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La libertà religiosa: breve storia ed evoluzione

copertinadi Franco Pittau

Questa riflessione è dedicata al concetto di tolleranza e alla conseguente pratica della libertà religiosa dall’antichità fino alla fase attuale in Occidente. Un breve saggio come questo non contiene originali approfondimenti storici bensì si limita a sistematizzare gli apporti di un’ampia bibliografia, evidenziandone il filo conduttore con riferimento alle varie epoche storiche.

Nell’affrontare quanto avvenuto in passato è indispensabile un “approccio decentrato” che collochi  il giudizio in quel particolare contesto, attenuandone la severità, senza che per questo determinati eventi cessino di apparire come storicamente riprovevoli, nel senso che i protagonisti del tempo disponevano dei presupposti per comportarsi diversamente.

In poche pagine sono racchiusi oltre due millenni di storia: antichità, periodo greco, impero romano, Medioevo, Rinascimento, Riforma protestante, pensatori del XVII secolo, Illuminismo, e quindi i più recenti sviluppi determinatisi dal XIX secolo ad oggi. È indubbio che diversi aspetti avrebbero meritato una trattazione più ampia rispetto alla ridotta portata di questo saggio.

A unire tanti secoli di storia è il continuo riferimento alla libertà religiosa e al suo opposto che è l’intolleranza. una tematica di grande attualità nelle società occidentali, attraversate attualmente da un crescente pluralismo religioso a seguito delle migrazioni.  

1La tolleranza delle altre religioni nell’antichità

Il pluralismo religioso esiste da sempre, ma non così il dialogo tra le religioni, che ha rappresentato una faticosa conquista, formalizzata in età moderna. Tuttavia, anche nell’antichità vi sono esempi importanti di apertura. Uno di essi, che forse costituisce la più antica testimonianza di tolleranza, è rappresentato dal re Aśoka Maurya il Grande (304-232 a. C.), che nel subcontinente indiano fu sovrano di un territorio che includeva l’Afghanistan, parte dell’attuale Iran e l’Assam. Egli si convertì al buddhismo e si adoperò per la sua diffusione ma, consapevole delle differenze religiose esistenti nella nel suo regno e delle difficoltà nei rapporti tra i diversi paesi, si preoccupò di assicurare a tutti la libertà di culto. Un suo editto, inciso su pietra e risalente a circa il 250 a.C., così recita:

«Sua Maestà il re santo e grazioso rispetta tutte le confessioni religiose, ma desidera che gli adepti di ciascuna di esse si astengano dal denigrarsi a vicenda. Tutte le confessioni religiose vanno rispettate per una ragione o per l’altra. Chi disprezza l’altrui credo, abbassa il proprio, credendo d’esaltarlo».

È risaputo che i pensatori greci, poi ripresi dai romani nelle successive epoche, si distinsero per i loro approfondimenti sul principio della libertà di coscienza e sulle implicazioni del cosmopolitismo. Tra i di essi non si poneva un vero e proprio problema di tolleranza in quanto le religioni locali, essendo prive di dogmi, potevano accettare anche le divinità e i culti stranieri. Invece, essendo la loro religiosità strettamente legata alla vita pubblica, veniva invece riprovato l’ateismo (empietà).

Seguì l’universalismo dell’Impero romano, reso evidente dall’estensione della cittadinanza a tutti i residenti nell’Impero sancito dall’Editto di Caracalla nel 212, che andò oltre l’esclusivismo della stirpe fatta valere dai conservatori dell’epoca. L’universalismo continuò con il Cristianesimo, portatore di un messaggio rivolto a tutti: questi due universalisti prima si scontrarono e poi si fusero.

Seppure tra i romani vi fosse un’apertura analoga a quella dei greci, l’accettazione dei cristiani si rivelò ben presto impossibile. A dire il vero esistono dei documenti attestanti che anche tra i primi cristiani non mancava un orientamento alla tolleranza delle altre religioni. Ad esempio, lo scrittore Tertulliano (155-220 circa), anticipò nel suo scritto Ad Scapulam una posizione che sarebbe diventata generalizzata tra i cristiani solo a distanza di più di un millennio:

«La libertà di professare la religione che si ama è fondata sui diritti della natura e delle genti, perché la religione privata di un individuo non è causa di bene o di male ad alcuno. La religione non ha interesse a violentare nessuno: il nostro assenso vuole essere volontario e non costretto con la forza».

Ancor prima, San Giustino, filosofo e primo martire cristiano.morto tra il 163 e il 167 sotto l’imperatore Marco Aurelio, mostrò apprezzamento dei “semi di verità” (per ricorrere alla considerazione espressa dal Concilio Vaticano II) riscontrabili in posizioni non cristiane e considerò positivamente il pensiero di Socrate con questa affermazione contenuta nella sua Apologia prima (XLVI, 3): «Coloro che vissero con il logo sono cristiani, anche se furono ritenuti atei, come tra gli Elleni, Socrate, Eraclito e quelli simili a loro».

Cristiani-perseguitati

Cristiani perseguitati

Cristianesimo e Impero romano: prima perseguitato e poi imposto come religione ufficiale

L’opposizione dell’impero romano ai cristiani, da cui derivarono tre secoli di persecuzioni, scaturiva dal fatto che i cristiani, poiché facevano riferimento a una religione rivelata e quindi come tale detentrice dell’unica verità, non ritennero accettabili i culti tradizionali romani, strettamente legati allo Stato e perciò proposti all’accettazione obbligatoria.. Sottostante a tale impostazione era la convinzione che per rafforzare la compattezza dell’impero fosse indispensabile l’uniformità sul piano religioso, presupposto che perdurò anche nel periodo del Sacro Romano Impero (dalla fine del primo millennio fino all’epoca moderna). I cristiani non venivano percepiti funzionali a questa compattezza e, al contrario, erano considerati una sorta di Stato nello Stato, e quindi un pericolo.

Nei primissimi tempi il Cristianesimo fu tollerato, come già da tempo avveniva per la religione ebraica, ma senz’altro non veniva vista di buon grado la contrapposizione ricorrente tra questi due gruppi. I sospetti nei confronti dei cristiani aumentarono a seguito del continuo incremento del loro numero. Iniziò a preoccupare la loro forte visibilità, il loro dinamismo e anche la consistenza dei loro beni, acquisiti a seguito delle donazioni fatte alle chiese territoriali, la cui acquisizione non lasciava indifferenti.

Nerone (27-68) nel 64 accusò i cristiani di un incendio scoppiato a Roma, del quale non avevano alcuna colpa. Dopo questa prima persecuzione si susseguirono diverse ondate persecutorie, in alcuni periodi di straordinaria intensità, come sotto l’imperatore Diocleziano (244-311). Numerosi furono gli esempi di coraggio, anche di fronte alla morte, ma vi furono anche i cosiddetti lapsi, i cristiani che cedettero perché più deboli.

Le persecuzioni misero in evidenza la concezione che il Cristianesimo aveva dell’uomo, considerato persona spiritualmente libera, le cui decisioni di coscienza non potevano essere condizionate dallo Stato, secondo l’applicazione della famosa frase di Gesù Cristo (“Date a Cesare quel che è di Cesare e date a Dio quel che è di Dio”).

Galerio (260-311), succeduto all’imperatore Diocleziano e inizialmente molto avverso ai cristiani, con l’Editto del 311, tenne realisticamente conto del fatto che le persecuzioni non avevano sortito i risultati sperati (e cioè la sottomissione dei cristiani alla volontà imperiale anche in ambito religioso) e si decise a considerare anche il Cristianesimo una religio licita, ovvero un culto ammesso nell’Impero, dettando ai cristiani questa condizione: «purché però conservino sempre il dovuto rispetto alle leggi e al presente governo».

Questa apertura venne rinforzata dall’Editto imperiale del 313, sottoscritto dai due Augusti e dai due Cesari, uno dei quali era Costantino, poi divenuto a sua volta imperatore. Tale editto fu un atto di eccezionale rilevanza perché, andando oltre la mera tolleranza, garantiva «ai cristiani e ai fedeli delle altre religioni la libertà di seguire la propria fede, affinché la divinità che sta in cielo, –  queste le parole dell’Editto –  qualunque essa sia, a noi e a tutti i nostri sudditi dia pace e prosperità».

Quindi, nel 380 l’imperatore Graziano (359-383), con l’editto di Tessalonica (poi incorporato nel Codice Teodosiano) dichiarò il Cristianesimo religione ufficiale dell’Impero, per cui una scelta di fede veniva imposta come obbligo dallo Stato. Seguirono delle restrizioni nei confronti dei culti pagani (confisca dei beni e soppressione degli ordini sacerdotali,), che si arrivò a definire “culti del demonio”. Si distrussero i templi e si ricorse al carcere e alla tortura nei confronti di chi non si convertiva. Anche l’imperatore Giustiniano (482-565), che proclamò per decreto la sua fede nella Trinità, si attenne a questa linea, fondandosi sempre sul presupposto che l’unità dell’Impero richiedesse anche l’unità di religione.

Il Cristianesimo, una volta riconosciuto come religione ufficiale, ritenne un crimine la mancata conversione e perseguì i renitenti con il sostegno dei poteri pubblici, avallando così una prassi di intolleranza, di cui inizialmente esso stesso fu vittima. Dall’impostazione evangelica, che distingueva tra le competenze statali e l’ambito religioso, dopo tre secoli di persecuzioni, si passò all’intolleranza, protrattasi per tutto il periodo medioevale e anche oltre.

n-3Il Medioevo e l’intolleranza religiosa

Il Medioevo fu il periodo dell’omologazione religiosa, con le eccezioni rappresentate dagli ebrei (una minoranza emarginata) e gli arabi (che ebbero una forte presenza, tra il primo e il secondo millennio, in Sicilia e in Spagna). Un primo strappo dell’ uniformità tra i cristiani si ebbe nel 1054 con lo scisma della Chiesa di Costantinopoli, al termine di un lungo periodo di crescenti distanze per questioni organizzative legate al primato del vescovo di Roma e anche per questioni teologiche e rituali: il distacco avvenne in maniera quanto mai drammatica, con la reciproca scomunica tra il papa di Roma e l’arcivescovo di Costantinopoli.

Nella comunità cristiana rimasta fedele alla Chiesa di Roma il virus dell’intolleranza si espresse in forme repressive di tutto ciò che non veniva ritenuto conforme all’impostazione ufficiale, senza lasciare margini di accettazione delle critiche mosse al comportamento dei rappresentanti ecclesiastici, spesso corrotti, inclini alla mondanità e lontani dai valori spirituali.Furono diversi i movimenti, tutti messi al bando, nati per favorire la riforma della Chiesa: quello di Jan Hus in Boemia (a lui fece riferimento anche Lutero), i movimenti eretici ad Orleans, Arras e Monfort, la Pataria di Milano, i movimenti spirituali dei Catari, la comunità dei Valdesi e dei Begardi. Tra di essi solo la comunità valdese ha continuato la sua attività fino ad oggi, conservando un grande dinamismo.

Dalla mancata distinzione tra sfera pubblica e libertà di coscienza derivò l’Inquisizione medioevale, che si fa risalire al Concilio di Verona del 1184. Al potere ecclesiastico competeva il giudizio delle dottrine e dei comportamenti sul piano religioso. Ciò avveniva in un contesto di sospetto e di delazioni (senza confronto tra accusati e delatori), con metodi inquisitori basati anche sulla tortura al fine di ottenere le confessioni e con procedure sommarie. Al potere pubblico, invece, competeva l’esecuzione delle pene decise dal potere ecclesiastico, che potevano essere anche capitali. Le persone condannate per eresia subivano anche la confisca dei beni e in questi procedimenti non mancava un interesse finanziario da parte degli stessi giudici.

Le superstizioni popolari e la caccia alle streghe si protrassero ben oltre il periodo medioevale e furono numerosi i casi di roghi e condanne capitali in Germania nel corso della Guerra dei trent’anni, svoltasi nella prima metà del secolo XVII. Lo storico illumista Pierre Bayle (1647-1706), nel suo Dizionario storico e critico (1695), fatti salvi alcuni aspetti culturali, condannò il Medioevo proprio per il suo carattere fanatico, oscurantista e inquisitorio. Anche l’abate Pietro Tamburini (1737-1837) scrisse nella Storia generale dell’Inquisizione, quattro volumi (naturalmente messi all’indice), pubblicati postumi nel 1832.

All’Inquisizione medioevale, direttamente dipendente dal Papa, seguirono nel 1478 l’Inquisizione spagnola (soppressa nel 1820) e nel 1536 l’Inquisizione portoghese (abolita nel 1821), che dipendevano direttamente dalle rispettive corone e non dal papa.  Quindi nel 1542 Papa Paolo III (1468-1549), per contrastare la riforma protestante, istituì la «Congregazione della sacra, romana ed universale Inquisizione del Santo Offizio» (trasformata, con altri compiti, in Congregazione per la dottrina cristiana da Paolo VI). La Congregazione esercitò parimenti un’attività inquisitoria e, tra i più famosi processi, si ricordano quelli riguardanti il monaco domenicano Giordano Bruno nel 1610 (bruciato vivo a Roma), lo scienziato Galileo Galilei nel 1638 (costretto a ritrattare le sue teorie scientifiche) e il saggista politico domenicano, Tommaso Campanella (1568-1639), che subì varie condanne e finì per rifugiarsi in Francia per sottrarsi alle pene. L’Indice dei libri proibiti (Index librorum prohibitorum) fu una iniziativa di papa Paolo IV (1476-1559), che lo istituì nel 1569 per preservare l’integrità della fede. A curarne la compilazione fino al 1917, fu la Congregazione dell’Indice e fu soppresso il 4 febbraio del 1966 dalla Congregazione per la dottrina della fede.

Ritornando al periodo medioevale è fondato ritenere che la Chiesa ebbe comportamenti non conformi ai suoi princìpi ispiratori, come è stato riconosciuto dopo il Concilio Vaticano II. In particolare, papa Giovanni Paolo II, dando prova di discernimento e coraggio, nella preparazione del Giubileo del 2000, dopo aver coinvolto una commissione teologica internazionale, ha approvato il documento Memoria e riconciliazione: la Chiesa e gli errori del passato (7 e il 12 marzo del 2000) facendosi carico del più grande me culpa della Chiesa cattolica e riconoscendo gli errori del passato. Nel documento vengono menzionati, innanzi tutto, i peccati commessi nel “servizio della verità”: l’intolleranza, le violenze, l’Inquisizione, le Crociate, la mancata salvaguardia dell’unità dei cristiani, gli scismi, le scomuniche e le persecuzioni religiose. Vengono anche condannati l’antisemitismo, i peccati contro la pace,  contro i diritti dei popoli (schiavismo e colonialismo) e il rispetto delle altre culture, il trattamento riservato alle donne e alle altre etnie e i peccati commessi contro la giustizia sociale, che si riferiscono anche al periodo successivo al medioevo.

Erasmo-da-Rotterdam.

Erasmo da Rotterdam

Il Rinascimento e la Riforma protestante del XVI secolo

Una riflessione più aperta sulla libertà religiosa ebbe i suoi prodromi in diversi autori umanisti e un più ampio sviluppo nel contesto della Riforma protestante. Il Rinascimento compose l’umanesimo con lo sviluppo del pensiero individuale, rivedendo criticamente le acquisizioni del passato, tra le quali diversi aspetti del Cristianesimo ritenuti in precedenza dogmatici, e la collocazione delle istituzioni della Chiesa, alla quale si rimproveravano i i costumi dei suoi rappresentanti ufficiali.

Il più autorevole esponente di questa critica fu Erasmo da Rotterdam (1466-1536), un prete apprezzato per la sua cultura, profondamente legato alla Chiesa ma non alle sue carenze. Mosso da larghe vedute cosmopolite, con prudenza e realismo Erasmo auspicò una riforma ecclesiale graduale e pacifica, mettendo il concetto di tolleranza alla base dei suoi scritti. Egli si mostrò alieno dalla caccia all’eretico e dalle aspre contese dottrinali. La riforma da lui vagheggiata si basava sulla riscoperta dei valori del mondo classico (l’humanitas innanzi tutto).

All’inizio della riforma protestante Erasmo guardò con favore a Lutero e, condividendone le critiche al clero, lo difese presso Leone X (1475-1521), mentre successivamente si mostrò avverso alla via del separatismo, tuttavia senza mai stancarsi di favorire una conciliazione. In questo periodo non fu il solo a impegnarsi sulla via della mediazione. Ad esempio, lo scrittore politico Michel de l’Hospital (1507-1573), pur essendo ambasciatore del Concilio di Trento (che promosse la contrapposizione ai riformatori). si rese benemerito nel placare gli odi religiosi e nell’evitare spargimenti di sangue.

Senz’altro un significativo impulso sul tema di libertà religiosa venne, quindi, dalla Riforma protestante. A darle inizio fu il monaco agostiniano tedesco Martin Lutero (1483-1646) che, scandalizzato dal mercimonio delle indulgenze e da altri aspetti riguardanti la degenerazione spirituale del papato e del clero, espose le sue 95 tesi alle porte della chiesa annessa all’università di Wurttemberg, dove era docente di teologia. All’origine di questa presa di posizione vi furono principalmente motivazioni squisitamente religiose. Lutero volle riscoprire il Vangelo come annuncio della libera grazia di Dio, donata al peccatore indipendentemente dai suoi meriti. Ma non mancarono di influire anche fattori politici, sociali ed economici. Comunque, il suo intento iniziale non fu la scissione e da Roma e bisogna anche considerare che le sue critiche venivano in parte condivise da persone autorevoli e moderati come Erasmo da Rotterdam.

Il movimento di riforma, andati a vuoto i tentativi di conciliazione e a fronte delle condanne papali, andò sviluppandosi in un clima di forti contrapposizioni tra cattolici e luterani, al cui interno era stata costituita la Lega di Smalcalda per difendersi militarmente e contrastare la federazione dei principi cattolici. Vi furono contrasti anche tra i luterani e gli altri movimenti riformatori: due figure importanti in Svizzera furono Zwingli a Zurigo e Calvino a Ginevra: quest’ultimo vide diffondersi la sua riforma sia in Germania che in Francia e in altri contesti, Un altro movimento, quello degli anabattisti, fu avversato dagli altri riformatori.

Poiché la contrapposizione tra cattolici e riformati andava aumentando, l’imperatore Carlo V d’Asburgo (1500-1558), ritenne doveroso tentare una mediazione, raggiunta con la pace di Augusta (1555). La decisione presa in tale sede venne sintetizzata dalla frase latina (cuius regio, eius religio), per cui i sudditi erano tenuti a professare la confessione religiosa del loro principe (o cattolica o luterana, ma non la confessione calvinista, che solo successivamente venne presa in considerazione), fatta comunque salva la facoltà di emigrare. A seguito di questo accordo i prìncipi luterani poterono far valere lo “ius reformandi” nei loro territori.

All’accordo di Augusta l’imperatore fece aggiungere la clausola denominata “reservatum ecclesiasticum”, che impediva ai prìncipi passati alla confessione luterana di mantenere i beni. La clausola, contestata fin dall’inizio, diede luogo a continui scontri e venne rivista solo nell’ambito degli accordi presi con la pace di Vestfalia (1649). Il collegamento di questi eventi con la riflessione sullo sviluppo del concetto di tolleranza religiosa suscita diverse considerazioni.

Il serrato dibattito sulla non imponibilità della scelta religiosa ritrovò il suo fondamento nell’ambito dei princìpi ispiratori del Cristianesimo, seppure in forma violenta e con un ulteriore scisma, impedendo a una realtà istituzionale come il Sacro romano Impero il potere di prevalere sulle scelte religiose fatte nei singoli Stati. Purtroppo, la facoltà di libera scelta venne rivendicata a beneficio dei poteri pubblici e non dei singoli cittadini, obbligati a seguire la confessione scelta dall’autorità. Un altro limite fu quello di non estendere il diritto di scelta alle confessioni diverse da quella cattolica e da quella luterana e questa carenza scatenò l’inizio della prima fase della Guerra dei trent’anni, che ebbe per l’appunto come teatro la Boemia dove erano numerosi i calvinisti.

Anche la Francia, dopo durissimi contrasti, sperimentò la non applicabilità del rigido princìpio della confessionalizzazione a livello territoriale e, pur con ritardo, nel 1598 emanò l’Editto di Nantes per concedere una mite tolleranza agli ugonotti, (i protestanti locali di confessione calvinista). Tuttavia, nel 1629 il cardinale Richelieu, in esecuzione delle strategie della monarchia assolutista, revocò alcune garanzie, mentre nel 1685 Luigi XIV revocò per intero l’Editto di Nantes. Per sottolineare la spuria commistione tra politica e religione va rilevato che a livello europeo, durante la Guerra dei trent’anni, la Francia si schierò sempre dalla parte di chi non voleva sottostare alla linea del Sacro Romano Impero che imponeva la confessione cattolica, imposta invece sul territorio francese.

In Inghilterra, invece, il distacco dalla Chiesa di Roma avvenne principalmente per motivi politici e fu Enrico VIII  nel 1534 a emanare l’Atto di supremazia. Questa riforma inizialmente si configurò come uno scisma dalla Chiesa di Roma e solo dopo vennero posti a suo fondamento elementi di natura teologica.

In Italia la piccola comunità valdese, che si ispirava al calvinismo, aderì alla riforma nel 1532, mentre la maggior parte dei residenti rimase fedele a Roma. Il papa portò avanti un’azione di contrasto alla diffusione della Riforma protestante e nel 1545, su insistenza dell’imperatore Carlo V, sempre interessato a far prevalere la confessione cattolica, Paolo III (1534-49) convocò il Concilio a Trento, che varò diverse misure di contrasto ai protestanti e formalizzò anche misure di riforma ecclesiale, ribadendo il principio che la salvezza spirituale avviene tramite la grazia divina ma implica anche le buone opere. Sul piano della vita ecclesiale si riconfermò per i sacerdoti l’obbligo del celibato ecclesiastico e della residenza nella circoscrizione pastoralmente affidata, mentre altre disposizioni riguardarono i seminari e la formazione dei sacerdoti, il nepotismo, la simonia e il concubinato

5In quel periodo prevalse la contrapposizione tra le diverse confessioni cristiane e mancò a entrambe le parti il rimorso per la profonda ferita inferta all’unità della Chiesa. Questa consapevolezza, invece, è stata acquisita successivamente come attestato da impor- tanti documenti sottoscritti congiuntamente tamente dai cattolici e dai luterani. Da ultimo, nel corso della celebrazione della Preghiera ecumenica comune, svoltasi nella chiesa Luterana di Lund in Svezia l 1° ottobre 2016, Papa Francesco e il Vescovo Munib Yunan, Presidente della Lutheran World Federation (LWF), hanno firmato una Dichiarazione congiunta in cui deplorano la venuta meno dell’unità, apprezzano il cammino fatto nella comprensione delle reciproche differenze e l’impegno nel servizio al prossimo, mostrano «profonda gratitudine per i doni spirituali e teologici ricevuti attraverso la Riforma» : un riconoscimento che nel passato sarebbe stato inconcepibile in ambito cattolico, se non fosse intervenuta la forte spinta ecumenica da parte del Concilio Vaticano II.

Il XVII secolo: la Guerra dei Trent’anni, la Pace di Vestfalia e l’Atto di tolleranza in Inghilterra

La Pace di Augusta non valse a superare le asprezze della contrapposizione tra i cristiani delle diverse confessioni e già a partire dalla fine del secolo XVI e per quasi la prima metà del secolo successivo andarono incrementandosi i conflitti per motivi religiosi, che coinvolsero le maggiori potenze europee e diversi Paesi (inclusa l’Italia per la successione nei possedimento nei ducati di Mantova e del Monferrato). L’insieme di questi conflitti venne denominato la Guerra dei Trent’anni (1618-1648).

Dal punto di vista economico e demografico gli esiti della guerra furono disastrosi. La popolazione europea, tra l’altro non molto numerosa (pari – secondo alcuni studiosi – a 18 milioni), si ridusse nella misura di un terzo se non della metà, e si accompagnò a devastazioni, fame, epidemie. Le popolazioni erano stremate per il perdurare dei conflitti e questa fu una buona ragione per convincere i politici che il tema della libertà religiosa non avrebbe mai potuto essere risolto sui campi di battaglia. Non senza ragione è stato sostenuto dagli studiosi che questa è stata la più grave sciagura conosciuta dall’Europa prima delle due guerre mondiali.

Invece, dal punto di vista politico, e religioso le valutazioni non sono del tutto negative. I trattati che conclusero i conflitti vennero firmati a Münster (tra la Spagna, la Francia e l’Imperatore, e a Osnabrück tra la Svezia e l’Imperatore: nel loro insieme essi vennero denominati come la Pace di Vestfalia. I deliberata del Trattato sancirono un nuovo equilibrio politico-economico tra gli Stati europei. Queste le principali conseguenze:

  • ulteriore ridimensionamento del Sacro Romano Impero, che si ridusse a essere una realtà poco più che formale, con la perdita del suo impositivo ai prìncipi, veri sovrani territoriali;
  • potenziamento della Francia (con acquisizioni territoriali), accesso all’indipendenza dalla Spagna da parte dei Paesi Bassi (allora conosciuti come le Sette Province), riconoscimento della Svezia come potenza europea (con acquisizioni territoriali ), assegnazione di diversi territori al principato del Brandeburgo, ponendo così le basi per il futuro regno di Prussia.

Dal punto di vista religioso questi furono gli effetti della pace di Vestfalia:

  • riconoscimento del diritto di scelta della confessione cristiana anche a favore dei prìncipi calvinisti (presenti specialmente nell’Europa centrale), così come in precedenza questa facoltà era stata riconosciuta ai prìncipi cattolici e luterani;
  • spostamento del termine a partire dal quale i beni ecclesiastici incamerati in caso di cambio di confessione da parte del principe avrebbero dovuto essere restituiti alla Chiesa di Roma.
  • perdita di importanza del papato, attestata anche dal fatto che Innocenzo X non accettò i termini della pace, (tra l’altro, nel corso delle trattative non vollero sedersi vicino ai prìncipi protestanti);
  • inizio di un periodo di secolarizzazione nei rapporti tra gli Stati, basati ormai sui loro interessi collettivi e non sulla difesa di una confessione religiosa.

In Inghilterra si registrò uno sviluppo analogo e a quello continentale e per alcuni aspetti più avanzato. L’Atto di tolleranza, approvato dal Parlamento inglese nel 1689, recava questo titolo: “Un atto per esentare i sudditi protestanti di Sua Maestà che dissentono dalla Chiesa di Inghilterra dalle pene di certe leggi”. Si trattò di un importante passo in avanti che riconosceva la sussistenza della fedeltà alla corona da parte dei cittadini professanti che non si conformavano alle disposizioni della Chiesa anglicana (Codice di Clarendon). Rispetto agli accordi di Augusta e di Vestfalia venne fatta valere la volontà dei singoli di restare sul posto e di professare una diversa confessione protestante. Ad essi venne riconosciuta la facoltà di disporre di propri luoghi di culto (da registrare previamente, mentre era proibito riunirsi nelle case private), avere propri ministri di culto (muniti di una licenza governativa) ed insegnanti, senza tuttavia poter accedere alle cariche politiche e alle università. Per inciso va sottolineato che un’impostazione simile si riscontra anche nella legge del 1929 sui culti ammessi, approvata in Italia dal regime fascista e tuttora in vigore in Italia per le confessioni che non hanno sottoscritto un’intesa con lo Stato italiano.

Questi benefici inizialmente non vennero estesi ai cattolici perché l’Atto di tolleranza presupponeva nei beneficiari l’adesione al protestantesimo, il giuramento alla corona, l’autonomia dei cristiani inglesi da Roma e la negazione della transustanziazione eucaristica. L’Atto di Tolleranza rimase in vigore fino al 1828, quando venne sostituito dall’Atto di emanicipazione, che riconobbe ai protestanti dissidenti i diritti civili ed ecclesiastici, mentre l’emancipazione per i cattolici-romani venne sancita solo nel 1829.

Spinoza

Spinoza

I pensatori dei secoli  XVII e XVIII secolo

L’illuminismo fu preceduto dall’apporto di importanti pensatori:

  • l’inglese Lord Eduard Herbert di Chanterbury (1583-1648). statista, poeta, filoso e diplomatico, che fu fu il fondatore del deismo e nel 1624 scrisse la sua opera più importante, intitolata De veritate, prout distinguitur a revelatione, a verisimili, a possibili et a falso;
  • l’olandese Baruk Spinoza (1632-1677), che nel Tractatus teologico-politico  difese la libertà di pensiero e di religione, ritenuta non soggetto all’ambito esterno alla coscienza.
  • l’inglese Locke (1632-1704). che pubblicò nel 1967 Essay concerning toleration, un saggio in cui escludeva l’estensione della tolleranza ai cattolici (come in effetti avvenne) e agli atei, due categorie da lui ritenuti naturaliter intolleranti. Nella sua Epistola de tolerantia (1689) egli sottolineò il diritto in materia di libertà di pensiero e di culto, da ritenersi intrinsecamente estraneo alle competenze dello Stato, chiamato solo a tutelarlo;
  • il francese Pierre Bayle (1646-1706), che scrisse nei Paesi Bassi, contro il dogmatismo e contro la pretesa di imporre con la forza convincimenti religiosi. A differenza di Locke, incluse anche gli atei nel concetto di tolleranza e ritenne che la morale fosse indipendente dalla religione, da lui ritenuta un elemento imprescindibile della vita umana.
  • Samuel von Pufendorf (1632-1694), che preceduto da giuristi di valore come Grozio (1563-1645), fu tra i promotori del giusnaturalismo, corrente di pensiero secondo cui la natura umana costituisce la base universalmente valida per il diritto e la tolleranza, con relativa limitazione della sfera d’influenza dello Stato sulle coscienze individuali a livello morale e religioso e il superamento della disponibilità a eseguire le decisioni della Chiesa. La seconda metà del XVIII secolo fu caratterizzata dall’Illuminismo. Immanuel Kant (1724-1804), nel suo scritto Risposta alla domanda: che cos’è l’Illuminismo?, lo definì come un movimento che segnò l’uscita dell’uomo dallo stato di minorità per valersi della propria intelligenza senza una guida esterna. Il movimento oppose i lumi e il rigore della scienza all’ignoranza, alla superstizione, all’oppressione politica e all’oscurantismo religioso. Fu netta l’avversione degli illuministi al papato e ai privilegi ecclesiastici e le loro idee favorirono la secolarizzazione della politica e della società, con un forte senso di cosmopolitismo.

Al Cristianesimo gli illuministi opposero il deismo, una religione basata sulla ragione e, quindi, costituita dai princìpi morali comuni a tutto il genere umano. Per loro Dio era all’origine della meravigliosa macchina dell’universo e però senza rappresentare la finalità delle azioni umane, e senza intervenire nella loro storia, al cui termine non vi erano non vi asarebbero stati né condannati né premiati. Il movimento, inizialmente avversato, trovò la massima espressione in Francia e si estese in tutta Europa (il francese era allora la lingua delle persone colte) e anche in America, diffondendosi i tra i borghesi e anche tra il clero e perfino tra alcuni sovrani come Federico II di Prussia (di cui Rousseau fu consigliere), Caterina II di Russia e Maria Teresa d’Austria.

Emblema dell’illuminismo fu la grandiosa Enciclopedia o Dizionario ragionato delle scienze, delle arti e dei mestieri, in 17 volumi e 60 mila voci. La sua pubblicazione avvenne tra il 1751 e iil 1772, con la collaborazione di molti autori e sotto la direzione di Denis Diderot  (1713-1784) e Jean Baptiste Le Rond d’Alembert (1717-1783) e la collaborazione del poliedrico Voltaire (1694-11778), che nel 1764 scrisse il Traité sur la tolérance. Un altro importante riferimento fu Jen Jacque Rousseau (1712-1778), che nella sua opera Contratto sociale sostiene che «l’uomo è nato libero e tuttavia ovunque è in catene».

7Il XIX e il XX secolo: avanzamento dei diritti e problemi aperti

Nel secolo XIX il dibattito in precedenza intervenuto sulla inviolabilità della coscienza individuale ha portato a confermare con maggiore forza che le scelte religiose dei singoli non possono dipendere dai poteri pubblici, che però hanno esercitato la facoltà di regolarne le manifestazioni esterne, ritenute rilevanti ai fini dell’ordine pubblico, istituendo spesso delle disparità tra le diverse confessioni religiose e riservando dei privilegi a quella considerata ufficiale.

Lo scenario appare molto cambiato rispetto al passato, quando era la Chiesa a imporre la linea da seguire, mentre al potere pubblico spettava la sua esecuzione. Ora la linea viene dettata dagli Stati nazionali, che hanno consolidato la loro autonomia a prescindere dai riferimenti ecclesiali. Nel nuovo contesto le comunità religiose si sentono spesso costrette a restrizioni, a seguito dell’ingerenza dei poteri pubblici,  del diritto di professare il culto liberamente e pubblicamente.

Nel XX secolo, il periodo tra le due guerre mondiali è quello delle ideologie assolutiste del nazismo, del fascismo e del comunismo, con pesanti ripercussioni non solo sulla vita civile ma anche su quella religiosa. Tra l’altro, per la prima volta l’ateismo, prima teorizzato da singoli pensatori, diventa una dottrina di Stato da imporre ai sudditi, come nel passato si fece con i credo religiosi. Questo periodo rappresenta una battuta d’arresto nel cammino intrapreso per la piena affermazione della libertà di coscienza, in maniera singola e associata.

Dopo la Seconda Guerra Mondiale, con una radicale innovazione rispetto al passato, il principio della libertà religiosa è diventato patrimonio universale (almeno sul piano formale anche se non nelle situazioni di fatto) per il suo recepimento nelle convenzioni internazionali oltre che nelle Costituzioni della maggior parte degli Stati. Nel 1948 le Nazioni Unite, con la Dichiarazione dei diritti universali dell’uomo (art. 18),  hanno proposto la libertà religiosa come facoltà sia di scegliere una religione che di cambiarla (e naturalmente, anche di non abbracciarne alcuna). La Dichiarazione è stata approvata con l’astensione degli otto Stati islamici al tempo facenti parte dell’ONU, superando la loro intenzione iniziale di votare contro per il fatto di non poter accettare l’apostasia (questione sulla quale è nota la posizione innovativa recentemente assunta in Marocco); solo grazie alla mediazione del Pakistan e del Libano è stato possibile superare l’impasse. Tuttavia la Dichiarazione dei diritti e dei doveri dell’uomo dell’Islam, adottata nel 1990 dalla Conferenza Islamica, ha ribadito la superiorità della legge coranica su qualsiasi altra legge, naturale o positiva. Come si vede, si è prefigurato da tempo il rapporto tra le diverse religioni stabilito prima in Occidente tra le diverse confessioni cristiane.

Nel Vecchio Continente la Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali (CEDU)  viene considerata il principale testo di riferimento in materia di protezione dei diritti fondamentali dell’uomo, in quanto è l’unico dotato di un potere giurisdizionale permanente al quale i singoli si possono rivolgere (e anche i singoli cittadini). Firmata a Roma il 4 novembre del 1950 dai 12 Stati allora facenti parte del Consiglio d’Europa ((successivamente anche l’UE ha aderito alla Convenzione) e poi perfezionata da numerosi protocolli aggiuntivi, Il Consiglio d’Europa fu invece fondato il 5 maggio 1949 con il Trattato di Londra. Nell’Unione europea trova applicazione la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che è stata incorporata nel diritto dell’Unione in virtù del Trattato di Lisbona nel 2007 (art. 6, comma 1) e ha lo stesso valore dei Trattati comunitari, dedica a questo diritto l’articolo 10 (Libertà di pensiero, di coscienza e di religione) e l’articolo11 (Libertà di espressione e d’informazione ). Per il rispetto di questi princìpi si adoperano sia la giurisprudenza nazionale che la Corte di Giustizia dell’Unione Europea con sede a Lussemburgo e la Corte Europea dei Diritti Umani, che opera nell’ambito del Consiglio d’Europa e ha sede a a Strasburgo. In questo contesto un dibattito quanto mai interessante è stato quello riguardante l’apporto che le religioni possono fornite alle società democratiche e laiche, sul presupposto che la laicità rettamente intesa non significa ostilità alla dimensione religiosa.

Un altro aspetto importante riguarda la confessione cattolica che, dopo l’innovativo evento del Concilio Vaticano II (1962-1965), ha rivisto radicalmente i comportamenti criticabili del passato e ha impostato su una base di grande apertura sia i suoi rapporti con i poteri pubblici che con le altre comunità religose, di si cui è segno il documento conciliare Nostra Aetate. Un altro aspetto innovativo di questo scenario riguarda, per l’appunto, il rapporto tra le diverse religioni nel contesto di società diventate pluraliste in un senso molto più ampio rispetto al passato. Il nuovo pluralismo religioso riscontrabile in Europa, dove, in contesti nazionali dalla tradizione religiosa uniforme (principalmente quella cristiana, seppure rappresentata dalle confessioni cattolica, ortodossa ed evangelica), si sono nell’ultimo dopoguerra radicate religioni sviluppatesi in altri contesti e professate per lo più da cittadini stranieri o di origine straniera.

Inoltre, tutte confessioni religiose si sono trovate ad operare in situazioni che hanno risentito della diffusione del secolarismo, dell’ateismo e dell’agnosticismo. Per giunta, nell’esperienza esistenziale dei singoli credenti, è emerso l’orientamento a professare la propria fede in una maniera molto più flessibile rispetto alle indicazioni della confessione di appartenenza (una sorta di “fede senza appartenenza”).

Sul piano operativo è doveroso porre in evidenza che, in contrasto con le impostazioni di principio, si riscontrano dei ritardi nell’accettazione delle diversità religiose e nel superare le disuguaglianze di trattamento per quanto riguarda l’esercizio dei vari culti: in particolare, nei confronti dell’Islam, dopo i ripetuti atti di terrorismo compiuti da musulmani, si è diffusa una chiusura che spesso si traduce in aperta ostilità. 

8Conclusioni: il terzo millennio, speranze e preoccupazioni

Il cammino fatto per la completa affermazione della libertà religiosa non è ancora compiuto e si è chiamati a porre rimedio agli errori del passato. a valorizzare quanto di positivo è andato progres- sivamente emergendo e ad affrontare le nuove questioni che continuamente emergono.

Da parte sua il Cristianesimo caduto nel passato in comportamenti censurabili perché non rispondenti alla sua missione, pur attraverso un cammino fatto di contrapposizioni e di sofferenze, si è riavvicinato alla genuinità del Vangelo di Gesà Cristo e ha impostato la religiosità su parametri che dischiudono nuove prospettive di collaborazione tra le diverse confessioni cristiane e di queste con le altre religioni.

Tuttavia, è indispensabile che chi crede in una religione rivelata non pretenda di imporre agli altri i suoi stessi riferimenti di coscienza. Un diverso comportamento (che purtroppo non manca) è antistorico, perché non recepisce il significato dell’evoluzione intervenuta in Occidente nel corso di due millenni. Il riferimento a una realtà trascendentale, comunque essa sia intesa, va invece valorizzato come base unificante di tutte le religioni. Un maggiore impegno in questo senso non solo favorirebbe il dialogo interreligioso ma costituirebbe anche una proficua fonte di ispirazione per i decisori pubblici. In questo modo sarebbe più agevole superare (o quanto meno attenuare) le riserve che molti hanno sulla funzione della dimensione religiosa nel mondo di oggi. Ne è una riprova l’apprezzamento espresso alle Chiese cristiane per il loro impegno nel servizio delle categorie più bisognose, nella difesa dei diritti dei popoli e nell’accoglienza dei migranti.

Anche se può apparire paradossale a chi proviene da altre culture, la laicità dello Stato è diventata la salvaguardia della libertà religiosa in ambito pluralista, sia nei confronti dei cristiani che dei fedeli di altre religioni. Uno sguardo a livello mondiale induce a concludere che, mentre da una parte si riscontra maggiore consapevolezza formale del dovere di rispettare la libertà di coscienza anche sul piano religioso, d’altra parte sono diffuse le infrazioni a questo dovere, nei confronti dei cristiani e di fedeli di altre religioni. L’impegno deve essere quello di rimediare a questa incongruenza, a partire da quanto si può fare nel proprio Paese.

Dialoghi Mediterranei, n.31, maggio 2018
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Franco Pittau, ideatore del Dossier Statistico Immigrazione (il primo annuario di questo genere realizzato in Italia) e suo referente scientifico fino ad oggi, si occupa del fenomeno migratorio dai primi anni ’70, ha vissuto delle esperienze sul campo in Belgio e in Germania, è autore di numerose pubblicazioni specifiche ed è attualmente presidente onorario del Centro Studi e Ricerche IDOS/Immigrazione Dossier Statistico.
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