di Laura Isgrò
L’afición taurina in Messico iniziò a svilupparsi qualche decennio dopo la fondazione della Ciudad, che avvenne per opera di Hernán Cortés sulla polvere della capitale azteca Tenochtitlán il 13 agosto del 1521 [1]. Secondo lo spirito della politica ispanica, in tutta la Nueva España [2] doveva essere diffusa una cultura perfettamente modellata su quella di Madrid, centro del potere politico, economico, amministrativo e religioso dell’Impero. A Città del Messico fu impiantato un sistema burocratico, amministrativo e politico molto complesso al cui capo era il viceré affiancato dalla Corte, dal Municipio e dal Consiglio Ecclesiastico. Non mancavano collegi religiosi, un’università e numerose biblioteche.
Vi fu una sovrapposizione imponente e aggressiva della civiltà dei nuovi arrivati sui nativi sopravvissuti alle stragi di Cortés, cosa che comportò la pretesa di imporre e far fiorire, ad altissimi livelli, la propria idea di architettura, di arte, di economia e di governo. Il tradizionale modo di concepire la cerimonialità, a cui la nobiltà e il popolo di Spagna erano abituati secondo una precisa strategia politica messa in atto dalla Corona, fu presto diffuso con determinazione in tutti i viceregni dell’Hispanidad, incluso la Nueva España con la sua capitale Città del Messico.
La fiesta aveva una finalità propagandistica ed era basata sulla solida struttura portante di ciò che solo in superficie appariva effimero. I festeggiamenti erano un’occasione per comprovare al popolo conquistato la magnificenza del potere di Spagna e la supremazia assoluta della sua cultura. La forma giocosa della fiesta doveva contemplare innanzitutto la piena visibilità di chi era al potere: viceré, viceregina, corte, nobiltà, notabili, vescovo e alti prelati, sindaco della Città. Erano previsti cortei accompagnati dall’esibizione di musici nell’asse viario di parata, addobbato con strutture di legno riccamente intagliate e impreziosite da abbellimenti. Terminata la sfilata, il momento festivo continuava con la corrida de toros e il juego de cañas [3].
Le temporadas erano molto frequenti e venivano organizzate per l’incoronazione di un nuovo re, durante i giorni celebrativi di sant’ Ippolito, per la nascita di un infante reale, per le nozze dei re, per la canonizzazione di un Santo, per gli onomastici e i genetliaci dei principi, dei viceré e delle viceregine, per celebrare un trattato di pace. Numerose dunque erano le occasioni che stabilmente venivano create per rendere omaggio pubblicamente all’egemonia indiscussa della cultura spagnola e in cui originariamente non era previsto fossero coinvolti attivamente i nativi.
Solo successivamente venne concesso loro di entrare nella dimensione spaziale della festa urbana con qualche inserimento rituale. Rimane il fatto che nei ragguagli ufficiali si accenna marginalmente alla partecipazione del pubblico indigeno, probabilmente perché nei primi anni dell’insediamento spagnolo si preferiva intenzionalmente ingenerare stupore e meraviglia per lo sfarzo sfoggiato e piegare all’obbedienza e stimolare il consenso di massa, più che creare ponti di dialogo e di compenetrazione culturale. Le diversiones, dunque, erano propriamente destinate agli spagnoli che amavano completarle con ricchi banchetti. Per consentire di fruire al meglio dello spettacolo delle corride e dei giochi, venivano allestiti palchi in legno disposti in modo tale da renderne agevole la visione sul piano della Plaza Mayor e delle piazze minori limitrofe.
La pratica cavalleresca dei conquistadores si impiantò ben presto nelle colonie recentemente annesse alla Corona di Castiglia tramite i pittoreschi divertimenti ereditati dai romani, dai mori e dalle mediazioni della festa rinascimentale. La spettacolarità festiva ebbe così uno sviluppo straordinario grazie all’ingente disponibilità economica dovuta principalmente alla ricchezza del sottosuolo e, per quanto riguarda il successo delle corride, alla presenza di numerose mandrie di tori di purissima razza. In quella remota epoca, tuttavia, non c’erano lidiadores di professione, non si era affermata l’arte di matar con i suoi fondamentali princìpi tecnici ed estetici; lo spettacolo taurino entusiasmava e strappava gli applausi della moltitudine per la stesso motivo che rese così popolare il combattimento contro le fiere nei circhi e negli anfiteatri romani: la dimostrazione del valore, della forza e dell’abilità dei lottatori.
Le corride non avevano di certo, in questa fase, quel pregio artistico e quel significato profondo che assunsero qualche decennio dopo la loro prima apparizione a Città del Messico; consistevano più che altro in manifestazioni di destrezza nello scansare le vigorose cornate dei tori che pure vennero scelti, sin da subito, con grande cura sulla base delle loro qualità estetiche e performative. I conquistadores dovettero aver imbarcato dal principio dei loro viaggi dalla madrepatria alcuni esemplari di toros de lidia esclusivamente per il loro sostentamento, come fecero per le pecore e per i maiali; in seguito però, sopraggiunta l’esigenza di utilizzarli per le corride, furono lasciati liberi di riprodursi alla stato selvaggio e di formare vere e proprie mandrie di toros bravos.
La prima corrida de toros ebbe luogo a Città del Messico il 13 agosto del 1529 e da quel momento l’usanza di celebrare corride durante le feste venne consolidata per gli altri tre secoli dell’epoca coloniale. Il regolamento imponeva che il combattimento fosse accompagnato da trombe e timpani. Dal 1535 si cominciò a rendere omaggio ai viceré appena investiti della loro carica con tre giorni di corride, facendo pervenire cento tori di razza pura dai diversi allevamenti locali. In occasione di queste feste si ergeva un volador [4] in mezzo alla Plaza Mayor e trombe e timpani sottolineavano l’entrata delle cuadrillas.
Nel 1538 per celebrare la Pace di Aguas-Muertes fra Spagna e Francia furono organizzati imponenti festeggiamenti che includevano juegos de cañas e corride in onore del Viceré Mendoza e di Hernán Cortés. Nella Plaza Mayor, di fronte al Monte di Pietà, si trovava il recinto dei tori; davanti al Municipio era posta la platea appositamente costruita per la corrida come era in uso già a Siviglia; a partire dai balconi del Palazzo Vicereale veniva costruito un passaggio affinché il Viceré con il suo seguito potesse raggiungere in tutta comodità la tribuna della corrida mentre, ai lati di questa, si collocavano le trombe e i timpani.
Un’altra arena fu costruita nell’antica Plazuela del Marqués, detta anche Plaza Minor, dedicata a Hernán Cortés marchese della Valle de Oaxaca, che si trovava fra la via del Empedradillo, il Seminario e parte del piano della Cattedrale. Il Vescovo Alfonso de Montúfar mostrò grande disappunto per il fatto che si fosse destinato alla corrida un luogo benedetto, da come si evince da ciò che scrisse al Consiglio delle Indie alla fine dell’anno 1554:
«Sul suolo che è stato consacrato vogliono far correre i tori. È una cosa indecente profanare questo posto benedetto dove molte volte i tori uccidono gli indios come bestie. Toreri indios o fantocci di lidia? Sono senza dubbio entrambe le cose questi indigeni, tanto che fra poco li troveremo non solo come toreri ma come maestri nell’arte di eludere i tori selvaggi» [5].
Questa è una rara testimonianza da cui si deduce che vi fu, a un certo punto, effettivamente un contatto dei nativi con l’arte del torear, ma il ragguaglio non approfondisce la questione e passa ad altro.
Il primo caso di fervida afición attestato nei ragguagli ufficiali è riferito al Viceré Don Luis Velasco, abilissimo cavaliere e grande innovatore della tecnica della cavalcatura. Egli curava personalmente l’aspetto formale della corrida: l’indicazione della foggia delle livree di pregio, la scelta dei tori – almeno settanta o ottanta – mai venuti a contatto con l’uomo e che pascolavano liberi nei boschi di Chapultepec. Nel maggio del 1555 Don Velasco diede ordine che si facessero corride e altri giochi per celebrare la sconfitta di Francisco Hernandez che si era ribellato al Re di Spagna. Era la prima volta che un Viceré della Nueva España calpestava la sabbia di un’arena. Il 9 aprile 1557 per celebrare l’ascesa al trono di Spagna e delle Indie di Filippo II, figlio dell’Imperatore Carlo V, furono date feste animatissime con numerose corride. Dal 1586 le corride vennero tenute anche nella Plazuela del Volador abitualmente occupata da commercianti che, per consentirne l’allestimento, si trasferivano altrove.
Dalla narrazione fin qui esposta si intuisce come siano numerose ma brevi le testimonianze riportate nei ragguagli ufficiali, le uniche fonti di prima mano dell’epoca, prive purtroppo di dettagli utili per comprendere le modalità precipue con cui venivano allestite le corride. Ciò è dovuto probabilmente al fatto che, originariamente, la corrida era considerata una delle diverse espressioni della festa, non possedeva ancora quella specificità e quella complessità simbolica e stilistica che assunse più avanti. Come sempre accade nei ragguagli il diarista tende principalmente a riferire ai destinatari l’aspetto celebrativo del racconto, evidenziandone il carattere più spettacolare e qualitativamente artistico che altro. Tale atteggiamento lasciò il posto gradualmente a una disposizione narrativa molto più specialistica che si sviluppò di pari passo con il processo di interiorizzazione culturale della corrida, intesa come alta espressione artistica e simbolica.
In tutto il Settecento e parte dell’Ottocento la corrida de toros assunse dignità e piena autonomia rispetto alle altre celebrazioni festive, come testimoniano i reglamentos para las temporadas che ne definivano le modalità di svolgimento, i cartelones che annunciavano l’esibizione dei toreri riportandone i nomi, i disegni che definivano i progetti architettonici della Plaza de Toros. A titolo esemplificativo riporto quanto afferma lo storico Nicolas Rangel in un paragrafo della Historia del toreo en Mexico [6]:
«Possiamo immaginare di assistere alle famose corride del secolo XVIII e dell’inizio del secolo successivo; testimoniare l’entusiasmo delirante dei nostri avi per la festa virile dimostrata dal tutto il popolo della Nueva España, senza eccezione per il gentil sesso; possiamo sapere quanto costavano queste feste e il profitto che ne ricavavano la Corona e il Municipio; possiamo sapere quali diversiones venivano organizzate fra una corrida e l’altra; che foggia avessero gli indumenti indossati dai toreri; quale destino spettasse ai tori uccisi nell’arena; quale aspetto avesse l’edificio, la sua struttura, il materiale utilizzato per la sua costruzione, gli abbellimenti dei palchi, i pasillos che conducevano dal Palazzo Vicereale alla Plaza de Toros, quando cominciavano le Temporadas e tante altre curiosità che completano le informazioni di questo spettacolo».
Si formarono i primi matadores di professione dalle personalità forti (come El Gachupin, grandissimo torero della seconda metà del ‘700) che diffusero i principali criteri tecnici, stilistici ed estetici da tramandare alle nuove generazioni di toreri. L’afición taurina era ormai consolidata nel popolo messicano a prescindere dalla posizione sociale e godeva dello spettacolo tauromachico partecipando vivamente ai tercios. Nel corso dei decenni non mancarono di affermarsi toreri e picadores indios e meticci. Questo argomento, così complesso e rilevante dal punto di vista antropologico e sociale, merita un percorso di ricerca approfondito.
Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
Note
[1] Hernán Cortés giunse a Tenochtitlán l’otto novembre del 1519. La Città allora contava circa 200 mila abitanti ed era costruita su una moltitudine di isolotti collegati da un complesso sistema di canali. Dopo una coraggiosa resistenza Tenochtitlán fu devastata dai conquistadores nel 1521 e sui suoi resti fu edificata Ciudad de México.
[2] La Nueva España fu il primo vicereame dell’impero coloniale di Spagna istituito da Carlo V nel 1535 con capitale Città del Messico. Comprendeva la zona centro-occidentale degli attuali Stati Uniti, Messico, La Capitaneria Generale di Cuba, Florida, Santo Domingo, La Capitaneria Generale delle Filippine.
[3] Juego de cañas, il gioco delle canne, è di origine araba ed era molto diffuso in Spagna fra il XVI e il XVIII secolo. Si svolgeva nelle piazze principali e consisteva nel simulare un’azione di guerra dove uomini a cavallo armati di scudi e lance si scontravano seguendo schemi di attacco, figurazioni e dinamismi in parte già definiti. Il risultato era un movimento molto spettacolare e coinvolgente.
[4] Si tratta di una struttura eretta in verticale in occasione di un rituale legato alla fertilità, molto diffuso fra i popoli mesoamericani.
[5] Dal ragguaglio ufficiale riportato da N. Rangel, Historia del toreo en Mexico. Época colonial 1529-1821, Imp. Manuel León Sánchez, México 1924: 9
[6] Ivi: 143.
Riferimenti bibliografici
Alenda y Mira J. Relaciones de solemnidades y fiestas públicas de España, E. T. Sucesores de Rivadeneyra, Madrid 1903.
De La Torre E., Historia monumental de México 1, Univesitad Nacional Autónoma de México Instituto de Investigaciones Históricas, Mexico 2013: 455-644 (Época colonial. Siglos XVI y XVII).
De Torquemada J., Monarquia Indiana, Porrua, México 1969.
Diaz de Castillo, Historia verdadera de la conquista de la Nueva España, Espasa-Calpe, Madrid 1928.
Lorenzana F.A., Historia de Nueva España escrita por su esclarecido conquistador Hernán Cortés, aumentada con otros documentos y notas, Miguel Angel Porru, Ciudad de México, 1998.
Rangel N., Historia del toreo en Mexico. Época colonial 1529-1821, Imp. Manuel León Sánchez, México 1924.
Sanna L., La caduta di Tenochtitlàn, [PDF] arsmilitaris.org
Toribio de Benavente Motolinía, Historia de los Indios de la Nueva España, Linkgua, Barcelona 2012.
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Laura Isgrò, vive a Palermo, dove ha conseguito la laurea in Lettere classiche e il Diploma di regia e recitazione teatrale presso la scuola di teatro Teatès diretta da Michele Perriera. Da qualche tempo effettua un percorso di riflessione scientifica sulla tauromachia. Attualmente sta avviando un progetto di ricerca nell’ambito della pedagogia interculturale.
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