di Cesare Ajroldi
Avevo scritto il testo che segue per affettuosa sollecitazione di Keiko, vedova di Vittorio Ugo, e della figlia Mizuko, che sono quindi nuora e nipote del personaggio cui sono dedicate queste note, in ragione dell’amicizia che mi legava a Vittorio, di qualche anno più grande di me, che mi propose tra l’altro, poco dopo la mia laurea, di partecipare al mio primo concorso di progettazione, quello dello ZEN (1970). Avrebbe dovuto essere l’introduzione a un libro, rielaborazione di una tesi di laurea di cui dirò più avanti, che poi non ha visto la luce: lo ripropongo con poche varianti in questa sede.
Ho incrociato, ma con rapporti assai diversi, tra studente e docente, anche la figura di Giuseppe Vittorio Ugo: egli fu infatti mio professore alla Facoltà di Palermo di Architettura degli interni (corso biennale), negli ultimi due anni della sua lunga attività didattica [1], anni caratterizzati da occupazioni, sospensioni delle lezioni, e le prime sperimentazioni didattiche nella Facoltà “in agitazione”. Ne conservo un ricordo di una esperienza per me di grande utilità nell’approfondimento del processo progettuale, in cui affrontavamo non solo lo studio degli interni, ma un progetto completo alle varie scale.
Altrettanto lunga, e proficua, fu la sua attività professionale, come emerge dal libro: oltre duecentocinquanta progetti, di cui molti di concorsi, e numerose realizzazioni.
Ugo, nato nel 1897, fa parte di una generazione, nata a cavallo del secolo, che comprende Giuseppe Samonà, Salvatore Caronia Roberti, Luigi Epifanio, Giuseppe Spatrisano, Salvatore Cardella, Edoardo Caracciolo, Vittorio Ziino, Pietro Ajroldi: tutte figure che incroceranno il loro lavoro con quello di Ugo in numerose occasioni (con la parziale eccezione della diversa e ben conosciuta storia di Samonà, che parte da Palermo molto giovane e che, come è noto, diventerà nel 1945 direttore dell’Istituto di Architettura di Venezia).
Il testo si propone di dare il giusto peso ad una figura in alcuni casi [2] considerata non di primissimo piano nell’ambito dell’architettura siciliana e nazionale dagli anni ’20 ai ’60, attraverso una minuziosa ricerca condotta nell’archivio Ugo: sia sui disegni che sui libri e le riviste in esso contenuti. Si propone inoltre di dimostrare un atteggiamento positivo verso il moderno in una cultura, quella siciliana, per lo più diffidente nei confronti del nuovo.
Basti ricordare al proposito lo scritto di Giuseppe Samonà del 1929, Tradizionalismo e internazionalismo architettonico, in cui l’autore dichiara: «È forse più ardita la posizione dei tradizionalisti di fronte alla tradizione che non quella degli internazionalisti, perché questi vedono nel passato una minaccia da fuggire e cercano ad ogni costo di dimenticare, mentre gli altri s’immergono in esso con indifferenza, lo maneggiano come materia viva, saccheggiandolo da ogni parte, e, cosa ancor più notevole, non rigettano le trovate moderne e caratteristiche del presente, ma spesso si servono di queste, come della tradizione, per comporre». Non molto diverso è lo scritto del 1915 di Enrico Calandra Modernismo e tradizionalismo architettonico, nel quale egli prende una posizione simile: Calandra individua in un «moderno tradizionalismo», in un «sano eclettismo» un modello da perseguire per l’architettura di quel tempo.
Lo scritto di Samonà è significativo, perché riflette le sue architetture del momento, anche se di lì a poco egli si caratterizzerà come architetto pienamente moderno; e riflette anche la sua posizione di sostanziale rifiuto dell’avanguardia, che interesserà tutta la sua attività. Vedi per questo la postfazione di Pasquale Lovero all’antologia di scritti di Samonà, L’unità architettura-urbanistica [3]. Samonà fu sempre sospettoso nei confronti delle avanguardie, forse anche per la classicità che informa la sua architettura, come ha notato Purini in un suo testo [4]. Anche lo scritto di Calandra identifica una posizione specifica, e anche in questo caso non molto tempo dopo (come si vedrà tra poco) egli avrà espressioni di elogio verso l’architettura moderna.
Quindi è chiaro che si tratta di un momento di transizione; e se due così autorevoli protagonisti si esprimono in questi termini, non stupiscono le difficoltà che si affermi il moderno in architettura a Palermo, e che i rapporti col moderno sono in questa fase complessi e intrecciati.
Bisogna comunque partire da un punto fermo, centrale in quel periodo: l’esperienza e l’insegnamento di Ernesto Basile (sull’insegnamento torneremo più avanti), per cui la questione assume maggiore chiarezza. Ugo infatti, al pari dei suoi coetanei, è allievo di Basile, come dimostrano chiaramente i suoi primi schizzi e progetti. Era un grande disegnatore, e molti dei suoi progetti sono rappresentati attraverso prospettive ad acquarello di alta qualità.
Egli partecipa alla Mostra Sindacale Siciliana di Architettura fascista del 1927 assieme ad altri, quasi tutti allievi di Basile. Su questa mostra Enrico Calandra scrive un articolo, in cui sostiene che gli allievi hanno abbandonato il maestro, contrariamente a quanto avveniva fino a pochi anni prima, perdendo la finezza che aveva caratterizzato l’opera del caposcuola; afferma anche che il carattere dell’architettura siciliana è il tradizionalismo, ma è molto interessato alle istanze di modernità che si affacciano in questa mostra.
Sull’insegnamento di Basile abbiamo diverse testimonianze: alcune estremamente elogiative, altre più critiche, tra le quali quella di Ugo, che mettono in luce un ruolo del professore tendente in qualche maniera a ignorare il lavoro dell’allievo, elaborando invece sulle tavole che gli venivano presentate disegni che dovevano costituire la traccia non modificabile del progetto didattico. Si tratta quindi della imposizione di un progetto in stile, lo stile del maestro.
Ugo partecipa in modo molto attivo alla vita culturale della città e al dibattito sui temi dell’architettura (e poi anche dell’urbanistica), attraverso la partecipazione a mostre e convegni, attraverso scritti, e ricoprendo incarichi prestigiosi a Palermo. Egli elabora alcuni interessanti scritti su svariati argomenti, legati al dibattito dell’epoca, dal 1931 al 1935. I testi citati sono presenti nella tesi di laurea del 2004 di Matteo Iannello Giuseppe Vittorio Ugo architetto 1897-1987 (relatrice A. Iolanda Lima). Da questi emerge l’attenzione ai problemi dell’igiene, sia nella disposizione della casa, sia nell’uso dei materiali, da cui si legge la predilezione per una abitazione di piccole dimensioni, con non più di tre elevazioni, e due alloggi per piano.
Emerge anche con forza e continuità una lettura dell’architettura moderna che non deve essere legata alla riproposizione, magari semplificata, degli stili e dell’architettura rinascimentale, ma fondata su un uso congruo dei nuovi materiali; e, più in generale, una grande passione per l’architettura, che traspare da tutti gli scritti. È il periodo della scelta della strada del moderno rispetto all’architettura novecentesca, quindi un periodo fondamentale per la sua storia di architetto. Questa passione lo porta in più occasioni sia a chiarire la diversità del mestiere dell’architetto da quello dell’ingegnere, sia a individuare le caratteristiche dell’insegnamento nella scuola di Architettura, di cui mette in luce le peculiarità e la necessità di una predisposizione da parte dell’allievo.
C’è anche una conferenza sull’arredamento, in cui ancora una volta fa emergere la necessità di usare al meglio i nuovi materiali per ottenere dei mobili moderni, mettendo in secondo piano una predilezione per l’antico, e la necessità della loro giusta disposizione.
Inoltre si legge una attenzione per i problemi dell’urbanistica, e una insistenza sulla necessità di un piano: ricordiamo che a Palermo, dopo il piano Giarrusso della fine del XIX secolo, non si avranno più piani, fino a quello di Ricostruzione dopo le distruzioni della seconda guerra mondiale (preceduto da un concorso svolto nel 1939, e sostanzialmente ignorato negli anni della guerra). Quindi sono scritti che spaziano sui vari campi e sulle diverse scale del progetto, dimostrando un interesse di larghe vedute, e un contributo costante al dibattito in città sui temi concernenti la disciplina.
Fra la fine degli anni Venti e l’inizio dei Trenta, Ugo è necessariamente coinvolto nel dibattito sul moderno che si svolge in Italia: la costituzione e le iniziative del Gruppo Sette, l’organizzazione di mostre nazionali costituiscono un momento di aggregazione e anche di scontri. La partecipazione di Ugo a molti concorsi, e in particolare al Concorso delle Poste a Napoli, che vede la vittoria di Vaccaro con un progetto esplicitamente moderno, può essere significativa per la sua proficua attività, e per la evidenza di un momento di transizione verso il moderno che caratterizza questo breve periodo.
È a questo punto che si esprime maggiormente il contributo di Ugo, con una architettura di alta qualità, il Circolo del tennis alla Favorita (1933-34). Si tratta di una costruzione bianca: una rotonda, intersecata con un esagono, da cui fuoriescono due elementi rettangolari simmetrici a due piani: volumi privi di qualunque ornamento e di qualunque riferimento esplicito alla architettura tardo ottocentesca e primo novecentesca. La rotonda è occupata in buona parte dalla hall, che ha grandi finestre rettangolari che si aprono sul panorama straordinario del Monte Pellegrino. È una architettura che risalta nel libro di Matteo Iannello e Glenda Scolaro, Palermo. Guida all’architettura del ‘900 (Palermo, 2009) come la prima opera veramente moderna a Palermo, con il suo gioco di volumi puri sotto la luce (parafrasando Le Corbusier), che si inserisce con autorevolezza nel panorama nazionale del moderno.
A seguito di questa realizzazione, Ugo prende nei suoi scritti nettamente le parti del moderno, dichiarando che questo non esclude il riferimento alla tradizione, e usando nella giusta maniera i materiali nuovi con le possibilità che questi consentono. Il testo più indicativo, anche relativamente ai problemi che stiamo qui affrontando, è Riflessioni sugli elementi della Composizione architettonica (1936, lo stesso anno del conseguimento della libera docenza); in cui Ugo parla delle Scuole di Architettura, delineandone i caratteri, e scrive che bisogna avere il coraggio di osare, cercando strade nuove, e che tutta l’architettura è funzionale e razionale. Tutto ciò che è funzionale e razionale può essere un’opera d’arte, se studiato correttamente da un architetto, che è (su questo insiste molto) anche un artista.
Nel libro già citato Palermo. Guida all’architettura del ‘900, oltre al Circolo del Tennis sono illustrati la Villa Cataldo a Mondello (1948), l’Ospedale Sanatoriale “G.F. Ingrassia” (1929-1938), la casa Amoroso-Crivello (1934-35), la Facoltà di Lettere e Filosofia al Parco d’Orléans (1961-67), l’edificio in via Sammartino (1955-58), estendendo anche agli anni più recenti le citazioni della guida sull’architettura a Palermo di Gianni Pirrone del 1971, che sono limitate al periodo tra le guerre.
La villa Cataldo ha una pianta contenuta in un quarto di cerchio, è alta un piano ad eccezione di un corpo che contiene la scala e dal quale si diparte l’intera composizione a forma circolare, che si conclude in un portico: ancora, si tratta di esperienze in cui il ruolo della geometria riveste un carattere preponderante. L’Ospedale Ingrassia, di un periodo di poco antecedente, è significativo perché si connota per la volontà di eliminare ogni riferimento agli ordini, che allora era quasi scontato, e per la progettazione di una grande facciata in vetro che costituisce tutta la parte posteriore dell’ospedale e anticipa alcune scelte specifiche del moderno.
La casa Amoroso-Crivello, all’interno della maglia regolare della città borghese, è un altro esempio, immediatamente successivo al Circolo del Tennis, di architettura esplicitamente moderna, in cui gli elementi dell’architettura sono privi di ogni ornamento.
Gli ultimi due esempi fanno parte di un periodo più recente, in cui il vocabolario moderno non è più in discussione, ma fa parte del bagaglio del progettista. La facoltà di Lettere e Filosofia, redatta con Paolino di Stefano e Luigi Epifanio, costruita con un largo basamento su cui si eleva un edificio lineare con finestre a nastro, ha una struttura figurativa di immediata leggibilità, e costituisce un caso più complesso, la cui analisi non è facile, poiché è stata abbondantemente modificata nella realizzazione. L’edificio in via Sammartino, con la facciata sulla strada principale interamente in vetro, è stato per anni un riferimento per l’architettura palermitana più “aggiornata”.
Emerge quindi una figura che ha percorso un lungo tratto della storia di Palermo, qualificandosi come uno dei protagonisti, soprattutto dal punto di vista dell’architettura, costruita e no. Un protagonista di un’epoca complessa, che comprende al suo interno la nascita e la diffusione in Italia del Movimento Moderno: una diffusione difficile e ritardata, soprattutto per quanto attiene all’esperienza palermitana, alla quale però Ugo ha contribuito attraverso i suoi scritti, la sua attività didattica, e soprattutto alcuni edifici esemplari, che rappresentano ancora punti di riferimento nel dibattito attuale.
Dialoghi Mediterranei, n. 48, marzo 2021
Note
[1] Per quanto attiene all’attività universitaria, Ugo è assistente volontario di Capitò ad Architettura Generale presso il Regio Istituto di Ingegneria a Palermo (1924), poi assistente ordinario di Architettura Tecnica (1925); incaricato di Elementi Costruttivi (1925), di Composizione Architettonica e Disegno dal vero (1931), di Rilievo e Restauro dei monumenti (1936). Nello stesso anno è libero docente in Composizione Architettonica. È incaricato di Architettura degli interni presso la Facoltà di Architettura di Palermo (dal 1950 al 1968), e di Composizione Architettonica 1 e Architettura e Composizione Architettonica (1956-57).
[2] Per esempio nel testo Palermo: architettura tra le due guerre (1919-1939), Palermo 1987.
[3] Giuseppe Samonà, L’unità architettura-urbanistica (a cura di Pasquale Lovero), Milano 1975.
[4] F. Purini, L’enigma Samonà, in Giuseppe Samonà e la scuola di Architettura di Venezia (a cura di G. Marras e M. Pogacnik, Padova 2006.
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Cesare Ajroldi, ha cominciato la propria carriera accademica con Alberto Samonà, diventando in seguito professore ordinario, direttore del Dipartimento di Storia e progetto nell’architettura all’Università di Palermo, oltre che coordinatore del dottorato in Progettazione architettonica con sede nel capoluogo siciliano. Ha partecipato a numerosi concorsi nazionali e internazionali dal 1970 al 2004, ottenendo il II premio per lo ZEN e l’Università di Cagliari (1972, capogruppo G. Samonà). Tra le opere più recenti, la scuola media a Niscemi (realizzata) e il progetto di Autostazione Sud a Palermo. Tra le pubblicazioni più recenti: Monumento e progetto a Palermo (Roma, 2005), Expo Lisboa 1998 Paris-Palermo (Roma, 2007), Per una storia della Facoltà di Architettura di Palermo (Roma, 2007), Innovazione in Architettura (Palermo, 2008), La Sicilia i sogni le città. Giuseppe Samonà e la ricerca di architettura (2014).
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