Il Mediterraneo è una regione dotata di un’identità propria, rappresentata dal mosaico di culture e di popoli legati tra loro dalla storia. La stessa storia che ci insegna che, senza il rispetto reciproco, l’interdipendenza si è mutata in conflitti e guerre, prevaricazione e sfruttamento, colonizzazione e violenza.
Oggi, la regione mediterranea è un laboratorio per la democrazia: i Paesi della riva settentrionale subiscono limitazioni post-democratiche alla sovranità nazionale, mentre i Paesi della riva meridionale vivono in una situazione di pre-democrazia, a seguito del processo incompleto della primavera araba, nel quadro dei vincoli strutturali alla governance economica e di occupazioni militari. L’esperienza dell’Europa dell’Est e dei Balcani mostra che, sotto la guida della governance neoliberista, il cammino più comune consiste nella trasformazione diretta dei regimi autoritari in oligarchie post-democratiche.
Sia la crisi del modello di sviluppo neoliberista, che colpisce al cuore l’economia e le società dei paesi industrializzati della riva settentrionale del Mediterraneo, sia le rivoluzioni della dignità nei paesi del Maghreb e del Mashrek ci indicano la direzione di un cambiamento verso un altro mondo che è oggigiorno, più che mai, possibile e necessario.
Poiché non è di un altro mondo possibile che dobbiamo mettere in dubbio la possibilità; al contrario, è il mondo attuale, fondato sullo sfruttamento dell’uomo e dell’ambiente, sulla guerra per la predazione delle risorse, sulla violenza, il patriarcato, il nazionalismo, che è ormai veramente “impossibile” e insostenibile.
Niente sarà più come prima: ci troviamo di fronte ad un’opportunità storica di rifondare l’identità mediterranea dei popoli, a partire dall’integrazione, lo scambio e la contaminazione, garantendo il pieno riconoscimento della cittadinanza e dell’uguaglianza fondante per tutte e tutti, i diritti umani politici e sociali, senza ostacoli, senza muri, senza barriere, senza discriminazioni etniche, religiose, di nazionalità o di genere. L’identità e la cittadinanza mediterranea non intendono sostituire quelle fondate sugli stati e le nazioni storiche; non sono alternative ai processi di integrazione regionali, europea, africana, maghrebina, mashrekina o araba. Al contrario, si aggiungono a tutte queste identità, per la loro specificità storica, culturale, economica e ambientale.
Le rivoluzioni del Maghreb e del Mashrek ci hanno mostrato, in modo definitivo, l’impostura ideologica della “fine della storia”, nonché del cosiddetto “scontro di civiltà” evocato dal neoliberismo. Noi affermiamo con forza che le differenze culturali, lungi dal rappresentare un ostacolo per la cooperazione, sono invece una ricchezza per tutti: invece di contrapporci, esse ci uniscono oggi in una identica lotta per la rivendicazione di un’identità mediterranea solidale. Solo le differenze di accesso ai diritti separano i popoli.
I nostri obiettivi
Le società civili del Mediterraneo svolgono un ruolo cruciale nel promuovere la dignità, i diritti umani, la giustizia sociale e la pace, cominciando da relazioni tra uguali, fondate sul principio di cittadinanza inclusiva e di collaborazione politica rinforzata. Progettiamo di costruire una comunità dei popoli del Mediterraneo, cominciando dall’alleanza strategica e sostenibile delle società civili unite nella solidarietà di fronte alla medesima lotta per la dignità. Solo in questa prospettiva saremo in grado di opporci in modo efficace al declino dei diritti civili e sociali che interessa oggi l’insieme delle nostre società.
Il modello di sviluppo economico diffuso dall’Europa neoliberista e dall’Occidente non è praticabile. Rifiutiamo radicalmente la politica di vicinato dell’Unione Europea e i Trattati di libero scambio che l’accompagnano, fondati su una ideologia di accaparramento delle risorse naturali ed economiche che avvantaggia solo un’élite, sia in Europa che nei Paesi della riva meridionale del Mediterraneo, alimenta traffici di ogni genere, compresi quelli di esseri umani, la corruzione e i circuiti mafiosi, facilita la finanziarizzazione incontrollata e la fuga di capitali, mentre ostacola il movimento di persone e lavoratori.
Ci impegniamo a promuovere un nuovo paradigma di sviluppo fondato sulla giustizia sociale, l’accesso ai diritti e al lavoro dignitoso per tutte e tutti, la promozione dell’uguaglianza di genere, la libertà di movimento e di circolazione sia nell’ambito del Mediterraneo che altrove, un’economia sociale e solidale, il rispetto dei beni comuni e la gestione sostenibile delle risorse ambientali, la trasparenza e la partecipazione, soprattutto delle donne e dei giovani, nei processi decisionali.
I nostri campi di azione
Libertà di associazione, libertà di opinione e di espressione, reale uguaglianza di genere, trasparenza, responsabilità: si tratta, oggigiorno, di altrettante condizioni imprescindibili, che permettono alla società civile di garantire la sua funzione. Su queste basi, investiamo le nostre energie per lavorare in favore:
- della ratifica ed applicazione concreta, nell’ambito delle legislazioni e delle Costituzioni di tutti i Paesi del Mediterraneo, delle convenzioni dell’ONU per la protezione e la promozione dei diritti delle donne (in particolare la CEDAW e la UNIFEM contro la violenza sulle donne), dei migranti (soprattutto la Convenzione ONU sulla protezione dei diritti dei lavoratori migranti e delle loro famiglie), dei lavoratori (in particolare le Convenzioni dell’OIL sul lavoro dignitoso);
- dell’avanzamento e diffusione dell’Economia Sociale e Solidale nell’area del Mediterraneo per la creazione di opportunità di lavoro dignitoso e la promozione della giustizia sociale, soprattutto per i giovani e le donne;
- di una visione strategica della cooperazione allo sviluppo internazionale, soprattutto regionale, che affronti le cause delle migrazioni e sia in grado di promuovere la giustizia sociale, l’accesso ai diritti, opportunità di lavoro sostenibile per la promozione della dignità individuale e collettiva, i diritti delle donne, la gestione partecipativa dei beni comuni e delle risorse naturali;
- dell’istituzione di osservatori tematici per il rispetto dei diritti umani nello spazio comune mediterraneo e della coerenza delle politiche estere di tutti i Paesi, soprattutto europei, di fronte agli obiettivi dello sviluppo sostenibile e sociale, favorendo la trasparenza e la circolazione di informazioni;
- del patrocinio e rafforzamento della nostra capacità di incidenza politica per influenzare i processi decisionali a tutti i livelli.
Continuare a lavorare insieme
Tenendo ben presenti gli obiettivi menzionati qui sopra, ci impegniamo ad approfondire i nostri legami per rinforzare la solidarietà delle lotte strettamente intrecciate delle nostre diverse associazioni e reti. Per continuare a lavorare insieme, prevediamo di costruire delle vere piattaforme trasversali e tematiche della società civile del Mediterraneo, in grado di portare a termine delle campagne comuni di ampio respiro in favore dei diritti delle donne, dei migranti e dei lavoratori. Tramite una comunicazione rinforzata da tutti i mezzi disponibili, contiamo di convergere, nei mesi e negli anni a venire, su avvenimenti e appuntamenti della società civile, identificati in funzione del loro valore strategico.
Il nostro contributo (SEM, ALTRAMENTE, CIME, TRANFORM, CON L’ATTIVO SUPPORTO DELLE GRANDI ORGANIZZAZIONI<CGIL, FIOM-ARCI), come parte della rete italiana del FSM si è concentrato su due temi strettamente correlati: il sostegno allo sviluppo della democrazia attraverso i diritti e la costruzione di una comunità MED-UE, che alla luce del confronto intenso ed interessante seguito alla nostra proposta ci è parso essere meglio rinominare “Comunità Euro-Afro Mediterranea”. Ovviamente non è una questione lessicale, ma di sostanza politico-culturale e spinge anche noi a superare una concezione in cui i Paesi della sponda sud del mediterraneo, staccati dal resto del continente cui appartengono, sono stati storicamente considerati una sorta di dependance dell’Europa in cui si è operato e si continua ad operare, al di là di ogni buona intenzione ed espressione verbale, in una logica di tipo neocoloniale.
Lo testimoniano tutte le politiche messe in atto dalla metà del secolo scorso ad oggi, comprese quelle più interessanti di partenariato promosse da Barcellona 95 e approdate via via alle politiche di vicinato dell’oggi, prive del respiro strategico necessario per aprire nuovi percorsi per i popoli mediterranei, l’Europa e l’Africa. L’importanza di questo Forum, sta proprio nell’aver rovesciato, come società civile dei Paesi delle due sponde del mare, questa logica e aver proposto insieme (associazioni e movimenti del nord e del sud) un percorso dal basso, di costruzione della democrazia facendo leva sui diritti fondamentali delle persone, uguali ed insopprimibili in ogni latitudine, e di un assetto istituzionale della comunità mediterranea fondata sulla reale parità degli appartenenti.
Diritti fondamentali che tutelano bisogni primari ed insopprimibili di ogni persona in ogni luogo del mondo a cominciare dal riconoscimento e tutela della dignità. Diritti fondamentali per la costruzione di una nuova cittadinanza che cambia natura. . Come scrive Stefano Rodotà, in “Il diritto di avere diritti” (edito per i tipi di Laterza), “la cittadinanza cambia natura, si presenta come l’insieme dei diritti che costituiscono il patrimonio d’ogni persona, quale che sia il luogo del mondo in cui si trova, e così avvicina e non divide, offrendo anche all’eguaglianza una nuova, più ricca dimensione. È rivelatore questo mutamento di significato del riferimento alla cittadinanza, la cui connotazione «esclusiva» è ormai accompagnata, e spesso beneficamente offuscata, da una sua versione «inclusiva», appunto quella dei diritti di cittadinanza. Questo mutare dell’idea di cittadinanza rende meno proponibile la tesi che vuole ogni discorso sui diritti solo come la coda lunga di una pretesa egemonica, irrimediabilmente colonialista, di un Occidente che vuole imporre i suoi valori a culture e tradizioni diverse, negandone ragioni e particolarità, continuando a praticare un imperialismo che si tinge con i colori della democrazia e invece legittima l’uso della forza. Oggi dobbiamo guardare assai più in profondo, oltre le stesse ipotesi e ricerche di chi, come Amartya Sen, si è impegnato nel mostrare come esistano radici culturali comuni proprio intorno a valori fondativi dei diritti”.
Non è un caso che la rivoluzione tunisina e l’ esplosione delle primavere arabe, purtroppo troppo presto ricondotte nell’alveo di pericolose restaurazioni economiche, politiche, sociali e religiose, si siano definite Rivoluzioni della Dignità.
Sul tema ha scritto ancora Rodotà (ibidem) “Poteri privati forti e prepotenti sfuggono agli storici controlli degli Stati e ridisegnano il mondo e le vite. Ma sempre più donne e uomini li combattono, denunciano le diseguaglianze, si organizzano su Internet, sfidano regimi politici autoritari. La loro azione è una planetaria, quotidiana dichiarazione di diritti, che si oppone alla pretesa di far regolare tutto solo dal mercato, mette al centro la dignità delle persone, fa emergere i beni comuni e guarda a un futuro dove la tecnoscienza sta costruendo una diversa immagine dell’uomo. È nata una nuova idea di cittadinanza, un patrimonio di diritti che accompagna la persona in ogni luogo del mondo”.