di Mariza D’Anna
Dover ragionare in termini di identità femminile potrebbe apparire anacronistico e datato in un mondo convinto di volare verso altri orizzonti. Oggi le battaglie femministe e il pensiero di intellettuali antesignani di quelle battaglie – mi riferisco per esempio a Simone De Beauvoir nel suo Il secondo sesso ma non solo – hanno matrici diverse e lontane e insistere e farsi largo in quella strada in una società, ahimè, governata per lo più ancora dagli uomini, non darebbe frutti.
La ricerca della parità di genere, i recinti delle quote rosa, imposizioni forzate e retaggi del passato, rischiano di intrappolare i ruoli femminili più di quanto già non lo siano. Cercare invece di far emergere distinte professionalità culturali, artistiche, imprenditoriali può essere una proposta per tutti, uomini e donne, momenti di confronto reali che hanno come punto di partenza e come prospettiva la visione femminile e la diversità in quanto valore peculiare che arricchisce senza essere relegata ad una categoria di genere.
È da questo pensiero che a Trapani è nata – grazie agli assessori alla Cultura e alle Pari Opportunità, Rosalia D’Alì e Andreana Patti, non a caso due donne, e all’organizzazione della Biblioteca Fardelliana con la direttrice Margherita Giacalone – l’idea di promuovere un Festival che si concentrasse su questi temi.
Il Festival delle identità femminili si è svolto nel mese di settembre appena passato (dall’8 al 12) racchiuso in cinque giornate fitte e molto intense a cui ha partecipato, nonostante le restrizioni dovute alla pandemia, un gran numero di persone, un pubblico variegato interessato e attento.
Si è voluto ragionare sulle donne volgendo lo sguardo al Mediterraneo (e da qui il nome del Festival “Madre Mediterraneo”) dove la “d” di madre assolve ad una doppia funzione (mare – madre) per dare significato ad un mare che tocca le sponde dell’Italia e dell’Africa e che abbraccia e unisce i popoli. Con lo sguardo rivolto verso il sud e con gli occhi puntati sulla valorizzazione delle donne, sono state coinvolte artiste siciliane, di matrice nordafricana o mediorientale che hanno trovato nella Sicilia occidentale una terra di approdo o di interesse.
Il tema del percorso è stato il viaggio, inteso come un viaggio nel pensiero e non solo come uno spostamento fisico, come un movimento della mente alla ricerca e alla scoperta di mete remote, un viaggio fatto per raccontare qualcosa. Con il supporto dello scrittore e giornalista Giacomo Pilati che ha partecipato all’idea e al coordinamento, ci siamo rivolti alla figura di Penelope che incarna l’idea del viaggio della mente pur rimanendo sempre ferma ad attendere il ritorno di Ulisse e la sua resistenza e il suo adattamento sono il movente che riempiono il suo tempo.
Viaggio, musica, parole e memoria sono stati i temi che hanno fatto da filo conduttore alla narrazione del Festival: quattro sezioni che hanno ospitato concerti, conversazioni, monologhi, interviste, ricordi.
Anissa Helou, scrittrice e food blogger siriano libanese che ha trovato nella città di Trapani la sua seconda Beirut, con gli stessi tramonti e la stessa luce intensa nel blu del cielo, ha raccontato la sua storia. Helou ha pubblicato per HarperCollins una decina di libri che parlano della cucina mediorientale e mediterranea, ha aperto a Londra, dove vive quando non è in Sicilia, una scuola di cucina e si è resa ambasciatrice nel mondo di questa forma di arte, provenendo lei stessa dal mondo dell’arte dove è stata collezionista e consulente di Sotheby’s e della casa reale del Kuwait.
Si è ragionato su varie forme di teatro al femminile puntando su monologhi che abbracciano i temi della maternità, della religiosità e anche dell’ambiente. Josepina Torino, attrice professionista formatasi alla Escuela Metropolitana di Arte Dramàtico di Buenos Aires ha scelto, anche lei, l’isola di Levanzo prima e Trapani dopo, come luoghi di approdo. E, sola sul palco, ha raccontato “La bambina del fiume”, la storia di Berta Caceres, attivista per i diritti della terra uccisa nel 2016 per aver tentato di difendere il fiume Gualcarque e la sua comunità indigena in Honduras. Dice Josepina Torino: «Berta rappresenta la speranza in un mondo più giusto e consapevole sui diritti della terra; la sua lotta ispira gli uomini e le donne di tutto il mondo, capaci di sognare un mondo diverso dove la terra è vista come una madre da difendere e non un territorio da conquista».
La musica contemporanea del duo pianistico internazionale composto da Paola Biondi e Debora Brunialti, con il concerto “Fiesta”, ha dato un significato che ha travalicato i confini dell’arte della musica per lanciare un messaggio di pace e di unione tra i popoli, con il progetto che il duo pianistico genovese porta avanti in Italia e all’estero e che fa perno sull’armonia e sull’amore per il Creato. Eseguendo brani di Sollima, Canonici e Gerswin le due artiste hanno restituito melodie universali stilisticamente perfette. L’incastro tra le musiche della tradizione siciliana e del Portogallo unite dalla voce di Margherita Abita e dal violino di Joao Silva (del gruppo Still Life) hanno creato atmosfere avvolgenti e melodie e suoni delle due tradizioni.
Lo spazio che si è voluto dedicare al ricordo della pittrice trapanese Carla Accardi (con gli interventi di Francesco Impellizzeri, curatore della Fondazione Accardi) e don Liborio Palmeri (direttore del Museo San Rocco) ha riportato alla memoria la grande artista astrattista che ha lasciato la Sicilia per affermarsi a Roma e poi ottenere riconoscimenti sulla scena mondiale.
Diciotto gli appuntamenti che si sono susseguiti e che hanno reso la Ia edizione del Festival – dedicato alle donne afghane e a tutte le donne private dei loro diritti nel mondo – un esperimento riuscito. Nella forma perché ha dato vivacità al centro storico cittadino, occupando spazi dove era possibile il contingentamento, come il suggestivo Chiostro di San Domenico, la Casina delle Palme, piccolo teatro all’aperto in stile liberty, e l’esedra del teatro Giuseppe Di Stefano della Villa Margherita. Quest’ultima ha ospitato Sheherazade, l’orchestra giovanile diretta dal maestro Luigi De Vincenzi, formata da cinquanta elementi, tutti studenti delle scuole di Trapani e della provincia che hanno saputo fare rete insieme con la musica. Ma l’esperimento è riuscito anche nella sostanza perché ragionando sull’identità femminile nelle varie arti e nei diversi campi culturali si è dato spazio a chi talvolta fatica ad averlo e lo merita appieno.
Dialoghi Mediterranei, n. 52, novembre 2021
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Mariza D’Anna, giornalista professionista, lavora al giornale “La Sicilia”. Per anni responsabile della redazione di Trapani, coordina le pagine di cronaca e si occupa di cultura e spettacoli. Ha collaborato con la Rai e altre testate nazionali. Ha vissuto a Tripoli fino al 1970, poi a Roma e Genova dove si è laureata in Giurisprudenza e ha esercitato la professione di avvocato e di insegnante. Ha scritto i romanzi Specchi (Nulla Die), Il ricordo che se ne ha (Margana) e La casa di Shara Band Ong. Tripoli (Margana 2021), memorie familiari ambientate in Libia.
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