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Le sacre schiume

 

Traslazione di Gesù, secolo XIX

Traslazione di Gesù, secolo XIX

di Sergio Todesco 

In gran parte della Sicilia sono presenti raffigurazioni plastiche dei santi; si tratta in genere di composizioni in legno, gesso, stoffa e metallo, quelle tridimensionali sotto campana, nelle quali le figure sacre vengono rappresentate secondo l’iconografia più diffusa. Nei gruppi statuari è pienamente avvertibile il tentativo degli anonimi artisti (molte delle opere sono frutto in qualche caso di un’attività artigianale svoltasi in ambito conventuale) di concentrare, attraverso una rappresentazione sincopata dei rapporti spaziali che intercorrono tra i personaggi della composizione, l’evento che si vuole rappresentare in uno spazio compresso che in un certo senso ne agevola la riduzione a modello epifanico.

Mater dolorosa, secolo XIX

Mater dolorosa, secolo XIX

Tale statuaria devota, di cui la cultura popolare siciliana ci offre notevolissimi esempi, testimonia proprio della tendenza a costellare la vita quotidiana e l’ambito domestico della famiglia tradizionale con una serie assai nutrita di presenze rassicuranti cui viene demandata la funzione di proteggere la casa da influssi negativi. Realizzate in materiali estremamente diversificati, dal legno al gesso alla cera alla cartapesta, in seguito anche in materiali di sintesi, le icone plastiche dei Santi finiscono col configurarsi nella loro globalità come un ricchissimo pantheon che fa da ineliminabile sfondo alle pratiche devozionali domestiche, integrando significativamente le più appariscenti pratiche comunitarie che trovano una loro più compiuta espressione in grandi eventi rituali come le feste, i pellegrinaggi e le sacre rappresentazioni.

Crocifissione, secolo XIX

Crocifissione, secolo XIX

In un repertorio ormai famoso Giuseppe Cocchiara, sostenne che i documenti costituiti dalle immagini devote «… comunque creati si possono considerare popolari per l’uso cui essi sono destinati», in ciò riprendendo le considerazioni svolte un decennio prima da P. Bogatyrëv e R. Jakobson. È quindi indubbio che l’origine di alcuni manufatti divenuti oggetti di devozione sia stata tutt’altro che popolare e che il loro bacino d’utenza, nell’arco dei secoli che ne registrarono l’affermazione e la diffusione, abbia riguardato un amplissimo spettro dell’intero corpo sociale.

Le produzioni relative all’arte devozionale in Sicilia non possono dunque limitarsi ai soli manufatti prodotti in Sicilia ma anche a quelli fruiti nell’Isola; la nota osservazione gramsciana secondo cui «ciò che contraddistingue il canto popolare (ma la notazione può essere agevolmente estesa a qualunque altra realtà di natura folklorica) [...] non è il fatto artistico, né l’origine storica, ma il suo modo di concepire il mondo e la vita, in contrasto colla società ufficiale; in ciò è da ricercare la “collettività” del canto popolare, e del popolo stesso» ci ricorda come la “popolarità” di qualunque manufatto prescinda dalla sua origine, che può essere anche culta,  e risieda piuttosto nel suo essere stato accettato e fatto proprio da determinate fasce sociali, per ciò da queste riconosciuto come sintonico alla loro concezione del mondo, attraverso quella che Pëtr Bogatyrëv e Roman Jakobson avevano chiamato “censura preventiva della comunità”.

Crocifissione tra i due ladroni, secolo XIX

Crocifissione tra i due ladroni, secolo XIX

Come già osservato altrove, i prodotti devozionali destinati alla fruizione domestica obbediscono a dinamiche opposte a quelle la cui circolazione caratterizza i manufatti votivi. Mentre nel caso di questi ultimi si tratta di “pubblicizzare il privato”, riconducendo a una dimensione corale e comunitaria vicende patogene, in tal modo trasformate in forme particolari di linguaggio, nei manufatti di devozione domestica risulta evidente un andamento di segno contrario, mirante a praticare una sorta di “privatizzazione del pubblico”; le icone domestiche e i materiali affini sono infatti facenti parte di un movimento che dall’esterno, a partire dai luoghi di culto e dai centri di produzione e di circolazione dei fatti religiosi, si rivolgeva verso l’interno, entro i luoghi della devozione e della profilassi domestica. In tali contesti gli oggetti di devozione aggiungono alla loro natura di rappresentazioni di, o rimandi a, realtà invisibili la caratteristica di luoghi di concentrazione – quasi “privata” – di una Potenza che di volta in volta è chiamata a dispiegare la propria dynamis nei più svariati eventi della vita quotidiana.

Madonna di Trapani, secolo XIX

Madonna di Trapani, secolo XIX

Nelle due preziose e pressoché esaustive rassegne che Angelo De Gubernatis ha dedicato al regno animale e a quello vegetale non viene fatto cenno alcuno al corallo. Tale assenza è un significativo indizio delle perplessità avvertite dall’illustre linguista e mitografo nell’archiviare e incasellare in qualche modo tale prodotto naturale entro una categoria ben definita. Analoghe difficoltà di ordine tassonomico ritornano in realtà come leit motiv in tutta la vastissima letteratura sul corallo, tanto che i contributi più recenti hanno definitivamente abbandonato la prospettiva glittica cui ci aveva così fascinosamente introdotto Jurgis Baltrusaitis, preferendo misurarsi con tematiche pertinenti più specifici ambiti disciplinari, come la storia della cultura materiale, le arti decorative e minori e l’artigianato artistico.

Analoghe considerazioni possono essere fatte a proposito della sepiolite, meglio conosciuta come schiuma di mare e nei Paesi anglosassoni con termine tedesco Meerschaum, che è, come è stato appurato nel 1847 dal mineralogista tedesco Ernst Friedrich Glocker, un silicato formato da piccoli cristalli che si addensano in concrezioni, aggregandosi in una forma porosa che gli consente di galleggiare e – come nella mitologia del corallo – di indurirsi allorquando viene posto all’aria, al calore solare.

Sinite parvulos, secolo XIX

Sinite Parvulos, secolo XIX

Presente in un’areale che comprende gran parte del Mediterraneo, dalla Turchia alla Grecia, dalla Moravia alla Francia,  dalla Spagna al Marocco, e perfino in Alto Adige, tale minerale – il cui nome deriva dalla somiglianza con le concrezioni dell’osso di seppia – è apparso, proprio come il corallo, un organismo vivente posto in una zona di confine tra natura e cultura e in quanto tale pienamente rispondente alle esigenze di wunderkammer proprie dell’epoca storica che maggiormente ne apprezzò la natura proteiforme. Ciò ha fatto sì che esso sia stato assai spesso percepito come la pietrificazione di una forza, attraverso cui in qualche modo si riconduceva allo stato fisso e terroso una natura di per sé fluida e magmatica, e giustifica sufficientemente l’utilizzo sacrale, e addirittura ierofanico che ne è stato storicamente fatto.

Battesimo di Gesù, secolo XIX

Battesimo di Gesù, secolo XIX

Oltre ad aver trovato impiego in alcuni settori dell’edilizia, e in campo artigianale nella costruzione di fornelli di pipa, la schiuma di mare è stata infatti utilizzata nella realizzazione di rappresentazioni a basso e alto rilievo di figure numinose e di scene sacre tutte rientranti nell’ambito del Cristianesimo. Non è improbabile che tale utilizzo sia stato indotto in analogia alla tradizione, ben più antica, di trattare materiali come corallo e madreperla per produrre icone domestiche da consegnare alla devozione. Il materiale grezzo veniva raschiato al fine di eliminare le tracce di terra rossastra spesso presenti, e, dopo un’asciugatura, sottoposto a nuova raschiatura e lucidato con cera, quindi intagliato e lavorato con carta abrasiva, riscaldato in cera o stearina e rilucidato con cenere d’osso. La facilità con cui era possibile plasmarlo consentiva la resa plastica di figure numinose anche nei piccoli formati, e la composizione di più articolate scenografie nei grandi. 

In genere, queste raffigurazioni sacre erano rese all’interno di una composizione di forma ovale, perimetrata da una cornice scura e protetta da un vetro bombato, ma non mancano icone in sepiolite utilizzate per caratterizzare con un’immagine sacra piccole acquasantiere domestiche. I soggetti maggiormente presenti risultano essere le scene evangeliche (Annunciazione, Natività, Adorazione dei pastori, Battesimo di Gesù, Crocifissione, Deposizione, Mater Dolorosa etc.) e le figure oggetto di adorazione quali Gesù, la Madonna, la Sacra Famiglia, o i diversi Santi oggetto di devozione.

Adorazione dei pastori, secolo XIX

Adorazione dei pastori, secolo XIX

Essendosi tale prodotto utilizzato soprattutto in epoca ottocentesca, le icone in sepiolite, la cui grandezza varia dagli 8-10 centimetri a misure che giungono a toccare i 35-40 centimetri, sono state sempre etichettate con richiamo all’epoca di Napoleone III, sovrano peraltro spesso raffigurato negli esemplari “profani” di questi diorama o addirittura nei fornelli di pipa.

Tale accostamento pare peraltro riconducibile alla particolare temperie restauratrice seguita all’epoca napoleonica, con la caduta delle istanze laiche di matrice illuminista e la ripresa di politiche volte a promuovere forme di religiosità popolare in sintonia con l’Ancien Régime, che caratterizzò gran parte del XIX secolo.

Gesù tra i Dottori, secolo XIX

Gesù tra i Dottori, secolo XIX

Sotto tale profilo, è interessante notare come queste icone domestiche non ritengano alcuno degli stilemi che caratterizzano le produzioni artistiche popolari in senso stretto. Esse sono viceversa, con tutta evidenza, mutuate da corrispondenti manufatti di arte colta espressi in Europa nell’arco dei secoli XVII-XIX, dagli stucchi serpottiani dell’Oratorio di San Lorenzo alla grande scultura di Canova e Rodin.

La circostanza che tali produzioni, ancorché di probabile origine e provenienza transalpina, siano giunte nel Meridione d’Italia, verosimilmente veicolate dai vivacissimi rapporti esistenti tra luoghi di culto assai distanti tra loro su iniziativa degli ordini religiosi e dalle dinamiche mercantili sempre presenti in occasione di feste e pellegrinaggi, ci consente di assimilarli ad altre tipologie di manufatti devozionali di più specifica natura locale, quali la statuaria sacra, la ceroplastica, i dipinti sotto vetro, gli oggetti votivi, le produzioni in corallo o madreperla etc.

San Giuseppe con Gesù, Acquasantiera, secolo XIX

San Giuseppe con Gesù, Acquasantiera, secolo XIX

In quanto oggetti di devozione domestica in qualche modo “assorbiti” dalla cultura popolare e da essa inseriti nei propri quadri di riferimento iconografici, essi concorrono a documentare le forme assunte in Sicilia da quella religiosità dell’oikos che per almeno un paio di secoli ha costituito per la quasi totalità dei Siciliani un orizzonte carico di senso nonché una sorta di placenta culturale al cui interno si dipanava la vita sociale. Ogni forma di religiosità, pubblica o privata, domestica come quella delle devozioni (‘i cosi di Ddìu) o estrovertita come quella connessa ai grandi eventi cerimoniali e rituali, mobilitava infatti una grande quantità di risorse creative, tanto sotto il profilo performativo quanto sotto quello fabulatorio ed emozionale.

Attesa l’intima partecipazione della cultura tradizionale a tali dimensioni dell’esistenza, queste produzioni si sono storicamente costituite come luoghi di conservazione di un’identità condivisa, stanze variegate di una memoria comune. Scomparse dai circuiti di fruizione tuttora rilevabili nei santuari e nei contesti domestici, le icone in sepiolite sono ormai presenti solo nelle collezioni private e nei mercati di antiquariato minore. 

Dialoghi Mediterranei, n. 59, gennaio 2023 
Riferimenti bibliografici 
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G. Cocchiara, Le immagini devote del popolo siciliano raccolte nel Museo Pitrè, in “Archivio Storico Siciliano”, 1939, poi in volume Palermo, Boccone del Povero, 1940 (rist. Le immagini devote del popolo siciliano, Palermo, Sellerio, 1982, con un’introduzione di A. Buttitta); Id., Studi sull’arte popolare, Palermo, Manfredi, 1965. 
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F. Faeta, “Il corpo a Dio. Schema somatico e ceroplastica votiva”, in Id. Le figure inquiete: Tre saggi sull’immaginario folklorico, Milano, Franco Angeli, 1989: 77-113 (cfr. anche una nuova stesura, “Il corpo a Dio. Percorsi di ricerca per figure votive”, in Id., Il santo e l’aquilone: Per un’antropologia dell’immaginario popolare nel secolo XX, Palermo, Sellerio, 2000: 59-118.
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Sergio Todesco, laureato in Filosofia, si è poi dedicato agli studi antropologici. Ha diretto la Sezione Antropologica della Soprintendenza di Messina, il Museo Regionale “Giuseppe Cocchiara”, il Parco Archeologico dei Nebrodi Occidentali, la Biblioteca Regionale di Messina. Ha svolto attività di docenza universitaria nelle discipline demo-etno-antropologiche e museografiche. Ha al suo attivo numerose pubblicazioni, tra le quali Teatro mobile. Le feste di Mezz’agosto a Messina, 1991; Atlante dei Beni Etno-antropologici eoliani, 1995; IconaeMessanenses – Edicole votive nella città di Messina, 1997; Angelino Patti fotografo in Tusa, 1999; In forma di festa. Le ragioni del sacro in provincidi Messina, 2003; Miracoli. Il patrimonio votivo popolare della provincia di Messina, 2007; Vet-ri-flessi. Un pincisanti del XXI secolo, 2011; Matrimoniu. Nozze tradizionali di Sicilia, 2014; Castel di Tusa nelle immagini e nelle trame orali di un secolo, 2016; Angoli di mondo, 2020; L’immaginario rappresentato. Orizzonti rituali, mitologie, narrazioni (2021).

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