Una premessa
Anni addietro avevo pensato di fare un abbonamento, per un anno, alla rivista «Radici cristiane» diretta da De Mattei, uno storico e cattolico conservatore che con Berlusconi era divenuto vice presidente del CNR e che da tempo è a capo della Fondazione Lepanto: un nome che è un programma. Da quel momento sono stata inondata di e.mail di varia origine, ma credo sostanzialmente rispondenti allo stesso orientamento circa la Chiesa e i suoi insegnamenti. I mittenti? L’ Associazione Luci sull’Est, che ha per motto “Infine il mio Cuore Immacolato trionferà!”: ed è ovvio che qui parli Maria, la Vergine delle apparizioni di Fatima. Non è la sola sigla utilizzata, ché varia corrispondenza giunge ancora, ad anni di distanza, anche da CR CORRISPONDENZA ROMANA, agenzia di informazione settimanale. Si aggiunge a tutto questo la casa editrice Edizioni Fiducia, che pubblica e reclamizza i libri di De Mattei, proponendoli a prezzi scontati. In questo ambito viene suggerita e realizzata una annuale Marcia Nazionale per la Vita.
La corrispondenza è abbondante, martellante. Il tutto, interessante per me che per anni ho insegnato Sociologia della Religione alla Università degli Studi di Roma, la Sapienza. Ammetto però che fino a tempi recenti non ho quasi letto questa ampia corrispondenza, cui ho dedicato una fuggevole attenzione prima di cancellarla.
A un certo punto mi era giunto – siamo al novembre 2017 – uno scritto intitolato Correctio filialis. De haeresibus propagatis. L’intestazione dice: Lepanto. In basso, una notazione: Anno XXXV n. 196. Nella seconda di copertina si chiarisce che il testo è stato «trasmesso privatamente» a papa Francesco l’11 agosto 2017 e quindi pubblicato il 25 settembre con le firme di 62 tra teologi, filosofi, storici e pastori di Chiesa. Grazie a Dio, nessun sociologo. Si dice inoltre che il sito, www.correctiofilialis.org ha ricevuto centinaia di migliaia di visite, e che altri 250 studiosi e sacerdoti di varie nazionalità lo hanno sottoscritto. Inquietante, come minimo. Perché il testo, sotto veste filiale è, nella sostanza, durissimo. Si sostiene che papa Francesco ha sbagliato e sbaglia. Non difende a viso aperto, scrivono, la verità del Vangelo. Così conclude questa pagina: «In un’epoca di ottenebramento delle coscienze, la Correctio filialis esprime il sensus fidei di una larga parte di cattolici che ricordano filialmente al loro Supremo Pastore che la salvezza delle anime è il loro massimo bene e che per nessuna ragione al mondo si può commettere il male o transigere con esso». Segue il testo integrale, la cui impostazione è subito evidente. Comunque, per chi non avesse ancora chiaro il tutto, l’incipit fuga ogni dubbio:
«Beatissimo Padre,
con profondo dolore, ma mossi dalla fedeltà a Nostro Signore Gesù Cristo, dall’amore alla Chiesa e al Papato, e dalla devozione filiale verso di Lei, siamo costretti a rivolgerLe una correzione a causa della propagazione di alcune eresie sviluppatesi per mezzo dell’esortazione apostolica Amoris laetitia e mediante altre parole, atti e omissioni di Vostra Santità.
…
È stato dato scandalo alla Chiesa e al mondo, in materia di fede e di morale, mediante la pubblicazione di Amoris laetitia e mediante altri atti, attraverso i quali Vostra Santità ha reso sufficientemente chiari la portata e il fine di questo documento. Di conseguenza, si sono diffuse eresie e altri errori nella Chiesa; mentre alcuni vescovi e cardinali hanno continuato a difendere le verità divinamente rivelate circa il matrimonio, la legge morale e la recezione dei sacramenti, altri hanno negato queste verità e da Vostra Santità non hanno ricevuto un rimprovero ma un favore. Per contro, quei cardinali che hanno presentato i dubia a Vostra Santità, affinché attraverso questo metodo radicato nel tempo la verità del Vangelo potesse essere facilmente affermata, non hanno ricevuto una risposta ma il silenzio».
I figli insomma rimproverano al Padre di non essere stato fedele agli insegnamenti infallibili dei predecessori. Il testo continua per ben 16 pagine, chiudendo con un richiamo al Santo Padre che ha concesso la Santa Comunione a un gruppo di luterani finlandesi durante la celebrazione della Santa Messa nella basilica di San Pietro, il 15 gennaio 2016. Non solo: si ricorda che il 13 ottobre 2016 il pontefice ha presieduto un incontro di luterani e cattolici in Vaticano, nella Sala Nervi, in cui era stata eretta una statua a Martin Lutero: e si avverte la sensazione di scandalo da parte degli scriventi, in questo richiamo finale. Seguono alcune pagine con richiami al Concilio di Trento e ad analoghe fonti. In coda, l’elenco dei firmatari.
Un testo decisamente impressionante. Una polemica a senso unico, poiché non sembra che il papa abbia dato risposta. Saggiamente, a mio parere: meglio il silenzio piuttosto che una risposta che farebbe emergere il nome dell’interlocutore, riconoscendolo come tale.
Continuano a giungere circolari, informazioni
Gli invii da parte degli stessi soggetti di cui accennavo continuano, per anni. Continuano fino ad oggi, senza che io abbia il tempo o il desiderio di leggerli, di approfondire la questione. Ora però che siamo fermi nelle nostre abitazioni – noi fortunati che le abbiamo – a causa del coronavirus posso fare una maggiore attenzione al fenomeno. Credo di aver ricevuto, nel solo mese di marzo del 2020, più di una comunicazione al giorno da parte di questi cattolici ultra conservatori. Se salta un giorno, poi magari ne giungono due o anche tre il giorno dopo. Le più numerose sono quelle di Luce sull’Est, in cui si tratta del miracolo di Fatima, delle apparizioni ai pastorelli. Oggi, in tutta questa rievocazione è ben presente il coronavirus. Ad esempio in un messaggio datato 27 marzo si parla di Gioconda che, ammalata, lancia un «grave ammonimento»: dice che «Le offese a Dio portano all’inferno»; la e.mail promette che si affronterà il tema del come eravamo prima del coronavirus, chiede di cliccare per iscriversi al programma “Fatima… non finisce qui”, sollecita donazioni. E, ancora, esorta a inoltrare questa missiva ai propri contatti, a fare una offerta per lo sviluppo del programma di Luci sull’Est su YouTube. Il tono è insistente, il messaggio ripetuto.
Il 26 marzo, la benedizione papale urbi et orbi
In tutto questo panorama di desolazione dovuto al coronavirus, papa Francesco ha certamente indovinato almeno due significativi gesti: la solitaria a camminata per un deserto Corso Umberto, a Roma, fino alla chiesa in cui è custodito il crocefisso che in passato avrebbe salvato la popolazione dalla peste e poi, ancora più spettacolare, la benedizione urbi et orbi data in una deserta piazza San Pietro, sotto un cielo piovoso e respingente: i telegiornali inviano le immagini ovunque, i new media le ripropongono. Un uomo solo, anziano, che prega e benedice nelle sue simboliche bianche vesti. Le immagini restano impresse nell’immaginario collettivo, i credenti si rallegrano, i non credenti commentano favorevolmente le capacità comunicative di questo pontefice.
Un pontefice pronto al dialogo, attento al sociale. Ma non al ruolo delle donne nella chiesa, o alla possibilità di diaconi sposati. Si tratta di capacità, di doti ampiamente riconosciute, così come lo sono, e non solo in ambito cattolico, i suoi sforzi di dialogo con il mondo ortodosso, con il protestantesimo. Sono consapevoli dei suoi molteplici sforzi in direzione di un superamento delle più dure contrapposizioni tra diverse credenze la maggior parte degli osservatori del fenomeno religioso. Un papa che si muove bene non solo nel dialogo tra diversi tipi di cristianesimo, nonostante le difficoltà sorte inevitabilmente con il cosiddetto ‘scisma ucraino’ ma anche nei tentativi di confronto con religioni altre.
Io stessa ne ho scritto non troppo tempo addietro (v. Papa e donne, senza riforme, in «Confronti» n. 12, 2018: 29-30). Si tratta di un intervento in cui notavo le coraggiose prese di posizione di questo papa con riguardo al sociale, rilevando altresì come fosse invece tutto apparentemente fermo in campo religioso: le donne non possono in genere, ad oggi, amministrare i sacramenti, tanto meno accedere al sacerdozio. Con poche storiche eccezioni non si hanno preti o diaconi sposati, laddove questo è contemplato in diversi ambiti cristiani. Più recentemente è tornato su questi temi anche Luigi Sandri, già noto vaticanista, autore di più libri sulla Chiesa e i concili, sull’attuale pontefice, con un articolo intitolato Amazzonia chiama Germania: se il papa differisce le riforme («Confronti n. 3, 2020: 9). In esso Sandri si richiama all’esortazione apostolica post-sinodale Querida Amazonia del 2 febbraio, resa nota il 12 del mese. Una enciclica, scrive Sandri, che si pone dalla parte dei “popoli primi” ma che appare debole e contraddittoria allorché affronta i problemi ecclesiali di quella area; una enciclica che non affronta e quindi elude il tema dell’ordinamento sacerdotale di diaconi sposati (i viri probati) e almeno il diaconato per le donne. Sandri chiude il suo scritto auspicando un nuovo Concilio, che solo potrebbe mutare la situazione ed evitare il conflitto con il Sinodo tedesco che, sui temi dei ministeri, della donna e del celibato sembra avere posizioni diverse da quelle di Roma.
Una richiesta legittima, quella di un Concilio, un tono ragionevole e, a me sembra, condivisibile. Anche ai miei occhi Francesco, molto attento al sociale, non mostra la stessa attenzione – o forse è meno libero di mostrarla, di arrivare a dei risultati? – in campo ecclesiastico, dove non vengono affrontati i temi oggi sempre meno eludibili del ruolo delle donne nella Chiesa e dei diaconi, se non dei preti sposati. Mi interrogo su questi temi, quando mi giunge in data 30 marzo un nuovo messaggio da Corrispondenza Romana, che tratta del coronavirus.
Il coronavirus e la mano di Dio
Si tratta, viene subito chiarito, della intervista rilasciata da S.E. l’arcivescovo Carlo Maria Viganò a Michael Matt, pubblicata su “The Remnant” il 30 marzo 2020. L’arcivescovo Viganò? Mi vengono in mente vaghi ricordi di una sua nomina a Nunzio Apostolico negli USA: una carica di grande responsabilità e rilievo, è evidente. Che tuttavia gli verrà revocata: se non ricordo male, da allora egli si mostra terribilmente critico nei confronti di papa Francesco. Da qualche parte dovrei avere anche una sua missiva al Cardinale Zen, in cui lamentava l’andamento delle vicende cinesi con riguardo alle prese di posizione vaticane. Miracolosamente la ritrovo: è in data 29 febbraio 2020. Dure parole sono qui pronunciate a proposito delle opinioni espresse dal card. Parolin e dal cardinale Giovanni Battista Re contro Zen [1]. Mi chiedo chi lo abbia consacrato arcivescovo. Cerco in internet, trovo la risposta: Giovanni Paolo II, il papa polacco, l’amico degli ustascia. Capisco.
Ma torniamo a questa ultima intervista. Si entra subito nel merito con una prima domanda che pone l’interrogativo: «Con quale sguardo il cristiano deve valutare la pandemia del Covid-19?» La risposta ci riporta indietro di secoli, e non mostra il minimo dubbio da parte dell’arcivescovo:
«La pandemia del Coronavirus, come tutte le malattie e la stessa morte, sono una conseguenza del Peccato Originale. La colpa di Adamo, capo del genere umano, ha privato lui e i suoi discendenti non solo della Grazia, ma anche di tutti quei doni che Dio gli aveva dato alla Creazione».
Tutto questo va ricordato, continua l’alto prelato, «specialmente in un momento in cui i principi basilari del Catechismo sono ignorati o negati». Leggo, incredula. Il discorso continua: «Il Cattolico sa che la malattia, e quindi anche le epidemie, la sofferenza, la privazione dei propri cari, devono essere accettate con fede e umiltà anche in espiazione dei nostri peccati personali». Grazie alla Comunione dei Santi, prosegue Carlo Maria Viganò, possiamo offrire queste prove anche per il perdono dei peccati altrui, per la conversione di chi non crede, per le anime sante (forse, avrebbe dovuto dire: future sante) del Purgatorio.
Non possiamo assolutamente limitarci, secondo l’intervistato, all’aspetto meramente clinico della malattia, togliendo «ogni dimensione trascendente alla nostra vita». Quindi, la pandemia sarebbe un castigo divino per i nostri peccati. Capisco che il pontefice non voglia parlare di opinioni del genere, non voglia dare spazio a chi le pronuncia, con forza, nonostante il dolore dell’intero mondo abitato.
L’intervistatore fa presente che secondo alcuni esponenti della Gerarchia e vari sacerdoti, Dio non punisce. Ma Viganò non è d’accordo. La sua risposta è immediata: certo che Dio punisce. Un padre che non punisse il figlio che se lo merita non sarebbe un buon padre. Non sarà un po’ sproporzionata, una punizione che porta a morte medici e infermieri, persone anziane già debilitate, migliaia di persone? E siamo sicuri che siano i responsabili dei peggiori crimini coloro che muoiono e vengono qui condannati senza appello?
Quando l’intervistatore poi locutore chiede all’arcivescovo se ci sono dei peccati particolarmente odiosi agli occhi di Dio, Viganò risponde che ci sono. Certamente: «I crimini di cui ognuno di noi si macchia davanti a Dio sono un colpo di martello sui chiodi che hanno trafitto le Mani del nostro Redentore, un colpo di frusta che ha strappato la carne del Suo santissimo Corpo, uno sputo sul Suo amorevole Volto». I fatti di oggi, i danni, la paura, la malattia, la morte per coronavirus sono, secondo l’arcivescovo Viganò, le conseguenze dei peccati commessi dai singoli. Ma non andrebbero dimenticati, ammonisce, quelli commessi dalla società, dalle Nazioni. Quali? È presto detto:
«L’aborto, che anche durante la pandemia continua a uccidere bambini innocenti; il divorzio, l’eutanasia, l’orrore del cosiddetto matrimonio omosessuale, la celebrazione della sodomia e delle peggiori perversioni, la pornografia, la corruzione dei piccoli, la speculazione delle élites finanziarie, la profanazione della domenica…»
Perché, l’arcivescovo ne sembra convinto, ci sarebbero nazioni che negano Dio e impongono ai «sudditi» (sic) di accettare leggi contrarie alla Morale naturale e alla Fede cattolica, v. il riconoscimento dei diritti all’aborto, all’eutanasia e alla sodomia»: un punto di vista piuttosto originale, direi. E ancora, sarebbe accettata la corruzione dei fanciulli (che in effetti sembra essere stata una pratica presente in certe comunità religiose, come è clamorosamente emerso in questi ultimi anni). Viganò sembra consapevole del fatto che la Chiesa non è senza colpe. Ma la sua posizione sembra piuttosto particolare: la Chiesa è, a suo parere, «indefettibilmente santa» in quanto Corpo Mistico di Nostro Signore. Ma c’è un ma: perché «…è pur vero che, se la Chiesa è Santa, essa può essere però peccatrice nei suoi membri qui sulla terra, ed anche nella sua Gerarchia».
Bergoglio parla di «vendetta della madre terra che reclama rispetto», mentre dovrebbe chiedere venia per il sacrilegio perpetrato nella Basilica di S. Pietro, prosegue l’alto prelato. Quale sarà, mi domando, questo grave sacrilegio commesso in S. Pietro? Si tratterebbe di una profanazione, di un atto di apostasia «con l’idolo immondo e demoniaco della pachamama» (7 ottobre 2019). Hanno fatto scalpore, a suo dire, le statuette della divinità inca. Forse, per l’esposizione – per lui, certamente scandalosa – dei seni nudi [2].
Ma l’intervistatore va avanti: i vescovi di Portogallo e Spagna hanno consacrato i loro Paesi al Sacro Cuore di Gesù, e anche al Cuore Immacolato di Maria. Altre comunità hanno invocato la protezione della Vergine. Come valuta l’arcivescovo questi eventi? Lui ricorda come a Fatima la Vergine abbia chiesto al Papa e ai Vescovi di consacrare la Russia al Suo Cuore immacolato, preannunciando «sciagure e guerre» laddove ciò non fosse avvenuto: appelli inascoltati. Onde le conseguenze: sembra di essere tornati ad antichissimi, vendicative divinità.
E le sospensioni delle celebrazioni in tutto il mondo? Immediata, chiara la risposta:
«Mi chiedo – e tremo a dirlo – se la chiusura delle chiese e la sospensione delle celebrazioni non sia una punizione che Dio ha aggiunto alla pandemia. Ut scirent quia per quae peccat quis, per haec et torquetor. Perché capissero che con le cose con cui uno pecca, con quelle viene punito (Sap. XI, 17). Offeso dalla sciatteria e dalla mancanza di rispetto di tanti Suoi Ministri; oltraggiato dalle profanazioni del Santissimo Sacramento che quotidianamente si perpetrano con la sacrilega abitudine di amministrare la Comunione in mano; stanco di sopportare canzonette volgari e prediche eretiche, il Signore si compiace ancor oggi – nel silenzio di tanti altari – di sentir elevare a lui la lode austera e composta di tanti sacerdoti che celebrano la Messa di sempre»
Certo, ammette Viganò, ci vuole rispetto per la salute pubblica. Ma la Chiesa dovrebbe occuparsi di anime. E, chiede l’intervistatore, cosa pensa l’arcivescovo dei pranzi per i poveri all’interno dei luoghi di culto, che si sono avuti in un recente passato? Ovviamente, Viganò è convinto del fatto che sempre la Chiesa sia stata un fulgido esempio in questo senso: non è mica, viene suggerito, un’invenzione di Bergoglio, l’attenzione ai poveri e agli emarginati. A suo parere la differenza risiederebbe nel fatto che l’assistenza prescinde, oggi, da riferimenti spirituali. Si deplora, oggi, a suo parere, il cosiddetto ‘proselitismo’, senza comprendere che si tratta di una rinuncia alla “missionarietà”. Tutta colpa, naturalmente, del Concilio Vaticano II. Non si può usare una Chiesa per servire pizze o braciole!!!, chiarisce l’arcivescovo.
Il discorso si sposta poi su una messa interrotta a Cerveteri, senza che si sia pensato di richiamarsi ai Patti Lateranensi: «una pusillanimità – commenta l’arcivescovo – che potrebbe un giorno autorizzare abusi ben peggiori». E il discorso prosegue. L’intervistatore ricorda come il pontefice abbia invitato alla preghiera i cristiani tutti. E l’arcivescovo risponde:
«Il relativismo religioso insinuato dal Concilio ha cancellato la persuasione che la Fede Cattolica sia l’unica via di salvezza e che il Dio Uno e Trino che adoriamo sia l’unico vero Dio. Papa Bergoglio ha affermato, nella dichiarazione di Abu Dhabi, che tutte le religioni sono volute da Dio: questa è non solo un’eresia, ma una forma di gravissima apostasia ed una bestemmia».
E il discorso prosegue, chiarendo come dietro a tutto questo vi sia Satana: solo il Nemico può ispirare, secondo l’arcivescovo Viganò, provvedimenti che provocano la perdita spirituale di tante anime. Esempi positivi? La Chiesa polacca, dove si prega e si seguono le Messe: e dove la pandemia sembra fare meno vittime che altrove. Cosa direbbe in sintesi l’arcivescovo ai fedeli? Che
«È indispensabile e indifferibile una vera e propria conversione del Papa, della Gerarchia, dei Vescovi e di tutto il clero, così come dei Religiosi. I laici lo reclamano, mentre soffrono in balia della confusione per la mancanza di guide fedeli e sicure. Non possiamo permettere che il gregge che il divino Pastore ci ha affidato per governarlo, proteggerlo e condurlo alla salvezza eterna sia disperso da mercenari infedeli. Dobbiamo convertirci, tornare ad essere totalmente di Dio, senza compromessi col mondo».
Basta con i sentieri sinodali, basta con una malintesa collegialità, dice Viganò. Dobbiamo ricordarci che la vita cristiana è una milizia. Ci vuole conversione e penitenza.
Non avrei mai dedicato tanto tempo a un testo del genere, in una situazione di normalità. Devo forse ringraziare il coronavirus che, obbligandoci a stare in casa, ci consente più tempo anche per spulciare le e.mail in arrivo, per prendere atto che la realtà non è necessariamente e solo quella nel cui ambito siamo abituati a vivere, ad operare.
Perché devo ammettere che, abituata a muovermi con ben altri interlocutori, tra cui a suo tempo mons. Luigi Di Liegro, l’Abate Franzoni, don Sardelli, ed oggi persone impegnate come quelle della Comunità di S. Paolo, o gli amici di Beth Hillel, esponenti progressisti e impegnati della comunità ebraica, o ancora gli amici valdesi e metodisti che lavorano a «Confronti» o quelli che portano avanti, tra tante difficoltà, «Adista», forse avevo dimenticato l’esistenza di questo tipo di cattolici. Dovrei, credo, in questo senso, un ringraziamento al coronavirus che ci ha indotti, non proprio consensualmente, a ritrovare lo spirito della clausura, a cercare di comprendere meglio la varia e contraddittoria società in cui ci troviamo a vivere. A far sì che l’esistenza di personaggi del genere venga adeguatamente conosciuta e deprecata: in quanto studiosi della materia, le nostre preoccupazioni sono oggettivamente diverse da quelle del pontefice. Che credo faccia bene ad ignorare certi esponenti del clero.
Dialoghi Mediterranei, n. 43, maggio 2020
Note
[1] Riprende la vicenda dei rapporti Vaticano-Cina «Adista» del 14.3.2020 n. 10 con l’articolo: Cina: il card. Giovanni Battista Re bracca il card. Zen. Che sfugge. Come mai? Cosa è accaduto? In sintesi, vi sono state numerose ‘esternazioni’ dell’arcivescovo emerito di Hong Kong, card. Joseph Zen, contrarissimo agli accordi. Il 26.2.’20 interviene il card. Giovanni Battista Re, decano del collegio cardinalizio. In causa anche il card. Parolin, segretario di Stato Vaticano, che ha contribuito all’accordo con la Cina. Zen parla di una Chiesa scismatica. Nel conflitto si inserisce anche mons. Carlo Maria Viganò che offre la propria solidarietà al card. Zen, deplorando il “…proditorio e sciagurato Accordo Segreto” che significherebbe l’abdicazione della Chiesa Cattolica di fronte all’eresia e all’apostasia…
[2] Stranamente trovo l’immagine così duramente tacciata di essere riprovevole nel calendario donatomi nella Comunità New Age di Damanhur del 2020, al mese di marzo. Una giovane divinità inca, con i seni nudi. Una cosa inconcepibile, evidentemente, per questo alto prelato. Questo cenno mi richiama alla mente un altro fatto che aveva lasciato invece in me molto disagio; in questo passato dicembre 2019, avevo ospitato mia figlia, antropologa e artista, e una sua amica di vecchia data, curatrice di un museo a Città del Messico. Questa, scherzosamente, mi aveva porto una statuina di Frida Kahlo (1907-1954), oggetto inflazionato e venduto su tutte le bancarelle messicane, in cui l’artista veniva ritratta con un’unica riga sopraciliare spessa e compatta. Una sorta di bambola che si muove se le si dà la carica: cosa che a me è parsa e pare tremenda, pensando alla grande artista la cui immagine viene così svilita e mercificata.
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Maria Immacolata Macioti, già professore ordinario di Sociologia dei processi culturali, ha insegnato nella facoltà di Scienze politiche, sociologia, comunicazione della Sapienza di Roma. Ha diretto il master Immigrati e rifugiati e ha coordinato per vari anni il Dottorato in Teoria e ricerca sociale. È stata vicepresidente dell’Ateneo Federato delle Scienze Umane, delle Arti e dell’Ambiente. È coordinatrice scientifica della rivista “La critica sociologica” e autrice di numerosissime pubblicazioni. Tra queste si segnalano: Il fascino del carisma. Alla ricerca di una spiritualità perduta (2009); L’esperienza migratoria. Immigrati e rifugiati in Italia (con E. Pugliese, nuova edizione 2010); L’Armenia, gli Armeni cento anni dopo (2015), Miti e magie delle erbe (2019).
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