Il XX secolo ci ha certamente regalato due guerre mondiali, molti morti e distruzioni, grandi sofferenze e lunghi dolorosi strascichi. Ma ci ha anche dato, e a mio parere questo va ricordato e sottolineato, uomini e donne che si sono impegnati e non solo a parole ma anche attraverso scelte esistenziali e fatti concreti, nel recupero di diverse dimensioni. Persone cioè che sono state costruttrici di pace, estranee anche rispetto al consumismo sfrenato, una delle conseguenze degli anni di privazione. Più uomini che non donne, sembrerebbe.
Tanto più resta impressa a chi abbia potuto conoscerla o ne abbia avuto notizia o si sia imbattuto, in qualche modo, nella sua persona, la figura di Adriana Zarra. Ci ricorda oggi Adriana una studiosa, Mariangela Maraviglia, in un suo denso libro uscito con il Mulino. Un libro: oggi, una sorta di oggetto raro che ci ricorda tempi migliori, quando non eravamo sommersi da messaggi on line ricchi di video o magari di testi che possono persino raggiungere le 600 pagine! Praticamente, per molti di noi, non leggibili. Scoraggiante solo il pensiero della lettura di un tomo del genere sul computer! Qua invece mi è arrivato un vero libro, intitolato Semplicemente una che vive. Vita e opere di Adriana Zarra. Sono poco più di duecento pagine: leggibile. Uscito nel 2020: un anno davvero sfortunato per il mondo abitato e conosciuto tutto, per i libri usciti in Italia in particolare. Difficile infatti poter uscire, trovare una libreria aperta. Trovare poi il libro che si cerca. Si può ordinare? Certamente, ma poi bisogna tornare ancora in libreria, un’avventura. E magari ci si sente dire che comunque il libro desiderato non c’è, che non si sa quando potrà giungere. Oppure si trova una copia di due o tre ordinate.
Per il libro della Maraviglia, nulla di tutto ciò. Giunge tranquillo fino a casa mia, in una città diversa da quella della casa editrice. In copertina, un volto sorridente di donna, una donna non più giovanissima, con capelli bianchi che sembrano corti. Certamente, capelli non curati da un parrucchiere. Deve essere stata primavera inoltrata o estate, quando la foto è stata scattata: lei risalta su uno sfondo verdeggiante, si intravede appena una piccola parte di quella che potrebbe essere la sua casa. Adriana ha un modesto abito estivo dalle maniche corte, un gatto in braccio. Armonizzano, i colori del vestito di lei, una fantasia tendente al rosa-marrone, e il marrone più scuro, striato, del gatto che sembra sentirsi pienamente a suo agio: forse guarda il fotografo o la fotografa, certo ha occhi tranquilli, lunghi baffi bianchi, le cosiddette vibrisse, un pelo che deve avere goduto di molte carezze.
Inevitabilmente il pensiero va ad Anna Maria Rivera, l’antropologa culturale anche lei grande amante dei gatti. Di cui per anni ha avuto piena la casa, a cui ha dato aiuto, affetto, protezione, nutrimento, che con il marito Gianfranco Laccone ha curato e cercato di preservare il più a lungo possibile. Gatti, gabbiani e se non ricordo male forse qualche piccione sono protagonisti di alcune sue belle fotografie. Un suo ultimo, recente lavoro, sempre con la casa editrice Dedalo di Bari, è una antologia di alcuni dei suoi vecchi articoli sul tema, purtroppo sempre attuale, del Razzismo. Di cui qui, ci dice il sottotitolo, apprendiamo Gli atti, le parole, la propaganda.
Ma tornando al libro sulla Zarri vorrei ancora dire che mi sembra interessante avere un ritratto di donna che la ritrae così come è, dopo che i media ci hanno abituato a donne truccate, vestite apposta per il pubblico con vesti ricercate o falsamente semplici e in realtà molto studiate.
La copertina, parte fondamentale del paratesto, mi sembra incoraggi la lettura, suscitando curiosità e disponendo il lettore alla fruizione dei contenuti del libro. Chi davvero potrà aprirlo e leggerlo si renderà conto immediatamente che ci si trova di fronte a un notevole lavoro: scritto in modo da offrire una lettura piacevole, eppure molto ben documentato. Controllo le note, man mano che leggo, poi le guardo nel loro insieme: vanno da p. 133 a 189. Segue poi, in coda, la Bibliografia di Adriana Zarri, comprendente anche i suoi contributi su riviste e le interviste che le sono state fatte su periodici e quotidiani. Poi, dopo i Ringraziamenti, l’utile Indice dei nomi. Un lavoro impressionante. Chiamo la Maraviglia, mi informo: quanto tempo le ha preso, questo lavoro? Tre-quattro anni, è la risposta.
Credo che nella sua modestia mai Adriana Zarri si sarebbe sognata che qualcuno le avrebbe dedicato tanta attenzione, per tanto tempo. Con tanta acribia e competenza. Dando conto di materiali editi e inediti quali ad esempio le lettere, numerosissime e recuperabili in buona parte negli archivi dei suoi numerosi interlocutori.
All’inizio del libro sono alcune pagine intitolate Incontrare Adriana, in cui viene ricordata la sua scelta dell’eremitismo, un fatto atipico in genere e tanto più per una donna. Troviamo altresì alcuni nomi di uomini che erano stati in contatto con lei, da Mario Gozzini all’editore Piero Gribaudi, fino al vescovo Luigi Bettazzi, che anche io ho avuto la fortuna di conoscere e intervistare all’inizio della mia attività come sociologa della religione. Ma troviamo anche Pietro Ingrao, il domenicano Marie-Dominique Chenu, il vescovo Raffaele Nogari e un giornalista come Sergio Zavoli e molti altri nomi ben noti per il loro impegno sociale. Scrive l’autrice: «…ho voluto raccontare una “persona che vive”, la sua interiorità, i suoi luoghi, lo stile particolare con cui ha attraversato il secolo scorso e l’inizio di questo, lasciando una traccia profonda in molti suoi contemporanei e in non pochi lettori»[1].
Seguono alcune pagine relative alle Fonti, agli archivi consultati, alle sigle e abbreviazioni presenti nel testo. Poi, il testo vero e proprio, quattro capitoli e un Epilogo, che precede le parti di cui si è già accennato.
Il primo capitolo è composto da cinque paragrafi, gli altri sono tutti di sette paragrafi, omogenei nella impostazione. Seguono un ordine temporale. Dal 1919 al 1949 il primo, che tratta dei primi anni, dà conto della famiglia, dell’infanzia trascorsa presso il mulino di S. Lazzaro, fino al suo ingresso nella Compagnia di S. Paolo. Vi si parla di un amato fratello morto a vent’anni, del grande dolore della bambina. Poi, il passaggio della famiglia a Bologna, l’intensa fede convissuta con la madre Elide; le esperienze con l’Azione Cattolica e la Compagnia di S. Paolo, cui aderisce nel 1942. La sua promessa da «aspirante» è del 18 aprile del ’43. Così scrive la Maraviglia:
«Per assolvere al loro compito di vigorose propugnatrici della verità cristiana nella società italiana, le giovani dovevano leggere, studiare, riflettere, le più capaci imparare ad argomentare le proprie idee e a parlare in pubblico, assumendo il ruolo di formatrici e propagandiste dell’associazione stessa. Propagandista fu pure Adriana, come rivela una pagina del suo diario, mentre la sua biblioteca conserva qualche traccia delle letture allora consigliate, a partire dai volumi classici di Francesco Olgiati… e dai testi preparatori per l’attività educativa» [2].
Lei, in quegli anni, appare molto interessata all’arte, suo grande amore, assieme alla letteratura. Parla di Giovanni Papini e di Léon Bloy, di cui ricopia qualche pagina., studia la tematica della solitudine. Ha, apprendiamo, un carattere «esigente, integro, non disponibile ad accomodamenti»[3]: tratti che ne connoteranno il comportamento, le scelte anche negli anni successivi. Arte e teatro sembrano essere i grandi amori della giovane Adriana, insieme alla vita spirituale: e si accenna qui a una «particolare esperienza interiore», tanto che la giovane donna può scrivere di non essersi formata da sola ma con Lui [4].
Una donna dalla forte personalità, che alla lunga non può continuare a identificarsi con una realtà un po’ troppo incombente: lascerà la Compagnia di S. Paolo il 23 aprile del 1949. Siamo ormai al secondo tratto della sua vita, come ci spiega il titolo del secondo capitolo: Incroci di vita, fede, cultura prima e dopo il Concilio Vaticano II (1949-1970).
Impossibile seguire passo passo le numerose vicende della vita di Adriana, in questa sede: lo fa con attenzione ed evidente simpatia per l’oggetto delle sue attenzioni la Maraviglia, che ricorda il primo romanzo scritto dalla Zarri nel 1954, vincitore di un premio che si richiama ad Alessandro Manzoni, che suscita interesse, approvazioni, disapprovazioni (soprattutto da parte di Carlo Betocchi e in misura minore di Gozzini). Lei scrive, ormai da tempo, articoli per giornali e riviste, libri: che non sempre trovano un editore. Si mantiene ormai attraverso la scrittura. Ha un certo successo, ma suscita in certi casi diffidenza per alcune prese di posizione nell’ambito del cattolicesimo.
Si apre intanto il Concilio Vaticano II: ancora oggi oggetto di attenzione e riflessione, cui si riconosce in genere di avere evidenziato aperture e mutamenti che non sono però andati del tutto a buon fine. Allora si sviluppa un’intensa attività pubblicistica che aiuterà anche la Zarri, la quale lavorerà come traduttrice dal francese per la Morcelliana e per la Società Editrice Internazionale, che pubblicherà su varie testate, su vicende, personalità, ambienti a lei noti. Si tratta di scritti che diverranno poi, in parte, un volume, La Chiesa nostra figlia, in cui invocava anche un ripensamento dei ruoli di clero e laicato. E altri seguiranno, tra cui l’Impazienza di Adamo. Ontologia della sessualità, che dà avvio alla sua feconda collaborazione con la casa editrice Borla e con il direttore Piero Gribaudi.
Come è noto il Concilio Vaticano II, che ha inaugurato molti cambiamenti e speranze, ha comportato anche freni, ripensamenti [5]. La Zarri, ci viene detto, intervenne più volte per evitare che questi prendessero troppo spazio:
«Caldeggiò il superamento dell’autoritarismo nella Chiesa e la promozione di forme di gestione collegiale del potere, auspicò la fine di compromessi e collusioni con la politica, discusse su celibato e divorzio in Italia, sessualità e contraccezione, facendosi paladina di un “cattolicesimo adulto” e pensante. Denunciò quelli che le apparivano arbitri e valorizzò scelte evangelicamente esemplari…» [6].
Ciò non le evita, naturalmente, problemi e polemiche di vario tipo. Dura quella occorsa all’epoca con Elémire Zolla, contrario al superamento della lingua latina e del canto gregoriano, all’introduzione della lingua italiana: una posizione culturale ben diversa da quella della Zarri, anche se condivisa da vari intellettuali. L’autrice dà conto di interessi, scritti, diatribe correnti, ma dà uno spazio a sé alla corrispondenza della Zarri con Marie-Dominique Chenu, interessato alla Teologia del probabile della sua interlocutrice.
Non ricordavo invece, devo dire, l’attacco della Zarri a don Milani, da lei accusato di settarismo e fanatismo. Un argomento certamente scomodo, che la Maraviglia fa bene a ricordare, senza censure. L’accusa di lei verteva sul fatto che per amore dei più poveri e diseredati venissero esclusi gli altri, così come teme ci siano esclusioni nei confronti dei fascisti: e questo non è il suo stile. Sembra, spiega la Maraviglia, che ci siano stati tentativi di spiegazioni e confronto, non andati a buon fine per la morte di don Milani. Vanno a finire anche gli anni romani della Zarri, che lascerà la città e farà altre scelte.
Il terzo capitolo recita: Dal silenzio dell’eremo nella storia e nel cosmo (1970-1984). Bisogna intendersi, sulla parola ‘eremo’. Chi si attendesse la colonna degli eremiti di un tempo, sbaglierebbe. Non siamo neppure di fronte alle greche Meteore, monasteri di difficile accesso in cima a rocce impervie, di cui ho scritto su «Dialoghi Mediterranei»(n. 25, maggio 2017). No. Qui la situazione sembra molto più accessibile e tranquilla, con case all’orizzonte, nel campo visivo. Lei, semplicemente, vive isolata, in quello che era un tempo un castello vescovile, quello di Albiano d’Ivrea. Abbandonato, spoglio, ma non lontano da mons. Bettazzi. Lì, apprendiamo, trascorse in solitudine o al più ospitando poche persone bisognose di pace e tranquillità, alcuni anni significativi, laboriosi. Molti i suoi contatti, anche ad es. con la comunità di Bose e il fondatore Enzo Bianchi, contatti che in questo caso tenderanno a rarefarsi.
Siamo ai tempi della Chiesa postconciliare: lei è in contatto soprattutto con tre persone significative, l’arcivescovo brasilano Hélder Câmara, con lo scolopio padre Ernesto Balducci, e con il giovane padre benedettino Giovanni Franzoni, abate di S. Paolo fuori le Mura, sul punto di dimettersi dalla prestigiosa carica: leggo con piacere dell’apprezzamento della Zarri per queste figure importanti per una diversa impostazione del cattolicesimo. Bettazzi, Balducci e Giovanni Franzoni sono stati importanti punti di riferimento per molti.
Peggiorano invece, apprendiamo, i suoi rapporti con la rivista dell’Opus Dei, «Studi Cattolici»: un fatto, mi sembra, inevitabile e assolutamente comprensibile. Siamo intanto al 1971, ed ecco che esce, della Zarri, «una raccolta di preghiere in forma poetica»: alcuni emblematici versi sono riportati nel testo. Apprendiamo che la ricerca di un luogo di eremitaggio non aveva avuto fine: il castello di Albiano cederà il passo a una vecchia cascina abbandonata nel territorio di Perosa Canavese.
Seguendo quanto ne scrive la Maraviglia, veniamo a conoscenza di prati intorno, di fiumi vicini. La serenità, l’armonia che cerca sembrano lì raggiungibili. Raggiunti, se si deve dar credito a quanto scriverà poi in Erba della mia erba. Con lei vivranno lì molti amati animali tra cui conigli, papere, polli, tortore, caprette, cani e gli amati onnipresenti gatti. Gribaudi le pubblica, ed è entusiasta del testo, È più facile che un cammello.
La Maraviglia nota che cresce intanto, nonostante i lettori eccellenti, una certa emarginazione ecclesiale nei confronti di una interlocutrice scomoda. Che non demorde: ed ecco Nostro Signore del deserto. Teologia e antropologia della preghiera, del 1978. Un libro che suggerisce e richiede con forza un radicale ripensamento della tradizione mistica, in linea con la nuova sensibilità femminista che sta diffondendosi. Un libro che piace anche a Vittorio Tondelli, che dalla Zarri sembra avere mutuato diversi concetti.
La Zarri, scrive la sua biografa, lascia a volte l’eremo per recarsi con una sua vecchia 1100 Fiat a qualche dibattito.: la si trova persino a confronto con Marco Pannella e Livio Zanetti, da cui peraltro si sente ed è per più versi distante. Spiega la biografa:
«L’approvazione di una legge che depenalizzasse e regolamentasse l’accesso all’aborto le appariva necessaria di fronte alla piaga dell’aborto clandestino e salutò quindi con favore il varo della legge 194, nel 1979» [7].
La Zarri ha problemi economici, apprendiamo. Lavora ancora per «Rocca» e quindi per Gribaudi: a lui chiede di avere qualche traduzione in più da fare. Il suo pubblico intanto si estende grazie ad alcuni interventi radiofonici e televisivi: e si consolideranno alcune amicizie atipiche, tra cui quella con Sergio Zavoli e con Rossana Rossanda, frequentatrice a volte dell’eremo, tramite per un inserimento della Zarri tra coloro che scrivono per «Il Manifesto»: una collaborazione che si interromperà poi solo con la sua morte.
Ma intanto dovrà lasciare il suo amato eremo, dopo una ennesima rapina occorsa il 26 gennaio 1984, in cui lei viene abbandonata in terra, legata e impossibilitata a gridare per chiedere aiuto. Traumatizzata. A sessantacinque anni, scrive la Maraviglia, si ritrova di nuovo senza un ubi consistam, con scarse risorse economiche.
L’ultimo capitolo ci dice di alcuni anni in cui la Zarri è raminga, ma questo difficile periodo prelude ad una nuova piacevole sistemazione, vicina alle sue aspettative. Il relativo capitolo, scritto con particolare sintonia, si intitola Le rose, gli incontri, l’attesa (1984-2010). Adriana si è infine sistemata a Ca’ Sassino in una vecchia casa parrocchiale di Crotte, nel comune di Strambino: l’autrice sembra identificarsi molto con i lavori fatti per il ripristino dei locali e del giardino, e ricorda come la rivista «Gardenia» ne abbia dato notizia, dedicandole spazio: io, per anni lettrice attenta di questa rivista, ne desumo che il giardino, pieno di rose, deve essere stato decisamente bello e particolare. Non banale.
Impossibile dar conto della ricchezza di attività e temi affrontati in quegli anni da Adriana, qui ricostruiti con evidente simpatia da una attenta ricercatrice come la Maraviglia. Vorrei solo ricordare la capacità di Adriana di ricorrere a più registri ma di trovarsi bene soprattutto in quello narrativo, i suoi numerosi contatti con noti e importanti intellettuali dell’epoca, tra cui Sergio Quinzio, le sue partecipazioni a programmi radiofonici e televisivi, da cui gli interventi su di lei di Beniamino Placido, di Michele Santoro e altri. La sua partecipazione, in particolare, a Uomini e profeti. Sarà presente su testate quali «La Stampa» e «L’Unità», scriverà su «Avvenimenti» e su «Il Manifesto», e non solo. Scriverà, parlerà contro gli integralismi, si dedicherà più volte a scritti ambientali. Escono intanto vari altri suoi libri, saggi e romanzi, si amplia il giro degli estimatori, dei corrispondenti. Troviamo tra questi molti noti nomi, da Oscar Luigi Scalfaro a Mario Tronti, da Pietro Ingrao a Marco Politi e Giuseppe Barbaglio, autore delle EDB, Edizioni Dehoniane di Bologna, ma anche Filippo Gentiloni e molti altri tra cui un vecchio amico come il teologo Carlo Molari, per non dire di Paolo Ricca. Sono ben presenti i vescovi Carlo Maria Martini e Raffaele Nogaro. Era d’accordo, la Zarri, come si è accennato, con l’uso dell’italiano, delle lingue di oggi, in luogo del latino: una visione innovativa, moderna, tesa a coinvolgere maggiormente i fedeli. Mi colpisce l’affermazione secondo cui la Zarri non avrebbe creduto nell’inferno, in effetti una pena difficile da accettare nella sua infinitezza, a fronte di peccati circoscritti, realizzatisi in un dato spazio e tempo. Posizione che mi appare molto apprezzabile.
Ma una delle sue prese di posizione che maggiormente condivido e ritengo assolutamente valida, riportate dall’autrice in queste pagine, è quella della opinione contraria della Zarri – espressa ad alta voce – circa la beatificazione di Giovanni Paolo II. Un papa che so essere stato, tra l’altro, piuttosto impietoso verso le donne bosniache oggetto di stupri collettivi, un papa che aveva vietato loro l’aborto e ordinato di amare i figli di cui loro malgrado si erano ritrovate incinte. Un pontefice che ha beatificato il controverso cardinale Alojzije Viktor Stepinac, croato, che sembra avere protetto gli ustascia di Ante Pavelić, responsabili di molte uccisioni di serbi ortodossi, zingari ed ebrei nei tormentati Balcani.
La Zarri no, non apprezza il papa polacco. È vicina invece al movimento «Noi siamo Chiesa». Un Epilogo chiude il libro, ricordando i tratti più tipici e significativi di Adriana Zarri in poche, intense pagine. Chiarisce l’autrice che
«Gli eremi di Adriana divennero oasi di ricreata armonia, approdi di anime in ricerca, sorgenti di “cultura alternativa”: “Dio” e “la preghiera” erano per lei da collocarsi al vertice di quel “gratuito” che, insieme a “l’arte, la fantasia, l’amore, il gioco, la festa”, costituivano “le premesse di un nuovo uomo e di una nuova civiltà”» [8].
Ha goduto di molte fortune, Adriana Zarri, nella sua lunga, operosa vita. Tra queste, a mio parere, l’avere avuto come biografa Mariangela Maraviglia.
Dialoghi Mediterranei, n 48, marzo 2021
Note
[1] V. pp. 9-19. Una persona che vive: il titolo del libro è strettamente connesso con Adriana Zarri e la sua storia..
[2] V. p. 23.
[3] Siamo a p.29
[4] p. 31. L’autrice accosta questa esperienza a quella di Raissa Maritain, pur consapevole delle loro diversità.
[5] Recentemente è uscito, dello storico Gianni La Bella, I gesuiti dal Vaticano II a papa Francesco, con la milanese casa editrice Guerini e Associati.
[6] V. p. 52
[7] In quel torno di tempo a Roma noi sociologi della Sapienza abbiamo tenuto una serie di pubblici incontri per dibattere sull’importanza di una legge che consentisse l’aborto. Le donne cattoliche, i cattolici erano contrari? Nessuno avrebbe obbligato le donne cattoliche ad abortire, ma non si vedeva perché chi ne avesse la necessità non dovesse poterlo fare.
[8] p.129
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Maria Immacolata Macioti, già professore ordinario di Sociologia dei processi culturali, ha insegnato nella facoltà di Scienze politiche, sociologia, comunicazione della Sapienza di Roma. Ha diretto il master Immigrati e rifugiati e ha coordinato per vari anni il Dottorato in Teoria e ricerca sociale. È stata vicepresidente dell’Ateneo Federato delle Scienze Umane, delle Arti e dell’Ambiente. È coordinatrice scientifica della rivista “La critica sociologica” e autrice di numerosissime pubblicazioni. Tra le più recenti si segnalano: Il fascino del carisma. Alla ricerca di una spiritualità perduta (2009); L’esperienza migratoria. Immigrati e rifugiati in Italia (con E. Pugliese, nuova edizione 2010); L’Armenia, gli Armeni cento anni dopo (2015), Miti e magie delle erbe (2019).
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