di Gabriella Argento, Roberta T. Di Rosa [*]
Nell’attuale quadro dei processi migratori, i “Minori Stranieri Non Accompagnati”, (comunemente noti con l’acronimo “MSNA”), hanno assunto nel corso degli ultimi anni una rilevanza crescente all’interno dei flussi in arrivo in Italia, non solo dal punto di vista quantitativo, ma anche rispetto alle sfide che hanno posto al sistema di accoglienza.
Più in generale, diverse analisi effettuate da organizzazioni internazionali (Save the Children, Terre des Hommes, Istituto degli Innocenti, Oxfam Italia, ecc.) e da studiosi (alcuni tra i più recenti: Surian, Comini, Menini e Pietropolli, 2018; Traverso, 2018; Bonifazi e Demurtas, 2017; Triestina, 2017; Attanasio, 2016; Bianchi, 2016; Di Nuzzo, 2013; Accorinti, 2014; Bertozzi, 2013; Valtolina, 2014; Giovannetti, 2016; Pavesi, 2018) mostrano come il sistema di accoglienza vigente in Italia si sia configurato in modo non sempre adeguato ai bisogni specifici dei MSNA. Dal punto di vista organizzativo, si osserva come, malgrado gli avanzamenti introdotti dalla legge 47/2017, persistano ancora notevoli differenze sul piano reale tra realtà locali, con un quadro complessivo di interventi frammentati e variabili, connessi alle differenze territoriali tra risorse e politiche sociali regionali (Di Rosa, 2017).
Uno dei nodi critici particolarmente diffuso nel sistema di accoglienza è la gestione dei tempi del rilascio dei documenti e dell’avvio di attività di inserimento sociale. Se, per i minori stranieri, arrivare nel territorio italiano appare inizialmente un approdo di salvezza, nel corso dei mesi successivi la lentezza dei procedimenti burocratici che portano alla protezione e all’ottenimento dei documenti trasforma la loro permanenza in accoglienza in una sorta di limbo. Questo risulta particolarmente penalizzante in relazione all’età dei minori in arrivo, che è sempre più alta: se al 30 giugno 2016 i MSNA di 17 anni erano pari al 54,30%, al 30 giugno 2018 tale percentuale si è attestata al 58,7% (Ministero del Lavoro e delle Politiche sociali 2018). Per effetto dell’età più alta all’arrivo, dispongono di un tempo più breve per acquisire un’autonomia di vita, prima di uscire dal sistema di protezione al compimento della maggiore età.
Una ulteriore criticità è quella relativa all’offerta di percorsi socioeducativi. I MSNA, al pari di tutti i loro coetanei, infatti, possiedono desideri, bisogni e prospettive, insieme ad un significativo livello di risorse personali e competenze di fronte ai quali l’accompagnamento educativo richiesto alla scuola non è solo quello del ‘traghettamento’ del minore tra culture e luoghi differenti, ma è anche quello reale e metaforico verso l’adultità, verso compiti di sviluppo più impegnativi rispetto all’età anagrafica (Bracalenti, Saglietti, 2011: 12). Ciò non soltanto rispetto ai tempi previsti di permanenza, ma anche rispetto alla adeguatezza dei servizi previsti e offerti a fronte dei profili socio-psicologici presentati.
I minori stranieri, infatti, per le esperienze complesse che hanno alle spalle e per le loro caratteristiche culturali provengono da una condizione adultizzata, giunti in Italia, nel periodo dell’accoglienza in struttura, sono infantilizzati, in quanto inseriti in un sistema sbilanciato verso il controllo e la mera assistenza, piuttosto che sperimentare un percorso di inclusione. Questo approccio rivela tutta la sua fallacia al compimento della maggiore età. Questo è il momento in cui emergono le conseguenze della scarsa attenzione alla continuità del percorso di inclusione dei MSNA: una volta raggiunto il diciottesimo anno, la gran parte di questi giovani si trova ad essere “esodata” dal sistema, ossia privata dei requisiti per proseguire l’iter di accoglienza in autonomia, vanificando così tempo, sforzi e risorse investiti fino a quel momento. Uno degli effetti più immediati generati da tale situazione è la scelta di abbandonare l’Italia o comunque il sistema di accoglienza in maniera arbitraria (Mordeglia, Storaci, Di Rosa, 2018), trasformando così i giovani in clandestini, scelta che ovviamente facilita il loro contatto con il mondo della devianza e della malavita.
In genere, si può ipotizzare che i MSNA interrompano il percorso di accoglienza nel tentativo di attraversare le frontiere con i Paesi europei confinanti, dove trovano ad attenderli membri dello stesso nucleo familiare o persone conoscenti, che esercitano sui minori un forte potere di attrazione. Tuttavia da esperienze di monitoraggio di progetti di accoglienza (Mordeglia, Storaci, Di Rosa, 2018) si osserva che intervengono nella scelta altri fattori di “espulsione” o di “mancato aggancio” dei minori, legati ai limiti del nostro sistema di accoglienza (Unicef, 2017) e, in generale, alla carenza di informativa legale rispetto alle procedure per regolarizzare la propria posizione dal punto di vista giuridico, alla lentezza nelle procedure per accedere ai documenti, alle condizioni generali delle strutture, al limitato accesso alle cure mediche e ai percorsi educativi, tutti fattori che generano e alimentano la sfiducia dei minori nei confronti del sistema italiano e ne motivano l’allontanamento (Oxfam, 2016).
Dai report periodici del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali è possibile monitorare l’andamento del fenomeno degli allontanamenti: nel periodo 2010/2017 è stato stimato che 5.252 minori abbiano abbandonato le strutture, specie quelle di prima accoglienza, dopo essere stati registrati all’arrivo, per continuare il loro viaggio in Europa o per spostarsi in altro luogo. Nel corso dell’anno 2017 il dato relativo agli allontanamenti è pari a 2.440 MSNA. Le tre nazionalità più rappresentate tra gli allontanamenti sono quella guineana (14,3%), quella ivoriana (9,7%) e quella somala (9,3%). Per quanto riguarda il primo semestre del 2018, si osserva che i minori stranieri non accompagnati irreperibili al 30/06/2018 sono stati complessivamente 4.677. Fra questi, le cittadinanze più numerose sono rappresentate dall’Eritrea (14,6%), dalla Somalia (11,9%) e dall’Afghanistan (10%). A partire dalla attivazione del SIM nel 2017 è possibile avere il dato certo e non più stimato sui minori irreperibili (minori stranieri non accompagnati per i quali è stato segnalato un allontanamento dalle autorità competenti a alla Direzione Generale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali). L’allontanamento viene censito nel SIM fino al compimento della maggiore età o a un nuovo eventuale rintraccio del minore. Il numero complessivo dei MSNA irreperibili sopra citato rappresenta lo stock degli allontanamenti registrati negli anni e relativi a soggetti ancora minorenni (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, Giugno 2018). A partire dall’anno 2017, è ora possibile fornire anche il dato relativo agli allontanamenti nel corso dell’anno che, per i primi sei mesi del 2018, è pari a 1.179 MSNA, dei quali il 24,9% è di cittadinanza tunisina, il 22,1% di cittadinanza eritrea e il 6,2% di cittadinanza afgana.
Percorsi di lungo periodo per accompagnare l’inserimento
La constatazione delle criticità descritte – unitamente alle condizioni di fragilità che la scelta migratoria, prima, e l’arrivo, dopo, inevitabilmente comportano – rende evidente quanto i MSNA necessitino di adeguate misure di accompagnamento, protezione e accoglienza, al fine di creare le condizioni idonee alla realizzazione di percorsi di accoglienza efficaci e capaci di includere in una prospettiva di reciprocità e allo stesso tempo arginare il fenomeno degli allontanamenti volontari. È riconosciuto che nessun individuo giunto di recente in un ambiente sconosciuto – e tanto meno un MSNA – è in grado di compiere scelte ragionate e ipotizzare in modo coerente e razionale le opzioni possibili.
La soddisfazione di standard minimi d’assistenza e l’accesso al percorso formativo sono essenziali per garantire l’acquisizione di competenze necessarie volte a offrire un futuro a questi giovani.
«Parlare di questi minori significa anche affrontare programmi di vita segnati da progetti migratori non sempre compiuti e spesso “sospesi” fra le aspettative della famiglia, l’interazione con l’inedito contesto di accoglienza e le sue molte facce, la difficoltà nel mettere a fuoco desideri e priorità e nel fare i conti con le limitazioni e gli ostacoli amministrativi e giuridici che riguardano anche la continuazione dell’eventuale percorso migratorio» (Surian et al., 2018: 128).
Nel Paese di accoglienza, dunque, questi giovani necessitano di essere accompagnati, a partire da un’attenta conoscenza delle loro caratteristiche sociali, competenze pregresse, retroterra socio-culturale e percorso migratorio, insieme alle loro motivazioni, bisogni formativi, aspirazioni e aspettative per il futuro; ossia di fattori considerati strategici alla realizzazione di processi inclusivi di lungo termine, specie al passaggio alla maggiore età. Del resto come sostiene Damiano (2014):
«L’accompagnamento non è una forma di supplenza del soggetto in formazione, né un esercizio di potere e neppure una relazione fusionale. Piuttosto esso si iscrive in una situazione nella quale c’è un attore principale – l’accompagnato – che in un modo o nell’altro occorre sostenere, proteggere e aiutare a perseguire e raggiungere il suo scopo. Così delineato l’accompagnamento implica una pedagogia del cammino e non del modello [...], un tipo di interazione che si alimenta nell’intersoggettività, dove le modalità dell’aiuto sono negoziate e non predefinite: un rapporto personalizzato nel quadro di un’etica relazionale» (Damiano in Laneve Pascolini, 2015: 316).
Utili, al fine di desumere indicazioni significative per l’accoglienza dei minori stranieri, sono i risultati emersi dall’osservazione di due progetti che hanno avuto come protagonisti proprio i MSNA, ed in particolare: il progetto PUERI (Pilot Actions for Uams: Early Recovery Interventions) e la ricerca “Percorsi di inclusione dei minori migranti: nuovi bisogni e prassi di accoglienza a confronto”. Entrambi i progetti si sono sviluppati nel periodo di massima espansione del sistema di accoglienza per MSNA in Sicilia (2017/18) e offrono spunti di riflessione complementare, rispettivamente alle fasi di arrivo e di inserimento nel sistema di accoglienza, e alle fasi di permanenza nel sistema e ai percorsi educativi al suo interno, finalizzati al raggiungimento di un adeguato livello di integrazione dei minori.
Il progetto PUERI, realizzato dalla Fondazione Nazionale Assistenti Sociali nel biennio 2017/2018, si è posto come innovativo volendo superare l’accezione generalizzata di accoglienza materiale, tipica dell’assetto emergenziale, attraverso l’offerta di un intervento globale, flessibile e continuato; il progetto, infatti, ha previsto l’aggancio dei minori proprio nei primissimi momenti dell’arrivo sulle coste italiane, presso le sedi degli Hotspot (Lampedusa, Ragusa, Trapani e Taranto) per accompagnarli nel primo periodo di inserimento nel circuito della prima e della seconda accoglienza.
La relazione di aiuto tra i team PUERI (assistente sociale, psicologo e mediatore) è stata pensata come costruita “con e per” il Minore, e si è articolata in un percorso di quattro incontri, svolti nei luoghi dove il minore veniva trasferito; si è trattato di intervento non autoreferenziale e di tipo plurale (attraverso team multi-professionali), in cui il protagonista per eccellenza è stato il MSNA che poteva decidere cosa e come esternare durante gli incontri: è così che hanno trovato spazio dubbi, paure, rabbia, silenzi assordanti, ma anche condivisione di sorrisi, momenti positivi e traguardi raggiunti. L’obiettivo non è stato tanto investigare sulla veridicità della storia riferita dal Minore, ma accompagnarlo e supportarlo verso una crescente consapevolezza della propria storia, per aiutarlo a comprendere meglio la sua condizione, al fine di non prendere scelte future affrettate e pervenire ad una rappresentazione positiva delle proprie capacità e possibilità.
Nel corso del Progetto PUERI sono stati presi in carico 1.815 MSNA ed effettuati 5.603 colloqui complessivi. Dei minori l’85,3%, ha completato il percorso dei quattro incontri previsti, mentre i Minori che si sono allontanati sono stati il 14,7%. Questo dato va sottolineato come rilevante, soprattutto se messo a confronto con il 31,26% di allontanamenti volontari dei minori non coinvolti nel progetto. L’esperienza del progetto PUERI, pertanto, permette di confermare l’importanza di una tempestiva presa in carico: l’adesione dei MSNA al percorso di accoglienza (senza scegliere quindi di rendersi invisibili) si costruisce a partire dai primi istanti dell’approdo. Gli incontri successivi al primo, durante il delicato periodo di adattamento, con un team composto sempre dalle stesse persone, diventano un fattore di continuità relazionale ed offrono al minore una valida opportunità per scegliere e seguire strade efficaci, ponendo le basi per la successiva presa in carico da parte dei professionisti delle comunità di accoglienza. La fiducia negli operatori e la comprensione del percorso di accoglienza permetterano in seguito di interagire con gli altri professionisti.
Co-costruire percorsi di inclusione partecipati e duraturi
Sviluppare le competenze e la sicurezza interiore necessarie per sperimentare un efficace percorso di inserimento personale, lavorativo e sociale nel periodo che li separa al compimento della maggiore età richiede un lavoro attento ed un impegno costante da parte dell’intero sistema di accoglienza e da parte degli stessi MSNA. Questi sono chiamati a riflettere circa le proprie aspettative e i propri obiettivi e altresì ad acquisire consapevolezza circa i propri mezzi/abilità, in una prospettiva nuova di tipo reinterpretativa in cui la narrazione riveste indubbiamente un ruolo centrale. Del resto, è proprio a partire dalla riflessione su tali aspetti che il Minore può pervenire ad una reinterpretazione differente del proprio vissuto e delle prospettive future, in cui le sue capacità e le sue esperienze pregresse possono essere considerate come fattori di slancio per ottimizzare il proprio progetto migratorio, e non come fattori da resettare in una logica che potrebbe sfociare in tendenze di tipo assimilazioniste.
Una volta giunti in seconda accoglienza, in previsione di permanenze stabilizzate, diventa essenziale garantire l’accesso alla scuola pubblica, passaggio indispensabile per creare le premesse per poi costruire quei percorsi integrati, di formazione e inserimento lavorativo, che sono previsti per accompagnare i minori verso l’autonomia.
La finalità del percorso di inserimento nel tessuto sociale del Paese ospite è rappresentato dal raggiungimento di un adeguato livello di integrazione dei minori in questione, e ciò comporta una specifica attenzione a partire dai primissimi momenti dell’arrivo dei MSNA sul territorio italiano. Il percorso educativo non può prescindere dall’accompagnamento durante il percorso di inserimento e dalla offerta di esperienze che lo aprano all’acquisizione di competenze di vita attraverso processi di formazione formale e informale che vadano al di là del percorso scolastico per preparare il ragazzo al percorso di vita futuro (UNICEF, 2017).
Molti di loro arrivano in Italia con una formazione pregressa ottenuta nel Paese d’origine, altri arrivano con bassi livelli di scolarizzazione. Tutti sono inseriti tempestivamente nella scuola dell’obbligo ma pochi continuano il percorso di studi e purtroppo non sempre la possibilità di accesso ai corsi professionali può esser garantita per via della mancanza di documenti. Tutti aspetti su cui ancora si sta cercando di intervenire.
La centralità del percorso d’integrazione socio-economica degli adolescenti viene confermata anche nella parte del Piano Nazionale di integrazione dei titolari di protezione internazionale, dedicata al rafforzamento del sistema di accoglienza dei minori (2017), nella quale viene ribadita l’importanza del dialogo tra le istituzioni ospitanti, le reti di istruzione sul territorio per stranieri (CPIA), i centri per l’impiego e gli altri enti predisposti.
Rispetto a tale aspetto, un secondo contributo si raccoglie dalla ricerca “Percorsi di inclusione dei minori migranti: nuovi bisogni e prassi di accoglienza a confronto”, promossa dall’Ateneo di Palermo su finanziamento MIUR, condotta in Sicilia nel 2017, nell’ambito delle attività di Itastra (Scuola di Lingua italiana per Stranieri) e che ha coinvolto oltre 500 MSNA, i dirigenti e gli insegnanti dei dieci Centri per l’Istruzione degli Adulti (CPIA) siciliani, oltre che i referenti delle strutture ospitanti. Obiettivo di tale lavoro è stato definire i profili socio-linguistici dei MSNA, delinearne le competenze e specificità (abilità linguistiche e tecnologiche, uso del tempo libero, progetto migratorio, condizioni socio-familiare di partenza e di permanenza in Italia) e porli in continuità con quanto già posseduto da questi soggetti e con le loro prospettive e aspirazioni, al fine di rendere più efficace il loro progetto migratorio, specie nella fase di ingresso alla maggiore età. Questi elementi sono stati poi incrociati, tramite interviste e focus group, con il punto di vista dei dirigenti scolastici e del personale docente che operano all’interno dei nove CPIA del territorio siciliano.
Dai risultati di questo lavoro è emerso come sia di fondamentale importanza non solo che i giovani migranti abbiano fiducia nel sistema di accoglienza, ma anche che il sistema riponga fiducia in loro, riconoscendo e incrementando le potenzialità di cui sono portatori. Alle figure che esercitano il ruolo educativo, come pure ai professionisti che li hanno in carico nelle comunità e nei servizi, è peraltro richiesto un costante esercizio di decentramento culturale, in quanto le abilità e le competenze dei giovani migranti vanno letti in un’ottica di tipo transculturale (Di Rosa, 2014) e non in maniera etnocentrica, ossia secondo i canoni dominanti nella società occidentale (es. numero anni di scolarizzazione o status sociale della famiglia di origine). Indicativa a questo proposito è la condizione riscontrata dei cd “analfabeti plurilingue”, ossia soggetti che pur non essendo mai andati a scuola nel Paese di origine, a seguito delle loro esperienze di vita possiedono un bagaglio linguistico di almeno tre differenti lingue, oltre che essere in grado di adoperare con una discreta dimestichezza lo smartphone e altri supporti tecnologici.
In tal senso, con l’obiettivo di meglio sintetizzare e rappresentare questo aspetto, il gruppo di ricerca impegnato nel progetto in questione, ha elaborato un “Indice delle competenze”, il quale dimostra come le possibilità di inclusione di questi giovani migranti siano connesse alle abilità e alle competenze di varia natura che gli stessi possiedono nel loro bagaglio di partenza e che soprattutto sono in grado di sviluppare nel Paese di accoglienza, compresa la dimensione dell’apprendimento della lingua italiana. In altri termini, il suddetto Indice attesta come l’apprendimento dell’italiano proceda a passi relativamente rapidi anche nel caso di soggetti con una scarsa scolarità. L’età relativamente giovane, insieme ad una esperienza di vita del tutto particolare, che li ha fatti crescere forzosamente, deve avere reso questi ragazzi particolarmente ricettivi nei confronti dell’apprendimento della lingua italiana.
D’altra parte, il contesto scolastico, in genere è il primo nel quale a livello formale acquisiscono le competenze e gli strumenti necessari a comprendere, interagire ed adattarsi al contesto ospitante e dunque si presenta ai loro occhi come porta di accesso a una condizione di vita migliore di quella che hanno lasciato e che, in ogni caso, offre loro la convinzione di avere più prospettive di vita e di riuscita di quelle che hanno lasciato nel Paese di origine.
A partire dagli spunti offerti dai progetti sinteticamente descritti, si conferma e si rafforza la centralità di considerare il percorso di accompagnamento dei MSNA alla maggiore età, in chiave sistemica e sinergica da parte di tutti gli attori coinvolti, a vario titolo e nei diversi momenti del processo di accoglienza; in questa direzione un ruolo centrale è svolto proprio dagli stessi MSNA e neomaggiorenni migranti, e soprattutto dalla qualità delle relazioni sperimentate nel percorso di accoglienza e dalle rappresentazioni positive che gli stessi hanno costruito anche in termini di autostima, fiducia nelle proprie capacità e sentimento di poter avere il controllo sulla propria vita.
Ne deriva la necessità, a livello macro-sociale, di ipotizzare interventi prevalentemente in chiave di Social Investiment (Rigon, 2017) e dunque prestare, sul piano delle policy, maggiore attenzione al ruolo di integrazione che può essere svolto da istituzioni centrali, come per esempio quelle deputate all’insegnamento dell’italiano quali i CPIA, insieme alle stesse strutture di accoglienza e agli attori del settore pubblico e del privato sociale appartenenti alla rete di riferimento deputata all’inclusione dei giovani migranti giunti in Italia.
Del resto è solamente attraverso la promozione di azioni plurime in grado di facilitare un’inclusione sociale sostanziale e un corretto investimento quali-quantitativo delle risorse, che è possibile evitare che i percorsi di vita di questi giovani protagonisti si orientino e si strutturino nella devianza, con gravi costi personali per loro e oneri economici e sociali parimenti pesanti per la comunità di accoglienza.
Dialoghi Mediterranei, n. 38, luglio 2019
[*] Il testo è stato preparato per la tavola rotonda: “I minori stranieri non accompagnati: nuove forme migratorie, profili, tutele”, tenutasi all’interno del convegno Migrare dell’Università di Palermo (20-22 maggio 2019)
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Gabriella Argento, assistente sociale specializzata e dottoranda di ricerca in Studi Migratori presso l’Università di Jaen (Andalusia). È cultore della materia per la disciplina Servizio sociale internazionale nel corso di laurea in Servizio sociale dell’Università di Palermo.
Roberta T. Di Rosa, sociologa e assistente sociale, mediatore familiare e comunitario formato alla Università Cattolica di Milano, specializzata in Svizzera e in Francia per la gestione dei conflitti culturali comunitari e all’interno delle famiglie straniere e nelle coppie miste. Dal 2006 è ricercatrice presso la Facoltà di Lettere dell’Università di Palermo, professore aggregato di “Sociologia delle migrazioni” e “Modelli e competenze interculturali nel servizio sociale”. Si occupa di questioni di identità, genere ed appartenenza in migrazione; di accoglienza e integrazione per minori non accompagnati e seconde generazioni; di sperimentazione didattica transculturale per operatori sociali. È autrice di diversi studi pubblicati su riviste e volumi collettanei. Si segnalano i suoi contributi in Il razzismo in Italia (Aracne 2011) e in Mediazioni e servizi alla famiglia (Aracne 2012). Ha recentemente curato il volume Il servizio sociale nell’emergenza (Aracne 2013).
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