di Luigi Lombardo
Non so se è esistito, esiste o esisterà mai un antropologo – o, più precisamente, un demoetnoantropologo – che non ami tuffarsi nel bosco delle cose [1], degli oggetti, della loro fisicità. Non è esistito, né esisterà mai. Ma gli oggetti di cui tratta l’antropologo sono veramente tali? Il loro statuto è davvero quello della mera fisicità, della semplice datità. No! lo sappiamo. Gli oggetti di cui si occupa la scienza demologica sono altro da sé, hanno certo una funzione d’uso, ma a questa funzione si associa, quasi sempre, un significato simbolico: diventano segni.
Tali sono ad esempio i fischietti, di terracotta, che ancora si producono a Caltagirone, come a Ostuni, a Cutrufiano, come a Ferrara. Sono chiamati fischietti (nel resto d’Italia ‘fischi’) appunto perché imitano quasi tutti il fischio umano, o vengono alimentati a fiato. Il fischio, prodotto dall’uomo con la bocca o attraverso uno strumento fischiante (idiofono, o aerofano) [2] è uno dei richiami più antichi usati in tutte le civiltà umane.
Chi non ha almeno una volta fischiato al passaggio di una bella ragazza o non ha ascoltato i fischi di mandriani e pecorai perdersi negli assolati altipiani siciliani? Il rapporto fischietto-eros-magia è riscontrabile nell’antica Grecia: col nome Iynx i Greci chiamavano sia un uccello particolarmente sonoro (detto torcicollo per la caratteristica peculiare di girare il collo di 360°), sia uno strumento sonoro usato in particolarissime pratiche magiche, sia, ancora e significativamente, una maga. Secondo Zenodoto, il primo bibliotecario ufficiale del Museo di Alessandria, la ninfa Menta, la seduttrice, veniva chiamata da alcuni con il nome di Iynx.
Dunque i Greci con il termine Iynx indicavano tre cose solo apparentemente diverse perché nella sostanza sono quasi la stessa cosa, derivando molto probabilmente dal suono, da onomatopea o più propriamente dal sibilo sonoro:
* uccello
* strumento di magia erotica
* maga esperta in filtri d’amore.
L’uccello è, come detto, il torcicollo (Torquilla, Linneo), un volatile che colpiva la fantasia popolare per le sue doti e le sue caratteristiche, ben elencate da Aristotele nella Zoologia [3], e da Plinio [4]: esso ha piume cangianti, possiede a differenza degli altri uccelli due dita davanti e due dietro, e come il serpente è in grado di fare un giro completo della testa, tenendo immobile il corpo, allunga la lingua come un rettile, con un incessante moto della testa, della coda e della lingua. Ma è il grido a colpire la fantasia degli antichi, un grido di flauto traverso, che sembrava indotto dal movimento rotatorio del collo.
La ruota d’amore
La dea dell’amore Afrodite fabbricò un incantesimo d’amore per attirare verso Medea l’avventuriero Giasone: era una ruota su cui poggiava un Iynx, torcicollo. Abbiamo così la prima notizia di uno strumento sonoro a forma di ruota con un uccello in testa che fischiava a seguito di un movimento circolare impresso con un laccio.
Nelle mani delle donne esso era considerato uno strumento di seduzione; usato moltissimo da maghe e mezzane, il suo fischio era un richiamo d’amore ineludibile, strumento per congiungere l’amato all’amante. Teocrito ne L’incantatrice riporta le nove strofe dell’incantesimo pronunciato da una donna separata dal suo amante, scandite da un verso ripetuto nove volte: «Iynx attira verso la mia dimora il mio amato»[5].
Il rapporto fischio-fischietto‑eros e magia è noto agli etnologi e studiosi di folklore: sull’altipiano di Asiago ancora oggi il “moroso” (fidanzato) dona alla “morosa”, come pegno, un fischietto di quelli che i cucari di Nove (provincia di Vicenza) vendono ancora nelle bancarelle il giorno della festa di S. Marco (23 aprile), e chiamati cuchi.
“Cucco” appunto è l’uccello assunto a simbolo di vita e del risveglio primaverile, il cui canto è richiamo di amore e giovinezza, speranza di vita (già, il cucco, animale sacro alla dea Atena Minerva, da noi in Sicilia stranamente precipitato, ma dal Medioevo, ad uccellaccio di malaugurio!).
La funzione “erotica” riscontrabile nei fischietti veneti è la riprova del passaggio del fischio-fischietto da strumento culturale, carico di significati anche magico-sacrali, a oggetto di gioco- divertimento in un processo non rettilineo e internamente dialettico, per cui i due livelli del rituale e del gioco si sono spesso intersecati. Poiché in definitiva il fischietto è uno strumento amplificatore del fischio umano, è chiaro che parlare di fischio e di fischietto è all’incirca la stessa cosa.
Il fischio è un linguaggio, forse appartenuto ad un’età in cui la parola era ridimensionata e in definitiva secondaria rispetto al più forte linguaggio gestuale del corpo e dei viso, e in cui il fischio era una forma di comunicazione fra uomini e bestie, fra uomini e cose. Se il fischio è antico quanto l’uomo, il fischietto è strumento arcaico, che nei millenni ha assunto vari significati e valori diversi: usato in riti magici, per incantare o çiarmari, oppure semplicemente il canto di uccelli o il sibilo di serpi, come richiamo e segno di festa.
Il fischietto tuttavia, per quanto nelle sue origini arcaiche esprima un mondo di “serietà” rituale o magica, sfugge, alla fine e ad una più attenta valutazione, ad una collocazione decisiva fra gli oggetti della religiosità o della magia, per avvicinarsi piuttosto agli strumenti del gioco, adulto o fanciullesco che sia, al divertimento, alla festa.
Nella mia collezione di fischietti ce n’è uno che ha il nome di “cucca buffona”, cioè un oggetto ceramicato fischiante con una doppia cavità all’interno: quella inferiore comunicante con il fischietto, quella superiore che serve da serbatoio al nerofumo o al talco: chi sbaglia buco si può ritrovare il viso imbrattato o affumicato. Uno scherzo col fischietto appunto, una burla di carnevale.
Eros e gioco determinano le due funzioni più importanti del fischietto, riconducibili alle più comuni funzioni del fischio umano: quello d’amore e quello di burla, di scherno. Un Eros festoso, ingenuo e ammiccante, che la cultura popolare ha ereditato e tramandato; una burla gioiosa e candida, “sovversiva” in certo senso, che non risparmia santi e personaggi illustri, che divengono, sotto le abili mani dell’artigiano, coloratissime statuette fischianti dal fondoschiena, un modo di partecipare così al rito festivo, collettivo e gioioso.
L’interesse verso i fischietti popolari in terracotta, in particolare del calatino, si deve certamente al Loria che, nel suo viaggio a Caltagirone nel 1907, acquistò diversi “giocattoli”, oggi al Museo di Arti e Tradizioni Popolari di Roma. Nella scheda di acquisto lo studioso annotò:
«I giocattoli riproducono in piccolo recipienti usati nelle famiglie, o consistono in fischietti (fischi) rappresentanti pasturi, gendarmi, animali ecc.».
Altre informazioni si devono al Pitré, che così scrive in La famiglia, la casa, la vita del popolo siciliano:
«I pastorari fabbricano grossolanamente santi. Madonne, preti, soldati, che non son roba da presepio, ma servono da fischietti, avendo dalla parte posteriore quale dappiè (Palermo), quale a mezza vita (Acicatena) due forellini mancanti ai pastori da presepio. I fanciulli, perciò, che in alcune solennità dell’anno si recano a chiese in festa, comperano alle porte di esse, ora una Madonna del Rosario, ora un S. Giuseppe, ora un S. vVncenzo Ferreri, ora una S. Rosalia che fischia» (Pitrè, 1913: 434-435)
Parecchi anni dopo, i fischietti furono studiati da Antonino Uccello, che nel 1977 inaugurò nella sua Casa Museo una mostra di fischietti dedicata al mastro ceramista Mario Iudici (morto di recente). Poi ce ne occupammo io e Sebastiano Burgaretta. Nel 1984 diedi notizia dell’esistenza del figurinaio Salvatore Leone, segnalatomi da Nerino Coco: acquistai a centinaia fischietti, pastori da presepe e anche cretaglia varia. Sempre a Caltagirone conobbi Salvatore Graziano, da lui acquistai tutti i fischietti che ancora aveva in casa, poiché non lavorava più e le sue forme erano state “prelevate” da Mario Iudici. Infine non posso non citare Enzo Forgia, l’ultimo dei maestri di fischietti, che ancora opera a Caltagirone.
Dopo la mostra di Uccello nel 1977, si risvegliò l’interesse per questi idiofoni di terracotta, (come li definiscono gli specialisti): prima a Ostuni e Rutigliano (Puglia) alla fine degli anni ‘80, quindi dal 1990 a Caltagirone, si tennero mostre e convegni, in una esplosione di interesse, che sollecitò nuovi apporti tematici, di valenti artisti. Tra questi nuovi (oggi vecchi) artisti del fischietto ricordo Riccardo Biavati a Ferrara, e il già citato Enzo Forgia.
Tra le mostre allestite annualmente a Caltagirone segnalo, tra le prime, “Fischietti e potere” (1990), “Fischietti e favole” (1991), “Fischietti e nuevo mundo” (1993), “Fischietti e circo” del 1996, e, tra le ultime, “Fischietti e Odissea nello spazio”. Una grossa mostra organizzai nel 1988 a Buccheri (“Fischietti siciliani e pugliesi da collezioni pubbliche e private”) il cui cataloghetto portava la firma del compianto Totò Cardello. Il quale così concludeva la sua Nota:
«Oggi che le terrecotte sonanti hanno perduto metaforicamente il loro fischio per divenire reperti di un ricercato collezionismo d’èlite, la ricerca di nuovi e più attuali soggetti ha affondato le mani nel presente, specialmente nel mondo dello spettacolo e della politica, come sempre, fonti inesauribili di satira e di ironia: Pulcinella e Totò (nelle ceramiche pugliesi), i personaggi di W. Disney e, perfino, Don Sturzo sono diventati fischietti, perpetuando così una tradizione che continua anche se – bisogna dirlo – essi non sono più destinati ai bambini ma a coloro che piccoli lo sono stati, tanti e poi tanti anni fa».
Dialoghi Mediterranei, n. 44, luglio 2020
Appendice
Piccola silloge di documenti d’archivio
I documenti che seguono, trovati casualmente in minute notarili, testimoniano la presenza dei fischietti, sia in argento che in creta, negli inventari redatti in varie occasioni (soprattutto inventari per lasciti ereditari). Di tutti il più interessante mi pare il doc. 4 in cui si inventariano «otto uccelli di crita con suoi trucchi»: certamente la prima e più significativa attestazione di fischietti figurati (uccelli).
Doc. 1
Augusta 19 luglio 1591
Tra i beni di don Andrea Da Silva spagnolo e capitano della fanteria nonché castellano di Augusta figura: «un fischetto di avolio con sua catina di oro».
[Archivio di Stato di Siracusa [ASS] not. Ferrante Antonino, vol. 78]
Doc. 2
Siracusa 9 Maggio 1596
Per il matrimonio di Vincenzo Olivares e Gioannella de Vella viene costituita la dote dove tra le altre cose si annovera: «una ciotola di argento, una salera di argento, 11 cochiarelli di argento, setti borchetti di argento, un frischitto di argento con suoi campanelli [...]».
[ASS, notaio Guzzetta Giuseppe, vol. 10569]
Doc. 3
13 gennaio 1714
Nell’inventario dei beni ereditari di don Francesco Calvo tra gli altri beni si annotano: «una bozza di stagno con tinello, una bozza di vetro senza tinelli, dui frischitti e una cocchiarella d’argento».
[ASS notaio Serafino Domenico, vol. 11851]
Doc. 4
Ferla 16 Settembre 1731
Dalla dote di Arcangela Salamone sposa di Paolo Alexo: «un’incantina con cinque carroboni di vetro; una statua di carta di san Michele; una statua di crita con carrobone di vetro; otto uccelli di crita con suoi trucchi; un bambino di cera [...]».
ASS not. Cappellano Santoro volume 3928
Doc. 5
Buccheri 29 maggio 1751
Nell’inventario del defunto Tommaso Ramondetta si riscontra: «un frischetto con novi ciancianelli d’argento».
ASS not. Vacirca Francesco, volume 3124
[archivio 30, 0001]
Doc. 6
Inventario di beni di don Antonino Nava
Siracusa 4 Gennaio 1765
In occasione della morte di don Antonino Nava si compila l’inventario dei suuoi tantissimi beni, tra cui: «due spezziere d’argento; una ciotola d’argento, una medaglia e un fischetto d’argento con n° otto cincianelle [...], una manuzza di corallo ingastata d’oro [...]”.
ASS not. Curcio Giuseppe, volume 12605
Doc. 7
Inventario dei beni di Giuseppa Failla et Cxaro di Siracusa
Siracusa 1 marzo 1723
«Argento: una fruttera, un piattiglio, 1 picciere, item un triangolo con spizera, salerae zuccarera dorati, una tazza grande, dui timplatori, un zainetto à vave, una ciotula tonda, un gotto, una fruttera, una caraffina d’argento, deci brochi, diciannovi cochiarelli di mangiare,
un frischitto di Francesca Maria, nipote minore, una campanella piccola di detta minore, un uccello di ramo e di vetro dorato …»
ASS not. Platamone vol. 11908
Doc. 8
Il fischietto contadino in un documento d’archivio:
Palazzolo 5 aprile 1790
Nel suo testamento lascia tra gli altri beni: dui zappi, dui zappulli, quattro masse, 4 accette mezzaline e due per putare, dui roncigli, tre falci, un ancino, tre spiedi, una mannara, una tabacchera d’argento, un frischetto per fanciulli usato [...]».
ASS not. Messina Ambrogio, vol. 9845.
Note
[1] Mutuato da P. Clemente, Il bosco delle cose, Parma, Guanda, 1996. O anche Il potere delle cose (v. nota successiva).
[2] S. Bonanzinga, Oggetti sonori e simulazioni rituali, in Il potere delle cose. Magia e religione nelle collezioni del museo Pitrè, I. E. Buttitta (a cura di), Palermo, Eidos, 2006: 83-98.
[3] II 12: 504a, 11 segg..
[4] Naturalis historia, XI: 256
[5] M. Detienne, I Giardini di Adone. I miti della seduzione erotica. Torino, Einaudi, 1975: 108-109.
______________________________________________________________
Luigi Lombardo, già direttore della Biblioteca comunale di Buccheri (SR), ha insegnato nella Facoltà di Scienze della Formazione presso l’Università di Catania. Nel 1971 ha collaborato alla nascita della Casa Museo, dove, dopo la morte di A. Uccello, ha organizzato diverse mostre etnografiche. Alterna la ricerca storico-archivistica a quella etno-antropologica con particolare riferimento alle tradizioni popolari dell’area iblea. È autore di diverse pubblicazioni. Le sue ultime ricerche sono orientate verso lo studio delle culture alimentari mediterranee. Per i tipi Le Fate ha di recente pubblicato L’impresa della neve in Sicilia. Tra lusso e consumo di massa.
_______________________________________________________________