell’attività.
Dalle considerazioni dei colleghi [33], si può leggere quanto sia importante la patrimonializzazione della storia della azienda; emerge che il museo ha un ruolo attivo nel lavoro di tutti i giorni, in fatto di motivazione e ispirazione. Non solo i colleghi assunti da meno di tre anni, ma anche quelli più anziani, parlano dell’orgoglio di lavorare in un’azienda che vanta una storia di oltre 175 anni. Nelle testimonianze di ciascuno, si parla di storia, patrimonio, evoluzione, cambiamenti, tradizioni dell’azienda che viaggiano parallelamente a quelle della società, e con le quali si intrecciano. «Come se per vedere il futuro fosse necessario guardare le origini» dice Stefania, contestualmente a quanto afferma Castellani, «il presente svincolato da una continuità fluida con il passato e il progetto di futuro diventa inevitabilmente una superficie senza profondità» (Castellani, 2020:59); e ancora, Mario afferma che, scoprendo «le radici dell’ azienda in cui lavoriamo […] si riesce a percepire come un’azienda familiare sia diventata una vera e propria istituzione», oppure Andrea, parla di come «le vite vissute a ritmi diversi dai giorni nostri. fanno pensare a quanto lavoro ci sia voluto per arrivare al nostro “oggi”»; secondo Silvia la visita al museo «aiuta […] a rendere con esempi e racconti, questo concetto di “Birra Peroni” quale parte della storia italiana e degli italiani” e per Alessandro è utile perché, attraverso l’osservazione degli oggetti esposti «emergono, la tenacia, la capacità organizzativa, la lungimiranza imprenditoriale sempre orientate a mantenere alta la qualità della produzione, attraverso l’utilizzo di materie prime di alto livello che ha permesso di traghettare superando periodi durissimi l’azienda fino ad oggi».
In queste affermazioni, si scorge un comune sentire, un osservare partecipante a ciò che è esposto, quasi come se, scoprire che anche in passato ci siano stati momenti difficili e che siano stati superati, rassicuri sul poterlo fare anche in futuro, forti di un esempio storico che insegna un “come fare”. Come afferma Castellani:
Il museo è anche un luogo di ispirazione, come osserva Niklas, «mi ha fatto capire il valore del nostro lavoro come tutela di un patrimonio nazionale che unisce le persone dal 1846»; Per Marta «è fonte di ammirazione del passato e uno stimolo motivazionale per il futuro» e Giorgia dichiara che «attraverso la visita al Museo è possibile elaborare strumenti di argomentazione da portare all’esterno». Ripercorrere l’evoluzione di un’azienda, fa capire qual è lo spessore della stessa, attraverso il modo in cui ha affrontato successi e difficoltà, come sostiene Paola, si racconta «un percorso di rivoluzioni, innovazioni e di persone!». Secondo Gabriele è un luogo di scambio: «siamo noi che invitiamo il cliente a casa nostra, mentre di solito, al contrario, quando entriamo nei locali, bar, pizzerie e pub, andiamo noi a casa loro» , come osserva Alessandro: «tra le immagini esposte possiamo riconoscere i nostri nonni e le persone che ci hanno preceduto» come se, attraverso la visita del museo Birra Peroni, potessimo conoscere la storia di ciascuno di noi. Per Francesco « il museo è un valore aggiunto durante la negoziazione» con i clienti, la visita genera una carica emozionale che va oltre la fredda analisi di numeri.
In tal senso il museo può essere considerato un luogo d’incontro fra il tangibile e l’intangibile, che, per alcuni aspetti, rimanda alla prospettiva continuista fra dono e merce, attraverso la «ricerca dello hau» di cui parla Dei in Antropologia culturale (2016: 219): «Costruiamo le nostre reti di relazioni sociali concrete e per far questo utilizziamo […] la capacità di creare rapporti nello scambio, di produrre legami nelle anime».
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