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di Raffaele Ballirano
L’inumazione, la sepoltura, intesi come il trascendimento e il confinamento della morte, come mezzi per traghettare la vita oltre il tempo umano finito, come tentativi di sottrarre il defunto al ciclo naturale della totale scomparsa.
Gli studi paleoantropologici riescono a dare molteplici informazioni sulle collettività residenti sul territorio: usanze, malattie, strutture sociali, culti religiosi, cause-effetti della loro evoluzione o involuzione.
La memoria storica di una collettività può provenire anche dalla analisi dei resti dei corpi, dall’investigazione e catalogazione paleoantropologica, anche senza il supporto di lapidi e di cippi.
L’insediamento di Cencelle è un rifugio altomedioevale della futura città di Civitavecchia; all’epoca realizzata per difendersi dagli attacchi dei saraceni e da qualsiasi minaccia dal mare.
Tale città altomedioevale, poi abbandonata per il ritorno della popolazione verso le coste, è oggetto di studi archeologici da circa trenta anni dalla sua rivelazione (con sessioni annuali condotte nel tempo da diverse università).
Non è un caso che la tecnica di sepoltura, supportata da indagini sugli scavi, ha permesso di individuare dati storici e molteplici informazioni sulla collettività ivi residente.
La domanda che mi sono posto nel realizzare il progetto fotografico muove dalla constatazione degli opposti livelli di attenzione rispetto al culto della memoria dei defunti.
A Civitavecchia (guarda caso proprio la città ricostituita sulla costa, dopo l’abbandono di Cencelle) esiste un Cimitero Monumentale, oltretutto tra i primi costruito al di fuori delle mura, ed esterno quindi alla città in quanto il funerale in “pompa magna” era riservato ai benestanti in alternativa alle fosse comuni destinate ai ceti popolari.
Tale cimitero, per di più monumentale, è fatiscente e in preda all’incuria. I due livelli di attenzione sono due facce dello stesso tentativo di preservare nel tempo la memoria storica di una collettività, ma con una differenza sostanziale: gli scavi di Cencelle, meticolosi, scientifici, accurati hanno da contraltare un’oscurità fatiscente e di abbandono, uno stato di degrado e di oblìo con il rischio concreto di opacizzare fisicamente una realtà mnemonica che è patrimonio collettivo.
Al margine del progetto fotografico, segnalo un particolare che potrebbe risultare trascurabile ma ad un lettore attento può assumere significati di rilievo. Gli scatti eseguiti negli scavi di Cencelle sono realizzati in digitale. Le foto realizzate presso il cimitero monumentale sono in analogico (ho usato la “vecchia pellicola”).
Ho cominciato nel 2019 a seguito della spedizione archeologica guidata dall’università di Tor Vergata. Ho osservato e documentato le fasi degli scavi e dei rilevamenti, notando subito la competenza e la scrupolosità con cui veniva condotta l’indagine (tecniche di scavo, classificazione e analisi reperti). Il fotografo non ha fatto altro che documentare la dedizione e la cura dimostrata. Il contraltare è stato immediato.
Al Cimitero monumentale, le mie sessioni fotografiche realizzate durante diversi anni hanno assunto, di volta in volta, un taglio sempre più critico, in quanto potevo, con facilità, confrontare gli scatti dei luoghi in senso temporale, e rilevare contestualmente una progressiva e inarrestabile fatiscenza.
Da un lato una memoria filologicamente recuperata, dall’altra una memoria negligentemente tradita.
Dialoghi Mediterranei, n. 50, 2021
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Raffaele Ballirano, fotografo amatoriale dal 2011. Nasce come paesaggista, cercando di fotografare al meglio il litorale e i luoghi in cui vive. Predilige soprattutto marine e tutti gli aspetti legati al mare, valorizzando gli ambienti e cercando di presentare immagini non stereotipate. Iscritto FIAF e segretario dell’associazione cinefotografica di Civitavecchia, ha promosso e partecipato a diversi progetti. I suoi lavori sono stati oggetto di mostre fotografiche sia personali che collettive a Tuscania, Tarquinia, Civitavecchia, e in altre località.
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