Oriana Fallaci è mancata dieci anni fa e mancano le distanze storiche per darne un giudizio distaccato perché le vicende di cui si è occupata a partire dal 2001, anno dell’attentato alle Torri Gemelle, sono tuttora aperte: questo rende impossibile esprimere valutazioni che non risentano del clima di paura e di smarrimento che il nuovo terrorismo islamico ha diffuso in Europa e nel Vicino e Medio Oriente. E non sappiamo quando questo ciclo perverso si possa concludere perché è in atto una guerra asimmetrica totalmente nuova.
Maurizio Molinari, autore di Jihad. Guerra all’Occidente (Rizzoli, Milano 2015), pur usando i toni pacati del saggista, ha affermato che il problema è destinato a durare per molti anni. Quindi, risultando impossibile tirare delle somme, bisogna limitarsi ad alcune riflessioni provvisorie, invocando una sospensione di giudizio.
Il primo fatto che appare evidente è che la Fallaci si è rivelata esclusivamente una brava giornalista sempre attenta alla notizia e allo scoop giornalistico. Una giornalista con una forte personalità che spesso, anche nelle interviste, finiva col prevalere sull’intervistato.
I suoi libri giocano molto sull’emotività dei temi e dei modi espressivi della sua scrittura. Ho avuto modo di parlare con la Fallaci e mi sono reso conto della sua fortissima personalità. Mi scrisse nel 2003 il biglietto che cito solo parzialmente perché riguardava giudizi troppo personali: «Se capita a New York, mi cerchi. A Lei la porta la apro… E quando vengo in Italia, la chiamo comunque io». Ho conosciuto persone che per poterla intervistare cercarono di fare carte false.
Confesso che negli anni successivi al 2001 sono stato un suo sostenitore, condividendo molte delle sue reazioni, in primis la “rabbia” e l’“orgoglio” di appartenere all’Occidente. Quando mi accorsi che la destra si era impadronita totalmente di Oriana, il mio entusiasmo è calato, anche se tra le reazioni di giornaliste come Lilli Gruber e Lucia Annunziata, che si occuparono delle vicende legate all’11 settembre, non posso non porre in evidenza il coraggio della Fallaci rispetto al conformismo assai poco convincente di altri.
Fallaci riteneva che l’Occidente minacciato dovesse reagire all’attentato alle Torri Gemelle, vedendo in questo accadimento il segnale di un attacco senza precedenti alla nostra sicurezza e alla nostra identità. Certo era la giornalista italiana più conosciuta nel mondo, ma non credo che si possa dire che ella fosse anche la più apprezzata, perché i suoi articoli sono stati sempre divisivi, anche quando la sua militanza a sinistra era riconosciuta e persino apprezzata da chi ne fece successivamente un fantoccio polemico per i suoi attacchi sovente esasperati. Spesso infatti si dimentica il suo antifascismo e persino un suo piccolo, personale impegno nella Resistenza.
I suoi testi dopo l’11 settembre vennero considerati da molti come razzisti, privi di quella riflessione storica e di quell’analisi calma dei fatti che è necessaria proprio in tempi eccezionali. Che l’Occidente abbia ceduto parzialmente all’Islam, distinguendo un Islam moderato da un Islam estremista, è un dato di fatto: ma non si può neppure accettare una visione dell’Islam come un blocco monolitico, come riteneva la Fallaci. L’Occidente, comunque, non può muoversi contro l’Islam, dimenticando le sue radici laiche e illuministe che portano al dialogo e alla tolleranza. Difficile parlare di fronte alle stragi di tolleranza, ma, in linea teorica, essa non va mai rifiutata a priori. La dimostrazione della frammentazione del mondo islamico sta nel fatto che le prime vittime dell’Isis sono proprio i musulmani.
La Fallaci fu l’unica donna a intervistare Khomeini, assurto al potere in Iran dopo aver detronizzato lo Scià. In quella celebre intervista coglieva tanti aspetti del regime totalitario instaurato in Iran, come il disprezzo per le donne e i fondamentalismi religiosi. Eppure, forse non colse abbastanza che da quella rivoluzione ebbe inizio l’identificazione politica tra Città di Dio e Città dell’uomo, in una prospettiva destinata a crescere e che mostrò la modernità come una concezione che snatura i Paesi islamici, che debbono invece avere come unica legge il Corano. In tutta questa vicenda ha un ruolo determinante il petrolio, che ha predominato in vicende che sono sì politico-religiose, ma anche fortemente condizionate dall’oro nero. La civiltà Occidentale si era illusa, crollato il comunismo sovietico, di avere vinto su tutti i fronti. Sembrava quasi la fine della storia di cui parlava Hegel. Invece si passò dalle guerre ideologiche alle guerre di religione.
A dieci anni dalla sua morte, i suoi libri hanno retto solo in minima parte al logorìo del tempo e ai cambiamenti in peggio avvenuti nel campo dell’Islam e del terrorismo. Molte delle sue pagine restano ancora attuali, ma nel complesso il suo atteggiamento e le sue denunce nei confronti dell’“Eurasia” appaiono ormai superati, perché la situazione si è ingarbugliata e il suo manicheismo ci impedisce di comprendere pienamente un fenomeno complesso come quello che viviamo.
Tiziano Terzani, che rispose alle invettive di Oriana, scrisse che «in lei sembrava morire il meglio della testa umana, la ragione, il meglio del cuore, la compassione». È facile – si può obiettare a Terzani – che i tempi di ferro e fuoco non ci portino alla comprensione. Ma è fuor di dubbio che la ragione deve sempre prevalere, e Oriana se ne era accorta lei stessa nel suo secondo libro, intitolato appunto La forza della ragione (Rizzoli, Milano 2004).
Ebbe sicuramente la lucidità di vedere il gravissimo errore della guerra in Iraq voluta da Bush e da Blair e le conseguenze disastrose che ne sarebbero derivate. Il suo furore antislamico la portò persino a considerarsi un’“atea cristiana”, lanciando idee che poi vennero sviluppate da Marcello Pera nel suo libro Perché dobbiamo dirci cristiani. Il liberalismo, l’Europa, l’etica (Mondadori, Milano 2008). E fu centrale per Oriana e per Pera l’incontro con Papa Benedetto XVI che non credeva nel dialogo interreligioso e sollevò riserve sull’Islam che il suo successore ha totalmente cancellato.
Il mondo islamico nella sua storia passata e in quella presente è una realtà molto complicata. Le sue divisioni interne sono evidenti. La Fallaci,sull’onda delle forti emozioni suscitate dall’11 settembre, ha sottovalutato molti aspetti: lo stesso Corano non può essere letto e interpretato nella sola maniera in cui lo leggeva la Fallaci, che pure, nella sua attività giornalistica, aveva conosciuto il mondo arabo in modo approfondito.
Quella della Fallaci resta la testimonianza più viva di una reazione che tutti più o meno hanno avuto dopo l’11 settembre, senza riuscire ad andare oltre, anche perché le reazioni violente che questa drammatica vicenda suscitò la portarono a esasperare le sue posizioni. Posizioni che denotano, in ogni caso, una personalità libera e tenace, della cui sensibilità sentiamo ancora la mancanza.
Dialoghi Mediterranei, n. 22, novembre 2016
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Pier Franco Quaglieni è Direttore del Centro “Pannunzio” di Torino. Giornalista, docente e saggista, è autore di molti studi storici. Già Vicepresidente della International Federation of Free Culture di Londra e Presidente Nazionale della F.I.D. Federazione Italiana Docenti, è stato insignito dal Presidente della Repubblica del Cavalierato di Gran Croce dell’ordine al merito della Repubblica, massima onorificenza dello Stato. Medaglia d’oro dei Benemeriti della cultura, della scuola e dell’arte, tra le sue pubblicazioni si segnalano i volumi: Liberali puri e duri. L’eredità di Pannunzio (Genesi, Torino 2009), Mario Pannunzio. Da Longanesi al “Mondo” (Rubbettino, Soveria Mannelli 2010).
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