di Alessandro Lutri [*]
5 dicembre 2017
Era da circa due anni che non tornavo a Gela percorrendo la SS115 su cui c’è l’ingresso centrale alla raffineria del cane a sei zampe, da quando con una certa frequenza venivo in questo territorio per partecipare, e allo stesso tempo conoscere, l’organizzazione della protesta no MUOS degli attivisti di Niscemi e di altre parti della Sicilia, contro l’installazione delle antenne satellitari militari americani [1]. Ho un appuntamento con un dirigente sindacale di categoria, il quale mi aspetta di fronte allo spiazzale del cancello d’ingresso dello stabilimento petrolchimico, partecipando a un picchetto di operai manifestanti.
Spaesato un po’ da questa manifestazione di protesta, dopo i primi convenevoli di rito, avendo bene impresso in mente l’immagine del nuovo logo green del Cane a sei zampe di Gela [2], mi viene immediato chiedergli la ragione di quella mobilitazione, dato che la città in quest’ultimo anno è stata sempre più illuminata dal nuovo magico raggio verde del Cane a sei zampe (la riconversione industriale di tipo green di una parte del suo impianto tecnologico di raffinazione).
Un raggio verde che trae energia dalla prima parte del protocollo d’intesa stipulato nel novembre del 2014 tra vari stakeholder (Regione siciliana, Comune di Gela, Ministero per lo sviluppo economico e le attività produttive, Organizzazioni sindacali), che prevede una quota minoritaria (circa 1/10 di 2,2 miliardi euro) degli investimenti economici e tecnologici in attività di green refinery (la produzione di biocarburanti tramite la raffinazione di materie prime provenienti da scarti alimentari -olio di palma- e animali; la produzione di materiali chimici naturali). La seconda parte dell’accordo invece assegna la quota maggioritaria degli investimenti per attività di upstream (circa 9/10) sulla valorizzazione e implementazione delle tradizionali attività di estrazione di materie prime fossili (gas e petrolio). A questi investimenti economici industriali vanno ad aggiungersi quelli molto esigui di tipo compensatorio (investimenti per il recupero e l per la costruzione di opere pubbliche nella città).
Il raggio verde illuminante la prima parte degli investimenti economici e tecnologici è stato proiettato sia sulle pagine digitali create direttamente dal Cane a sei zampe (social e Youtube), sia sulle pagine cartacee di organi di stampa regionali e nazionali, nonché tra alcune delle scuole superiori del territorio.
Alla domanda posta al dirigente sindacale di categoria, questi mi risponde sia silenziosamente tramite un’espressione visiva, che io interpreto come, «ma credi veramente alle opportunità green della conversione dell’ex raffineria fossile in bio-raffineria!». Sia verbalmente affermando «noi stiamo qua manifestando per chiedere all’Eni il rispetto dei tempi per la realizzazione delle attività previste nella seconda parte dell’accordo, da cui dipende realisticamente il futuro lavorativo del residuo di operai industriali dello stabilimento di Gela, che già sarebbero dovuti iniziare. Vigileremo sinché non vedremo i contratti di assunzione a tempo indeterminato dei lavoratori».
Se questo tipo di investimenti economici e tecnologici (le tradizionali attività estrattive) finora non è stato illuminato dal Cane a sei zampe con nessun tipo di raggio magico luminoso, probabilmente perché non lo farebbero brillare di luce nuova, sembra che invece a illuminarli ci pensino le organizzazioni sindacali, che gli chiedono di svegliarsi e spenderli.
Una visione magica: l’arrivo del Cane a sei zampe
Nel bene e nel male in questi ultimi sessant’anni la vita economica e sociale di Gela ha dipeso dall’insediamento sul suo territorio del Cane a sei zampe (l’Eni), che ha iniziato a sedurre la città con la sua magia petrolifera [3] sin dalla seconda metà degli anni Cinquanta, quando scavando nel suo sottosuolo fu scoperto che questo conteneva tracce di petrolio. Una scoperta che ha magicamente sedotto il Cane a sei zampe, la politica a diversa scala ed i lavoratori agricoli affamati di benessere, nonché il mondo della cultura [4]. La profonda seduzione della magia petrolifera ha fatto sì di convincere gli amministratori, gli operatori economici e i lavoratori di questo territorio dell’opportunità di affiancare al paesaggio agrario realizzato dal tradizionale mondo locale, da cui vengono estratti i prodotti necessari alla sopravvivenza umana mediante lo sfruttamento dell’energia solare (i prodotti agricoli), la creazione di un nuovo paesaggio di tipo industriale, dai cui terreni estrarre le risorse energetiche necessarie alla sviluppo della modernizzazione economica e sociale del territorio (gas e petrolio). Tutto ciò ha portato gli amministratori regionali e locali a concedere ampio mandato all’impresa pubblica di perforare i terreni sia della fertile piana agricola sia del mare prospicente Gela, investendo molteplici risorse economiche e tecnologiche (circa 80 pozzi di estrazione, impianti di raffinazione, di stoccaggio, etc.), con cui è stato disegnato il nuovo paesaggio industriale.
Come è noto la ragione del magico investimento economico e tecnologico compiuto da Enrico Mattei nei tardi anni Cinquanta, non risiedeva assolutamente né nella qualità del prodotto energetico fossile estratto (gas e petrolio) né nella sua quantità estraibile, bensì nel basso costo della manodopera disponibile (i braccianti agricoli) e soprattutto nell’opportunità di disporre dell’ampio consenso modernista del mondo della politica, dei lavoratori e delle loro organizzazioni nei confronti della sua azione industriale modernizzatrice. La magia del petrolio gelese è stata sostenuta da una precisa narrazione mitopoietica fondata sul mito tecnofeticista-neocapitalista della modernizzazione petrolifera (De Filippo, 2016).
Nel giro di pochi anni all’inizio degli anni Sessanta la magia del petrolio ha prodotto la costruzione dello stabilimento petrolchimico e l’avvio delle attività energetiche e industriali, su cui gli sguardi degli studiosi (Hytten e Marchionni, 1970) [5] espressero le loro criticità riguardo ai mancati benefici economici e sociali prodotti per il territorio, di cui invece beneficiò soprattutto la ristretta elité tecnocratica creata dal Cane a sei zampe (gli operai e i tecnici non gelesi dello stabilimento petrolchimico, molto interessati a cogliere le nuove remunerative opportunità offerte loro) per massimizzare i suoi profitti secondo la logica neocapitalista.
Tra le conseguenze più stridenti che per Hytten e Marchionni produsse la magia del petrolio a Gela mediante l’implementazione di questo modello di industrializzazione, vi fu la creazione di una profonda disgregazione sociale tra il nuovo mondo (l’impianto industriale petrolchimico, i neo-operai e tecnici provenienti da altri territori che godettero di condizioni abitative e residenziali privilegiate), e il mondo tradizionale (la produzione agricola ed i braccianti gelesi), che ebbe a sua volta delle rilevanti ricadute sociali sullo sviluppo del nuovo paesaggio urbano fortemente deturpato dal non-governo della crescente domanda di possibilità abitative (il diffuso abusivismo edilizio).
Ad affiancare il manifestarsi di questi effetti magici non benefici per il territorio prodotti da fattori interni, alla metà degli anni Settanta è andata a infierire anche l’azione di fattori politico-economici esterni come il crollo del prezzo del petrolio grezzo. Le conseguenze di questi fattori esterni si sono manifestate in maniera significativa sul territorio a partire dalla metà degli anni Ottanta, producendo la crescente e costante riduzione delle attività sia estrattive sia di raffinazione, con la conseguente drastica perdita di posti di lavoro.
Durante la lunga e dolorosa fase di de-industrializzazione (anni Ottanta-Duemila) sono emersi ulteriori effetti non benefici prodotti dalla magia del petrolio, come, da una parte, l’esteso degrado ambientale del territorio causato dallo sversamento di liquami industriali a causa della scarsa manutenzione dei collegamenti sotterranei degli impianti tra i vari pozzi; dall’altra parte, l’emergere e la crescita di alcune patologie bio-mediche (neoplasie e malformazioni genetiche) tra i lavoratori industriali esposti a certi impianti e sostanze cancerogene (il clorofosfato, l’amianto, etc.), che ha dato vita a una narrazione oltre le rovine fondata sull’immagine demoniaca del petrolio. Questa fase di stagnazione economica e sociale ha prodotto diverse ferite che hanno interessato in maniera integrata sia il nuovo mondo (la dismissione di alcune linee produttive – quelle della chimica di base –, degli impianti tecnologici, e la riduzione dei posti di lavoro); sia il mondo tradizionale (l’esteso degrado ambientale, crescenti rischi per la salute della popolazione). Ferite che non sono state ancora pienamente sanate e che continuano a incombere sul territorio.
La narrazione oltre le rovine della stagione della de-industrializzazione è stata espressa con toni abbastanza drastici sia dalla stampa locale sia dalla conoscenza sociale, che ha dato eco, da una parte, a come Gela nel corso degli anni sia stata sedotta e abbandonata dall’industrializzazione dell’Eni; e raccontando, dall’altra parte, come le diverse associazioni ambientaliste gelesi [6] si sono mosse in maniera ambivalente per incrinare il potere egemonico e disciplinatorio del ricatto occupazionale dell’Eni sui lavoratori industriali. Un potere egemonico affermatosi sino a tempi abbastanza recenti quando i lavoratori industriali nel 2002 hanno reso evidente la loro drammatica condizione di dipendenza cognitiva e culturale dall’azienda di Stato, che li ha portati a rivoltarsi contro il sequestro dello stabilimento, deciso dalla magistratura per la produzione del pet-coke (il carbone da petrolio), dichiarato qualche anno prima dal decreto del ministro dell’ambiente Edo Ronchi (Dlgs 22/1997) rifiuto industriale, dunque illecito per alimentare le attività industriali, gridando «meglio ammalati che disoccupati» [7].
Oltre le rovine del cane a sei zampe
Se negli anni Sessanta la narrazione modernista della magia del petrolio di Gela, fondata sulla sua tecno-feticizzazione neocapitalista, ha evidenziato esclusi- vamente gli effetti benefici (economici e sociali), goduti solo da una minoranza sociale, nel primo decennio del nuovo secolo la narrazione oltre le rovine della industrializzazione e de-industrializzazione manifestata a partire dagli anni Novanta-Duemila, ha focalizzato l’attenzione sull’altra faccia della magia petrolifera, quella risultante dai suoi effetti malefici prodotti sul territorio e sulla salute dei lavoratori.
Questa narrazione ha visto come principali attori alcuni degli attivisti della lotta ambientalista e parte della stampa locale, la quale ha recentemente affermato
«Non si faccia campagna elettorale con la morte degli operai. A rispondere del suo decesso, davanti al giudice dell’udienza preliminare del tribunale, ci sono tredici imputati, tra ex vertici della fabbrica di contrada Piana del Signore e tecnici. Durante il suo intervento a “Villa Dorica”, il presidente della Regione Rosario Crocetta ha richiamato la memoria di tanti operai morti proprio in quell’impianto, sottolineando come la riconversione green della fabbrica locale sia una risposta a quelle morti. Un richiamo, il suo, che non ha convinto uno dei familiari di Mili, il figlio Orazio, che da anni, insieme ai suoi cari, segue la vicenda e ha scelto di costituirsi parte civile nel procedimento penale. Con una lettera aperta, si rivolge proprio a Crocetta. “Caro presidente – si legge – quei tuoi colleghi morti sono i nostri papà e sappiamo solo noi cosa abbiamo vissuto e perso. Lei ha menzionato il mercurio, ma non c’era solo quello. C’erano il benzene, l’amianto, il dicloroetano, l’acido solforico, l’ossido di etilene e i fortissimi campi magnetici. I nostri papà sono stati uccisi”. Per Orazio Mili, quindi, la memoria di quegli operai, alcuni dei quali ex colleghi del presidente Crocetta, non va richiamata in campagna elettorale ma nelle sedi opportune. “No, presidente – si legge ancora – se lei vuole veramente bene ai suoi ex colleghi deve riferire tutto questo nelle giuste sedi. In procura, testimoniando in maniera autonoma e volontaria. Deve riferirlo all’Inail che non riconosce ancora le malattie professionali. Deve dirlo in Parlamento, affinché si possa arrivare ad una legge completa a tutela di questi lavoratori. Questo sarebbe vero amore verso i suoi ex colleghi. Tutti sapevano e tutti hanno taciuto”. Così, la famiglia Mili continuerà a chiedere giustizia in sede processuale. “Del resto – conclude Orazio Mili – la politica non ha mai fatto nulla per questi operai”» (Quotidiano Gela, 23 aprile 2017).
Oltre la stampa locale c’è stato anche lo schierarsi contrario di una tra le più rilevanti organizzazioni ambientaliste internazionali come Greenpeace, la quale ha evidenziato come l’ex governatore della Sicilia Rosario Crocetta
«Nell’autunno del 2012, in piena campagna elettorale […] si fece portavoce del nostro appello U mari un si spirtusa contro le trivelle in Sicilia. La Regione nel maggio dello scorso anno diede anche parere negativo contro il progetto dell’Eni Offshore Ibleo. Non sappiamo cosa in dodici mesi abbia fatto cambiare idea a Crocetta, ma fa riflettere che il governatore siciliano abbia firmato lo scorso 4 giugno, il giorno stesso della pubblicazione del decreto che autorizza il piano dell’Eni, un’intesa con Assomineraria, Edison, Irminio e la stessa Eni per lo sfruttamento delle risorse minerarie dell’isola. Meno raffinazione più estrazione, questo è il quadro in cui, a detta degli analisti, si muoverebbe il Cane a sei zampe» (cit. in De Filippo: 177)
Alla schiera di partecipanti a questa narrazione critica si è andata recentemente anche ad aggiungere la stampa internazionale, la quale sull’edizione online del ben noto quotidiano britannico Guardian il 1 dicembre 2017 ha pubblicato un articolo su “Il mostro di Gela”, a firma del giovane corrispondente italiano Lorenzo Tondo. Un articolo che avrebbe richiamato l’attenzione di ulteriori testate giornalistiche straniere (tedesche, olandesi e americane come il Wall Street Journal di New York) e in Italia del quotidiano online siciliano Meridionenews, facendo parlare in particolar i giornalisti britannici delle condizioni ambientali e della salute dei cittadini di Gela come del «più grande disastro ambientale d’Europa dopo Chernobyl». Testate che sottolineano quanto «i tassi di mortalità sono più alti che in qualunque altro posto nell’Isola, e Gela ha un tasso inusualmente alto di malformazioni, incluso il più alto tasso al mondo di una rara sindrome che colpisce l’uretra». Tra i casi più noti raccontati e mostrati in foto nell’articolo vi è quello della giovane campionessa italiana di tiro con l’arco Kimberly Scudera, che si allena per partecipare alle Paraolimpiadi del 2020 seduta su una sedia a rotelle, «affetta dalla spina bifida – una grave malformazione per la quale durante la gravidanza la spina dorsale e il midollo spinale non si sviluppano come dovrebbero».
L’articolo offre anche stralci delle interviste all’avvocato Luigi Fontanella che nei confronti dell’Eni ha presentato nel corso degli anni una serie di denunce, e al procuratore Fernando Asaro che ha recentemente rinviato a giudizio cinque dirigenti dell’Eni per l’inquinamento nei fondali marini dei due porti di Gela, Isola e Rifugio (Spina, 2017), il quale dichiara al corrispondente che «da una parte il petrolchimico ha dato lavoro a tante famiglie gelesi e siciliane, dall’altra parte, la sua presenza ha pesantemente inquinato l’aria, l’acqua e il sottosuolo, causando tumori e malformazioni genetiche tra la popolazione. È nostro dovere intervenire» (Tondo, 2017). Tondo nel suo articolo si pone anche alcune domande in merito al degrado ambientale dell’area di Gela, che sino ad ora non hanno avuto una risposta, del tipo «Come mai nessuno ha fatto nulla? Come mai le bonifiche non sono state effettuate? Come è possibile che Eni continui a negare l’evidenza?». Il contributo alla narrazione oltre le rovine di Lorenzo Tondo si chiude affermando «ora che il lavoro non c’è, a Gela sono rimasti solo i morti […] e gli applausi a Renzi per la cosiddetta riconversione
Il manifestarsi della magia verde
Come ha recentemente evidenziato Alessandro De Filippo nel suo volume sulla produzione cinematografica su Gela dell’Eni, «la Sicilia si dimostra ancora una volta il laboratorio politico per ideare e sperimentare nuove formule narrative» (De Filippo, 2016: 176). Nel caso qui in questione, le nuove formule narrative prendono vita nel 2012, quando inizia la stagione del nuovo governo regionale retto dall’ex sindaco di Gela, Rosario Crocetta: «un perito chimico che cominciò a lavorare proprio all’Eni, mantenendo con l’azienda petrolifera negli anni sempre aperto un canale di comunicazione, anche se a volte segnato da un’esacerbata conflittualità» (De Filippo, ibidem) [8]. Nella netta consapevolezza di Crocetta che a seguito della lunga stagione di stagnazione delle attività produttive la chiusura dello stabilimento petrolchimico di Gela avrebbe causato un’instabilità sociale devastante per questo territorio, vista la sua forte dipendenza politico-economica con l’Eni, questi dà avvio a un processo di negoziazione politico-economica in cui si cerca di chiudere degli accordi soprattutto sul versante occupazionale, nel tentativo di non perdere ulteriori posti di lavoro.
Un processo di negoziazione politico-economica che conoscerà dei toni alti e bassi [9], che si conclude nel novembre del 2014 con la stipula di un Protocollo d’intesa siglato da varie parti sociali (Eni, Regione siciliana, Ministero dello sviluppo economico, Organizzazioni sindacali, Comune di Gela). Gli obbiettivi e programmi di questo accordo riguardano l’avvio di una nuova fase di industrializzazione che prevede lo sviluppo delle attività upstream (nuove attività di esplorazione e produzione di idrocarburi sul territorio della Regione Sicilia e nell’offshore, con prevalente valorizzazione delle risorse gas, e la valorizzazione delle potenzialità dei campi già in esercizio, offshore e inshore). Tra i progetti rilevanti, lo sviluppo dei giacimenti a gas di Argo e Cassiopea nel Canale di Sicilia, e l’avvio di una nuova fase esplorativa, volta alla scoperta di giacimenti in grado di assicurare continuità operativa dei siti esistenti. Attività di upstream per cui è stato pianificato un investimento economico di circa 9/10 dell’investimento totale di 2,2 miliardi di euro.
A queste attività andrà ad aggiungersi la riconversione della raffineria a ciclo tradizionale in Green Refinery attraverso la valorizzazione degli impianti esistenti e di tecnologie proprietarie che consentirà di convertire materie prime non convenzionali dal punto di vista ambientale in prodotti finiti ad alto valore aggiunto [10]. La Green Refinery sarà in grado di: trattare materie di prima generazione (olio di palma) e seconda generazione (grassi animali e oli esausti) per una capacità di 750mila tonnellate/anno per produrre principalmente green diesel, ma anche green GPL e green nafta. All’attività della Green Refinery sarà associato un moderno polo logistico (hub) per la spedizione dei greggi di produzione locale e dei carburanti green prodotti. Seguirà il risanamento ambientale di impianti e aree che dovessero progressivamente rivelarsi non funzionali, a cura di Eni e delle sue controllate presenti nel sito di Gela, nonché la realizzazione di centri di competenza focalizzati in materia di safety che supporteranno le unità produttive di Eni. Infine saranno realizzate alcune opere compensative come la ri-funzionalizzazione della Diga Disueri, la progettazione dell’efficientamento energetico del comune di Gela, il nuovo allestimento del Museo archeologico regionale “Eschilo”, le attività di dragaggio del porto rifugio della città.
Per queste attività industriali improntate alla sostenibilità economica e ambientale, e quelle compensatorie l’investimento economico previsto è di circa 1/10 di quello totale. Il protocollo di intesa del 2014 e il piano di sostenibilità dell’Eni del 2012 rappresentano dei veri e propri dispositiviche fungono da punto di partenza e di supporto argomentativo con cui implementare la magia della sostenibilità delle nuove attività energetiche e industriali alternative a quelle dell’estrazione di risorse energetiche fossili. Nel piano di sostenibilità l’amministratore delegato del Cane a sei zampe di Gela impiega questo termine in maniera soprattutto economicistica, avviando la presentazione di questo strumento di programmazione industriale affermando che
«Le crisi, soprattutto quando sono così profonde e durature come quella che stiamo attraversando, non sono mai soltanto fattori di restringimento del mercato, ma portano con sé grandi trasformazioni.L’impegno a operare in modo responsabile e la promozione di un modello di sviluppo sostenibile sono parte della tradizione e dei valori di Raffineria di Gela […] La nostra attenzione si concentra su alcune aree di particolare importanza: la protezione dell’ambiente e delle risorse naturali, la tutela della salute e della sicurezza delle persone, la valorizzazione del loro percorso professionale, la continua ricerca di un rapporto reciprocamente proficuo e in armonia con le comunità locali».
A questa prima dichiarazione locale di intenti da parte del responsabile dello stabilimento industriale di Gela, fa seguito quella relativa alla più generale politica energetica e industriale proposta dalla direzione nazionale, che dichiara che
«Ogni azione. caratterizzata dal forte impegno per lo sviluppo sostenibile: valorizzare le persone, contribuire allo sviluppo e al benessere delle comunità nelle quali opera, rispettare l’ambiente, investire nell’innovazione tecnica, perseguire l’efficienza energetica e mitigare i rischi del cambiamento climatico. La sostenibilità, parte integrante della cultura e della storia di Eni, rappresenta il motore di un processo di miglioramento continuo e trasversale all’interno dell’azienda che garantisce la sostenibilità dei risultati nel tempo e ne rafforza il processo di sviluppo e valorizzazione […] Il perdurare della crisi del settore della raffinazione e il mutamento delle condizioni economiche in base alle quali era stato sottoscritto il contratto di conto lavorazione con Eni Divisione R&M, hanno portato alla rinegoziazione dello stesso con effetti a partire da 1 gennaio 2014, al fine di riallineare il compenso al benchmark interno delle Raffinerie Eni»
Affermazioni che ci sembra evidenzino in maniera abbastanza esplicita quanto la narrazione mitopoietica della magia della sostenibilità abbia un carattere prettamente economicistico, più che caratterizzarsi in senso ecologico, come viene esplicitato successivamente nel protocollo di intesa quando viene affermato che
«La domanda di biocarburanti in Italia è previsto in aumento, trainata da obblighi normativi che prevedono una quota sempre maggiore di componenti bio nei carburanti tradizionali»
A questa nuova narrazione mitopoietica con cui viene sostenuta la magica svolta verde, fa seguito quella corale più realista espressa in maniera sufficientemente persuasiva nel protocollo di intesa inerente le tradizionali attività industriali di upstream, sostenendo che queste non solo
«garantiranno dei livelli occupazionali coerenti con il processo di riconversione e creando i presupposti per una duratura ripresa delle attività economiche nell’area di Gela e anche valorizzando i contributi delle attività imprenditoriali oggi presenti nell’ambito dell’indotto [ma anche che] il razionale utilizzo delle risorse del sottosuolo potrebbero contribuire al miglioramento delle finanze pubbliche sia centrali che locali, attraverso un aumento significativo delle entrate fiscali e degli introiti derivanti dalle royalties sulla produzione aggiuntiva degli idrocarburi [dove] la realizzazione del programma di sviluppo Eni nella sua complessità consentirà l’ulteriore benefico effetto di ridurre l’impatto ambientale delle attività, nel rispetto dei più elevati standard internazionali di qualità».
L’avvio dell’implementazione della narrazione mitopoietica su cui viene fondata la magia verde della sostenibilità energetica e industriale del Cane a sei zampe, conosce una sua accelerazione sin dalle prime settimane del 2017, come contraltare per respingere quella oltre le rovine. Una narrazione mitopoietica rivolta soprattutto a cercare di persuadere al meglio le forze sociali del territorio della validità della sua nuova scelta industriale, fondandola sul mito della sostenibilità economica e ambientale [11]. Questa scelta strategica dell’Eni di puntare, diversamente rispetto al suo isolamento passato [12], verso la costruzione di proficue aree di contatto di questo mondo aziendale industriale con le forze politiche e sociali del territorio, ha portato l’azienda in questi ultimi mesi a cercare di aumentare intorno alla sua nuova scelta industriale sostenibile un forte consenso politico e culturale.
Una significativa manifestazione della persuasione politico-industriale dell’Eni verso il territorio si è avuta nella scorsa primavera da parte sia della nuova amministrazione comunale, sia nell’ambito della formazione scolastica con il progetto di alternanza scuola-lavoro. Nel primo caso, il sindaco Messineo che nella campagna elettorale con il sostegno del M5S è stato eletto nel 2015 aveva espresso una critica abbastanza radicale nei confronti delle attività industriali del Cane a sei zampe, reo del mancato sviluppo economico e sociale del territorio nonché del suo degrado ambientale e dell’emergere dei danni per la salute della popolazione, così come questi sono stati nel corso del tempo accertati da vari organismi sanitari e scientifici di certificazione. Critica che nel giro di poche settimane andrà totalmente a sfumare i suoi toni, dichiarando nella sua nuova veste politica la piena autonomia della politica amministrativa rispetto ai partiti, dichiarando il proprio sostegno all’azione magica del nuovo piano industriale proposto dal Cane a sei zampe.
Quale posizionamento verso la magia delle energie
La più recente ricerca antropologica sulle risorse energetiche globali (in particolar modo quelle fossili), ha evidenziato la necessità di un ripensamento allo stesso tempo epistemologico e ontologico della loro magica materialità (Hornborg, 2001, 2013, 2015, 2016; Weszkalnys, 2013). Se dal punto di vista ontologico il ripensamento della loro materialità magica deve orientarsi a non concepire più le risorse energetiche in maniera essenzialista, come una qualità naturale «ridotta alle loro proprietà chimiche e fisiche, bensì come una potenzialità che si disvela attraverso dei processi materiali di trasformazione, appropriazione e uso» (Weszkalnys, 2013: 278), dal punto di vista epistemologico viene evidenziato l’opportunità di concepirla come «un risultato materiale storicamente determinato da un complesso insieme di relazioni tra gli individui, le tecnologie e le cose articolate in particolari località […] non come una presenza trascendente bensì come un’assenza latente» (ibidem).
Per quanto, come si è evidenziato, l’investimento economico e tecnologico previsto dall’Eni per l’implementazione delle attività di green refinery nello stabilimento di Gela sia non solo abbastanza esiguo (1/10 di 2,2 miliardi di euro) rispetto a quelle di upstream, ma anche una scelta più di tipo economica che ecologica [13], si ritiene che queste importanti questioni vadano affrontate in maniera complessa e non unilateralmente. Ciò implica da parte sia degli analisti e opinionisti, ma anche degli attivisti e amministratori, l’assumere un posizionamento politico integrato e complesso, nei confronti di realtà economiche-politico-sociali e ambientali complesse come lo è quella contemporanea di Gela. Se non si vuole infatti che queste finiscano «fuori controllo» (Eriksen, 2017), non è più tempo per sottrarsi a certe responsabilità etiche e politiche, assecondando passivamente le sirene di questa o quella narrazione, «dimenticandosi volontariamente l’arretratezza che nel passato lo rendeva disumano», ma, al contrario, è necessario assumerle, consapevoli, come sostiene Alessandro De Filippo, del